Storie dall'era della disumanità
By Mirco Rosga
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Ad esempio:
Il tunisino nazista Muhammad Adolph giunge in Italia su un barcone di immigrati clandestini. Nella nuova patria tenta di realizzare i suoi ideali di vita, ma iscriversi alla Lega Federalista Secessionista Padana e Celtica potrebbe non bastare.
Nella Gerusalemme di duemila anni fa la cena in pizzeria di una banda di debosciati diventa un’incursione nella Storia.
Se il Cavalier Mejcojoni finisse all’inferno ci si troverebbe così male?
Un angelo bussa alla porta della casetta di Vita e Morte e rischia di far vacillare l’equilibrio che regola il loro tranquillo menage familiare.
Sono solo alcuni dei temi toccati dalle Storie dall’Era della Disumanità. Un’era di efficienza e sana competitività, con l’Uomo protagonista assoluto.
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Storie dall'era della disumanità - Mirco Rosga
assoluto
© Copyright 2013 Mirco Rosga
Tutti i diritti appartengono all’autore.
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso didattico o interno, se non autorizzata dal detentore dei diritti.
Le Storie dall’Era della Disumanità sono frutto della fantasia dell’autore. Tuttavia, non è detto che ogni riferimento a fatti o personaggi reali sia da ritenersi puramente casuale.
Immagine in copertina tratta da una fotografia dell’autore.
Edizione digitale: febbraio 2014
ISBN: 9788868857455
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Indice
Presentazione
Le mille e una disumanità
Le mirabolanti avventure del giovane Muhammad Adolph Lamri ovvero La capanna dello zio Adolf
Primo intermezzo
La pizzeria di Giudea
Secondo intermezzo
Achille contro Ettore (e viceversa)
Terzo intermezzo
Il Cavalier Mejcojoni all’inferno
Quarto intermezzo
Racconto di Natale
Quinto intermezzo
Cappuccetto Nero (una favola con morale)
Sesto intermezzo
Dialogo tra Cristo e il Cavaliere
Settimo intermezzo
La stagione dei saldi Anno Domini 2007
Ottavo intermezzo
Vita & Morte
Conclusione
PRESENTAZIONE
Tutte le Storie dall’Era della Disumanità potrebbero iniziare con C’era una volta…
ed essere considerate delle fiabe. Una, dichiaratamente, lo è fin dal titolo. Brevi apologhi il cui tracciato non necessariamente si chiude con una morale.
Queste fiabe, destinate ad adulti non incagliati nella maturità, sono state scritte nel pieno dei cosiddetti Anni Zero – dal gennaio 2003 all’ottobre 2008 – e, benché non tutte vi siano ambientate, credo che ognuna ne abbia subito l’influsso. Ho intinto la penna nel sangue colante dalla croce che noi stessi portiamo, per così dire. Formidabili davvero, quegli anni, così spietati, disumani, feroci¹, forieri dell’epoca che stiamo vivendo, tanto gravida di avversità e di risicate speranze – almeno per quel palcoscenico chiamato Occidente – e che tuttavia vale la pena di vivere, se non altro per la curiosità di vedere come andrà a finire.
I racconti sono nati in occasione di pubbliche letture o di serate tra amici. L’elemento comico-satirico doveva rendere piacevole il mio intervento o, almeno, tener desta l’attenzione dell’uditorio, possibilmente salvaguardando il germe della riflessione. Se i racconti qui riuniti parimenti riusciranno a tener desta l’attenzione del lettore l’obiettivo primario sarà raggiunto. Spero allora sopravviva anche il germe della riflessione.
Il tunisino nazista, protagonista del primo racconto, attraversa, suo malgrado, il Mediterraneo di ieri – e di oggi – su un barcone carico di emigranti clandestini. Il suo sguardo, deformato dal filtro degli ideali nazisti, coincide incredibilmente con quello di certo populismo contemporaneo. E il successivo soggiorno in Italia non migliorerà la sorte del povero Muhammad Adolph.
In La pizzeria di Giudea vengono inscenati avvenimenti di oscuro fondamento storico, però investiti di eccezionale importanza nel corso degli ultimi duemila anni. La rivisitazione non rispetta nessuna regola di buona creanza e nessuna tradizione storica. Perché il diritto di reinventare fatti storici o ricamarci sopra non è privilegio solo di alcuni.
Achille contro Ettore (e viceversa) disloca le vicende dell’Iliade in terra di mafia e disvalori contemporanei, tra faide e discoteche.
Nel quarto racconto un arcinoto notabile italiano finisce all’inferno, ad affrontare i propri referenti etici e culturali.
Il Babbo Natale del quinto racconto, per quanto disadattato, è uno strumento assai efficace nelle mani di poteri sfacciatamente consapevoli dei vantaggi che procura loro il patrimonio culturale consumistico.
Cappuccetto Nero è protagonista di una favola de-moralizzata dove, insieme ad altri personaggi allo sbando, è coinvolta in vicende più grandi della propria imbecillità.
In Dialogo tra Cristo e il Cavaliere un breve scambio di battute mette a confronto differenti ideali di vita, sempre attuali.
La Stagione dei saldi presenta le dinamiche del mondo politico italiano durante un periodo ormai cruciale per l’orologio biologico dell’uomo occidentale.
In Vita & Morte, i massimi sistemi incarnati in umane sembianze risolvono umanissime faccende con disumana leggerezza.
Infine c’è la vicenda che funge da cornice ai racconti, Le Mille e Una Disumanità, l’unica scritta tra il 2012 e il 2013, che ha come protagonista un pontefice, o più semplicemente un soggetto detentore di parecchio potere, in un futuro dove la realtà ha preso il sopravvento sulle aspirazioni.
