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Inferno & Luce
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Ebook580 pages8 hours

Inferno & Luce

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About this ebook

Helena Marchesi ha venticinque anni, una carriera da scrittrice e molti sogni nel cassetto.

Sono tre le cose che ama di più al mondo, la cioccolata calda, Helsinki e William Light, il cantante dei Lucifer: la sua band preferita.

Ha da poco realizzato uno dei suoi più grandi desideri, ha lasciato tutto e si è trasferita nella capitale della Finlandia, per ricominciare.

Mai avrebbe immaginato che un certo cantante entrasse nella sua vita d'improvviso e la sconvolgesse.

In una città innevata che ne fa da sfondo, Helena vivrà l'amore più grande della sua vita e ne subirà le conseguenze.
LanguageItaliano
Release dateSep 11, 2015
ISBN9788893065658
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    Inferno & Luce - Rosalia Brigadiere

    Alla mia famiglia.

    L’unico faro luminoso in mezzo al mare di iniquità.

    1

    Le dita sottili premevano celermente i tasti neri del computer portatile, producendo un lieve ticchettio ritmato che si fermava solo quando cercavo la tazza di cioccolata calda dall’aroma delizioso e irresistibile, e dal sapore dolcissimo.

    La neve al di fuori del bar era attecchita al suolo, plasmando un paesaggio candido e magico, degno di una favola e rispecchiando a pieno l’atmosfera Natalizia di questo periodo di festa. Altri fiocchi bianchi cadevano adagio dal cielo buio e osservai stregata il panorama, arrestando la stesura del libro che mi aveva tolto ore infinite di sonno e procurato varie crisi isteriche.

    Puntellai il braccio sul tavolino e poggiai il mento nel palmo della mano, godendo di quello spettacolo meraviglioso e cercando altra ispirazione per continuare a scrivere.

    Dalle cuffiette collegate al laptop, per l’ennesima volta, si ripeteva Running Away dei Midnight hour, che aiutava a distendere i nervi a fior di pelle e a far uscire le parole giuste per descrivere il fiume in piena delle emozioni e renderle parole. 

    Ormai ero seduta a dar vita alle mie fantasie da alcune ore e la routine si ripeteva uguale da un paio di mesi.

    Trovavo alquanto produttivo quell’angolo di mondo in quel bar affollato e rumoroso, nemmeno avessi bisogno della confusione attorno a me per dare voce alla creatività.   

    La scadenza per consegnare il manoscritto era prossima e io ero ancora a metà dell’opera, con zero ispirazione e una voglia matta di urlare per dar sfogo allo stress crescente.

    Solitamente non avevo problemi a mettere nero su bianco le mie storie, ma ultimamente avvertivo che nella mia vita mancava un tassello fondamentale per dare quel qualcosa in più che difettava quando rileggevo i miei scritti. Era come se scarseggiassero del vero spirito della vita e per questo ero in continuo conflitto con me stessa e il mio lavoro. I protagonisti erano piatti e privi di personalità e odiavo loro che non suggerivano un bel niente e odiavo me stessa per essere così noiosa e monotona.

    Ci voleva un cambiamento radicale e nel contempo l’idea di sovvertire la quotidianità a cui ero tanto affezionata, mi spaventava a morte.

    Amavo troppo fare le stesse cose, come venire nell’identico bar scoperto un giorno per caso mentre cercavo uno spazio adatto per concentrarmi; ordinare la consueta cioccolata calda che distendeva il nervosismo e perdermi sulle pagine di Word. 

    Diedi un’occhiata veloce allo schermo luminoso e al punto dove mi ero bloccata una settimana prima, dannandomi poiché mi ero infilata in quello che i francesi chiamavano un cul de sac. Praticamente ero riuscita a sotterrarmi con le mie mani e non trovavo più il modo per tornare in carreggiata, mettere la quinta e andare a tutta velocità fino alla fine del percorso stabilito.

    Giusto per usare un’altra metafora automobilistica in più, ero impantanata come una macchina in una pozza di fango melmoso e più acceleravo e più affondavo inesorabilmente.

    Massaggiai la fronte e le tempie doloranti. La stanchezza gravava sulle spalle come un macigno insostenibile e lo stare seduta in una postura rigida per tutto quel tempo aveva scatenato un mal di schiena senza precedenti. 

    L’apatia era così radicata ed estesa che ero entrata in un circolo vizioso: accendevo il computer, scrivevo un paio di righe e poi fissavo lo schermo senza trovare un modo per continuare. 

    Il cursore lampeggiante mi ricordava inesorabilmente che ero agli sgoccioli e non avevo la più pallida idea di cosa presentare alla casa editrice che aveva già pubblicato il mio primo libro l’anno precedente.

    Nemmeno la mia Helsinki, la terra dei mille laghi e dal freddo rigido, riusciva ad indirizzare la giusta via per terminare questa fatica.

    Il trasloco era stato l’unico evento inconsueto di quest’anno e una volta abituatami al nuovo clima, ai ritmi di vita più tranquilli, avevo fatto praticamente la stessa cosa tutti i giorni. La noia era compresa nella consuetudine.

    La sera era calata velocemente e l’inverno gelido si condensava sulla grande vetrata  a est del bar che dava sulla strada poco affollata.

    L’orologio del laptop segnava appena le cinque del pomeriggio, eppure  a me sembrava notte inoltrata.

    Sgranchii le braccia e soffocai un sbadiglio con una lunga sorsata di cioccolata calda che sortì un effetto maledettamente soporifero ed era proprio l’ultima cosa che mi serviva adesso.

    Sospirai affranta e tentai di convogliare la poca concentrazione rimasta su quello che avevo scritto fino a quel momento. Rilessi le ultime dieci righe e prima di aver finito, lo schermo del cellulare lampeggiò, vibrando a più non posso e dandomi l’ennesimo pretesto per disertare i miei doveri da scrittrice depressa.   

