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Il Mascheraio
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Il Mascheraio

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«Recitare è l’unico modo per essere sinceri. Per questo mi piacciono tanto i travestimenti. Ma tu ci pensi a quanta vita ci passa accanto, quante maschere, quanti volti, e noi ce li perdiamo?» Il Mascheraio è un filosofo. A volte, immagina che le maschere escano fuori da un mondo parallelo, a fare baldoria, quella baldoria che fa bello il mondo. Ma ci si può innamorare di una maschera? Il Mascheraio si innamora di un’Arlecchina. Ci vuole l’incontro di due persone di due mondi diversi per appurare che le maschere non hanno genere? Nessuno è qualcosa di assolutamente falso, e tuttavia nulla è completamente vero. Non è attraente l’idea di indossare sempre una maschera, e di indossarla male. Soprattutto quando è stretta e scomoda, perché realizza solo un frammento dell’energia potenziale della fantasia.
LanguageItaliano
PublisherSem edizioni
Release dateApr 17, 2014
ISBN9788897093381
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    Il Mascheraio - Dario Carere

    VIII

    I

    Un po’ c’era da preoccuparsi, a volte, a considerare tutti quegli sguardi che gli stavano appesi addosso, vitrei e infingardi. Quanto nel mondo era servito a mille evasioni da se stessi, ossia le maschere e i travestimenti, il più delle volte aveva fatto ritorno in quel grande negozio non troppo pulito e non troppo ordinario, simile a un cimitero di identità, di personalità noleggiate per una sera o due. Solo in rari casi qualcuno comprava la maschera e se la portava via, forse abituatosi a quell’evasione sino al punto da considerarla un carattere, o forse per regalarla a un’altra persona dalla faccia decisamente monotona.

    Un po’ c’era da preoccuparsi, perché si dimenticava, il Mascheraio, che le identità «vere» sono un’altra cosa. Finiva per parlarci, ogni tanto, con quei lunghi nasi adunchi come becchi, con quegli occhi straripanti dall’orbita cinerea, quelle labbra atroci e tumide da teatro giapponese, quelle lunghe cappe rinascimentali. Eppure, inevitabilmente forse, ci aveva fatto amicizia. Ed era iniziato così il suo viaggio attraverso le identità.

    Terminato il suo lavoro quotidiano, per lui tutto sommato godibile ma non privo di noie, il Mascheraio si faceva inglobare da uno di quei travestimenti, e in un lampo si disfaceva della finzione a cui era costretto – e a cui non solo lui era costretto, ovviamente. Eccolo lì, nei panni di un cavaliere di ventura: William Wallace, il terribile scozzese, risorgeva davanti allo specchio del retro. Per non parlare del fosco monatto, con il suo becco lungo lungo, e la tunica nera come la morte che lo pasceva… E i vestiti da donna, poi! Come resistere agli splendidi abiti di seta e broccato (finti) delle antiche attrici giapponesi, o alle armature di latta delle Valchirie, che gli mettevano in testa tanti ricordi di Wagner e dei Nibelunghi? Per fortuna era mingherlino.

    Vita dopo vita, il Mascheraio viveva proprio un sacco, non nel senso della longevità, ma della quantità di vita, tanto che non sapeva davvero spiegarsi come si potesse accettare di farsi cucire addosso una faccia soltanto, una maschera sola, e poi basta, tenersi quella per sempre. Se solo avesse avuto più tempo per sgusciare tra un carattere e l’altro, studiarne tutte le contraddizioni, le passioni, le incongruenze! Allora sì che avrebbe avuto una vita ricca. Non vergognosa, no, per niente, perché non si trattava di evasioni tout court, ma di studio, di entusiasmo, di

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