Lo sguardo nel buio
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Lo sguardo nel buio - Fabio Marazzoli
Capitolo uno
Era una serata di fine settembre.
Il commissario Cantagallo, appoggiato alla ringhiera della sua grande terrazza, osservava il buio che si allungava verso il paese e si godeva il fresco della sera.
Alle sue spalle, nel soggiorno, Iolanda discorreva nella consueta telefonata settimanale con sua sorella e Luigi disegnava dei personaggi manga di sua invenzione con carta e penna.
Così, come tutti i dopocena che Dio metteva in terra da qualche tempo a quella parte, i Cantagallo erano in attesa del film di prima serata.
Nel frattempo, il commissario scrutava il buio e gli tornavano in mente certi suoi pensieri ricorrenti sul potere ingannatore della sera. A pensarci bene, cos’era l’oscurità? L’oscurità era tutto un trucco della notte per camuffare le magagne della realtà che erano illuminate dalla luce del giorno. Infatti, la luce faceva risaltare i difetti delle cose, mentre l’oscurità li sapeva ben occultare, celando pecche, manchevolezze e altri guasti non visibili nel buio.
A Cantagallo non piaceva la notte, il buio in particolare. Nell’oscurità si annidavano i criminali: era un dato di fatto conosciuto da tutti, anche da chi non fosse un poliziotto come lui. Nel buio, i delinquenti si sentivano autorizzati a compiere furti e delitti, come se quella cappa oscura li avvolgesse, li proteggesse, nascondendoli alla vista. La notte era una specie di lasciapassare per coloro che del crimine ne avevano fatta una scelta di vita e l’oscurità diventava una sorta di maschera, dietro la quale si nascondevano i criminali per agire indisturbati. La sua repulsione nei confronti della notte non era una deformazione professionale, ma una vera e propria avversione naturale. Il calare della notte spesso induceva le persone a compiere dei crimini che difficilmente avrebbero commesso durante il giorno. Tale condizione era conosciuta come stato crepuscolare
ed era per tutto simile al sonnambulismo, ma poteva mettere le persone nelle condizioni di uccidere. Quindi, per il commissario era indubbio che di notte tutto potesse accadere, omicidi compresi, anche se di recente, in paese, non ce ne erano stati. Cantagallo, però, non si faceva troppe illusioni e già immaginava che da un momento all’altro gli sarebbe piombato un omicidio fra capo e collo. Non era un banale fatalismo. La sua esperienza gli faceva supporre che prima o poi sarebbe capitato: era nel normale corso delle cose della vita. E quando sarebbe accaduto? Non si dette una risposta e, quasi a cercarla in quel buio dove probabilmente si nascondeva, continuò a tenere lo sguardo fisso verso l’oscurità.
In quella serata, però, non era il solo a cercare una risposta nel buio.
«Bice! Bice! Vieni qua, piccolina! Dove sei?».
Una signora anziana, disperata, cercava nei vicoli del paese la sua piccina. L’età della donna e l’oscurità dei luoghi angusti mal si coniugavano con la certezza del ritrovamento.
«Dove ti sei cacciata? Birbona, ti avevo detto di non allontanarti!».
Era sempre così fra nipoti e nonni. I nonni davano un dito e i nipoti si prendevano il braccio. Ma non si poteva chiedere di più a delle piccole creature innocenti.
«Brutta vigliacca che si va sempre a nascondere! Se ti prendo, ti faccio il pelo e il contropelo!».
Ma l’anziana donna cercava una nipotina smarrita?
Forse, probabilmente.
Poi si rivolse all’amica che l’aveva accompagnata nella spedizione di recupero.
«Ovvia, Leontina! Fai qualcosa! Non star lì con le mani in mano! Aiutami a ritrovare la piccolina!».
L’altra signora, anziana pure lei e un po’ malferma sulle gambe, la seguiva alcuni passi indietro con una torcia accesa in mano ed era poco convinta nella riuscita della missione.
«Oh, Primetta!» e scuoteva la torcia. «È inutile che ti agiti tanto. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima. È settembre, è caldo ed è sempre la stagione degli amori. Non te lo ricordi più che in questo periodo Bice scappa sempre per qualche giorno per andare a fare l’amore con quel gatto che ha una macchia nera sull’occhio?!».
Era proprio una nipotina quella che stavano cercando?
Sicuramente no.
Non si trattava di una bambina che si era allontanata, ma di una gatta che era sfuggita di casa alla signora Primetta Brogioni, la gattaia del vicolo San Giorgio di Collitondi.
Primetta tolse di mano la torcia all’amica, con uno strattone tale che rischiò di buttare in terra Leontina. Poi puntò la torcia e illuminò intorno. In basso, dietro un angolo scuro di una stradina, vide scodinzolare la coda nera della sua gatta. Si avvicinò e si abbassò per prenderla di sorpresa.
«Ti ho presa, finalmente, birbona e girellona d’una gatta!».
Mentre l’acchiappava sollevò gli occhi e lanciò un grido di terrore.
«AAAHHH!!!».
Leontina non resse all’urlo di terrore. Fu colpita da un malore e stramazzò a terra.
Il corpo di un uomo, immobile, era disteso sulla strada a faccia in su. In terra, accanto al corpo, c’erano un cappello, un paio di occhiali neri e un bastone bianco da cieco ancora stretto nella mano destra. Un rivolo di sangue dietro la testa faceva capire che per lui non c’era più niente da fare.
La Polizia fu avvertita subito e dopo un po’ tutti gli addetti ai lavori furono sul posto, anche gli uomini della Polizia Municipale con il loro comandante Cherubini.
«Buonasera, Cantagallo» fece il comandante quando vide arrivare il commissario. «Un delitto orribile. Ma come si fa ad ammazzare un uomo cieco? Una rapina andata male?».
«Buonasera, Cherubini» scuotendo il capo. «Proprio una brutta vicenda. Rapina? Forse.».
In quel mentre arrivò anche la vice, la dottoressa Turchi.
«Che è successo?».
«Hanno ucciso un uomo, un cieco. Forse a scopo di rapina, ma è troppo presto per dirlo».
«Un cieco?».
«Sì, un cieco. Anche stavolta ha scoperto tutto la Brogioni mentre cercava la sua gatta».
«Ma è incredibile! Allora, è davvero