In parecchi noteranno che sovente la narrazione sconfina nei vasti territori del cattivo gusto. Senza dubbio è così, ma ho deciso di lasciare queste storie così come sono nate. La vita generalmente non è di buon gusto. Inoltre, colui che dorme è più facile sia svegliato da una crassa risata che non da un educato sorriso.
Sono lieto che l’ultima frase di questo libro sia una domanda.
Buona lettura.
Novembre 2013
Mirco Rosga
Questo libro è dedicato al Circolino di via Paradiso 8, Bologna.
È iniziato tutto da lì.
Senza quelle serate e
quelle persone il libro che
avete fra le mani forse non
avrebbe visto la luce.
Quindi non è solo colpa mia.
È dedicato inoltre
a Matteo
e a Lori.
Avreste riso parecchio.
LE MILLE E UNA DISUMANITÀ
Non c’era una volta, bensì ci sarà, forse, un papa che affermava fosse il peggior peccato dell’uomo togliersi la vita di propria volontà. Questo pontefice – Giordano Bruno IV il suo nome – riunì alla sua corte nove persone che avevano tentato di suicidarsi. Il loro tentativo era andato a vuoto perché al momento cruciale erano stati fermati da alcuni sofisticati robot agghindati come le guardie svizzere del tempo che fu e comandati a distanza dai tecnici del Vaticano.
Giordano Bruno IV entrò con passo sicuro nel salone, dove intorno ad un tavolo rettangolare sedevano quei nove che avevano provato a togliersi la vita, mani e piedi legati, la bocca sigillata da nastro adesivo. Il pontefice si sedette a capo tavola, su uno scranno non più grande e non più ricco di fregi delle sedie dei prigionieri, poiché egli era assertore della frugalità e amava condividere stile e abitudini della gente comune. Al suo fianco si sedettero due alti prelati. Ai lati della porta da cui erano entrati si posizionarono due guardie svizzere meccaniche, forse gli stessi robot che avevano vanificato i tentativi di suicidio.
«Che Dio non abbia pietà di voi!» proferì Giordano Bruno IV con voce stentorea.
I nove astanti, con la bocca incerottata dal nastro adesivo, non ebbero nulla da replicare.
«Pensavate che questa lercia vita fosse affar vostro e non del Signore, vero?» aggiunse con una risata gorgogliante. «Avete sperato di bruciare nelle fiamme dell’Inferno insieme alle migliaia di suicidi che vi hanno preceduto, vero?» Una pausa, per guardare negli occhi i suoi ascoltatori. «Così non è, miei cari. Vi abbiamo fermati proprio sull’orlo del precipizio». Ancora una breve pausa, poi domandò: «Qualcuno di voi peccatori crede in Dio?» L’occhio indagatore del pontefice si posò su ciascuno dei nove.
Uno solo prese a mugolare e scalciare per attirare l’attenzione. Il pontefice con un gesto ordinò a una delle guardie svizzere meccaniche di rimuovere il nastro adesivo dalla bocca del mancato suicida, esecuzione che comportò il distacco, doloroso, di qualche pelo della barba. Il prigioniero tirò un grosso sospiro e dichiarò: «Io sono credente!»
Giordano Bruno IV gli rivolse un sorriso pieno di denti aguzzi e rispose: «Be’, io no». Anche i due prelati mostrarono un largo sorriso, mentre lo sconcerto si dipingeva sul volto del suicida fallito, il quale, se mai ne avesse avuta l’intenzione, non poté replicare poiché gli fu nuovamente incerottata la bocca. Il pontefice passò in rassegna i convitati con un flemmatico sguardo di derisione: «Non starò a nascondervi che secondo me siete dei poveri di spirito, nonché rappresentanti della cosiddetta feccia. Tu in particolare» segnò con l’indice quello che aveva dichiarato di essere credente. «Tuttavia, non intendo essere così crudele da negarvi in maniera assoluta il gesto estremo frutto della vostra volontà. Sono disposto a concedervi di realizzare il vostro proposito a questa condizione: ognuno di voi dovrà sollazzarmi con la storia più divertente che sia in grado di immaginare, poi io giudicherò se tale storia sarà abbastanza divertente da far meritare a colui, o colei, che l’avrà narrata il diritto di suicidarsi liberamente. A chi, invece, non verrà in mente nulla da raccontarmi sarà negata la possibilità di por fine alla propria permanenza in questa valle di lacrime. Questo è quanto» concluse. «Nessuno ha nulla da replicare, mi sembra» aggiunse rivolgendo l’ennesimo ghigno agli astanti dalla bocca incerottata. «Chi vuole iniziare?»
I nove derelitti si scambiarono occhiate irrequiete, ciascuno nella speranza che un altro facesse intendere di voler prendere la parola. Trascorsi un paio di minuti senza che un volontario si facesse avanti, Giordano Bruno IV, sbuffando visibilmente spazientito, riprese la parola: «Visto che nessuno di voi ha il coraggio di incominciare – forse perché trovate più semplice buttare tutto all’aria e farla finita anziché esaudire la mia richiesta mettendovi in gioco – sarò io a scegliere. Tu» indicò in mezzo ai nove un signore sulla cinquantina, con gli occhiali, vestito con compassata eleganza, dai capelli pettinati con la riga da una parte, «tu sei un giornalista. Senz’altro sei abituato a inventarti delle storie, inizia tu. Cerca di tirar fuori un racconto divertente, altrimenti giuro che non solo ti precluderò il suicidio, ma farò in modo che la vita ti sia allungata quanto più permette