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Saggi
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I Saggi di Montaigne, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1580, hanno dato il nome ad un genere letterario e rappresentano uno specialissimo e personalissimo autoritratto dell’autore. La successione dei capitoli non segue un principio logico o sistematico; al contrario, gli argomenti vengono affrontati secondo le particolari esigenze della conversazione che Montaigne intrattiene soprattutto con sé stesso. Questo modo di argomentare riflette la convinzione dell’autore per cui la filosofia non è l’esposizione di un complesso sistema di conoscenze, ma l’esercizio critico e continuo delle facoltà umane. Nei Saggi Montaigne modernizza la classica visione scettica mostrando di essere interessato più ad un uso pratico della filosofia che a soluzioni teoriche. Questa edizione comprende solo la traduzione di alcuni capitoli scelti e non l’opera integrale.
LanguageItaliano
Release dateAug 6, 2015
ISBN9788874174577
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    Saggi - Montaigne

    Saggi

    Montaigne

    In copertina: Anonimo, ritratto di Montaigne, 1590

    © 2015 REA Edizioni

    Via S. Agostino 15

    67100 L’Aquila

    www.reamultimedia.it

    redazione@reamultimedia.it

    www.facebook.com/reamultimedia

    A cura di Fabrizio Cristallo

    Questo e-book è un’edizione rivista, rielaborata e corretta, basata su una traduzione reperita tramite il Servizio Bibliotecario Nazionale. La casa editrice rimane comunque a disposizione di chiunque avesse a vantare ragioni in proposito.

    Indice

    I – Iscrizione

    II – Al lettore

    III – Della Presunzione

    IV – Le passioni ci spingono sempre oltre noi stessi

    V – Dell’ozio

    VI – Bene e male dipendono in gran parte dall’opinione che ne abbiamo

    VII – Filosofare vuol dire prepararsi a morire

    VIII – Il profitto dell’uno è di svantaggio per l’altro

    IX – Dell’amicizia

    X – Dei cannibali

    XI – Della solitudine

    XII – Della gloria

    XIII – Dell’ineguaglianza esistente fra gli uomini

    XIV – Dell’incostanza delle nostre azioni

    XV – Apologia di Raymond Sebond

    XVI – Come il nostro spirito sia d’impaccio a sé stesso

    XVII – Del pentirsi

    XVIII – Sopra alcuni versi di Virgilio

    XIX – Quanto sia scomoda la grandezza

    XX – Della vanità

    XXI – Dell’abitudine e del non cambiare facilmente una legge ricevuta

    XXII – Della collera

    XXIII – Della pedanteria

    XXIV – Sull’istruzione dei fanciulli

    I – Iscrizione

    {1}

    L’anno di Cristo 1571, in età di trentott’anni, alla vigilia di calendimaggio, anniversario della sua nascita, Michel de Montaigne, da gran tempo annoiato dalla schiavitù della Corte, del Parlamento e delle cariche pubbliche, sentendosi ancora in forze, si trasse qui in disparte per riposare nel seno delle dotte Vergini, nella calma e nella tranquillità. Qui passerà i giorni, che gli restano da vivere, in questo dolce ritiro paterno, che egli spera di portare a compimento,{2} e che pertanto consacra alla propria libertà, tranquillità e comodità.

    II – Al lettore

    {3}

    (I, 1)

    Lettore, si tratta di un libro onesto, che ti dirà fin da principio come mi sia proposto fini intimi e privati. Non mi illudo di rendere un servizio a te, né di erigere a me un monumento di gloria: non basterebbero le mie povere forze a tanto volo.

    L’ho destinato alla comodità di parenti ed amici: chi mi avrà perduto (e ciò accadrà ben presto) potrà riscontrarvi alcuni tratti del mio carattere e del mio temperamento, e imparerà a conoscermi in maniera più viva e profonda di quanto gli sia stato sinora possibile. Se avessi aspirato al favore del pubblico, mi sarei elogiato meglio, atteggiandomi in modi ricercati. Desidero invece mostrarmi nella mia vera luce, nella mia luce naturale e consueta, senza ricercatezze e senza artifici, perché è me stesso che dipingo.{4} I miei errori compariranno al vivo, e così la mia natura genuina, per quanto me lo consente la pubblica reverenza. Se fossi vissuto tra quei popoli di cui si dice che tuttora operino nella dolce libertà delle primitive leggi di natura, ti assicuro che mi sarei volentieri ritratto tutt’intero e tutto nudo. Lettore, sono io stesso la materia del mio libro; e questa non è una buona ragione perché tu debba sprecare il tuo tempo dietro un soggetto così frivolo e vano. Addio, dunque.

