Non toccate quella bambina!
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Non toccate quella bambina! - Albina Mamprin
Albina.
ANDRA’ TUTTO BENE PICCOLA MIA
"Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera.
Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo.
Recitando a memoria quella poesia per l’ennesima volta Albina non poté fare a meno di pensare a quanto l’avesse sempre amata. In soli tre versi infatti è racchiuso l’intero universo della solitudine umana; l’unica speranza è, forse, proprio quel raggio di sole. Albina sperava, o amava sperare, che un giorno avrebbe avuto la forza di cogliere l’attimo e conservare la luce prima che sfumasse, come al solito nell’ennesima sera. Magari non oggi, non domani, e nemmeno dopodomani, ma un giorno ce l’avrebbe fatta.
La solitudine era sempre stata una vecchia amica per Albina, con cui però era sempre stato difficile avere a che fare. Un malessere necessario, un silenzio assordante nel deserto dell’indifferenza.
Da bambina, Dina, catturava l’essenza di quella solitudine, senza però riuscire a darle un nome. Solo lei poteva riconoscerla, fiutarla fino in fondo in quei lunghi corridoi, dove vagava inosservata da quel silenzio in cui le ricordava di non esistere per nessuno. Sensazioni vere, certe e innominate, illegittime a volte anche bastarde, in quella struttura dove, più che ospite, si era sempre sentita prigioniera.
Vivere nell’orfanotrofio con altri bambini come lei, segnati, fin da piccoli, come diversi, definiti e collocati dalla società, da un’infanzia abbandonata basata sull’isolamento. Si sentiva dentro vuota, depredata dall’assenza di presenze affettive. Era stato così difficile per lei vivere in quel modo, come difficile era dimenticare quel posto dove il vuoto rimbombava assordante in ogni stanza, persino in quella chiesetta dove pregava insieme a quell’uomo alto e magro, dall’aspetto trascurato. Vestito semplicemente di grigio, con quella giacca di una misura più grande, con quei pantaloni di una misura più piccola, sostenuti da una cintura logora, con quel buffo cappello, era l’unico contatto che riceveva oltre quelle mura. Nessuno le aveva spiegato chi realmente egli, e lei non l aveva mai chiesto, perché era una delle tante cose che non si doveva sapere. Riconosceva quella camminata, dal rumore particolare di quelle stampelle, lenta e cadenzata. In quegli occhi lucidi e tristi, Dina si perdeva in un sorriso dietro a quel dolore. Rimanevano in silenzio, nella chiesetta, diventata la loro tappa fissa, inginocchiati davanti a quel crocefisso che sembrava conoscere quella sofferenza, in quelle lacrime dannatamente presenti in ogni loro respiro.
Dina chiese a quell’uomo:
Perché preghiamo davanti a quel crocifisso?
.
Voltandosi, indicò il crocefisso con la mano:
Vedi, quello è Gesù, di lui ti puoi fidare, lui ti ascolta e sarà sempre con te, ovunque tu sia
.
Davvero? Non mi lascerà mai sola?
La curiosità per quella bambina era l’unica cosa che la rendeva viva, così si mise a correre in ogni stanza, dalla mensa, alle aule, ai dormitori, nei corridoi, in cucina, ed in qualsiasi posto vi trovava il crocefisso. Stupita ed incredula, cominciò ad urlare:
E’ vero, c’è in ogni posto!
Quell’uomo aveva condiviso assieme a Dina un sogno, in cui poter credere, per vivere in quella realtà che lo stava uccidendo lentamente.
Prendendo la mano di quell’uomo, Dina disse:
-Vieni con me che parliamo con Gesù
-
- Mi senti Gesù? Dove sei? Da quanto tempo sono qui?Mi vuoi bene?E’ vero che non mi lascerai mai sola?
Da quel che ricorda, il tempo, per lei, era l’unica cosa certa, come quei suoi primi passi iniziati proprio lì, così da sembrare che la sua vita fosse iniziata proprio in quell’orfanotrofio, dal desiderare di ricevere affetto, da quella sensazione di abbandono diventata oramai insopportabile, si aggrappò a quel crocefisso come ultima speranza.
Quelle domande rimasero senza risposte, avvolte da un lungo silenzio sospeso nel vuoto.
Dina guardò quell’uomo e disse:
-Forse devo urlare più forte,..forse non mi ha sentito...
-
Quell’uomo rimase sorpreso nel vedere quella bambina dai capelli chiari nella sua ingenuità, e semplicità, nel voler parlare a tutti i costi con un crocefisso. Abbozzando un sorriso, lasciò che Dina si rivolgesse a Gesù a gran voce.
Stanca di urlare senza avere risposte da Gesù, guardò l’uomo con stampelle e cominciò a prendersela con lui battendo i pugni sul suo petto:
Mi hai detto una bugia! Sei un bugiardo!!Gesù non esiste!! Bugiardo!!Perché nessuno mi vuole?
Impotente di fronte a quel pianto, quell’uomo lasciò che Dina si sfogasse. Poi con fatica, si inginocchiò davanti a lei e asciugando le sue lacrime disse:
Nel tuo cuore trovi Gesù e finché lo terrai nel tuo cuore non sarai mai sola
.
Aprendogli la manina, che Dina aveva tenuta chiusa, la mise nel suo petto.
Dina non poteva capire in quel momento quello che quell’uomo le voleva dire, ma col tempo riscoprì l’essenza di quelle parole, incanalandola nella sua fantasia, ricercandola nel suo cuore, identificandola in tutto ciò che vedeva.
