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La democrazia e l’educazione: Cronache dai confini interni di una società orgogliosa e inquieta
La democrazia e l’educazione: Cronache dai confini interni di una società orgogliosa e inquieta
La democrazia e l’educazione: Cronache dai confini interni di una società orgogliosa e inquieta
Ebook110 pages1 hour

La democrazia e l’educazione: Cronache dai confini interni di una società orgogliosa e inquieta

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Questo libro raccoglie una selezione dei migliori editoriali del direttore de Il Gazzettino Roberto Papetti, insieme ad alcune sue risposte a interventi dei lettori e interviste al Presidente Giancarlo Galan, Davide Croff, al Patriarca Angelo Scola, al ministra Maurizio Sacconi e all'On. Walter Veltroni. Il nostro è un Paese dai molti confini interni, alcuni visibili, altri meno. Roberto Papetti e la redazione raccontano ogni giorno il formarsi e lo spostarsi di questi confini, con coraggio e intelligenza. Gli articoli normalmente nascono da questioni legate al territorio, dal prendere sul serio le esigenze di informazione della gente, dal voler dar voce alla democrazia. Papetti non si tira indietro di fronte a nessuno, è aperto al confronto a 360 gradi: politici di ogni ordine e grado; personaggi di ogni schieramento; autorità della Chiesa, ma anche delle istituzioni civili; semplici lettori che sono disposti a mettersi in gioco. La straordinarietà dei suoi articoli va al di là del semplice racconto. C’è una proposta chiara, sa che un giornalista non può che essere sé stesso quando scrive. “Parla” con un atteggiamento da educatore, attraverso un giudizio posto e non imposto. Nei suoi articoli c’è una proposta educativa. Dunque: Democrazia ed educazione, la questione bruciante della nostra epoca, ci può essere democrazia senza educazione?
LanguageItaliano
Release dateMay 13, 2014
ISBN9788865123089
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    La democrazia e l’educazione - ROBERTO PAPETTI

    BORTOLI

    1

    La democrazia

    Il muro e la coscienza

    Giovedì 17 agosto 2006

    Qualche lettore forse si è chiesto perché in questi ultimi giorni abbiamo dedicato tanto spazio e tanta attenzione alle vicende di via Anelli, il cosiddetto ‘Bronx di Padova’. Le ragioni sono essenzialmente due.

    La prima è giornalistica. Nonostante i tentativi di minimizzare da parte di alcuni esponenti della giunta Zanonato e dei suoi cantori, il Muro di quasi 100 metri innalzato per isolare la zona dello spaccio sorta poco distante dal centro della città è un episodio clamoroso, senza precedenti. La prova più evidente è data dal fatto che dopo la scelta del Gazzettino di mettere in prima pagina le foto e la notizia del Muro, moltissimi giornali e televisioni, non solo nazionali, hanno dedicato ampi articoli e commenti alla vicenda. Tutti osservatori prevenuti? Tutti gonzi incapaci di distinguere tra una normale barriera – come qualcuno l’ha definita – e un vero Muro? Suvvia, siamo seri.

    La seconda ragione è più importante: comunque lo si giudichi, il Muro è un gesto estremo, ma soprattutto è un drammatico grido d’allarme non solo per Padova e il Nordest, ma per l’intero Paese. Per molti anni il modello Nordest si è affermato in un sistema di valori condivisi, comuni a tutta la sua gente, quasi indipendentemente da collocazione e ruolo sociale. Dietro al formidabile sviluppo di centinaia di piccole e medie imprese ed alla loro capacità di affrontare e vincere la sfida della globalizzazione c’era un rapporto virtuoso fra lavoro, economia e società. Un comune e positivo sentire che rappresentava esso stesso uno degli elementi di forza del sistema. Oggi il quadro è mutato. Come ha notato un osservatore acuto come Ilvo Diamanti: la ricchezza continua a crescere ma crescono anche le inquietudini. Al benessere diffuso si è affiancata l’incertezza diffusa.

    Ecco: il Muro di Padova è una rappresentazione simbolica, estrema certo, di questo disagio e della fase di cambiamento che il modello Nordest – modello sociale e non solo economico – sta attraversando e di cui l’immigrazione è uno dei fenomeni più rilevanti e sconvolgenti.