    Dato da Montaigne, il 1° Marzo 1580.

    III – Della Presunzione

    (II, 17)

    Di taglia forte e tarchiata; di volto non grasso, ma pieno; di complessione tra gioviale e malinconica, mediocremente sanguigna e calda;

    Unde rigent setis mihi crura, et pectora villis;{5}

    di salute buona sino a tarda età; raramente disturbato da malanni. Tale ero, benché tale non mi stimi più, da quando ho inforcato il sentiero della vecchiaia, dopo aver superato i quarant’anni:

    minutatim vires et robur adultum

    Frangit, et in partem pejorem liquitur aetas.{6}

    D’ora in avanti non sarò che un mezzo essere: non sarò più io. Mi sottraggo e mi distacco un poco ogni giorno da me stesso,

    Singula de nobis anni praedantur euntes.{7}

    Non mi sono mai distinto per inclinazioni particolari, benché discenda da padre ben dotato e gioviale sino a tarda età. Mio padre non incontrò mai persona del suo rango capace di eguagliarlo negli esercizi fisici: al contrario, io non ho quasi mai trovato alcuno che non mi superasse, salvo nella corsa, dove ero tra i mediocri. Ignoro del tutto la musica; non suono alcun strumento ed ho voce stonatissima. Nel ballo, al gioco del pallone, nella lotta non sono riuscito a raggiungere che una mediocre sufficienza; quanto alla scherma, al nuoto, al volteggio, al salto, zero. Ho mani così pesanti che riesco a malapena a scrivere per me; ma preferisco riscrivere i miei scarabocchi, piuttosto che decifrarli. Né valgo di più nella lettura: quando leggo, mi sento di peso a chi mi ascolta. Per il resto, buon scolaro.{8} Non sono capace di sigillare una lettera e non sono mai riuscito a temperare una penna; non so sedere dignitosamente a tavola, né insellare un cavallo, educare un uccello e lanciarlo, richiamare cani, cavalli, uccelli.

    Il fisico rispecchia insomma, esattamente, lo spirito. In questo non c’è nulla di allegro, ma un vigore pieno e saldo. Resisto alla fatica, ma solo a patto di impegnarmici spontaneamente, e fin tanto che il desiderio mi sollecita,

    Molliter austerum studio fallente laborem.{9}

    Se un piacere non mi allettasse, se la volontà non mi stimolasse liberamente, non farei nulla. Sono congegnato in modo che non stimo nulla al mondo, tranne la salute e la vita, capace di valere i miei sonni tranquilli, nulla degno di conquista a prezzo di sforzi e dolori,

    tanti mihi non sit opaci

    Omnis arena Tagi, quodque in mare volvitur aurum.{10}

    Insomma, il mio spirito è davvero singolare e abituato a suo modo. Non ha avuto sinora né padroni né comandi, e perciò è andato innanzi col passo che più gli è garbato. Ciò mi ha reso delicato e inutile al servizio degli altri, buono soltanto a me stesso. D’altronde, non vi è stato bisogno di forzare la mia natura infingarda e fannullona; la mia fortuna è stata tale, dalla nascita, che mi ci sono potuto arrestare; e tale è stato il mio senno, che ho sentito di possederne abbastanza per il momento in cui ne avessi avuto bisogno. Perciò non ho cercato nulla e nulla ho conquistato:

    Non agimur tumidis velis Aquilone secundo;

    Non tamen adversis aetatem ducimus austris:

    Viribus, ingenio, specie, virtute, loco, re,

    Extremi primorum, extremis usque priores.{11}

    A me basta sapermi accontentare; e questa regola di vita che, se bene osservata, è difficile da praticare in ogni condizione, viene più facilmente rispettata nella povertà che nella ricchezza; forse perché il desiderio di ricchezza, seguendo il corso delle nostre passioni, è più acuito dall’abbondanza che dalla deficienza; e perché la virtù della moderazione è più rara di quella della pazienza. Io mi accontento di saper dolcemente godere soltanto di quei beni che Dio, con la sua liberalità, ha voluto concedermi. Ho avuto sinora da regolare soltanto affari miei; e quando mi è capitato di dover badare agli affari degli altri, mi sono sempre trovato nella condizione di poterlo fare a mio agio e a mio modo, trattandosi di persone che riponevano in me la massima fiducia, che mi conoscevano e non esercitavano pressioni. Talvolta, le persone abili riescono, infatti, a trarre utili servigi anche da cavalli ombrosi e restii.

