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Una tragica fatalità (un noir nel Salento)
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Una tragica fatalità (un noir nel Salento)
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Una tragica fatalità (un noir nel Salento)

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About this ebook

In un piccolo paese sulla costa salentina un affiatato gruppetto di amici consuma l’estate tra una bevuta, una partita a biliardino e una scorribanda a mare. Tra loro, Vincenzo è l’unico ad avere un serio legame sentimentale, ma la rigida tradizione alla quale la fidanzata Antonella tiene tanto, lo espone a tentazioni. Non ultima quella per Valentina, ragazza dalla bellezza prorompente, molto “chiacchierata” ma oggetto di sogni inarrivabili per molti. È il Caso – come sempre stupefacente artefice degli eventi – a far sì che il treno della vita di Valentina imbocchi sul suo percorso la deviazione sbagliata.

Tra i profumi ed i colori del Salento, una piccola storia di provincia si tinge di giallo.
LanguageItaliano
Release dateOct 23, 2015
ISBN9788892510838
Una tragica fatalità (un noir nel Salento)

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    Book preview

    Una tragica fatalità (un noir nel Salento) - Stefano Capraro

    Farm

    Prologo

    … vocìo,

    come di persone umane a chiacchierare distrattamente, ingannando un’attesa immobile, preludio al perpetuarsi del corso della vita…

    4 luglio, venerdì

    «Ma lo sai che forse con te lo farei anche gratis?» sussurrò maliziosa Valentina riponendo i soldi nella piccola borsa bianca a fiori poggiata sulle gambe nude. Erano lunghe e lisce, sorprendentemente brune, abbronzate sotto la gonna gialla e corta: cortissima, come piaceva a lei.

    E a lui.

    «Intanto però i soldi te li sei presi». Vincenzo rispose distrattamente, senza aspettarsi che glieli rendesse. Non gli interessava. I soldi non erano un problema per lui. Contava di più il fatto che lei fosse lì, perché

    … in paese lo sapevano tutti…

    Valentina non era una puttana, se non le andavi a genio non c’era offerta di denaro che potesse convincerla a concedersi.

    Appoggiò con falsa distrazione la mano sul ginocchio della ragazza. Non avvertì alcuna reazione, restando un po’ deluso nell'aspettativa tipicamente maschile di provocare in lei ardenti fremiti di desiderio. Erano lì per fare l’amore, un minimo di coinvolgimento lo avrebbe gradito.

    Per non lasciar trasparire lo stato di agitata eccitazione in cui fluttuava, disse qualcos’altro, a caso. Pensava di essere in grado di dissimulare abbastanza bene, riuscendo a tener testa al proprio cervello al quale (evidentemente più eccitato di lui) non interessavano i formalismi né, tanto meno, le convenzioni.

    … mano destra: salire dolcemente, lentamente, lungo la coscia…

    La mano prese a salire, dolcemente, così come le era stato imposto, sfiorando la gamba di velluto di Valentina.

    Altre parole. A caso.

    … ancora a mano destra: premere un po’ di più…

    … premi un po’ di più, santo Dio, che è ‘sta mano da signorina? … non mi arrivano gli stimoli che dovrebbero arrivare…

    La mano aumentò la pressione sulla coscia levigata

    … bravo, così…

    e s’insinuò.

    Lei, naturalmente, cedette subito (erano lì per quello) e lo baciò.

    Non seppe mai se quel bacio fu dato con vera passione. Con sincero trasporto. Lei era così con tutti e baciava tutti allo stesso modo. Tuttavia, malgrado la fredda impressione iniziale, la passione e il trasporto Vincenzo li percepì chiaramente, naturali o artificiali che fossero.

    Quella fu l’ultima sensazione che riconobbe con lucidità. Il resto fu un vortice: lei nuda, lui quasi nudo, lei sopra di lui, lui sopra di lei, la saliva, il lattice, il sudore, il profumo. Poi fu solo un amore mercenario che di mercenario sapeva ben poco, dentro la macchina sospesa in una porzione di notte che i giovani amanti ritenevano, a torto, appartenere a nessun altro che a loro due.

    «Eh sì, stanno proprio facendo sesso!».

    unendosi carnalmente… direbbe don Paolo con quell’aria di altezzosa superiorità che a malapena riesco a sopportare…

    Nascosta dietro le pietre lucide di un muretto a secco, un’ombra furtiva fissava la Toyota verde di Vincenzo, ferma con il motore spento.

    L’ora era piuttosto tarda, la spianata buia, ma era una di quelle sere in cui la luna, piena e luminosa, permetteva di passeggiare tranquillamente ovunque senza rischiare d'inciampare.

    Di fronte alla macchina si potevano distinguere, uno ad uno, gli altissimi alberi della pineta che digradava dolcemente verso il mare. Lì a fianco e tutt’intorno, gli alberi lasciavano spazio ad un vasto pianoro solcato da muretti sassosi.

    Allontanandosi dalla luna, la notte avvolgeva il paesaggio nel suo mantello, man mano sempre più scuro.