    Volevo scriverti in finlandese, ma credo di essere negata come in inglese… spero che un briciolo d’italiano ti sia rimasto ancora tra tutte le lingue che sai. Comunque se ti colleghi su Facebook, ci sono nuove foto del tuo finnico preferito. Ti ho taggata. Goditele. Ti voglio bene.

    Un sorriso distese la bocca mentre gli occhi leggevano divertiti l’SMS della mia migliore amica Chiara. Erano mesi che ci sentivamo solo tramite cellulare e social network, così da non far disperdere la nostra amicizia nel silenzio della lontananza.

    Presto sarebbe venuta a trovarmi per portare un pizzico d’Italia nella glaciale Finlandia, doveva solo racimolare abbastanza soldi per il viaggio e sfruttare le ferie arretrate.

    Ero partita quasi un anno fa da Roma per trasferirmi nell’unica città al mondo di cui mi ero innamorata grazie ai Lucifer la mia band preferita,

    da tempo immemore ormai. Una volta ad Helsinki, le tessere del puzzle che componevano la mia vita, erano andate magicamente tutte al loro posto, montando il disegno finale della felicità.

    Poggiai il cellulare sul tavolino e con pochi clicchi del mouse mi collegai ad internet e infine a Facebook.

    Ricevevo numerose notifiche al giorno, da altri fans degli Lucifer che volevano sapere com’era la città e se avevo incontrato la band, ma non mi era mai capitato di imbattermi in nessuno di loro, neanche per sbaglio.

    L’unica cosa che avevo visto in questi otto mesi era la torre di William Light a Munkkiniemi, ci passavo giornalmente davanti almeno due volte, perché era la scorciatoia più veloce per raggiungere il mio bar preferito, eppure non avevo mai avuto la fortuna di incrociare il suo proprietario.

    I primi giorni avevo fatto più foto possibili e pubblicate su Facebook, conquistando i tanto ambiti quindici minuti di gloria citati dal visionario artista e pittore Andy Warhol.

    Ero più famosa per essere una ragazza Italiana ad Helsinki e non perché avevo pubblicato un libro, che peraltro aveva avuto successo solo all’estero e pesantemente criticato nella mia terra natia.

    Gran bella soddisfazione insomma!

    Ma già la seconda settimana, era diventata una consuetudine transitare per quella strada e adesso non mi fermavo più, guardavo la torre di sfuggita e tiravo dritto per la mia strada.

    Smaltii velocemente le notifiche che mi interessavano, tralasciando quelle delle ragazzine scalmanate e impazzite che mi perseguitavano via web per sapere qualcosa in più di William o degli altri componenti della band, ignorando tutti i miei stati dove dicevo di non conoscere di persona nessuno di loro e di non averli neppure avvistati. Ormai non accettavo neppure più le richieste d’amicizia, tenendo nell’account solo le persone che conoscevo prima della strana fama che non sentivo di avere e che mi faceva veramente ridere.

    Controllai la bacheca del mio profilo e trovai i numerosi tag di Chiara sulle nuove foto degli Lucifer che sarebbero apparse su un giornale Inglese tra pochi giorni.

    Mi soffermai a fissare il viso di William, le iridi di giada brillanti, intense e tenebrose. La bocca sottile, i capelli scuri, spettinati e assolutamente sexy. I tatuaggi sul torace non pettoruto e i jeans che cadevano stretti sui fianchi magri. 

    Sorrisi sui commenti delle mie amiche virtuali, aggiungendo poche parole di gratitudine e di apprezzamento sotto ogni foto e mentre finivo di guardare l’album completo, del movimento catturò involontario il mio interesse e gli occhi scivolarono dallo schermo ai due uomini che erano appena entrati nel bar.

    Fu così che la realtà superò la fantasia, perfino la mia che era davvero immensa e inarrestabile.

    Le foto sul computer avevano preso vita davanti a me, rivelando l’enorme differenza che c’era tra il William fermo e immobile nel laptop e il William che parlava e scherzava nel locale.

    Fermai la canzone e tolsi le cuffiette, come se avessi paura che la musica potesse inibire uno dei miei cinque sensi e in quell’istante ne avevo assurdamente bisogno per capire se dormivo o ero desta. 

    Realizzai due secondi dopo che il cantante della mia band preferita era a due tavolini dal mio, accompagnato da un uomo che non avevo mai visto, ma che sembrava un grande amico dalla maniera in cui interagivano.

    William si tolse il giaccone nero, lasciandosi addosso la sciarpa scura. Vestiva una maglietta nera dei Black Sabbath e un cardigan di lana abbottonato male, jeans stinti e converse logore.

    Salutarono Marko, il ragazzo dietro al bancone come se lo conoscessero da tempo e ordinarono.

    Fui colta da un improvviso attacco di panico in piena regola, divenendo sicuramente rossa in viso e presa d’assalto da una ridarella incontrollabile.

    Stavo per scrivere sul mio stato di facebook William è qui o qualcosa del genere, ma mentre ero in procinto di premere i primi tasti, le dita si irrigidirono e bocciai quell’idea sciocca.

    Certamente avrei peggiorato la situazione di perseguitata da parte delle fans fuori di testa e qualcuno avrebbe chiesto la prova del fatto che avessi il cantante a pochi passi da me.

    Si sarebbe scatenato un trambusto caotico e l’ultima cosa che volessi in quel momento era rovinare l’attimo idilliaco… un frangente mio che avrei custodito nel cuore per sempre. Non volevo sminuire quell’avvenimento con le parole e renderlo di tutti, così decisi di starmene buona e zitta in disparte, proseguendo a guardarlo discretamente.

    William e il suo amico parlavano di un discorso che non riuscivo a sentire perché troppo lontana da loro, tuttavia era sorprendente le innumerevoli espressioni che il suo viso assumeva nell’arco di pochi attimi a seconda di ciò che diceva l’altro uomo e delle risposte che dava lui.

