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Il giusto mondo
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Il giusto mondo

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About this ebook

Attraverso l’indagine di polizia su un femminicidio si dipana, a ritmo serrato, il ‘giusto mondo’ in cui il linguaggio è al femminile e sono le donne a guidare l’evoluzione della specie. L’immagine della perfezione umana è la donna di Vitruvio. E’ stata una donna a morire sulla croce. Gli uomini invocano le pari opportunità. Le donne che diventano madri conquistano i livelli più prestigiosi neglI ambiti lavorativi.
Utopia? Distopia? No. Solo un ‘giusto mondo’ che, come uno specchio capace di ribaltare i ruoli di genere, oscillando tra interrogatori e trattative di pace internazionali, tra prostituzione maschile e fiabe raccontate alle bambine, tra scene di vita domestica e integralismo matriarcale, appare plausibile nella sua ordinaria quotidianità. A dimostrazione che la parità tra i sessi oggi non esiste in nessun posto al mondo
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2015
ISBN9788892512856
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    Il giusto mondo - Laura De Benedetti

    Laura De Benedetti

    Il giusto mondo

    UUID: da51d944-9d1d-11e5-af82-119a1b5d0361

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    "Quando siamo in un campo di luce troppo intensa,

    le zone d’ombra diventano impenetrabili.

    Ma, nella luce lunare,

    anche le luminosità minori e gli oggetti in ombra

    possono essere percepiti:

    la luna non nasconde il cielo stellato".

    Silvia Di Lorenzo

    Martedì

    Era al secondo dei suoi tre giorni di permesso mestruale annuale. Il primo l’aveva trascorso in casa, tra letto e divano. Al secondo non aveva retto ed era uscita, nonostante i dolori - talvolta lancinanti - che non aveva voluto sedare con i farmaci, e nonostante il pallore e gli occhi cer­chiati, che non aveva tentato di velare col trucco. Non era praticante ma, come faceva sempre in occasioni del genere, era entrata nell’antica abbazia, quasi deserta di primo mattino. E si era seduta su una panca davanti all’altare a contemplare la scultura della Vergine Maria che strin­geva in un amoroso abbraccio la sua Maddalena.

    Il suo senso di colpa era forte quanto i suoi timori. Alzò lo sguardo sul grande affresco che rendeva maestoso l’abside: la Dea, la Grande Madre di tutta l’umanità, tendeva le braccia verso le donne che anelava­no a ricongiungersi a Lei. Chiuse gli occhi e per un attimo il profumo dei boccioli di rosa del piccolo arbusto ai piedi dell’altare, illuminati dal sole che filtrava attraverso le vetrate a mosaico, le riportarono alla memoria le parole della nonna: «Anche tu un giorno genererai la vita. È il dono più grande.» Ma la sua scelta di tornare al ciclo naturale per avere una figlia non era un atto di fede. E neppure il desiderio di avere una discendenza, di far germogliare un nuovo ramo sulla pianta genea­logica della famiglia. Sapeva che tra pochi anni Jasmine, la capitana, sarebbe passata alle attività integrative di prepensionamento e lei voleva essere pronta a prenderne il posto. Era certa di meritare, professional­mente, quella promozione ma nessuna avrebbe mai affidato un incarico così prestigioso a chi non fosse madre. Nel suo ricco curriculum la voce numero di figlie era desolatamente vuota. Per l’avvio della carriera in polizia aveva evidenziato l’attività come baby sitter svolta durante gli ultimi due anni di liceo e i primi due di università, e poi l’ordinaria man­sione nella propria comune di condominio, che prevedeva il prendersi cura delle figlie altrui. Finora le aveva fatte bastare, evidenziando i soli meriti professionali. Ma ora, lo sapeva, risultavano ridicole ai fini di quella promozione.

    Emma si alzò e cercò la sacerdote. Era in cerca di redenzione: voleva la cosa giusta per il motivo sbagliato.

    «Perché mi hai fatto venire qui?» Jasmine, la capitana dell’ufficio di polizia, non era solita precipitarsi sulla scena di un crimine: pre­tendeva molto dalle sue donne, ma era certa che quanto le avrebbe­ro poi riferito, insieme alle prove e alle immagini del delitto, le sareb­be stato sufficiente a coordinare l’indagine.

