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Ambiente e Biotecnologie. l diritto allo sviluppo sostenibile per le generazioni future
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Ambiente e Biotecnologie. l diritto allo sviluppo sostenibile per le generazioni future

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L'idea di progresso economico vacilla nel mondo contemporaneo, e, come è stato dimostrato (H. Jonas), tenuto conto che nell'era antica, uno degli obiettivi principali della politica era la stabilità, il progresso risultava legato alla dimensione verticale inteso come raggiungimento di una sorta di purificazione morale da perseguire nel corso della vita per accedere ad un mondo ideale trascendentale. L'ideale moderno adagia questa idea di progresso concependola come un futuro migliore del presente, ma rimane un'ideale estraneo ad un'aspirazione metafisica, poiché è ricondotto al fattore economico e coincide con un paradigma quantitativo. La soggettività moderna ha la responsabilità di aver coltivato l'idea della possibilità di soddisfare tutti i bisogni possibili dell'uomo mediante l'asservimento della natura. Viceversa occorre capovolgere questa prospettiva verso una soluzione di ragionevole convivenza rispetto alla quale questo volume pone la sua riflessione.
LanguageItaliano
Release dateApr 23, 2013
ISBN9788868220365
Ambiente e Biotecnologie. l diritto allo sviluppo sostenibile per le generazioni future

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    Ambiente e Biotecnologie. l diritto allo sviluppo sostenibile per le generazioni future - Anna Falcone

    Alessandro Mazzitelli - Anna Falcone

    Ambiente e Biotecnologie

    Il diritto allo sviluppo sostenibile per le generazioni future

    A cura di Alessandro Mazzitelli

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione Ebook 2013

    Isbn: 978-88-6822-036-5

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Introduzione

    L’affermazione di una nozione consapevole di Ambiente, sistemata in un quadro non meramente nominalistico, comporta il ricorso ad una molteplicità di categorie d’analisi estranee ai paradigma economico e giuridico.

    Allorché si voglia contribuire a fare chiarezza su nozioni di incerta qualificazione, diviene metodo obbligato rifarsi ad elaborazioni scientifiche diverse dalla disciplina di ricerca.

    Per questi motivi le scienze naturali sono un utile supporto all’analisi giuridica specie quando consentono, attraverso una metodologia di scomposizione, lo studio della realtà biofisica di più modelli di ecosistema. Precisamente, noi parliamo di ambiente in termini giuridici generali, riguardo ai rapporti tra le attività umane e le risorse naturali utilizzate per il loro compimento. Se noi considerassimo invece la nozione d’ecologia, volta ad accreditare le interrelazioni tra tutti gli esseri viventi e non, la rilevanza giuridica del fenomeno ambientale porrebbe il maggiore fattore di contaminazione dell’ambiente-ecologico, in altre parole l’uomo, sullo stesso piano degli altri elementi costitutivi dell’ecosistema e, per ciò stesso, deresponsabilizzato (H. Jonas).

    Lo sviluppo e il superamento di concezioni marcatamente utilitaristiche del rapporto uomo-ambiente, spingono questa nozione verso una trasformazione lenta e graduale derivante in larga misura dallo stato di necessità concernente le esigenze di vita dell’uomo. A tal fine, è molto interessante in che modo il comune sentire della questione ambientale sveli esemplarmente i limiti della portata del nostro discorso.

    È stato acutamente evidenziato che, Ambiente è un termine che ad un primo approccio esprime in maniera forte, passioni, speranze, incomprensioni. Secondo il contesto in cui è richiamato, sarà inteso come un’idea alla moda, un lusso per i paesi ricchi, un mito, un tema di contestazioni figlio d’idee hippies e sessantottarde, un ritorno alla terra, un nuovo terrore dell’anno mille legato all’imprevedibilità delle catastrofi ecologiche, un richiamo ai fiori e ai piccoli uccelli, un grido d’allarme d’economisti e filosofi sui limiti della crescita, l’annuncio della distruzione delle risorse naturali, un nuovo mercato dell’antinquinamento; un’utopia contraddittoria con il mito della crescita (M. Prieur).

    Tuttavia la tutela dell’ambiente, specie riguardo al profilo della biodiversità e della manipolazione genetica, è diventata la preoccupazione maggiore non solo dei paesi ricchi ma anche dei paesi poveri, per i quali lo scambio sviluppo-ambiente può essere negativamente decisivo per tutta una serie di fattori condizionanti l’habitat naturale.