    Ma il suo sorriso… oh beh, quello era davvero indescrivibile per quanto bello e luminoso fosse e avrei voluto passare una vita intera a contemplarlo, dimenticando tutto il resto del mondo. 

    Se avessi avuto più coraggio o fossi stata un’invasata mi sarei avvicinata per chiedergli un autografo e magari una foto, rovinando tutto e alla fine obbligandolo ad andarsene perché in imbarazzo da una fan… almeno io mi sarei sentita così al suo posto.

    Probabilmente stavo bruciando un’occasione irripetibile e che non si sarebbe mai più presentata, eppure non ero in grado di fare altro che ammirarlo e sospirare come un’adolescente al primo amore.

    Non era il William che ero abituata a vedere sulle copertine patinate di un giornale o in un video musicale, era un William del tutto diverso… semplice, sorridente, per nulla malinconico e avrei azzardato a dire, quasi felice.

    Molto più bello di come appariva e vicino a me più che mai.

    Adesso non era solo un sogno evanescente di una fan innamorata o un desiderio irraggiungibile, ora era diventato la realtà tangibile attorno a me, come lo erano le altre persone: era vero. 

    Non smettevo di fissarlo, totalmente rapita da lui, da come le labbra si sfioravano, dal modo in cui batteva le palpebre e quell’insistere molesto attirò i suoi occhi verdi che incontrarono i miei.

    Fu un solo, breve e interminabile secondo, che agitò le farfalle nei litri di cioccolata calda nel mio stomaco e tanto bastò per far esplodere il cuore in scoppiettanti fuochi d’artificio.

    Imbarazzata per essere stata scoperta, abbassai prontamente lo sguardo sul monitor luminoso del computer, falsamente assorta da cosa c’era lì sopra.

    Ero consapevole che William si fosse accorto di me e di come lo avevo guardato fino a quel momento e avrei desiderato poter nascondere la testa sotto terra come facevano gli struzzi. Con il volto in fiamme e l’ansia che saliva alle stelle, chiusi internet e mi apprestai ad andarmene alla svelta da quel bar perché ero fin troppo nervosa e per nulla me stessa nell’affrontare quella circostanza. 

    Quando presi il cellulare, una terza cioccolata invitante e fumante venne posta accanto alla mia mano. 

    << Io non ho ordinato niente. >>, dissi in finlandese a Marko il ragazzo del bar, che mi aveva portato la bevanda. 

    Trangugiare litri e litri di cioccolata al giorno non faceva affatto bene al mio fisico tutt’altro che snello, quindi avevo stilato un paio di regole per non trasformarmi in un ippopotamo: limitare quella bevanda a sole due tazze al giorno e usare il meno possibile la macchina. Non sarei diventata una modella, ma di certo non sarei ingrassata spropositamene.

    Marko sorrise divertito dalla mia espressione confusa.

    << È offerta da quell’uomo. >>, spiegò, indicando i due tavolini dopo il mio, proprio lì dove erano seduti William e il suo amico.     

    Entrambi mi guardavano con un sorrisino divertito e il cantante alzò una tazza per farmi vedere che stavamo bevendo la stessa cosa.

    Non mi sembrava il tipo da cioccolata calda, pensai stupidamente, arrossendo come una ragazzina.

    Scioccamente credevo che lui bevesse solo caffè amaro e difficilmente si concedeva dei dolci, altrimenti non si spiegava quel fisico snello e asciutto.

    Mi ero sbagliata.

    Chissà quante cose di lui erano diverse da come le avevo immaginate?

    Inevitabilmente un sorriso imbarazzato nacque sulla mia bocca, trovando difficile mantenere il contatto visivo con William.

    << Grazie. >>, vociai gentile e la mia mente ripeteva come un mantra non ci crederà nessuno, non che io avessi intenzione di raccontarlo a qualcuno comunque.

    William si portò due dita alla fronte in quello che fu un simpatico saluto militare che mi fece ridacchiare.

    Rimpiansi il non aver dedicato due minuti in più del mio tempo a sistemare il mio aspetto prima di uscire di casa. Adesso mi ritrovavo con i capelli lunghi legati in una bassa e spelacchiata coda di cavallo, le zampe di gallina sotto gli occhi e la pelle pallida chiazzata di rosso in punti improbabili per l’emozione.

    Dopo quei minuti in cui ero diventata oggetto d’attenzione da parte dell’unico uomo sulla terra che mi interessava, tornò tutto alla normalità, sempre se si poteva chiamare normalità avere davanti a se il proprio idolo ed essere bloccata nel proprio corpo dalla paura e dalla voglia di fare qualcosa per restargli impressa.

    Tentai di distrarmi riaprendo internet e leggendo qualche altra notifica su facebook, eppure i miei occhi sgusciavano al mio controllo per cercare lui. L’osservavo di sfuggita, per non farmi scoprire di nuovo e risultare invadente. Avvertivo il suo sguardo su di me, ma non mi azzardai a verificarlo e alla fine mi diedi della stupida per un’idea così ottusa e inetta.

    Perfino la cioccolata calda offerta da William la percepivo diversa, più buona quasi e mi sentii assurdamente bene, come se nuova energia stesse scorrendo come lava liquida nel corpo.

    Qualche minuto dopo, l’amico che sedeva al tavolino di William, indossò il cappotto, lo salutò affettuosamente e andò via, lasciandolo solo, proprio di fronte e me.

    Lui ed io a pochi metri di distanza.

    Devo andarmene, riflettei saggiamente, come se stesse per accadere una catastrofe immane.

    Mi sentii più esposta che mai e fu del tutto inutile forzarmi a fissare il monitor del computer portatile. Quando mi azzardai a scrutarlo ancora, William non era più lì e solo allora mi accorsi che era accanto alla sedia del mio tavolino.

    Il cuore si fermò fulmineo e con esso tutte le funzioni vitali e forse anche il tempo.

