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Familiae: Antropolaroid, Invidiatemi come io ho invidiato voi, Geppettto e Geppetto
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Ebook157 pages2 hours

Familiae: Antropolaroid, Invidiatemi come io ho invidiato voi, Geppettto e Geppetto

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About this ebook

Mentre continuano a raccogliere applausi e gratificazioni da folle di spettatori e addetti ai lavori, gli spettacoli teatrali creati da Tindaro Granata diventano finalmente un libro dove trovare traccia scritta delle sue originali drammaturgie. A cominciare dall’avventurosa epopea, in un dialetto siciliano molto vicino a noi, di “Antropolaroid”: in cui il fervido autore-attore si scatena nell’attingere dal passato un prisma di tesori affettivi e biografici, al fine di coglierne i celati splendori per quanto possano essere stati confitti nel buio di esistenze vissute con fatica, sofferenza e traumatica efferatezza. Violenze e traumi che ricorrono pure nel successivo testo, “Invidiatemi come io ho invidiato voi”, emergendo di volta in volta con glaciale mostruosità a trafiggere una scrittura accidentata, fitta di errori e storpiature, in modo da ricostruire il parlato malandato dei protagonisti di un tragico fatto vero di pedofilia. Il trittico di drammi si chiude poi con l’affondo problematico e intenso portato da “Geppetto e Geppetto. 1 papà + 1 papà = un figlio?”: ovvero, il sogno di avere un figlio da parte di una coppia di omosessuali, messo a duro confronto con lo sguardo degli altri e di una società condizionata e impaurita dalla sfida grande che comporta l’amare.
LanguageItaliano
PublisherCue Press
Release dateNov 1, 2015
ISBN9788898442799
Familiae: Antropolaroid, Invidiatemi come io ho invidiato voi, Geppettto e Geppetto

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    Familiae - Tindaro Granata

    Rifici

    La stella di Tindaro Granata

    di Damiano Pignedoli

    Prima ancora di essere un attore-autore e regista di talento e grazia, Tindaro Granata è una persona di rara umiltà, densi contenuti e vitale autenticità. L’osservazione con cui si comincia questo scritto, non paia una captatio benevolentiae verso di lui né verso i lettori. Semmai, si vuole rilevare fin da subito un modo di creare e fare teatro che si radica fortemente in una personalità originale, di tersa comunicativa e dunque ben attenta a non diventare schiava di mode, trend e illusive attrazioni dell’onnipresente Società della spettacolo e delle odierne telecomunicazioni digitali ed elettroniche, coi loro simulacri dematerializzati. Senza contare, peraltro, il suo essere parte di un ambiente – quello teatrale – fitto di contrapposizioni magari acritiche, invidie e conseguenti ipocrisie, dovute alla diffusa presenza di ego sempre alla ribalta, anche fuori dal palco quando pure non ce ne sarebbe per niente bisogno.

    Tindaro Granata invece è e diventa. A partire dal suo didentro di incendiarie passioni e desideri di degna affermazione personale, dalla sua vita medesima di ardente figlio della terra siciliana: da cui – in una notte milanese del 2008 – iniziò a cavare fuori materie, parole e linfe originarie, per dare voce e anima corporea alla sua prima avventura scenica d’indomito teatrante autore di se stesso e del proprio peculiare mondo espressivo; arricchendo d’un tratto il profilo di una carriera – fino a quel frangente – da scritturato e basta. L’esito fu (non senza sistemazioni drammaturgiche susseguenti) la creazione di Antropolaroid: una trascinante epopea famigliare redatta in un Siciliano di grande immediatezza e comprensibilità, con l’aut-attore a incarnare in scena – tutto solo – una folla rutilante di uomini e donne del suo albero genealogico; trasformandosi, di sequenza in sequenza, in ciascuno di questi grazie a pochi oggetti scenici e ai suoi semplici abiti, calati su un corpo elettrico pronto a rispondere alle corrispondenti metamorfosi vocali di sé e delle proprie narrazioni, da condividere con vigore icastico assieme agli spettatori.

    È un teatro di marcata condivisione, infatti, quello dell’artista siculo come si capisce già anche da taluni dettagli dei suoi testi in cui, per esempio, si ravvisano spesso personaggi che – nel mezzo degli accadimenti o di una battuta – scardinano momentaneamente la loro parte e il flusso del racconto per rivolgersi in presa diretta a chi li ascolta e guarda dalla platea: creando, per un istante, direttrici sospese in cui riflettersi reciprocamente sui vari argomenti e questioni di rilevanza autobiografica, introspettiva e d’interesse pubblico, messi in scena sempre con uno sguardo a certa scottante attualità che chiama in causa la responsabilità sociale e civile di ogni individuo. Fuori e dentro la scena, sulla frontiera del Reale.