    Per il profilo culturale, sono derivate numerose organizzazioni di tutela, finanche di tipo radicale, volte a promuovere una concezione eco-centrica del rapporto uomo-ambiente naturale.

    La cultura ecologista considera l’uomo una delle specie viventi, facente parte di un complesso sistema di relazioni e d’interrelazioni, che si manifestano nel suo habitat naturale: quasi tutti hanno una curiosità e un interesse almeno latenti per la natura circostante; molti di questi interessi diventano passatempi e vocazioni che si dimostrano fonti di soddisfazioni estetiche e intellettuali per tutta la vita. I bambini prima o poi manifestano il loro interesse per gli esseri viventi che trovano intorno a sé ponendo innumerevoli domande ai genitori e ai maestri; sfortunatamente alcune delle risposte che ricevono non sono adatte a mantenere vivo il loro interesse. Man mano che il giovane cresce, l’adattamento all’aspetto umano dell’ambiente assorbe sempre più la sua attenzione e sovente il suo interesse per la «natura» svanisce, almeno temporaneamente (E.P. Odum).

    Notoriamente, tutte le attività umane hanno degli effetti dannosi e non, diretti o indiretti, in molti casi, non immediatamente misurabili, sull’ambiente. Esso è osservato come l’insieme dei fattori che influenzano lo spazio naturale e artificiale che l’uomo vive e condiziona, e di cui è senz’altro il principale responsabile.

    A prescindere quindi dalla diffusa consapevolezza della posizione dell’uomo nell’ecosistema, l’ambiente è oggi il fattore che riguarda in modo fondamentale l’intera comunità umana. Non a caso, numerosi studi hanno affrontato il problema di capire il modo e il grado d’incidenza dell’ambiente sulle comunità umane. A differenza che in passato, quando si poneva prevalentemente l’accento sui fattori climatici, con l’andar del tempo è stato il modo di scelta della sistemazione fisica dell’uomo nell’ambito delle possibilità offerte dall’ambiente, che è divenuto oggetto di studio e di ricerca. Ed inoltre, come naturale evoluzione, si è giunti a considerare inevitabile lo studio delle interrelazioni uomo/ambiente in chiave d’effetti economico-sociali, di cui le discipline giuridiche si sono fatte anche carico. In questo quadro è scontato ritenere che l’ambiente sia questione complessa, caratterizzata da una forte interdipendenza tra i diversi elementi che la compongono, essendo costituito, secondo l’ecologia, dai produttori, dai consumatori e dai decompositori. Gli esseri umani appartengono certo alla categoria dei consumatori, ma sono, a tutti gli effetti, anche dei produttori, in particolare di rifiuti, non ancora decompositori efficaci. Essi accedono all’ambiente acquisendone le risorse necessarie alle proprie attività senza purtroppo ricambiare positivamente.

    Nelle relazioni che si stabiliscono, oltre ai vincoli che un ecosistema comporta in via naturale, dal grado di sensibilità dell’ambiente alle attività umane, deriva un effetto di ritorno per l’uomo stesso. In altri termini la questione del peso dei vincoli ambientali, oltre a differenziarsi in virtù dei diversi sistemi ecologici, è strettamente connessa all’organizzazione di vita delle comunità.

    Pertanto, è pacifico ritenere che le risorse offerte dall’ambiente, siano ad un tempo limite e causa d’insediamento, al punto da condizionare il modello di civiltà.

    Alessandro Mazzitelli

    La tutela dell’ambiente nell’ordinamento comunitario

    Alessandro Mazzitelli

    1. Origine di una competenza implicita; 2. Il paradigma dei programmi di azione in materia ambientale; 3. La garanzia del mercato comune alla base della competenza comunitaria in materia ambientale; 4. La premessa alla rilevanza comunitaria dell’ambiente; 5. Il principio di sussidiarietà come strumento di responsabilità solidale in materia ambientale; 6. Il compimento del processo di valorizzazione dell’ambiente; 7. Il principio dello sviluppo sostenibile come meta fora del Trattato di Amsterdam

    1. Origine di una competenza implicita

    Il Trattato di Roma del 1957, istitutivo della CEE, non conteneva alcun riferimento all’ambiente e non attribuiva, di conseguenza, alla Comunità, poteri normativi in tale campo. Al momento della sottoscrizione, le problematiche relative alla tutela dell’ambiente non erano ancora così evidenti.