    Sfoggiò uno dei sorrisi più belli e dannosi che possedeva, riducendo il mio cervello ad un colabrodo.

    << Posso sedermi o aspetti qualcuno? >>.

    Sbattei le palpebre cercando un briciolo di controllo che era andato perduto con l’occhiata intensa che mi aveva donato.

    Inarcai le sopracciglia e tormentai le labbra… la gola improvvisamente secca e arida.

    << Certo che sì. >>, farfugliai dopo qualche secondo di turbamento, sperando che non pensasse che avessi seri problemi di udito o fossi cretina.

    << Deve essere proprio noioso ciò che stai facendo se ti sei fermata per così tanto tempo a fissarmi. >>, disse, ma non era un rimprovero, solo la constatazione dei fatti e in più sorrideva furbo.

    Si era accorto di tutto e d’altronde era impossibile che non avesse notato l’insistere del mio sguardo invadente. Almeno non avevo sbavato e solo per quello mi sentii vittoriosa.

    Boccheggiai impacciata, insultandomi mentalmente con ogni epiteto esistente.

    << Studentessa? >>, chiese appena dopo, rilevando la mia espressione da baccalà.

    Aggrottai le sopracciglia.

    Di certo lui non aveva letto il mio libro e ringraziai la mia buona stella che fosse così.

    << Ho l’aria da studentessa? >>. Ridacchiai divertita, riacquistando un po’ di dignità personale e controllando che non avessi sbavato per davvero.

    << Questo posto è molto frequentato dagli studenti e ne ho visti tanti venir qui a studiare con il computer proprio come stai facendo tu. >.

    Era vicino, troppo vicino e non potevo garantire una lucidità mentale a lungo. Il suo profumo di talco e sigarette si abbatteva su di me come la più nociva delle droghe e ne fui subito dipendente.

    Scossi la testa.

    << Sono una scrittrice o almeno ci provo. >>. Davanti a lui però, tutto il mio lavoro valeva meno di zero se confrontato con le sue canzoni che ti entravano nel cuore e squarciavano l’anima.

    Alla parola scrittrice ebbi il doppio delle sue attenzioni, mentre io volevo sparire ogni attimo di più.

    William giocherellava con uno dei suoi anelli a fascia che tanto amavo, ruotando nervoso da un lato e poi dall’altro quello che occupava il medio.

    Dio, le sue mani… sono perfette.

    << Ho letto qualcosa di tuo? >>, domandò. Occhi fermi nei miei e la realtà del tutto svanita.

    Deglutii, pregando che non avesse mai neanche visto per sbaglio il mio primo libro e il titolo che avevo scelto per esso. 

    << Non credo… sono stata pubblicata solo in Italia… è da lì che vengo. Non è mai arrivato all’estero. >>, mentii spudoratamente.

    << Ah. Quindi sei una fan? >>. Indicò la mia tracolla nera con, due grandi cuori bordeaux legati insieme da rovi di spine, che si ferivano a vicenda, disegnati a mano dalla sottoscritta: il logo dei Lucifer. Il Lovegram.

    Il vero amore è capace di ucciderti, con un sorriso sulle labbra., così commentava spesso William Light, nelle numerose interviste.

    E mi sentii più stolta e bambina che mai.

    << Beh, sì. >>, farfugliai, desiderando di aver nascosto la parte dipinta, anziché averla lasciata in bella mostra come se avessi bisogno che tutti sapessero che genere di musica ascoltassi.

    << Così si crea un disquilibrio però: tu sai come mi chiamo, ma io sono so il tuo nome. >>, constatò con un’aria falsamente perplessa.

    Devo presentarmi? Ovvio che sì! Di certo non puoi permetterti di fare altre figure pessime.

    Allungai titubante la mano verso di lui.

    << Sono Helena Marchesi. >>, dissi, mantenendo un tono calmo, anche se dentro si diroccava la tempesta.

    William ebbe un momento di perplessità e una luce strana gli attraversò le iridi di giada.

    Ricambiò la stretta e fui sul punto di svenire: pelle contro pelle. Il paradiso era sceso in terra solo per me. Sarei stata capace di non lavarmi la mano per un mese o giù di lì.

    << Helena Marchesi. >>, ripeté, gustandosi ogni lettera e il mio nome si sciolse sulla sua lingua, divenendo caldo, morbido, proibito, sensuale, improvvisamente musicale e irresistibile.

    Nessuno aveva mai pronunciato il mio nome con una tale intensità e dolcezza, come se fosse un peccato segreto. 

    << Sì. >>, barbugliai, sempre più sottosopra, sistemando nervosamente le ciocche ribelli, che erano sfuggite dal fiocco della coda di cavallo, dietro le orecchie. 

    << Piacere di conoscerti, Helena. >>. Le labbra morbide e umide si aprirono in un sorriso che sciolse anche gli ultimi brandelli di lucidità.

    << Il piacere è tutto mio. >>. E lo era davvero, molto di più di quel che immaginava e in questo caso non era solamente una frase fatta.

    Ancora mi chiedevo quando avrei dato di matto o se alla fine sarei scoppiata a piangere d’improvviso davanti a William.

    << Sei ad Helsinki per vacanza o per lavoro? >>.

    << Ci abito. >>, dichiarai. << Da qualche mese. >>.

    << Sei qui da sola? >>, chiese, improvvisamente preoccupato che una giovane ragazza straniera risiedesse senza compagnia in una città sconosciuta.

    << Me la cavo molto bene da sola. >>, lo rassicurai. << Sono molto lupo solitario. Sopporto poco le persone e me stessa. >>.

    Oddio ma che sto dicendo? Non mi conosce nemmeno e gli sto propinando una solfa inappropriata e inadatta?

    << Siamo in due. >>, mormorò e gli occhi si riempirono di quella perpetua malinconia, che avevo imparato a conoscere da quando ero fan dei Lucifer. << Quindi passerai il Natale da sola? >>.

