Tempi di scuola e tempi di vita. Edizione 2.0
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Tempi di scuola e tempi di vita. Edizione 2.0 - Dario Ragazzini
Anno 2012
© Dario Ragazzini & goWare per l’edizione digitale.
ISBN 978-88-97324-22-5
Hanno lavorato a questo e-book Elisa Baglioni, Maria Rosa Brizzi, Valeria Filippi, Mirella Francalanci, Maria Ranieri, che fanno parte dell’
goWare è una giovane startup fiorentina
Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it
Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com
Made in Florence on a Mac
In copertina e sul frontespizio rielaborazione dell’aquarello di Giovanni Migliara Fichier: Confalonieri e Pellico alla applicazione del metodo Lancaster-Bell di mutuo insegnamento, 1860 Torino Museo del Risorgimento
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A Liviana
Introduzione
Questo volume tratta in primo luogo della storia dei tempi della scuola elementare in Italia, dei suoi calendari e orari di apertura e di utilizzo, di come l’assunzione da parte della scuola di delimitazioni certe e regolari di funzionamento e contemporaneamente di frequenza sia essenziale e costitutiva del suo diventare organo e sistema. Dunque: storia dei processi di nascita e sviluppo dell’istituzione.
In secondo luogo storia dei tempi didattici: distribuzione delle materie e delle attività d’insegnamento, organizzazione del tempo secondo i metodi, loro pratica effettiva. Da questo punto di vista essa diverrebbe anche storia delle condizioni di lavoro degli insegnanti (durata e modalità delle prestazioni loro richieste e da loro date nel corso dell’anno, della settimana, della giornata, rivendicazioni e riconoscimenti nello stato giuridico e così via).
In terzo luogo storia dei rapporti reciproci tra i tempi di vita e di lavoro degli adulti e i tempi della fanciullezza e di quelli che gli uni e gli altri sviluppano con l’istituzione scolastica. Dunque: storia delle pertinenze e delle delimitazioni sociali tra tempi del lavoro, della quotidianità, dell’apprendimento, del gioco, tra tempi degli adulti e quelli dei bambini, secondo le classi e i ceti, le condizioni e gli ambienti. Storia di un processo di ridefinizione reciproca, di convivenza di esigenze diverse (convergenti e divergenti), di separazione, di esclusione e di instaurazione dinamica di reciproci sincronismi. Al termine dei processi, l’istituzione scolastica ha un tempo di funzionamento certo, equivalente a quello di utilizzazione, con le sue modalità cronologiche di sequenzialità didattica annuale e giornaliera, che corrisponde a una divisione tra adulti e bambini e tra tempi lavorativi degli uni e di scolarizzazione degli altri.
Divengono così più visibili i presupposti e i riferimenti dello svolgimento del tema esplicito: se il tempo di scuola non può essere studiato e capito senza il tempo di vita dei bambini e questo senza quello degli adulti, allora le relazioni di ricostruzione e spiegazione entro cui esso è ricondotto diventano – in tal senso – l’argomento principale del libro. Tra i due gruppi di variabili (dei tempi di scuola e dei tempi di vita) sono i secondi ad essere assunti come indipendenti, cioè come riferimento privilegiato per spiegare i primi, i quali hanno, certamente, loro logiche interne, ma non assolute.
Ma tali tempi sociali sono a loro volta sottoposti a una doppia tensione: da una parte quella con le forme economico-sociali e l’organizzazione del lavoro e dall’altra quella con il governo (determinante e determinato, intenzionale e intenzionato
) delle forme dell’economia e della convivenza, secondo la politica e le sue modalità. Innervate con questa cliocronologia
corrono pertanto le domande sulle relazioni tra i tempi di vita e l’organizzazione del potere (e le loro concezioni). Si potrà parlare allora – nella storia d’Italia – di tempo liberale, di tempo totalitario e di tempo democratico? ed anche di tempi di scuola liberali, totalitari e democratici?
Ed oggi, in una situazione in cui la pratica e il concetto di democrazia sono già altra cosa, così come altra cosa si avvia ad essere l’organizzazione del lavoro che congloba ed è conglobata nella organizzazione delle informazioni, che altro stanno diventando i tempi di apprendimento e i tempi di scuola? Che cosa possiamo auspicare diventino?
