Il Decifratore: (tutto nella notte)
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Daniele Quarello
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Il Decifratore - Valter Garatti
n°6
CAPITOLO PRIMO
Roberto spinse il cancelletto di legno, e con esso un mucchio di foglie che erano state portate dal vento di quella notte autunnale. La tramontana non aveva mai smesso di far suonare gli alberi lungo il viale: era stata così forte da penetrare con il suo sibilo continuo attraverso le finestre nuove della casa di Remo. Egli comunque adorava il vento: niente come quell’impalpabile scherzo della natura gli sembrava altrettanto eccitante e imprevedibile.
Roberto bussò alla vecchia porta scolorita.
Oggi ti vedo più indeciso del solito.
Con queste parole – sempre le solite – Remo fece entrare l’amico.
Siediti, Roberto. Tanto sei abituato a maltrattare la tua schiena sul mio divano.
Fai bene a scherzare, Remo. Ma ti avverto: oggi dovrai tirar fuori il meglio dalle tue viscere e dalla tua testa!
Cos’è successo, amico mio? Possibile che tu abbia bisogno di me?
Lo sai da quando ti sei svegliato. Tanto ti piace fare la parte del gatto con il topo, eh? Se non fossimo amici da quando andavamo a scottarci al sole nei campi, oltre la ferrovia, senza orologio e fazzoletto; senza berretto e occhiali da sole; senza sapere cosa cercavamo… be', se ti conoscessi da un mese, quel cancelletto non lo avrei certo varcato!
Roberto iniziò a parlare, senza mai cambiare tono della voce, senza tradire emozioni. E così per venti minuti circa. Remo non lo interruppe una sola volta. Sapeva che così doveva comportarsi: quando chicchessia gli poneva le proprie richieste la cosa migliore era ascoltare, ascoltare…
Anche perché non poteva correre il rischio di perdere una sola battuta: per riuscire era necessario anzitutto che quanti si rivolgevano a lui potessero esprimersi senza interruzioni. Sapevano che avrebbe registrato tutto nella sua memoria incredibile.
Ma ti rendi conto, Roberto, che stavolta mi stai chiedendo l’impossibile?
esclamò Remo, volgendo lo sguardo oltre l’orizzonte.
Ogni volta mi dici cose del genere!
rispose Roberto, con questa frase rituale, ripetuta cento altre volte. Trascorse un altro quarto d’ora, senza che nessuno dei due amici aprisse bocca.
Infine, con un gesto ormai conosciuto, Roberto si alzò, Fissò Remo per due-tre secondi e uscì, richiudendo con cura il cigolante e malconcio cancelletto di legno.
Dopo cena Remo sistemò la cucina velocemente. Vivendo da solo aveva ormai sviluppato una certa velocità in questo tipo di faccende. Soprattutto da quando si era dedicato a risolvere quel particolarissimo problema che amici, conoscenti e sconosciuti avevano posto alla sua attenzione, tramite Roberto. Finora aveva sempre trovato soluzioni per tutti, anche se la paura di svegliarsi un giorno scoprendo di aver perduto questa sua capacità gli procurava un sentimento non descrivibile, un qualcosa di sospeso, di malinconicamente terribile…
Ma ora doveva mettersi all’opera! Uscì in cortile, ben coperto e imbacuccato, perché gli piaceva il vento, ma non il raffreddore che ne seguiva, se non avesse preso le precauzioni del caso, lui che aveva un particolare feeling con gli starnuti.
Dopo aver camminato per un’ora e poco più, rientrò in casa. E si mise subito al lavoro
. Pensò che tutto sommato gli piaceva la richiesta di Roberto. Trovava giusto che una persona amica desiderasse addormentarsi sognando la luna piena di giugno. Il problema era un altro: Roberto voleva che questa immagine si ripetesse, ritornasse nelle ore del sonno, per almeno sette giorni. Egli parlava sempre di un desiderio, ma in realtà era un qualcosa di più, qualcosa che voleva fortemente: ne aveva bisogno. Remo lo sapeva: non poteva non cercare di aiutare un uomo che aveva la volontà di vivere un’esperienza così particolare, così elettrizzante, così magica, così sua
.
Chiuse gli occhi e iniziò a produrre le immagini che gli servivano al caso. E la vide, quella Luna di giugno: grande, luminosa, iridescente, bella come non mai con il suo contorno di annoiate stelle estive. Pensò a quella stella, che le appariva al fianco destro, nel momento in cui Lei, rivolta a ponente, ci ricordava di esistere, mostrandoci la prima sottile falce. Pensò che ogni sera seguente Luna e stella si sarebbero allontanate, allontanate… Ma la stella sapeva che la sua opalescente compagna sarebbe ritornata vicino a lei, tante e tante volte ancora.
Remo cominciò a fissare l’immagine del plenilunio con una intensità che quasi lo spaventò: ora veniva la parte più difficile. Doveva trasmettere questa icona dell’anima all’amico, e radicarla con forza nella sua mente, nel suo cervello. Senza esitazioni, senza timori: trasmettere sogni non poteva nuocere in alcun modo a nessuno. Anzi, era un modo per star meglio, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Come riuscisse a far insediare il prodotto della sua immaginazione negli altri, ma soprattutto a farlo riprodurre, a farlo rivivere per un lungo periodo, era per lui ancora un mistero. E forse la chiave era qui: solo se fosse rimasta indecifrabile, questa sua capacità avrebbe portato ancora frutti positivi.
Quando ebbe terminato la sua opera, Remo, stanco ma soddisfatto, iniziò a porsi alcune domande. Innanzitutto si chiese perché Roberto, che aveva scoperto il Divenire tra i banchi del Liceo; che aveva amato follemente ciò che questa scoperta rappresentava; che affermava di non poter nemmeno pensare a cambiare opinione sul concetto di cambiamento, di movimento, di disfacimento; ebbene, ora aveva desiderato fortemente la luna piena, sempre quella luna, non un’altra in un’altra posizione e in un altro momento: no, la voleva così. Perché aveva bisogno di tranquillità. E niente come quella palla sospesa nel buio del cielo solstiziale avrebbe potuto tranquillizzarlo in modo migliore. Certo, la magia delle fasi lunari, il suo presentarsi ogni sera come un attore che cambia sempre abito di scena, erano un qualcosa di stupendamente antico. In fin dei conti, anche questo era tranquillizzante, nella sua celeste ripetitività. Inoltre, a ben pensare, tutto sarebbe durato solo 28 giorni: poca cosa in confronto agli anni che la Luna aveva fin qui trascorso a vagabondare per il cielo. E ancora. Si trattava solamente