    Dagli anni ’70 la Comunità europea, stando ai numerosi atti normativi derivati, esercita un ruolo sempre più attivo in materia ambientale, fino a divenire la principale protagonista in campo europeo. Tale evoluzione del ruolo comunitario in materia, si verifica in concomitanza con la gravità e la complessità che andavano assumendo, sia a livello nazionale sia in ambito comunitario, i problemi della tutela dell’ambiente causati dall’inquinamento[1].

    L’iniziale interesse della Comunità si ha nel ’70, con un primo Memorandum della Commissione sulla politica industriale, con il quale la Commissione sottolinea al Consiglio l’esigenza di adottare iniziative in campo ambientale[2].

    Nel ’72, la Commissione formalizza un’altra iniziativa in un documento analogo, che invia al Parlamento europeo ed al Consiglio, dove pone in evidenza come lo sviluppo economico debba tenere conto della qualità delle risorse e delle condizioni di vita. Inoltre si fa presente la situazione di degrado ambientale che si è determinata nei paesi industrializzati, da cui deriva la responsabilità della Comunità nell’ambito della protezione ecologica. Nel frattempo sono indicati, come punti principali dell’azione comunitaria, le azioni volte a ridurre l’inquinamento e gli inconvenienti ambientali, e alla salvaguardia dell’ambiente naturale[3].

    Il Memorandum predisposto dalla Commissione nel ’72, costituì oggetto d’interesse nell’ambito del Vertice di Parigi (19 e 20 ottobre del 1972), dove si riunirono i Capi di Stato e di Governo, e per la prima volta gli Stati membri affrontarono la questione ambientale nella sua reale dimensione. In quella occasione fu affermato ufficialmente l’impegno della Comunità per la promozione di iniziative comuni a tutela dell’ambiente[4].

    Un altro aspetto importante, in linea con questa tendenza, è l’invito del Vertice di Parigi alla Commissione ed al Consiglio di definire ed approvare un programma d’azione in materia ambientale.

    Questa programma traduceva la convinzione che la crescita economica e lo sviluppo delle politiche comuni, dovevano indirizzarsi verso un miglioramento delle condizioni di vita dei popoli europei[5].

    La novità importante risiedeva nella consapevolezza che la protezione dell’ambiente non poteva essere dissociata dalla crescita economica, e quindi relegata ad un ruolo marginale rispetto agli obiettivi del progresso economico e sociale. In tal senso, era sottolineato che "l’espansione economica non rappresenta un obiettivo in sé ma doveva orientarsi ai valori e beni non materiali e alla protezione dell’ambiente naturale, per porre il progresso al servizio dell’uomo"[6].

    Nel documento finale della Conferenza di Parigi fu espressa l’esigenza di promuovere le comuni azioni di difesa contro le minacce ambientali, allo scopo di corrispondere ad obiettivi fondamentali del Patto comune[7]. Si sottolineò, inoltre, l’esigenza di ricorrere a tutte le disposizioni del Trattato per definire una politica ambientale comunitaria, proprio nel momento in cui avveniva la globalizzazione del dibattito sulle questioni ambientali[8].

    Coerentemente con le nuove tendenze e in linea alle necessarie opere di riavvicinamento delle legislazioni in campo ambientale, fu adottato il cd. accordo d’informazione[9]. In tale accordo era previsto che gli Stati membri dovevano notificare alla Commissione i progetti legislativi e regolamentari, relativi alla protezione dell’ambiente, potenzialmente influenti sul mercato comune[10].

    2. Il paradigma dei programmi di azione in materia ambientale

    Uno dei primi risultati di questa convergenza, in tema di responsabilità per la tutela dell’ambiente in ambito comunitario, è rappresentato dall’adozione del primo programma d’azione in materia ambientale[11].

    Questo programma è particolarmente emblematico rispetto alla politica comunitaria ambientale successiva.

    Occorre sottolineare inoltre, considerata la perdurante assenza nei trattati di un esplicito riferimento alla tutela dell’ambiente, che i primi programmi di azione[12], pur non essendo dotati di particolare forza giuridica[13], rappresentano le linee guida che caratterizzeranno la politica ambientale comunitaria degli anni 70-80[14].

    Gli anni ’80, infatti, si caratterizzano con il terzo programma d’azione[15]. In esso, la Commissione, indica la necessità di una strategia globale per l’ambiente, ponendo in evidenza l’obiettivo di integrare le misure di politica ambientale con le diverse politiche settoriali. La variabile ambientale considerata in ogni processo decisionale. Si punta sull’introduzione di metodologie diffuse di valutazione d’impatto ambientale già previste, ancora prive d’attuazione.