Ripubblico in forma elettronica una nuova edizione del libro Tempi di scuola e tempi di vita, con un controllo più accurato del testo, e l’aggiunta di un post scriptum in sette paragrafi relativo al sistema scolastico.
Il primo stimolo a questa ricerca, che si è sviluppata in forma autonoma e allargata, è venuto dalla partecipazione al progetto internazionale su Histoire du temps scolaire in Europe, coordinato da M.M. Compère e promosso dal Service d’historie de l’éducation (diretto da P. Caspard) dell’Institut National de Recerche Pédagogique allora con sede a Parigi, Éditions Économica, 1977. La prima edizione di Tempi di scuola e tempi di vita. Organizzazione sociale e destinazione dell’infanzia nella storia italiana è del 1997 (Milano, Bruno Mondadori). Il Post scriptum proviene dalle considerazioni svolte per il convegno del Centro studi Biondi Bartolini I due bienni rossi del novecento: 19-20 e 68-69, i cui atti sono pubblicati a cura di L. Falossi e F. Loreto, Ediesse 2007 e da quelle per per convegno del CIRSE Il ’68 una rivoluzione tra pedagogia e scuola, i cui atti sono pubblicati a cura di C. Betti e F. Cambi, Unicopli 2011.
Organizzazione sociale
e scolarizzazione dell’infanzia
Il tempo e la scuola
La scuola nasce come un luogo: uno spazio in cui i bambini vengono affidati ad adulti a fini di insegnamento. È l’esistenza di un luogo esterno alla famiglia (non importa se e quanto precario e se con o senza destinazione esclusiva), e di un adulto privo di rapporti di dipendenza diretta dalla famiglia, che differenzia la scuola dal precettore familiare privato. Le due grandi modalità sono quelle del collegio (gesuitico, dei nobili, militare ecc.), il quale organizza l’intera vita degli alunni, e quella della scuola in cui l’alunno si inserisce parzialmente continuando a vivere in famiglia; la prima modalità sarà il riferimento iniziale per la scuola secondaria, la seconda per la scuola elementare.
Si tratta di uno spazio costituito e solcato da rapporti affettivi, mentali e sociali, con dinamiche emotive, azioni cognitive e norme di comportamento, secondo relazioni dispari e di potere (tra maestri e allievi) o più informali (ma non necessariamente paritarie tra allievi); attorno a compiti da eseguire e incombenze da adempiere, sottoposto a verifiche e sanzioni positive e negative. Tale spazio è dunque composto, sia nei casi molto formalizzati, sia anche nei casi poco organizzanti, nei quali comunque si esplica il potere del maestro. Tra i poteri di quest’ultimo c’è anche quello di dirigere e organizzare il tempo scolastico. Del resto che cos’è la didattica se non una organizzazione di esperienze (proposte, ma soprattutto obbligate) nel tempo?
Nel momento in cui l’alunno varca la soglia della scuola entra nello spazio, che è contemporaneamente anche il tempo, del maestro.
Ma quando varca la soglia il bambino? a che ora (ammesso che il riferimento d’orologio
sia quello praticato)? quante volte al giorno? quante volte alla settimana? in quali giorni della settimana? in quali periodi dell’anno? con quali festività?
Il passaggio dal potere del maestro sul tempo durante il quale l’alunno è entro il suo spazio, alla prescrizione e al controllo dei tempi in cui l’alunno (e l’insegnante) debbono varcare quella soglia è esattamente il passaggio storico che costituisce la scuola in istituzione. Dunque tutta la storia del tempo scolastico potrebbe essere letta da due punti di vista: quello del tempo della didattica e quella del tempo dell’istituzione, tempi che stanno in relazione reciproca, ma non coincidono.
Tutta la grande e lunga storia della scuola a noi contemporanea è la storia dell’ergersi della scuola in istituzione. È questo processo che definisce compiti e aspettative, diritti e doveri, di insegnanti e alunni, famiglie (loro capifamiglia) e bambini, Stato e cittadini.
Naturalmente questo processo ha molto a che fare con la ridefinizione storica (nelle concezioni dichiarate e in quelle praticate nei costumi sociali e nei comportamenti) dell’infanzia come periodo di vita e luogo figurato
dalle caratteristiche proprie, a cui viene dedicata una istituzione detta appropriata, qual è la scuola, concepita come simmetrica e complementare all’altra grande attività ora ritenuta infantile per eccellenza quale è il gioco (mentre, appunto il lavoro infantile da pratica quotidiana diviene sempre più pratica minoritaria, marginale, eccezione, reato).