Sono proprio quei momenti, piccoli momenti che lei non dimenticherà, così piccoli da pensare che non sono niente, invece rimangono più forti di altri. In quei brevi incontri quasi sfuggenti con quell’uomo, da quei gesti semplici, ed umili, Dina si sentiva parte di lui.
Nella sua ingenuità si chiedeva cosa lui sentisse per lei, poiché non poteva capire la confusione del suo sentimento in quell’uomo tanto bisognoso, tanto da voler quasi regalare se stessa pur di vederlo sorridere, sorridere con lei, per lei.
Albina sorseggia, lentamente, in modo quasi distratto, la cioccolata. Lo sguardo fisso in quei ricordi. Appoggia il bicchiere, gioca con il manico della tazza, sbadatamente il dito si incastra. Osserva il dito, ed un ricordo confuso tra le ombre della mente la porta nuovamente indietro, in quel lungo corridoio oltrepassato più volte da quell’uomo, come inghiottito per poi dissolversi nel buio. Quasi ogni giorno, Dina, rimaneva seduta ad aspettarlo inutilmente in quella piccola sala d’attesa, giocherellando con quelle sedie del ‘500, dalla forma a X, convesse in basso e concave in alto terminate da poggioli a bocca di leone. La sua fantasia la portava dentro l’immaginazione in cui solo una bambina sapeva entrare, in quel mondo fantastico che spontaneamente sapeva inventare. Immaginava la storia di quelle sedie così diverse dalle altre, così elegantemente aristocratiche da pensare che in passato vi fossero sedute persone importanti, come principi. In quelle lunghe attese rimaneva a guardare quel leone dalla bocca aperta, e, come una sfida, si divertiva a mettere con facilità il suo dito in quel buco, per far vedere a se stessa di non aveva paura. Nel tempo lo faceva ogni volta che poteva, finché il dito si incastrò perché era cresciuto, come era cresciuta lei.
Albina guardò quel dito nella tazza ritornando nel presente e si chiese :
- è possibile calcolare la distanza che separa il presente dal passato?
-
Abbozzando un sorriso, si rispose:-La distanza è nulla, se in mezzo ci sono i ricordi
-.
Impossibile non ricordare, come non ricordare il tempo trascorso guardando fuori seduta in un angolo della finestra rannicchiata su se stessa. Il silenzio, la noia, il tempo passava lento e ogni momento Dina svogliatamente lo viveva in funzione di esso. Scappare fuori da quelle mure vecchie e ammuffite, rifugiarsi nel giardino, era l’unico modo dove si sentiva a casa, dove percepiva che la sua esistenza aveva un senso, almeno per lei, solo per lei. Ormai le suore sapevano dove trovarla in quelle lunghe assenze che ogni tanto faceva. Le piaceva stendersi sull’erba ad osservare le nuvole. Con lo sguardo fisso contemplava quel cielo tuffarsi nell’azzurro, teneva le braccia aperte rubando un abbraccio per tenerlo stretto a sé, per non condividerlo con nessuno. La fantasia la portava a volare via, come le nuvole danzavano nel cielo. La realtà era invece il sapore della fame, che le attorcigliava lo stomaco fino a farla svenire, la paura riconosciuta dal rumore inconfondibile dello strisciare sul pavimento dell’orlo di una veste nera, chiamata veste religiosa. Il silenzio buio della notte era il grido di Dina quando le suore la toccavano.
In quei ricordi congelati nella sua mente il tempo, ha lasciato dei lividi dentro Dina, quelle cose che nessuno sapeva, solo perché non avevano mai provato ad ascoltarla, solo perché non sanno com’è e cos’è. Costretta a vivere senza spazio, senza tempo, immersa in quella vita piena di emozioni a volte piacevoli, ma vivendoli con le stesse sensazioni dei meno piacevoli.
Divieti, punizioni tutto; era reato, e la severità doveva apparire invisibile e leggera. Ognuno ritagliava dei piccoli momenti, nell’arco della giornata, per assaporare, nella sua completezza, briciole di serenità. La serenità la si poteva trovare nelle piccole cose osando, disubbidire alle suore, infrangere come il divieto di assaporare la nutella senza il loro permesso, quella Nutella che ogni tanto le veniva regalata da un ragazzo più grande di lei. Come quasi una peccatrice si costringeva a nascondersi in bagno, e avida la faceva sciogliere lentamente in bocca pur avendo gran fretta per non essere scoperta, il piacere del sapore e della disubbidienza alla suora superiora gli rimaneva per tutta la giornata. Osare per vivere: ridacchiava, uscendo dal bagno, senza sapere quanto fossero evidenti le tracce lasciate dalla nutella sul suo volto. Fa sorridere e piangere nello stesso tempo questo ricordo, ma infrangere queste regole era voler spegnere il mondo attorno a sé, non sentire più nulla, per accendere lievi sorrisi della durata di pochi minuti prima di essere rinchiusa in quei sotterranei umidi, bui e freddi. Perdina! Ne valeva sempre la pena. In quella cucina le tentazioni erano troppo forti per resistere: entrava in punta di piedi come una ladra dimentica del divieto, trattenendo il fiato. Un panino lasciato sopra il tavolo, chissà se veniva lasciato li per caso o era un atto caritatevole da parte di qualche suora buona
. Non aveva importanza, e Dina il perché fosse li non se lo domandava più di tanto. Il divorarlo aveva il sopravvento, nascosta sotto il tavolo della cucina, con una foga tale da non lasciare spazio al gustarlo lentamente.
Un panettone e la bottiglia di spumante erano come la trappola con il formaggio per il topo. Dina non poteva resistere e nell’ingordigia