    «Devi vedere con i tuoi occhi. È un fatto grave. Prima di ucci­derla, l’hanno...» Azra, la sergente, che l’aveva attesa sul patio, cercò un termine meno forte ma non le venne; si limitò ad abbassare il tono di voce «... stuprata.»

    «Stai scherzando?»

    «C’è la medica legale. Non ha dubbi. Prima di ucciderla l’hanno violentata.»

    «Condomini circolari con piscina, tanti vialetti verdi, due centri benessere nel raggio di un chilometro» affermò Jasmine guardando­si intorno. «È un quartiere ricco. Di chi si tratta?»

    «Neeve, 38 anni, tre figlie, consigliera della Federazione delle Nazioni Unite. Da due anni lavorava con la Segretaria Generale Jezabele. Dopo la risoluzione delle controversie tra Svezia e Norve­gia si parlava della sua nomina alla presidenza della Commissione Pace delle Nazioni Unite.»

    «Dea mia, so chi è!» Jasmine dapprima sgranò gli occhi, poi li puntò decisi in quelli di Azra: «Blindate l’area. Tenete alla larga le giornaliste. Giustificate la mia presenza col fatto che si tratta del femminicidio di una diplomatica. Ma guai a chi parla di sessoviolenza. Ci serve tempo prima che la faccenda esploda.»

    Attraversarono l’ampio atrio su cui si apriva un’imponente scali­nata. L’aggirarono ed entrarono nel salone illuminato dal sole attra­verso grandi vetrate.

    Il corpo nudo della donna era a terra, gli occhi terrorizzati fissi a scrutare con incredulità l’ultimo fermo immagine di chi le aveva tolto la vita. Alla base della testa, il foulard che le aveva tolto l’ultimo respi­ro nascondeva appena la collana violacea del sangue sottopelle. Le dita delle mani erano ancora rattrappite dal disperato e vano tentativo di allentare la stretta mortale, anche se le braccia, quando il cuore aveva cessato di battere, erano ricadute lungo i fianchi. Le gambe ripiegate e divaricate presentavano ecchimosi sulle cosce. Dal grembo era fuoriuscito del sangue. I vestiti erano disseminati lì attorno.

    «Ciao, Laura. Ne sei certa?» chiese la capitana all’anatomopatologa, che stava scrutando ogni centimetro di pelle della vittima mentre altre donne della scientifica effettuavano i rilievi.

    «Già... pazzesco, eh? Era da tempo che non mi capitava. Ho detto io alle ragazze che era meglio chiamarti. Non ci crederai, ma ho rileva­to tracce di sperma insieme al sangue. o è il numero uno degli stupidi o ritiene di non essere ancora nei nostri archivi del dna e spera di farla franca. Almeno fino alla prima volta che passa col rosso.»

    «L’ora della morte?»

    «A occhio e croce direi tra la mezzanotte e le due. Poverina, l’am­miravo molto: avrei voluto incontrarla ma non in questa circostan­za. Oggi doveva andare in Oceania per mediare la crisi australo-polinesiana.»

    «Sì, lo so. Seguo anch’io i notiziari.»

    «Ok. So che hai fretta di avere delle risposte. Vado in laboratorio.»

    «Azra? Aggiornami.» La capitana si rivolse alla sergente. «Chi è la donna che ho intravisto nell’altra stanza?»

    «Si chiama Georgette. È la segretaria personale della vittima. Ieri sera l’aveva accompagnata a una riunione del Sodalizio delle Donne che le ha tributato il prestigioso premio internazionale Demetra. Ha detto che sono rientrate verso le 23. Hanno lavorato finché non è arrivato un uomo che la vittima frequentava di recente, tale Etienne. Così lei li ha lasciati soli. Ma prima di uscire li ha sentiti discutere. Si è ripresentata qui stamane alle 7.30...» precisò scorrendo il tac­cuino elettronico «avevano l’aereo alle 11. Dice di aver prima suo­nato il campanello, per discrezione, pensando ci fosse ancora in casa Etienne. Quindi ha aperto con la sua copia delle chiavi e si è diretta verso il salotto, per raccogliere gli ultimi documenti. Quando ha visto il corpo ha chiamato subito il pronto intervento.»