Andare a scuola... per che fare, per come farlo, per quanto tempo farlo, con quali metodi e risultati, liberamente o per obbligo?
Introdurre il problema del tempo vuol dire caratterizzare uno spazio e dipanare – nelle forme dell’istituzione – i rapporti tra chi insegna e chi impara, le relazioni tra contenuti, metodi, obiettivi e condizioni operative, le corrispondenze tra figure sociali e modi di vita.
Un chi, quando e come?
che non si spiega senza tutte e tre le risposte collegate tra loro; e dei tre aspetti quello relativo al quando è rimasto finora più in ombra.
La varietà del caso Italia
Anche nel territorio italiano
sono due i grandi modelli di istituzione per la formazione che costituiscono il riferimento dello svilupparsi delle esperienze educative che evolvono verso forme scolastiche istituzionali: da una parte quello del collegio dei nobili (seminaria nobilium), del collegio gesuitico e dei vari ordini religiosi in genere, e dall’altra parte quello del collegio napoleonico (talvolta con ascendenze militari
). Questi due modelli costituiscono un riferimento diretto per lo sviluppo della scuola secondaria. Ma essi costituiscono riferimento anche per quella che d’ora in poi chiameremo scuola elementare
sia per un effetto di assunzione retroversa del modello sia perché, non essendo in atto la divisione tra età anagrafica ed età scolastica, soprattutto nei loro primi corsi si trovavano talvolta anche bambini più piccoli.
Ma la pratica di una istruzione elementare per i bambini proviene da una esperienza ancorata al contesto locale, della comunità civica: in primo luogo da iniziative pubbliche comunali (sia in termini di intervento diretto, sia col riconoscimento e sostentamento di iniziative di maestri privati). Non è presente – come invece avviene in aree di cultura protestante – un intervento di istruzione elementare ad opera dei parroci e delle parrocchie. Almeno non nel senso che le parrocchie interpretino essere quello dell’istruzione elementare un compito derivante dal loro compito religioso, o con esso connesso. Ciò non significa che i parroci non svolgano talvolta opera di insegnamento elementare e molto spesso siano essi stessi i maestri
mal retribuiti dal Comune.
Diverso e peculiare il caso dello Stato pontificio. A motivo della coincidenza tra temporale, spirituale e ecclesiale, anche le parrocchie, le istituzioni e gli ordini religiosi sono considerati dallo stesso potere soggetti per dare limitate forme di insegnamento elementare, nel quale istruzione e istruzione religiosa si confondono tra loro: non entità che svolgono variamente compiti civili per conto dei Comuni, in loro sostituzione o integrazione, bensì entità che svolgono propriamente attività civili sulla base di un temporalismo ecclesializzante (senza che ciò comporti alcun riconoscimento di un compito di alfabetizzazione connesso alla finalità religiosa, qual è quello che in area protestante è considerato necessario per far accedere il fedele ad un rapporto diretto con la parola di Dio stampata nella Bibbia; il rapporto con Dio resta sempre considerato e previsto come necessariamente mediato dall’istituzione Chiesa depositaria della verità, mediatrice salvifica).
Tutta la diversificatissima realtà sociale, produttiva, culturale, familiare delle varie parti del territorio italiano mostra differenti modalità di ignorare, entrare in contatto, o affrontare il problema dell’istruzione elementare; modalità che hanno a che fare anche con le diverse soluzioni organizzative dello Stato presenti nelle varie zone.
Tali diverse tradizioni persisteranno anche al momento dell’unificazione nazionale, la quale, se pure produrrà, se la produrrà davvero, una unificazione delle leggi e delle norme, vedrà continuare prassi e stili organizzativi precedenti, ed anche interpretazioni diversificate delle stesse norme
In proposito non potrò perciò che procedere per esempi sparsi per dare almeno l’idea dei problemi storici (che, detto tra parentesi, attendono ancora indagini locali appropriate e ricostruzioni storiche attendibili di ampio respiro).
L’esperienza napoleonica in Italia
Le Istruzioni per le scuole elementari del Regno italico del 15 febbraio 1812 prescrivono che esse saranno stabilite in ogni comunità e possibilmente in ogni parrocchia
. Sono divise in due classi
(cioè corsi) biennali; se ne indicano le materie di insegnamento. Per essere ammessi ai corsi è richiesta una età non minore di sei anni e non maggiore di dodici.