    Chiusi internet e spostai il computer da una parte e puntellai entrambe i gomiti sul tavolino, sfiorando le braccia con il viso.

    << Sì e non credo che lo festeggerò: ho una scadenza da rispettare e un libro da consegnare. Sono in un ritardo apocalittico. >>.

    << Di cosa parla il tuo libro o la trama è segreta? >>. Ridacchiò di quella risata arrugginita da lambretta ingolfata.

    << Di amore. >>, dissi d’impulso. << Un amore impossibile. Uno di quegli amore che ti divorano l’anima e ti fanno a pezzi, consumando la tua vita, passo dopo passo… lasciando il vuoto immenso, tanto da farti desiderare di morire perché non riesci a sopravvivere senza l’altra metà del tuo cerchio. Un amore che non ti fa dormire… a cui pensi continuamente e cerchi il suo volto tra la gente mentre cammini per strada. E soffri… e quella sofferenza ti piace perché ti entra dentro e sai che aumenta quell’amore malsano… ti demolisce il cuore quando lui non c’è. Perché lui è ossigeno e veleno puro al contempo e tu te ne cibi, consapevole delle conseguenze, ma non puoi farne a meno. >>.

    Solo quando smisi di parlare, mi accorsi che lo avevo fissato e che quello che aveva detto suonava come una dedica d’amore in piena regola.

    William ascoltò in silenzio, annegando nei miei occhi, serio e pallido. Lui era a conoscenza del tipo di amore che io mi accingevo a scrivere e che gli avevo appena narrato.

    Nascose dietro una maschera di compostezza il turbamento che si riflesse nelle iridi verdi.

    << A quando l’uscita di questo libro? >>.

    Sospirai afflitta.

    << Si spera per la fine di Marzo dell’anno prossimo, ma sono troppo indietro con il lavoro e ho già disertato alcune scadenze. Non vorrei che la mia carriera finisse ancor prima di affermarsi. >>. Adocchiai lo schermo del pc, dove la pagina di Word era ancora aperta e pendeva su di me come la spada di Damocle. L’orologio in basso a destra segnava quasi le sette di sera ed era il momento di tornare a casa: dovevo cercare alcuni documenti da portare alla casa editrice il giorno dopo.

    << Vorrei una copia autografata. >>, disse William, con un sorriso sghembo che mi mozzò il fiato.

    Quando la sua frase venne assorbita dal cervello, una gioia incommensurabile cotonò il mio ego spropositato.

    << Te la porterò di persona, va bene? >>, risposi, sorridendo completamente prigioniera di quelle lande verdi.

    Ma che diavolo stavo facendo? Flirtavo? Flirtavo con William Light, spudoratamente? Un girone infernale era pronto per me e la mia vana speranza che lui ricambiasse le mie attenzioni.

    << La porta di casa mia è sempre aperta. Spero che verrà pubblicato almeno in lingua inglese: ho giusto qualche problema con l’Italiano. >>.

    Spalancai gli occhi ed eclissai la sorpresa per il responso accondiscendente alle mie avance, occupandomi di spegnere il laptop e riporlo nella valigetta apposita.

    << Stai andando via? >>, domandò, studiando tutti i miei movimenti e agitandomi maggiormente per paura che facessi qualche gaffe o che mi cadesse qualcosa dalle mani tremanti.

    Annuii.

    << Ho degli impegni domani e ho bisogno di riposo: domani ho la sveglia molto presto. Poi di pomeriggio sono di nuovo qui a scrivere o almeno ci proverò. >>.

    Dagli anche il tuo indirizzo di casa e il numero di cellulare, pregandolo di chiamarti, così è più chiaro che ci stai provando come una povera sfigata!.

    Ero troppo scossa e l’unica cosa che auspicavo era uscire da lì dentro e mettere giusto un paio di chilometri tra William Light e me.

    Afferrai la tracolla e la valigetta, nel momento stesso in cui il cantante si alzò e mi sostò di fronte, di nuovo vicino, esageratamente vicino.

    << Ci vedremo in giro allora. >>, affermò e più che una maniera per chiudere la conversazione, suonò come una promessa.

    << Certo. >>, bofonchiai, ormai viola tendente al fucsia dalla vergogna, negando a me stessa che stavo scappando come una codarda.

    Lo salutai ancora una volta prima di uscire dal bar e continuare per la mia strada, lasciando nel passato l’unico uomo che riuscivo ad amare e uscendo dalla sua vita per sempre.

    2

    Il giorno dopo fu davvero difficile convincere la parte più razionale e coerente di me che avevo davvero incontrato il cantante della mia band preferita.

    Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno e al contempo percepivo la necessità di tenere bene chiusa la bocca, per non svendere le emozioni che mi avevano avvolta in un bozzolo di vita pura, rendendomi più energica e di buon umore che mai. 

    Con il senno di poi non riuscii a spiegare tutta quell’agitazione e nervosismo, successivamente ripensai a quegli occhi verdi, al sorriso tenero, il profumo di sigarette, la sua sola presenza e tanto bastò per agitare le farfalle nello stomaco.

    Non feci colazione a causa di quell’improvvisa tensione e ciò sarebbe giovato anche ai miei fianchi abbondanti. 

    Lavai in fretta i denti e perfino dopo quello che era successo il giorno precedente, non persi tempo a truccarmi. Pettinai i lunghi capelli neri che ricaddero sulle spalle in onde morbide e le iridi al cioccolato esaminarono critiche il riflesso allo specchio.

    Ultimamente non apparivo più la venticinquenne dall’aria fresca e spensierata, poiché la mia età era appesantita dallo stress per questo nuovo impegno incompiuto. Se solo avessi avuto un briciolo di ispirazione non sarei stata così nei guai a lavoro.

    Canticchiavo una melodia inventata, mentre indossavo le scarpe da ginnastica e infilavo i documenti nella tracolla.