    «Va bene. Ora le parlo. Intanto dai disposizioni: voglio vita e miracoli della vittima. Manda qualcuno a prelevare quell’Etienne e fallo portare in centrale. Lo interrogo io. Lasciatelo pure sulle spine. Prima di rientrare andrò a sentire la presidente del Sodalizio.»

    «D’accordo.»

    «Ah.... richiama Emma al lavoro»

    «Ma è nel suo permesso mestr....»

    «Lo so. Ma ha seguito un master sui femminicidi sessuali. Ho bisogno di lei. E so che comunque non vorrebbe essere esclusa da un caso così.>>

    Emma era appena uscita dall’abbazia quando squillò il telefono.

    Un frate, intento a ripulire la sacrestia, le aveva detto che la sacer­dote sarebbe rientrata non prima di un’ora e così lei aveva deciso di fare una passeggiata per distrarsi dai quei dolori che le davano la percezione esatta di dove si trovassero le sue reni e il suo utero. Aveva scelto di non prendere un analgesico per mettersi alla prova: ce l’avrebbe fatta ad affrontare una gravidanza e un parto? Appena mestruata, a 13 anni, aveva assistito, secondo tradizione, al primo parto della sua vita. Disgraziatamente le era capitata la sorella mino­re di sua madre che aveva voluto mettere al mondo la prima figlia secondo la procedura del più fervente naturalismo, tra spasmi e grida di dolore, dopo 14 ore di travaglio. La decina di tranquilli parti assistiti cui aveva partecipato successivamente durante gli anni di studio non erano riusciti a cancellare quel ricordo. Le era bastata quell’esperienza per odiare le naturaliste in qualsiasi campo di appli­cazione, per includere a priori sua zia e il maschio che le era nato nella categoria delle stupide, per farle rimandare a tempo indefinito la propria maternità.

    Guardò il visore del cellulare. Era l’ufficio: avevano bisogno di lei. Fu felice di essere distolta dai suoi pensieri. Affrettò il passo per tornare a casa a cambiarsi. E a prendere l’antidolorifico.

    «Buon giorno, Georgette. Sono Jasmine, capitana di polizia di questo distretto. Devo farle qualche domanda.» Si sedette. Sarebbe stato difficile interrogarla: il volto di Georgette era talmente sfigu­rato dal pianto che sembrava aver versato lacrime tutta la notte anzi­chè solo nell’ultima ora.

    «Sono a disposizione» disse Georgette soffiandosi il naso e ten­tando di raddrizzare le spalle. Appariva sfinita.

    «Da quanti anni lavorava per Neeve?»

    «Sono... nove.»

    «Aveva figlie?»

    «Sì, tre. Una femmina di 8 anni, un maschio di 11 e la primoge­nita di 15.»

    «Mi hanno detto che è stata lei a trovare il corpo. Le ragazze dov’erano?»

    «Dalla giudice Alma. Era lei di turno questa settimana per la comune di condominio. E si era offerta di tenerle anche per la notte. Abita al numero circolare 3. Trattandosi di un quartiere prestigioso hanno due ‘ragazze di condominio’ anche per le ore notturne e...»

    «Due... e per sei sole ville... E di giorno quante ne hanno?»

    «Due si alternano al mattino perché ci sono almeno tre neo­nate oltre alle eventuali bambine malate. Nel pomeriggio credo siano sei, tra studentesse e specialiste. Mi pare che in questa cir­colare vivano una ventina di minorenni. Ci sono anche un cuoco e due uomini delle pulizie.»

    «Torniamo a ieri sera.»

    «Attorno alle 18.30, prima di uscire per la cena al Sodalizio, Neeve ha salutato le ragazze, che si preparavano per andare dalla giudice. Aveva promesso di dar loro ancora un abbraccio questa mattina, prima che si recassero a scuola. E di chiamarle poi col videotelefono non appena terminata la clausura per la pace. E invece...» - Le lacrime le riaffiorarono sul volto. Ricominciò a singhiozzare.

    Jasmine fissò lo sguardo sul dipinto dietro le poltrone di quel­la che, come testimoniavano il pianoforte e un flauto traverso, doveva essere la sala della musica. Era una copia del celebre affresco de La Vergine Maria che partorisce con le levatrici e le bambine. Attese che Georgette riprendesse fiato: «Screzi tra loro?»