    In questa fase, l’orientamento della Comunità si modifica pertanto in modo significativo a favore di una politica ampia di prevenzione, nel cui ambito, quella ambientale, inizia ad assumere una propria fisionomia[16].

    La Comunità riconosce in questi documenti l’importanza delle interrelazioni tra ambiente, sviluppo e, quindi, crescita sostenibile.

    È quanto è possibile desumere dal terzo programma d’azione in materia ambientale[17], che consolida le competenze, di fatto, comunitarie in ambito ambientale[18], mentre fino allora, solo nel Trattato EURATOM, era rintracciabile, in via subordinata alla tutela della salute, un’implicita competenza comunitaria[19].

    A tale riguardo, è indicativo, in linea con i contenuti di questo programma, che solo dal preambolo del Trattato CEE[20], era possibile desumere alcuni espliciti riferimenti alla necessità di razionalizzazione della crescita economica, attraverso il ricorso alla teoria dell’effetto utile[21]. L’obiettivo dello sviluppo armonioso si sarebbe prestato ad un’interpretazione evolutiva[22], tramite la connessione fra sviluppo economico, miglioramento delle condizioni di vita e protezione dell’ambiente[23]. Ma com’era risaputo, le fonti derivate, che avrebbero potuto trarre origine da quest’interpretazione, erano ben lungi da poter essere configurate come fonti primarie.

    L’effetto paradossale che si stava consolidando consisteva nel tradurre, con atti di difficile collocazione normativa negli ordinamenti interni, priorità fondamentali che in seguito sarebbero divenute norme fondamentali dei Trattati comunitari.

    Il quarto programma d’azione[24], rappresenta sostanzialmente la prosecuzione dei programmi precedenti. Questo programma diviene complementare alle disposizioni dell’Atto Unico. I settori su cui si concentra l’attenzione, nel periodo di vigenza del programma, sono settori strategici che introducono la futura politica ambientale[25].

    Nell’introduzione dell’atto è posta con enfasi che è importante concentrare l’azione comunitaria, fatta salva la competenza della Comunità e degli Stati membri sui settori prioritari d’intervento, dando così applicazione al neonato principio di sussidiarietà in materia ambientale.

    A differenza dei primi tre programmi, i quali si fondavano essenzialmente sulla ricerca di un equilibrio fra azione repressiva e prevenzione dei fenomeni inquinanti, il quarto programma afferma invece, in modo definitivo, l’integrazione della politica ambientale nelle politiche comunitarie.

    Ci pare chiaro, a questo punto, che il quadro che si va tracciando, comporta la costante espansione del diritto comunitario nella materia e, cosa molto importante, ancora una volta i programmi d’azione anticipano ciò che poi sarà consacrato nei Trattati.

    È pur vero che il Trattato di Maastricht, introduce la nozione di sostenibilità della Conferenza di Rio, ma è una formula, come vedremo in seguito, alquanto ambigua. La nozione di sviluppo sostenibile, viene invece addirittura utilizzata nella denominazione del quinto programma.

    Il quinto programma d’azione rende concreta quindi un’altra evoluzione nella prassi comunitaria[26]. Nella convinzione che la difesa dell’ambiente non rappresenti solo un possibile fattore positivo per l’economia, introduce la condizione d’imprescindibilità allo sviluppo economico e sociale[27].

    Per tali ragioni, la Commissione intese, con questo programma, imporre una svolta sia negli obiettivi sia negli strumenti d’attuazione di tali obiettivi, ed aprire così una nuova fase nella politica ambientale comunitaria e nel ruolo della Comunità sullo scenario internazionale[28].

    Nel quinto programma ci si basa su un nuovo senso di responsabilità e disponibilità alla collaborazione, che coinvolge gli attori ed i settori chiave della vita economica e sociale. È in questa logica che si modificano anche gli strumenti attuativi, sempre più caratterizzati da tecniche di concertazione a tutti i livelli.

    Si sostiene infatti che il raggiungimento degli obiettivi non potrà essere il risultato delle sole attività normative, ma molte iniziative d’informazione e sensibilizzazione dovranno svolgersi a livelli diversi da quello comunitario, con un reale cambiamento dei modelli di comportamento della società[29].

    Questo programma intende proporre una nuova direzione, caratterizzata da logiche imprenditoriali che considerano l’ambiente non più come un limite allo sviluppo del sistema industriale, ma come una fondamentale variabile strategica[30].

    Il passo successivo della Comunità si formalizza nel problema della compatibilità

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