    Cercai la mia agenda, con tutti gli indirizzi, numeri di telefoni, appuntamenti e annotazioni che segnavo giornalmente.

    La tecnologia mi repelleva a dir poco. Gli unici apparecchi moderni che usavo erano il computer e il telefono e raramente mi affidavo ad essi per questioni importanti che potevano condizionare la mia esistenza. Ispezionai tutto l’appartamento da cima a fondo, ben due volte, rischiando di arrivare in ritardo alla casa editrice. 

    << Merda! >>, sbottai.

    Con orrore arrivai alla conclusione peggiore: l’avevo dimenticata al bar, mentre ero avviluppata nella nuvola di confusione e scompiglio chiamata William Light.

    L’unica mia speranza era che Marko l’avesse conservata, come faceva di solito con gli oggetti smarriti, in attesa che il proprietario venisse a reclamarla.

    Ero persa senza quell’agenda, a causa di una memoria labile e poco attendibile. Impossibile ricordare ogni cosa!

    Se fossi andata a piedi non avrei fatto in tempo ad arrivare alla casa editrice in orario, così presi la mia Volkswagen Golf nera di seconda mano, con le ruote avvolte prudentemente nelle catene e mi feci largo tra la neve alta, nella livida mattinata Finlandese: prima delle undici il sole pallido non avrebbe voluto saperne di uscire dalla sua casa, tra la coltre persistente di nuvole cupe. 

    A dicembre le temperature scandinave erano assolutamente rigide e abbastanza insopportabili per una ragazza italiana come me, che era cresciuta con un freddo meno duro.

    Arrivai al bar con qualche difficoltà a causa degli spazzaneve che lavoravano costantemente e creavano un traffico imprevisto. 

    E la catastrofe ebbe luogo quando la ragazza del turno cercò tra gli oggetti riposti da Marko e non trovò nessuna agenda dalla copertina nera e scarabocchiata. Ci misi un minuto di troppo a rendermi conto che metà della mia vita si era completamente dissolta nel nulla, per la mia stoltezza e la mia testa tra le nuvole.

    Cercai perfino nella macchina, ma della mia agenda non c’era nemmeno l’ombra.

    Scoraggiata per quella scomparsa, andai all’unico appuntamento che ricordavo con la casa editrice, escogitando per tutto il tempo un piano di riserva che avesse potuto tamponare i colloqui e i numeri di telefoni perduti. Purtroppo non ebbi nessuna illuminazione. 

    L’incontro con la mia manager Arja e altri dipendenti, durò quasi tutta la mattinata, avevano preteso che portassi la prima parte incompiuta del libro, facessi correggere la bozza e poi fecero premura per completare l’intero lavoro. La mancanza d’ispirazione mi faceva sentire sull’orlo del baratro: un solo passo falso e sarei caduta definitivamente.

    Quando uscii da lì, avevo il morale a terra e desiderai mandare al diavolo ogni mia fatica, rinchiudermi a casa e non uscire per i prossimi due o tre secoli.

    Affondando nella neve e maledicendo tutto e tutti, andai verso la macchina, borbottando in italiano come facevo di solito quando la giornata incontrava degli intoppi e non potevo sfogarmi come si deve. 

    << Secondo me, hai bisogno di una buona cioccolata calda. >>, disse una voce forte e squillante poco lontano da me.

    Che ci faceva William Light su una vecchia bicicletta anni 20’, davanti la mia casa editrice, imbacuccato con uno sciarpone e una giacca il doppio di lui?

    In un primo momento restai senza parole e impreparata a trovare lui, la cosa più bella di tutta la mia vita, proprio lì e dopo la mattinata tragica fu come se fosse venuto a portare la luce nel grigiore della sfiga, cosa che peraltro aveva sempre fatto da quando ero fan dei Lucifer.   

    Inarcai entrambe le sopracciglia, sorridendo scioccata.

    << Tu? >>.

    Con un colpo di tacco il cavalletto toccò l’asfalto scivoloso e fluidamente scese dalla bicicletta, tra le mani aveva la mia agenda.

    Sorrisi inevitabilmente e il mio umore migliorò di netto: era venuto a portare per davvero la luce.

    << L’avevi dimenticata ieri. >>, dichiarò, avvicinandosi goffo sulla neve e porgendomela tra le mani. Riusciva ad essere bellissimo e perfetto perfino mentre camminava in quel modo ridicolo per paura di scivolare e vestito con indumenti ingombranti. << Ho cercato il tuo indirizzo perché volevo portartela di persona, ma non l’ho trovato, per questo sono venuto qui: c’era scritto lì. >>.

    Ha letto la mia agenda?.

    Ora sì che volevo seriamente rinchiudermi dentro casa e gettare la chiave nella pattumiera. Come minimo avevo scritto un migliaio di volte William ti amo, in italiano, inglese e finlandese. Impossibile che non avesse afferrato il concetto.

    In un secondo momento mi chiesi perché non l’aveva semplicemente lasciata nel bar, fregandosene altamente che fosse mia e che l’avessi distrattamente abbandonata lì. 

    << Mi hai salvata! >>, esordii di getto. << Non sai che tragedia quando ho scoperto di non averla più. Pensavo di averla perduta. >>.

    << Posso immaginare. >>, rispose cordiale, con quel sorriso sghembo che inibiva le funzioni vitali. << Programmi sempre in questo modo minuzioso la tua vita? >>, chiese, con un punto di sconcerto.

    L’aveva letta per davvero: quella era la prova. 

    << Solo per il lavoro… il resto è molto lasciato al caso, non che io abbia una gran vita sociale, comunque. >>. Grattai impacciata la nuca, rivelando quanto sola e infelice fossi, benché facessi il lavoro dei miei sogni e abitassi nella città che amavo. Aver raggiunto alcuni obiettivi vitali, non portava necessariamente alla felicità.