    «Non direi. Forse qualche discussione con Lea, la primoge­nita. Neeve ama... amava conciliare con le parole. Lea è più ‘fisi­ca’. Pratica la kickboxing, ha vinto anche qualche trofeo. Ma i loro dissidi non erano gravi.»

    «Il motivo dell’ultimo?»

    Georgette sorrise, benevola, a quel ricordo. Il piccolo litigio, di per sé già irrisorio, appariva ancora più futile in quel momen­to: «Una questione adolescenziale. Tre giorni fa Lea era tornata a casa con alcune ciocche tinte di arancione sui capelli corvini. Neeve l’aveva rimproverata di tradire la sua fiducia in quanto solo la sera prima le aveva permesso di assumere le pillole colo­ranti progressive non appena avesse compiuto i 16 anni. Ma Lea non aveva saputo resistere. Aveva tentato di giustificarsi alluden­do alle pitture del corpo delle guerriere della kickboxing. Ma que­sto non le aveva risparmiato il castigo di una settimana senza poter uscire di sera.»

    «Problemi sul lavoro?»

    «No. È... Era molto apprezzata nel suo ambiente.»

    «E sul piano sentimentale?»

    «Frequentava un tale Etienne da circa sei mesi.»

    «Che mi sa dire di lui?»

    «Beh, ecco. So che è il segretario di una funzionaria del Ministero degli Esteri. Neeve era stata lì qualche giorno per alcune ricerche e lui non si era lasciato scappare l’occasione...» il tono di voce di Georgette si era fatto acidulo, il viso compassato.

    «Cosa intende?»

    «Neeve era una donna di potere, che conosceva cinque lingue e girava il mondo. Lui un semplice segretario, di quelli che ti portano una tazza di tè al mattino, ti prendono gli appuntamenti, ti archivia­no qualche dato e vivono rintanati in una stanza d’ufficio. Insomma la classica situazione dell’infermiere che si innamora, o così dice, della dottora, magari solo per vantarsene con i colleghi.»

    «Capisco. E per Neeve cosa rappresentava?»

    «Non parlavamo mai di uomini. Mi è parso di intendere che lei lo frequentasse 3 o 4 sere a settimana, apprezzandone, suppongo, le doti sessuali. Voglio dire, mi pare non ci fosse un reale coinvolgi­mento emotivo. Se non mi sbaglio, lei lo aveva tenuto alla larga durante la settimana di comune di condominio, quando aveva dovu­to occuparsi di tutte le ragazze.»

    «Ha riferito di averli sentiti discutere ieri sera.»

    «Sì. Eravamo rientrate da poco dal Sodalizio quando è arrivato Etienne. Mi sono congedata e sono andata nell’atrio per mettermi il cappotto. Ci ho impiegato qualche minuto perché avevo dei fasci­coli da inserire nella ventiquattrore. È stato solo lui ad alzare la voce. Neeve non lo faceva mai. Per un istante ho pensato di tornare indie­tro, ma poi mi sono detta che lei aveva gestito ben altre situazioni di conflitto e me ne sono andata.»

    «Ha capito di cosa stessero parlando?»

    Sul volto di Georgette ricomparvero le lacrime: «Solo qualche parola pronunciata da lui. Da quando ho trovato il corpo di Neeve non ho fatto altro che pensarci. Prima un Voglio una figlia da te e un Io ti amo; poi in tono più esasperato, Come puoi farmi questo? Sei come tutte le altre donne

    «... ritengo giusto che si pervenga ad un 10% di quote azzurre in ogni consiglio comunale. Anche gli uomini devono avere una propria rappresentanza.» Emma ascoltava il radiogiornale in auto mentre si dirigeva verso il distretto di polizia. La voce era quella della sindaca. Le falsità della politica, pensò. Tra qualche giorno un migliaio di uomini avrebbe sfilato in una marcia di protesta per reclamare le pari opportunità. E di questi tempi sembrava politica­mente corretto concedere loro spazio. Come se un maschio fosse in grado di andare oltre il riparare un lavandino o il gestire una situa­zione che andasse oltre la semplice logica. Come se potesse mettere al mondo una figlia. Era una questione innanzitutto biologica in cui la politica non c’entrava.