    La strada che conduceva allo slargo era sterrata e stretta tra due pareti di pietre bianche, quasi luccicanti, che poi lasciavano spazio a due piccole palme della stessa altezza: due sentinelle gemelle, disarmate e sempre ritte sull’attenti, che avevano visto, in ogni anno e stagione, chissà quante macchine arrivare, fermarsi per un po’ e ripartire. Amori passeggeri, amori veloci, lenti, legittimi e non, a due, a tre, tra uomini e tra donne, sereni e contrastati. Se avessero saputo parlare ne avrebbero avute di cose da raccontare. Ma gli alberi, si sa, sono discreti.

    La via principale non era molto distante da lì ma era poco trafficata e il rumore delle auto, a tratti quasi continuo, si avvertiva distante. Mescolandolo al profumo dell’erba tagliata, lo scirocco portava il suono dei motori dei veicoli che percorrevano la litoranea. In sottofondo, liquido, regolare, il rumore del mare e delle sue onde, gonfiate da un vento lontano, a infrangersi con forza sulla scogliera.

    L’interno dell’auto, parcheggiata a ridosso della pineta, era ben illuminato. Due figure nell’abitacolo e l’agitarsi sempre più frenetico dei loro corpi

    … nudi! Sono nudi, ti dico!

    in breve trasmesso alla macchina stessa, la quale prese a sobbalzare con regolarità.

    … guarda come va su e giù…

    Il movimento costante non dava spazio a interpretazioni.

    «No, non può essere. Anche con lui, questo è veramente troppo!».

    Un barbagianni candido spiccò il volo dal ramo più alto di un albero. Volteggiò proprio sopra l’auto di Vincenzo, rallentò, quasi a volersi fermare per atterrare sul tettuccio, poi all’improvviso virò e si allontanò rapidamente, planando silenzioso oltre gli alberi, verso il buio, scomparendo inghiottito dalla notte come un fantasma, materializzato e smaterializzato in un momento.

    Il barbagianni, l’uccello del malaugurio. C’è chi dice che quando se ne vede uno, dopo qualche giorno qualcuno muore… pensò l’ombra con rabbia.

    Le onde crescevano, incoraggiate dalla brezza che man mano andava sollevandosi, tiepida e umida, e carica di un buon profumo di fiori notturni. La luna piena, il cielo punteggiato di stelle brillanti, il mare e, di fronte, in una macchina scossa da inconfondibili sussulti, due corpi saziati di voluttuoso piacere.

    Mille pensieri e, nelle orecchie, il fruscio del vento.

    Una strana eccitazione, solo in parte appagata.

    La rabbia.

    L’odio.

    Il veicolo ritornò immobile per qualche minuto. Tutto rimase statico per lo stesso tempo. Poi i fari si accesero, bianchi nella notte semibuia. La base di alcuni alberi ai margini della pineta divenne visibile lasciando intuire il frenetico movimento di segreti animali notturni. Cacciatori e prede, erbivori e carnivori.

    «Hanno finito». Lo disse sussurrando, fregandosi le mani per liberarsi dalla sensazione di sporco e appiccicaticcio.

    Duemila pensieri e, da lontano, il rumore delle auto a rincorrersi sulla litoranea.

    Prima che il motore si avviasse, la marmitta mandò fuori uno strano lamento di ferraglia arrugginita. Alla luce del faro posteriore, il fumo di scarico abbozzò nell’oscurità piccole volute arancioni. Gli abbaglianti disegnarono un arco nell’aria, illuminando dapprima il buio dell’orizzonte lontano e poi il muretto a secco che delimitava la strada del ritorno, nascondendo qualcuno immerso in considerazioni non sempre lucide e, a volte, decisamente cattive.

    Tremila pensieri, la maggior parte dei quali tristi; in sottofondo, ormai lontano, il motore dell’auto di Vincenzo.

    Solitudine, e il fragoroso fruscìo delle cime degli alberi agitate dal vento. La via del ritorno che si sdoppia.

    Frustrazione.

    Lacrime.

    8 luglio, martedì

    «Cinque sambuche, per favore». Marco era appoggiato al bancone sudicio del bar. "Forse questo è il più squallido di tutti, ostreghéta…!" gli venne da pensare guardando le bottiglie semivuote, impolverate sui ripiani del mobile a specchi di fronte. Tra una bottiglia di Bianco Sarti e una di Caffè Sport Borghetti, un giovane con la faccia di un rosso innaturale lo scrutava con due occhiaie piuttosto scure sulle guance scarlatte e due orbite infossate che solo in fondo – ma molto in fondo – ospitavano un paio di occhi lucidi e azzurri. Come i suoi.

    Stentò a riconoscersi.

    … minchia come sono ridotto… E meno male che non abbiamo fumato, ostreghéta!

    Gli altri avevano già preso posto nella saletta poco oltre il bancone. Sedevano su sedie di plastica abbinate al loro tavolino di plastica. Tutte originariamente bianche, di quelle che si possono comprare spendendo il minimo indispensabile in un qualsiasi ipermercato. Tutte visibilmente giallognole, di quelle su cui si siede

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