    A rinforzare questa ambizione d’intensa relazione fra palco e platea in rapporto alla realtà, si aggiunge inoltre l’uso di un linguaggio plasmato sulle increspature ritmiche e sonore delle cadenze dialettali, quando non sulla carica organica e tellurica dello stesso dialetto siciliano (come avviene in Antropolaroid e, parzialmente, anche nella recente pièce Geppetto e Geppetto). Un linguaggio nativo e delle radici, pertanto, dei primi respiri affettivi e delle esperienze ‘al vivo’: al riparo dai riduttivi stilemi e dalle limitanti mediazioni dell’espressione mediatica globale, serrata dalla foga confusiva del transito istantaneo delle informazioni.

    Sebbene ai nostri media, poi, Tindaro si sia rifatto attingendo ai dialoghi della trasmissione televisiva Un giorno in pretura per scrivere, nel 2013, la drammaturgia di Invidiatemi come io ho invidiato voi. Un montaggio di testimonianze e raffronti verbali su un terribile caso di pedofilia, tratto da un vero fatto di cronaca dai risvolti tragici, con tanto di processo penale e condanne a seguire. Un dramma composto da molteplici figure che parlano e si muovono in un agone vago, imprecisato: teso sul crinale della ricostruzione realistica e dell’incubo, del quale è preda l’essere umano ogni volta che agisce con cieca indifferenza ed esclusiva attenzione al proprio dittatoriale particulare. Il testo restituisce il clangore di una tale distonia ferale attraverso una disseminazione di sgrammaticature nel parlato che, tuttavia, non sono affatto frutto di fantasie d’autore ma di un’operazione di trascrizione e calibrata elaborazione – pressoché da filologo – delle autentiche deposizioni fatte dagli imputati durante le diverse sedute processuali. Il dettato corale che ne risulta è allora disturbato, interrotto, accidentato di errori e inciampi per chi prova a seguirlo; perché d’altronde disturbante e respingente, alla fine, è lo svelarsi della confessione di uno dei sospettati in tutta la sua morbosa violenza. Questo, non per generare nello spettatore o lettore un clamoroso effetto scandalistico al termine di un percorso fatto insieme agli attori, bensì per risvegliarlo e scuoterlo con un’impennata di viscerale crudeltà dalle auree di torpore percettivo e interiore che la corrente civiltà delle immagini e delle news 24 hours diffonde di continuo intorno a noi. Dove, quindi, distinguere con fine cognizione e sensibilità è diventato complicato; farsi un’idea argomentata soggiace al rischio dell’imperante opinionismo fai-da-te, e del punto di vista basato su impressionistici sentire senza scavo incisivo nelle vicende.

    Contunde e stimola, insomma, dà la scossa e ridesta il teatro del nativo di Tindari (provincia di Messina, 1978): allevato alle arti teatrali da nomi come Giulio Scarpati, Massimo Ranieri ed Elisabetta Pozzi; passando per registi quali Maurizio Scaparro, Roberto Guicciardini, Cristina Pezzoli fino ai quasi coetanei Carmelo Rifici e Serena Sinigaglia. E il pubblico e i critici vengono conquistati dalla sua energia inventiva e ricchezza contenutistica, tanto da riconoscergli applausi e premi importanti. Mentre lui, umile come al solito e memore di una gavetta trascorsa fra mille mestieri per pagarsi gli studi fuori casa, non smette di visitare negozi e mercati di strada per offrire biglietti omaggio a chi gli assicura che verrà a vedere un suo spettacolo: così da diversificare la cerchia degli spettatori, al di là di assidui appassionati e addetti ai lavori; inseguendo il sogno di una partecipazione all’evento scenico della società intera – nelle sue sfaccettate individualità – e non soltanto di una sorta di élite d’iniziati all’arte. Di qui, ancora, la sua tensione a un teatro dalle coloriture popolari, rivolto alle problematiche di oggigiorno, e che ripone fede nella parola drammaturgica in quanto veicolo di discorsi in grado di rivelare nascoste contraddizioni, aspre controversie e il nodo di condizionamenti sociali al di sotto delle patine preordinate e benintenzionate delle relazioni umane.

    Ne dà ulteriore prova, l’ultimo lavoro scritto da Granata nel corso dell’estate 2015: Geppetto e Geppetto. 1 papà + 1 papà = 1 figlio? in cui campeggia una coppia di omosessuali desiderosi di avere, appunto, un figlio. Intento che si realizza con un viaggio all’estero, laddove è possibile ottenere un bambino bell’e fatto tramite le procedure della procreazione assistita. Senonché, avanzando con gli sviluppi, l’autore non offre una lettura irenica del lieto evento. Piuttosto interseca interrogativi e messe in crisi della vicenda, raccogliendo le reazioni uterine di chi il percorso di madre l’ha compiuto veramente fin dall’interno del suo vivo ventre e non per interposta persona. Oppure al vaglio di un’amica che vorrebbe diventare madre, ma ancora non ne ha la maturità né il coraggio causa fantasmi genitoriali non risolti. Si fa complessa e tormentata, dunque, l’esposizione dei temi. Il bambino cresce e deve affrontare gioie e sofferenze dell’esistenza, tra cui una tremenda perdita affettiva. Intorno a lui il modello di famiglia dominante resta quello con un papà e una mamma, invece che di 1 papà + 1 papà, con inevitabili influenze sul suo modo di rapportarsi al divenire, agli altri e ai suoi cari. Anche qua, quindi, prende forma uno spaesamento che viene rimarcato da errori grammaticali sparsi nelle battute e da tenui sconnessioni tra i dialoghi. L’apertura fiduciosa che il testo schiude, si vena di ombre e di inquietudine. Le quali tuttavia non celano risposte né serrano direzioni. Sono lì davanti a noi, infatti, giusto perché si possano attraversare e varcare per approdare finalmente oltre i confini delle nostre paure e chiusure d’animo. In fondo, la vita ci chiede in continuazione di superarci a nostra volta: di crescere e avanzare talmente, fino a diventare figli felici di noi stessi. Né più, né meno.