    «.. .al Circolare numero 3 del quartiere residenziale di Campo dei Fiori è stata trovata morta Neeve, 38 anni, consigliera della Federa­zione delle Nazioni Unite, madre di tre figlie. La capitana del Distretto di polizia ha appena lasciato la scena del crimine senza rilasciare dichiarazioni sulle circostanze dell’accaduto. Com’è morta Neeve? Restate in ascolto e vi aggiorneremo.»

    «Dea mia.» Ora Emma sapeva perché l’avevano richiamata in ufficio.

    La sede internazionale dell’elitario Sodalizio delle Donne si tro­vava in un ampio edificio, immerso in un giardino molto curato, dove vetrate bianche risaltavano su mattoni rossi: macchie colorate di fiori spiccavano su essenze verdi di varie forme e gradazioni, tra vialetti e specchi d’acqua. Jasmine si presentò all’ingresso affiancata da un agente in divisa.

    Quando le vide entrare, la segretaria sorrise, senza nascondere un certo imbarazzo.

    «Sono la capitana Jasmine. Lui è l’agente Luca. Devo vedere Egle, la presidente, per un’indagine di polizia. È urgente.»

    «Avviso subito.»

    La capitana si voltò a guardare i ritratti e le immagini, appesi alla parete, di donne - alcune delle quali appartenute al Sodalizio - che avevano fatto la storia dell’umanità: la prima presidente della nazio­ne, la prima donna nello spazio e, andando indietro nel tempo, il ritratto di colei che aveva scoperto la gravità, di altre celebri scien­ziate e artiste.

    La segretaria le si affiancò: «La presidente Egle la riceve subito. Mi segua.»

    La capitana si avviò, seguita dall’agente in divisa.

    La segretaria dopo pochi passi si fermò e si rivolse con un sorri­so gentile alla capitana: «Come lei saprà, al Sodalizio sono ammesse solo donne. Lui può aspettare qui o in auto.»

    Jasmine era avvezza a queste scene: «Come lei saprà, sono ormai una decina d’anni che gli uomini sono ammessi tra le forze di poli­zia. Il suo atteggiamento è discriminatorio.»

    La presidente Egle, apparsa sulla soglia, andò incontro alle due poliziotte con fare diplomatico ma strinse la mano solo a Jasmine: «Sono certa che capirà. Nella storia di questo Sodalizio nessun uomo ha mai avuto accesso alla sala presidenziale. Nessuna sta cor­rendo alcun pericolo e sono certa che lei è in grado di condurre l’in­chiesta anche senza questo agente a prendere appunti.» Fece dun­que un cenno alla segretaria che si allontanò, discreta.

    «E il giardiniere che sta falciando l’erba? E i camerieri che certo vi stanno preparando il pranzo?» alluse con sufficienza Jasmine. Se fosse dipeso da lei, gli uomini in polizia non avrebbero messo piede. Non riusciva a fidarsi completamente. Li considerava troppo poco empa- tici per svolgere un lavoro a contatto con la gente, privi di intuizione, guidati da un istinto troppo rozzo, facili all’uso della pistola. Non generando direttamente la vita, era come se fossero anche meno attenti a preservarla. Riusciva ancora a stupirsi talvolta leggendo i loro rapporti, per la banalità dei fatti riportati, l’estrema logicità. Per di più avevano dovuto realizzare dei bagni apposta per loro. Ma ormai c’era­no. E lei non sopportava gli estremismi, di alcuna natura.

    L’atteggiamento della presidente era suadente ma fermo: «Appunto. Non discriminiamo nessuna. Abbiamo dipendenti maschili. Ma nessuno - e sottolineò il termine - di essi è mai entrato nella sala presidenziale.»

    Jasmine contò mentalmente fino a dieci: avrebbe potuto imporsi ma poi difficilmente avrebbe ottenuto collaborazione. Voleva però che fosse chiaro che non si sarebbe lasciata manipolare: «Ok. Ho sentito parlare della vostra splendida sala da tè, dove germogliano antichi bonsai. Possiamo berne una tazza, tutte e tre insieme?»