    William strofinò le mani quasi cianotiche dal freddo e dovetti trattenere l’impulso di riscaldargliele con le mie.

    Smettila di pensare simili assurdità!.

    << Nemmeno io. >>, svelò, ma ebbi l’impressione che non gradisse parlare molto di sé e ancora quella malinconia radicata, riaffiorò negli occhi arrossati dal gelo.

    L’idea si formò nella mente istantanea e combattei per alcuni istanti con me stessa in una battaglia interiore del glielo propongo, oppure no?, alla fine vinse la stoltezza e la bocca fece il resto.

    Se il destino stava offrendo una seconda occasione e aveva riportato William Light sulla strada della mia vita, questo significava che adesso toccava a me darmi una mossa e farcelo restare.

    << Io non ho altri appuntamenti e ho la giornata libera, se non ti disturba o se non hai altro da fare, posso offrirti qualcosa per ringraziarti della tua gentilezza? >>.

    Tanto dirà di no! Mica può perdere tempo con una come te? Ma l’hai visto? È la perfezione fatta persona e tu sei solo una paffuta scrittrice, neanche molto attraente. Sii realista!.

    William si aprì in un sorriso così splendente che il sole stesso avrebbe provato vergogna dinanzi a lui e mi sciolsi come non credevo fosse possibile.

    << Cioccolata calda? >>, domandò retorico.

    << Non chiedo di meglio. >>.

    << Ti seguo con la bicicletta. >>, comunicò, già con un passo verso di essa.

    << Stai gelando. >>, mormorò la mia bocca, indipendente dalla mia volontà. << Ti do un passaggio in macchina: metti la bici nel portabagagli così la portiamo con noi. >>, proposi, aprendo il bagagliaio e aiutandolo a sistemare la bicicletta al sicuro.

    Poco dopo eravamo al caldo nella mia automobile, in un silenzio teso e io ancor più tesa del silenzio. Non avevo la benché minima idea di come rompere il ghiaccio e aprire una conversazione decente con William.

    Digli qualcosa, stupida cretina!

    La sua presenza saturava l’intero abitacolo e il profumo accarezzava le mie narici. Avrei dato qualsiasi cosa per annusare la sua pelle da vicino.

    << Ho fatto un giro in libreria prima di venire alla casa editrice e ho trovato questo. >>, iniziò a dire lui, aprendosi la cerniera del cappotto imbottito e tirando fuori un libro dalla copertina nera, un angelo dalle ali corvine sporche di sangue dinanzi ad un cimitero abbandonato, dava le spalle al lettore e la scritta viola scuro riportava Killing Love, with a Kiss..

    Il mio libro… tra le sue mani.

    Ebbi un tuffo doloroso al centro del cuore.

    Tutte le mie emozioni, sentimenti, nottate insonni, lacrime, imprecazioni e due anni della mia vita, tenuti gelosamente in quelle mani affusolate e pallide.

    Aveva comprato il mio libro e lo avrebbe letto. Oltre alla figuraccia dei ti amo sull’agenda, adesso era più che consapevole che ero una fan svitata che aveva dato il titolo di una sua canzone al suo primo libro.

    Sfogliò le pagine, accarezzandole delicato con i polpastrelli e annusò l’odore di carta stampata. La stessa cosa che facevo anche io.

    Il ventre venne stretto da un morso selvaggio e lo stomaco si contorse nelle più disparate posizione.

    << Pensavo che lo avessero pubblicato solo in Italia. >>. La parola Italia, venne fuori con un accento tenerissimo.

    << Mi devo essere sbagliata. >>, mormorai, colta in fallo.

    William era più furbo e scaltro di una volpe e non mi sarei mai aspettata che andasse a cercare il mio libro. Ad essere sincera non mi sarei neppure aspettata che facesse così tanta fatica per riportarmi l’agenda. Preferii non fare domande e godermi l’attimo.

    << Helena Marchesi. >>, lesse il mio nome nel riquadro ripiegato all’interno della copertina, lì dove veniva scritta la vita dell’autore, divisa in parti salienti. << Helena. >>, replicò e avrei voluto che mi chiamasse ancora e ancora: all’infinito.

    Tenevo d’occhio con difficoltà la strada.

    Sudavo freddo e deglutivo spesso, aumentando la sete e l’aridità in gola.

    << Helena. >>, disse ancora una volta, pensieroso. << Hell… come Helsinki… Hell-ena… Hell-sinki. >>. Ridacchiò, come se stesse ragionando con se stesso ad alta voce.

    Increspai le sopracciglia, sorridendo confusa al fatto che avesse associato l’inferno al mio nome, come aveva fatto spesso per la sua città.

    Poi lesse la breve biografia che ne conseguì e io ripercorsi mentalmente alcuni momenti principali e ricordi di determinati periodi che William non poteva conoscere.

    Sfogliò di nuovo le pagine, tornando all’inizio e si fermò sulla dedica.

    << A te… anche se per te sono come una goccia sconosciuta in un oceano, tu sei la forza che trasforma quella goccia in una mareggiata inarrestabile. >>.

    Perché quando la leggevo io, non avevo lo stesso tono voluttuoso e provocavo l’identica sequela di brividi bollenti?

    Andò avanti e i suoi occhi si persero sulle prime righe, poi chiuse di getto il libro.

    << Era per il tuo fidanzato? >>.

    Gli lanciai un’occhiata disorientata.

    << Cosa? >>.

    << La dedica. >>.

    << No. >>, risposi monocorde, per non dare troppe informazioni con il solo tono della voce. << Non sono fidanzata. >>

    << E allora per chi? >>.

    Per te William. È per te la dedica. Tutta la mia vita è una dedica a te, a quello che sei per me e al mio amore impossibile.

    Morsi selvaggiamente il labbro inferiore, tacendo sulla verità.

    << Uno scrittore non rivela mai tutti i suoi segreti, tu dovresti saperlo benissimo. >>, dissi, per insabbiare la risposta evidente.