La durata dell’anno scolastico non è oggetto di un articolo specifico, ma va dedotta dalle varie norme riguardanti gli insegnamenti (parte prima), i doveri dei maestri (parte terza), quelli degli scolari (parte quarta). Per gli alunni esso inizia il primo di novembre (art. 31)¹, ma non è indicato quando finisca. La fine, nel mese di settembre, con gli esami, è indicata nella prima parte dedicata agli insegnamenti (art. 5)².
Dalle precisazioni di questo stesso articolo e dell’art. 32 si deduce che sarebbe sbagliato pensare ad un anno scolastico per gli alunni fatto di undici mesi, da novembre a settembre. Tale periodo è, piuttosto, quello nel quale sono in attività i maestri, i quali, sono tenuti ad una prestazione scolastica più ampia di quella degli alunni, sia nel corso dell’anno che nel corso della giornata: ad esempio in settembre predispongono, con gli addetti ai registri civici (anagrafici), una nota dei fanciulli che potrebbero frequentare le scuole
, oppure sono tenuti ad essere a scuola mezz’ora prima dell’apertura per accogliere i bambini che vengono da lontano ecc.. Dunque dovremo cominciare a distinguere tra calendario scolastico dei maestri (e dei funzionari scolastici e del personale scolastico) e calendario scolastico degli allievi.
L’orario è stabilito dai prefetti (art. 24) e con l’espressione orario
sarà da intendersi tanto l’orario giornaliero che il calendario annuale.
L’art. 5, stabilito che gli esami (ma di fine corso biennale, e per premiare i benemeriti) si svolgano in settembre, precisa che la determinazione della data di termine dell’anno scolastico deve essere tale da lasciare tempo agli alunni di attendere ai lavori rurali.
L’art. 32 – interamente riportato in Appendice – è chiarissimo nell’indicare che è considerato pienamente normale che i bambini secolarizzati siano anche bambini che lavorano, soprattutto nei lavori campestri
dei comuni fuori dalla città (forensi
). Ma noi ben sappiamo che la gamma delle occupazioni lavorative infantili era ampiamente estesa: officine, manifatture, allevamenti, apprendistato, garzonato, lavori artigiani, lavori familiari d’ogni tipo ecc. L’articolo è altresì chiarissimo nel considerare le loro assenze dalla scuola per motivi di lavoro assolutamente legittime (e come tali giustificate formalmente dai maestri). Il riferimento dell’articolo alla scuola dei Comuni di campagna (forensi) accenna ad una distinzione con le scuole della città³. Considerando la prevalenza dell’impiego infantile in agricoltura, lo stesso articolo indica che l’istruzione deve essere promossa
in inverno (in quanto periodo di minor impegno lavorativo): ma noi ben sappiamo che la distanza, anche grande, dei casolari e dei piccoli agglomerati dalla scuola, non sempre su strada e più spesso su percorsi di transito campestre, non poteva essere percorsa in caso di maltempo e, comunque non in breve tempo e non in modo agevole. Insomma il riferimento all’inverno, come periodo scolastico, se rispondeva alla compatibilità con l’impiego della manodopera infantile e con la (relativamente maggiore) disponibilità delle famiglie ad inviare i bambini a scuola, non per questo rendeva la frequenza facile e semplice. Andrà poi considerato che se il lavoro agricolo era giustificazione sufficiente alla non frequenza, analogamente lo saranno stati gli altri lavori infantili, della pastorizia o della raccolta boschiva, artigianali o manifatturieri, dalle scansioni temporali non coincidenti con quelle della coltivazione dei campi.
Tutto ciò indica che la scuola ha i confini del proprio anno scolastico tra novembre e settembre, che all’interno di tale periodo sarà fissato un calendario specifico, nel quale sarà frequentata effettivamente dai bambini, le cui famiglie lo reputano opportuno e nei periodi morti dei lavoro in cui sono impegnati (e, possiamo aggiungere, se le distanze e quando le condizioni atmosferiche lo permettono). All’interno di tale anno platonico, il riferimento effettivo sarà ai soli quattro mesi invernali, al cui interno le assenze per motivi di lavoro saranno pratica accettata, anzi considerata legittima. Siamo in un contesto storico in cui la scuola