    «Al momento la sala da tè è occupata da alcune associate e man­cherebbe la necessaria discrezione. Potrete comunque ammirarla, attraverso le vetrate, da una delle verandine esterne. Sarò felice di offrire una tazza di tè sia a lei che al suo agente. Prego, seguitemi.»

    Jasmine e Luca fecero per incamminarsi dietro a Egle quando squillò il telefono. Jasmine rispose. Era l’ufficio.

    «Sono Azra, capitana. Ho in linea la segretaria FNU Jezabele, vuole parlare con te. Le ho detto che eri impegnata e che l’avresti richiamata al più presto ma ha insistito.»

    Jasmine si rivolse, risoluta, alla presidente: «Mi scusi, è urgente, devo parlare con una persona. Da sola.»

    Egle le rispose con un sorriso complice: «Prego.» Socchiuse appena un’anta della massiccia porta di legno della sala presidenzia­le, in modo che l’agente Luca non potesse entrarvi dentro nemme­no con lo sguardo. Jasmine fece un cenno di ringraziamento con la testa e si infilò nell’apertura: «Ok. Passamela.»

    «Lei sta per essere connessa su un linea videotelefonica interna­zionale protetta della FNU» disse una voce metallica di donna.

    «Buon giorno, capitana» esordì Jezabele. «Qui a Tekao è ancora notte fonda. Sono stata comunque informata subito del tragico evento. È una cosa terribile. Tra le donne del mio staff, Neeve era quella che meglio aveva imparato a equilibrare cuore e mente. Il suo senso di sorellanza era senza limiti...»

    «Buon giorno, Segretaria.» Jasmine rispose al saluto della donna apparsa sul display. In quegli occhi neri e penetranti percepiva un dolore sincero.

    Jezabele indossava una semplice camicia da notte e i capelli cor­vini le incorniciavano un volto segnato dalle rughe ma permeato di serenità. «Ho bisogno di conoscere a fondo l’attività di Neeve. È possibile che qualcuna abbia voluto ucciderla?»

    Parlando, Jezabele si pettinava i capelli con le dita: «Il nostro è un lavoro a rischio. Mediare i contrasti è sempre faticoso e difficile. Ci sono donne che non si rassegnano, e cercano vendetta o un capro espiatorio. Non so dire. Al di là di questo, però, non ricordo mi­nacce specifiche.»

    «Potrebbe trattarsi di un tentativo di minare il claustrum di pace?»

    «No, mi sento di escluderlo. Neeve aveva svolto uno studio molto approfondito sulle origini della diatriba e aveva già intrapreso alcune missioni esplorative nell’area per ‘respirarne il clima’. Quattro giorni fa durante la seduta plenaria del Comitato di sicurezza FNU impegnato a tracciare linee previsionali di potenziale sviluppo della crisi, aveva indicato un’ipotesi di patteggiamento brillante e foriera di speranza che è stata ampiamente condivisa e assimilata.» Jezabele respirò profonda­mente. «Proseguire senza di lei non sarà facile ma. sono abituata a vedere i due lati della medaglia in ogni cosa. E per assurdo la morte di Neeve potrebbe amplificare la portata della sua proposta di pace e pre­disporci ad un ascolto ancora più forte dei sentimenti altrui prima che delle parole» - Jezabele respirò profondamente e si guardò intorno.

    «Devo conoscere tutti i dettagli, parlare anche con le altre col­leghe» la interruppe Jasmine. «Potrei raggiungerla tra qualche ora, prendendo il primo volo...»

    «No. Non farebbe in tempo. Questo pomeriggio, dopo il ceri­moniale dei saluti solenni alle due genti seguito dalla cena di comu­nione io, il mio staff e le capo di Stato di Australia e Polinesia, ci chiuderemo nel chiostro per il consesso. Come saprà, non ne usci­remo finché l’accordo non sarà raggiunto: mediamente è sufficien­te una settimana, ma per esempio la vertenza tra Svezia e Norvegia ha richiesto 4 mesi, 13 giorni e 16 ore, un lungo digiuno e una volontà ferrea. In questa fase non le sarà possibile contattarmi.» Jezabele si fermò un istante a riflettere. Poi aggiunse: «Però mi è venuta un’idea su come potrei esserle

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