    Ed è questa la stella, anzi la «stidda», che guida l’arte coinvolgente di Tindaro Granata. Questa è la luce di chi l’accoglie e vive con stupore bambino.

    Antropolaroid

    Personaggi

    Narratore

    Bisnonno Francesco Granata

    Dottore

    Bisnonna Concetta Gatani giovane e anziana

    Nonno Tindaro Granata bimbo e adulto

    Nonna Maria Rosa Casella, moglie di Tindaro Granata

    Zia Peppina

    Zio Jaspiru

    Bisnonno Antonino Casella

    Mena (Gna Mena), seconda moglie di Bisnonno Antonino, ex prostituta

    Papà Teodoro Granata bimbo e adulto

    Io, Tindaro Granata bimbo e adulto

    Buio.

    NARRATORE Sfsfsfsfs. Sfsfsfsfsfsf. Sfsfsfsfsfsf. Quando le persone si impiccano, si sente questo rumore, Sfsfsfsfs! Sfsfsfsfsfsf! Sfsfsfsfsfsf! Questo rumore, lo fa quel poco d’aria che c’è nel nostro corpo, perché da lì non vuole uscire, non se ne vuole andare. Si vuole attaccare a qualche parte della bocca, alla lingua, ai denti, forse! Quel respiro non vuole uscire, perché lo sa che se esce totalmente dal nostro corpo non ci può tornare, mai più.

    Luce. Al centro della scena, una sedia coperta da un grande lenzuolo. Sul proscenio una lampadina spenta.

    BISNONNO FRANCESCO Duttureddu bon giornu, mi scusassi se ci portu disturbu, innanzi tutto a ringraziu ca mi fici accomodari, ci vulissi parlari…

    NARRATORE Questo è il mio bisnonno Francesco Granata, dal medico del nostro paese.

    BISNONNO FRANCESCO A ringraziu duttureddu, mi pozzu accomodari? (Si siede) Duttureddu ci purtavi tri uvitta fatti frischi frischi di li gallini.

    DOTTORE Signor Granata ma chi c’haia diri? Grazie, vossè non si doveva disturbari. Non c’era bisognu. (Prende avidamente le uova) Stzstzstzstzstzstzstzstz.

    BISNONNO FRANCESCO Duttureddu chi voli diri ca’ haiu un bruttu mali? Chi est ca è? Chi est ca iè ’u cancru ’nto stomacu! Non ni capisciu di ’sti cosi, chi faci ’stu cancru? Si mori cu lu cancru?

    DOTTORE Signor Granata mòriri si mori prima o poi.

    BISNONNO FRANCESCO Un corpu dill’ariu, est un corpu dill’ariu duttureddu?

    DOTTORE Sì un corpu dill’ariu è!

    BISNONNO FRANCESCO Ah, e commu si mori veloci veloci o chianu chianu?

    DOTTORE Quantu pinzèri ca si pigghia vossè.

    BISNONNO FRANCESCO Iò l’haiu i pinzèri, haiu cinque figghi e uno staci arrivannu. Me mugghieri est incinta e vulissi vidiri u me figghittu nasciri e crisciri cu tutti l’autri.

    DOTTORE Signor Granata se si voli salvari, allura vossè, si ’nnava agghiri a Milanu a si curari.

    BISNONNO FRANCESCO Accussì luntanu haia ghiri, ’nto cuntinenti? Mi scusassi, non pozzu iri a Missina a mi curari?

    DOTTORE Comu faci lei a sinni iri a Missina. Certu ca ci poti iri a Missina, ma nenti ci fannu, u fannu mòriri prima ca’ sinn’accorgi.

    BISNONNO FRANCESCO Scusassi duttureddu ma vossè fici ricoveravi o figghiu dill’avvocatu Pantaleo a Missina, uora non c’èsti un pusticeddu puru pì mia? Pì stari ca, vicinu e me figghi?

    DOTTORE Signor Granata i picciuli ci vuonnu! Ancora non l’ha caputu a sunata?

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