    Ho trascorso la mia infanzia dolcemente e liberamente, lontano da ogni forma di rigorosa soggezione; in tal modo, il mio temperamento è cresciuto delicato e alieno da ogni sollecitudine. Amo perciò che mi si celino le perdite e le rovine che mi riguardano e sotto la voce «perdita» comprendo anche il prezzo della mia negligenza,

    haec riempe supersunt,

    Quae dominum fallant, quae prosint furibus{12}

    Amo conoscere solo approssimativamente quello che posseggo, per addolorarmi approssimativamente in caso di perdita. Quando manchi l’affetto, prego chi vive con me di raggirarmi e di ripagarmi con buone apparenze.

    La memoria è uno strumento che rende meravigliosi servigi, e senza di cui l’intelletto può compiere a malapena il suo ufficio. A me la memoria manca totalmente. Ogni osservazione mi deve essere fatta a piccole dosi, perché non mi è possibile rispondere globalmente a un quesito complesso. Non riesco a ricevere un incarico senza prendere appunti; e se mi accade di dover ricordare un lungo ragionamento, mi vedo costretto al vile e miserabile mezzuccio di impararlo a memoria, parola per parola, perché, in caso diverso, non mi sentirei sicuro e dubiterei ad ogni istante che la memoria mi giocasse un brutto scherzo. D’altra parte, tale mezzuccio non mi riesce facile. Per imparare a memoria tre versi, mi ci occorrono tre ore, e oltre a ciò, la libertà e la possibilità di mutare ordine a un mio lavoro, di cambiare una parola, variando senza posa la materia, mi rende malagevole ricordarla. Difatti, quanto più mi affido alla memoria, tanto più la memoria mi prende in giro; mi serve soltanto quando la sollecito con noncuranza; se la stimolo, si stordisce; e se comincia a vacillare, più la sondo, più incespica ed annaspa. Insomma, mi serve quando fa comodo a lei, non quando fa comodo a me.

    E quel che mi capita per la memoria, mi accade per altre facoltà. Rifuggo da ogni forma di comando, di ordine, di costrizione. Se mi si costringe esplicitamente a fare ciò che posso fare naturalmente, non lo faccio più. Persino quelle membra che godono d’una certa libertà e autonomia si rifiutano talvolta di obbedirmi, se le costringo a un determinato lavoro; si ribellano decisamente ad ogni ordine costrittivo e tirannico. Così, se talvolta mi è capitato di trovarmi, per la mia libera scelta, in una di quelle compagnie in cui il rifiuto di un bicchiere viene considerato barbara scortesia, mi sono sempre sforzato di apparire buon cavaliere con le dame della partita. Ma quel dovermi forzare oltre l’usanza e il temperamento mi chiudeva la gola al punto, che non riuscivo a mandare giù un solo bicchiere, nemmeno durante il pranzo. Mi sentivo già sazio e dissetato dalle molte bibite che l’immaginazione mi aveva fatto pregustare. Proponete ad un arciere eccellente di dare una prova della sua abilità in cambio della vita: rifiuterà, pensando di mancare al colpo per eccesso di tensione; e così, in luogo di salvare la vita, perderebbe anche la fama di buon arciere. Un uomo che passeggi per una stanza pensando ai casi suoi, farà press’a poco lo stesso numero di passi, tutti di misura pressoché eguale; ma se cammina col proposito di misurare e di contare i passi, troverà che ciò che prima gli riusciva naturale, non gli riesce più quando lo fa con intenzione.

    La mia libreria, che è tra le più belle del villaggio, è situata in un angolo della casa; ora, se mi viene in mente d’andarvi a cercare o ad annotare qualche cosa, per paura di dimenticarla, devo confidarmi con qualcuno, solo che abbia da attraversare il cortile. Se discutendo, oso appena allontanarmi dal filo del discorso, non lo ritrovo più. Sono solito chiamare i servi col titolo della loro carica o col nome del loro paese di origine, perché non riesco mai a ricordare il loro nome di battesimo. Potrei però dire se il loro nome è costituito da tre sillabe, se ha suono aspro, per quale lettera comincia e per quale termina.

    Se riuscirò a vivere ancora un po’, credo che finirò per dimenticare anche il mio nome, come ho dimenticato quello degli altri.

    Sono nato e cresciuto tra i campi e in mezzo al lavoro dei campi; e da quando ho preso il posto di chi mi ha

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