    Nei giorni scorsi il presidente di Federmeccanica, l’imprenditore vicentino Massimo Calearo, chiedeva su Il Sole 24 Ore «un ripensamento intelligente della Bossi-Fini» per consentire alle aziende, quelle del Nordest in particolare, di far fronte alla carenza di figure specializzate ormai sempre più rare. Una proposta da approfondire e da sostenere: la crescita, quella del sistema produttivo Nordest in particolare, non può prescindere dall’apporto di manodopera e di ‘mente d’opera’, come l’ha definita Calearo, straniera. «Chiudere le porte» come qualcuno, con ripetitiva demagogia, continua a chiedere è non solo inutile e ridicolo, ma autolesionista.

    Questa però è solo una faccia del problema. Il governo centrale deve anche capire – e i parlamentari del Triveneto devono darsi da fare perché ciò accada – che, nella battaglia per l’integrazione, il Nordest non è una terra qualsiasi: è l’avamposto più a rischio, la prima linea.

    Il ‘Bronx’ di via Anelli è sorto a Padova non per un tragico errore della storia o per uno scherzo del destino, ma perché qui, tra il Veneto e il Friuli, il fenomeno immigrazione, nelle sue molte sfaccettature, ha raggiunto dimensioni e valenze ancora sconosciute in altre parti d’Italia. È questa, innanzitutto, la lezione del Muro. Non è un caso che il ministro degli Interni Giuliano Amato, nei giorni scorsi, abbia individuato proprio nel ‘Bronx’ padovano «il primo embrione italiano di banlieue parigina». E allora, se così stanno le cose, è troppo chiedere uno sforzo straordinario? Perché non impegnare il Parlamento su un ‘progetto Nordest’ centrato su tre punti precisi: più risorse nella lotta alla criminalità legata all’immigrazione clandestina; attuazione di politiche avanzate di integrazione sociale; concessione di flussi di ingresso adeguati alle esigenze del sistema produttivo.

    Un fatto è certo: in assenza di risposte chiare e incisive, altre ‘via Anelli’ nasceranno. Non solo qui, ma in tutta Italia. E allora, forse, sarà troppo tardi.

    Vuoti, muri e trincee

    Giovedì 2 novembre 2006

    Gli stranieri sono una risorsa fondamentale per questo territorio e anche per la sua economia: vanno accolti e rispettati. Ma l’immigrazione porta inevitabilmente con sé emergenze vecchie e nuove che vanno gestite e governate con scelte che tengano conto della specificità dei territori e dell’intensità dei fenomeni. Nella civile Padova, che conta ormai il 10% di cittadini stranieri, ben i due terzi dei reati legati alla droga vedono come imputati degli stranieri. Nel Veneto ci sono comuni, ricchi e industriosi, in cui gli extracomunitari regolari superano il 18-20% della popolazione. Il fenomeno non è certo destinato a ridursi nei prossimi anni: solo per il 2006 sono state più di 25 mila le domande di regolarizzazione presentate da immigrati in Veneto. Si potrebbe continuare a lungo elencando dati e statistiche, ma non serve. Ciò che servirebbe è una efficace politica per il Nordest che, come dimostra anche la recente Finanziaria, manca invece assolutamente. È anche per riempire questo vuoto che, talvolta, si erigono muri e scavano trincee. E altri ne sorgeranno se si continuerà a lasciare gli amministratori di città e comuni soli a governare fenomeni complessi e spesso anche drammatici. Non vogliamo fare paragoni sbagliati e ingiusti. Se è sacrosanto che il Paese, seppur con colpevole ritardo, produca una sforzo straordinario per affrontare l’emergenza criminalità in Campania, non può essere considerato egoismo regionale pretendere un’attenzione, reale e non solo di facciata, anche per i problemi del Nordest.

    Senza sicurezza nessuna integrazione

    Martedì 27 marzo 2007

    Parole chiare sono quelle che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha pronunciato ieri davanti agli amministratori locali veneti riuniti a Venezia nelle spettacolari sale della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Fedele al suo stile, il capo dello Stato, pur senza invadere campi altrui e con la concreta pacatezza che da sempre lo contraddistingue, non si è sottratto a nessuna delle molte sollecitazioni che gli sono giunte dagli interventi pronunciati da Cacciari, Zoggia e Galan e da altre che, anche attraverso questo giornale, avevano preceduto il suo arrivo nel

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