    William scosse le spalle, accarezzando le lettere in rilievo del libro.

    << Io non sono uno scrittore. >>.

    << Certo che sì: scrivi tu le tue canzoni, no? Le mie parole vengono lette, le tue cantate… non c’è molta differenza in questo. Entrambe mirano ad emozionare. >>.

    << Perché hai dato il nome di una mia canzone al tuo libro? >>, chiese di getto e senza preamboli.

    << Mi stai intervistando? >>, tergiversai, prendendo tempo. 

    << Per una volta passo dall’altra parte. >>, scherzò, per poi tornare serio, attendendo.

    << È tra le mie canzoni preferite e l’ho ascoltata mentre scrivevo… mi ispirava molto. >>.

    William mi scrutò sorpreso.

    << L’hai usata per tutto il libro? >>.

    Risi.

    << A volte la cambiavo. >>. Solo per ascoltare altre canzoni dei Lucifer.

    << E quando l’ascoltavi maggiormente? >>.

    << Per le scene d’amore e in quelle tristi. >>.

    << Questo libro ha un epilogo triste? >>.

    È proprio un’intervista, allora?

    << Le mie storie non hanno mai un epilogo triste. Starei male io stessa se una delle mie storie finisse male. Sono una persona da happy ending… la vita è già terribile di suo… scrivo proprio per evadere da questa realtà e portare il lettore nella mia fantasia. >>.

    Una volta arrivati al bar, l’interrogatorio continuò senza alcuna interruzione e dopo aver saziato la curiosità di William per quanto riguardava il libro, passò alla mia vita personale.

    << Scusa l’invadenza. >>, ribadì per l’ennesima volta, picchiettando l’indice sul cucchiaino in bilico sulla tazza, ormai vuota, della cioccolata.

    Solitamente avevo difficoltà a parlare di me, di com’ero e del passato, ma con lui era assurdamente semplice e poi era William Light, come potevo smettere di raccontargli, se per la prima volta c’era qualcuno ad ascoltarmi?

    Saltai solo gli episodi più brutti: per quelli non ero pronta.

    << Com’è l’Italia? >>. Puntellò entrambe i gomiti sul tavolo e tuffò il mento su entrambe i dorsi delle mani, come uno scolaretto diligente che segue attento tutta la lezione.

    << Ci sei stato. >>, gli feci notare, sorpresa, finendo la cioccolata e pulendo le labbra con un tovagliolo di carta.

    Fa che non abbia i denti sporchi., pregavo, trattenendo i sorrisi aperti.

    << Sì lo so, ma non l’ho mai vissuta… di tutti i posti in cui sono stato, non ho mai veramente visto ogni luogo e passato del tempo lì. Conosco bene Helsinki perché la mia vita è qui, per questo sono curioso di sapere che tipo di mondo c’è altrove. >>.

    Sospirai, cercando le parole esatte per descrivergliela.

    << Dipende molto dai punti di vista sai? Magari a te potrebbe piacere vivere lì, però non ti ci vedo: non mi sembri il tipo. >>.

    Gli occhi di William brillarono, totalmente assorto dalla conversazione.

    << E che tipo sono, secondo te? >>.

    Pensai bene a cosa dirgli, combattendo assiduamente la parte fan di me che voleva emergere.

    Evitai di propinargli la solita nenia del sei bellissimo, probabilmente lo sapeva già e non era questo quello che voleva sentirsi dire. Non parlavamo di esteriorità, ma di quello che aveva dentro.

    << Hai presente la canzone Dark Blue, di Jack’s Mannequin? La parte che dice sei mai stata da sola in una stanza affollata? Ecco io penso che tu sia così: solo, dentro una stanza affollata. Attorno a te c’è tanta gente, gridano il tuo nome, ti amano, pretendono di conoscerti, ma nessuno ti fa sentire davvero importante e non parlo di fama, ma dell’essere importante per qualcuno che vede davvero come sei e resta… nonostante tutto. Saresti il nonostante tutto per cui vale la pena soffrire le pene dell’inferno e combattere tutti i demoni che ti abitano l’anima. >>.

    Se fossimo stati in un ristorante, anziché in un bar, mi sarei aspettata che da un momento all’altro sarebbe balzato fuori il violinista per rendere quella smielata dichiarazione ancora più zuccherosa e palese.

    I suoi occhi grandi, furono riempiti dalla speranza nata dalle mie parole.

    Sorrise come se non potesse farne a meno e io gustai appieno la sua luce.

    << Sei proprio una brava scrittrice: ci sai fare, eh? Mi hai praticamente descritto. Di demoni ne ho molti, ma non sono riuscito a sopportarli o a combatterli. >>. Il fatto che si stesse aprendo con me, lo reputai più che un buon sogno e frenare la gioia incommensurabile fu una vera impresa titanica. 

    Scossi la testa energica.

    << Non devi combatterli da solo, ma insieme a qualcuno. Poi penso che sei molto più di quello che ho detto… non ti conosco, quindi so che c’è dell’altro.>>. Sorrisi dolce e lo guardai dritto in quelle iridi di giada e lui sorrise di rimando, illuminandosi. 

    << Perché non hai voluto dirmi che il tuo libro era stato pubblicato anche all’estero? >>, domandò poi, incrociando le braccia sul tavolo e cambiando velocemente l’espressione facciale.

    L’aveva capito e ciò mi colse alla sprovvista. 

    Ero sempre stata brava a mentire quando serviva e l’essere stata scoperta mi stupii piacevolmente. Potevo contare sulle dita di una sola mano quelle sporadiche persone che erano riuscite a sorprendermi.

    Avevo costruito un muro attorno a me e chi riusciva a vedere attraverso i mattoni spessi, era oggetto di molte mie attenzione e quasi mi aspettavo che William facesse parte di quella stretta schiera di rarità. Le mie previsioni non erano

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