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Come diventare felici con la Divina Commedia - Paradiso
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Come diventare felici con la Divina Commedia - Paradiso

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Come diventare felici con la Divina Commedia
Terzo quaderno. In cosa consiste la vera felicità. Il Paradiso

Argomento della terza cantica è il regnum coelorum, di cui fanno parte gli uomini buoni che hanno superato il loro piccolo io in una dimensione universale e spirituale. Da cosa si riconoscono i buoni, come affrontano le avversità, come le trasformano a favore degli altri, come agiscono per rendere migliore il mondo in cui vivono? L’autrice rivisita i cieli del Paradiso con un’ottica pragmatica e analizza i personaggi celesti per individuare le qualità e le virtù che da sempre contraddistinguono la migliore umanità. L’analisi del testo privilegia il simbolo come chiave della comprensione dei cieli, rivelandone i molti significati e le innumerevoli risonanze; viene inoltre indagata la relazione tra i sette pianeti e le Arti liberali, già segnalata da Dante nel Convivio. In tal modo si fa luce sulla rete nascosta che sorregge e dà senso al mondo celeste, che risulta in verità molto più umano e palpabile di quanto si possa immaginare.
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2012
ISBN9788867552955
Come diventare felici con la Divina Commedia - Paradiso

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    Come diventare felici con la Divina Commedia - Paradiso - Luisa Pinnelli

    articolato.

    Prima parte

    Il cielo della Luna (canti II-III)

    Leopardi nella sua poesia ci ha insegnato a vedere nella luna lo specchio del nostro dolore di vivere. Ma la luna ha le sue fasi e dal novilunio, in cui sembra del tutto assente, arriva per gradi al plenilunio che può rischiarare ampiamente il cielo. Questo fa capire come la luna possa funzionare da specchio di un dolore, che cambia aspetto mano a mano che la nostra coscienza riesce a guardarlo e a farsene una ragione. Leopardi stesso ci mostra la luna sotto vari aspetti: a volte è fredda e indifferente, a volte è consolatoria, a volte si presenta come una giovinetta scostante, altre volte come una madre benigna o matrigna.

    La visione della luna nel Paradiso dantesco, pur nella differenza della prospettiva, presenta alcuni tratti problematici comuni a quella leopardiana. Anche per Dante la luna rappresenta una realtà complessa e ambivalente ed è in qualche modo legata alla sofferenza e alla consolazione. Fondamentalmente la luna ha due volti: uno splendente e verginale, l’altro più oscuro e misterioso.

    La verginità lunare e l’origine delle macchie lunari

    La verginità del corpo lunare sembra dimostrata dal fatto che la Luna accoglie il corpo di Dante senza aprirsi (Per entro sé l’etterna margarita ne ricevette, com’acqua recepe raggio di luce permanendo unita). Questa sorta di invulnerabilità del corpo lunare cela dentro di sé un risvolto psicologico. Infatti allude, come vedremo, a quella specie di interiore solidità che lo spirito lunare mantiene anche quando viene aggredito dalla brutalità del mondo.

    Se la Luna è vergine, deve essere integra e perfetta. Ma allora, chiede Dante a Beatrice, perché dalla terra si vede il corpo lunare cosparso di macchie scure (segni bui)? Il filosofo Averroè aveva interpretato le macchie lunari come falle della materia; una superstizione popolare invece le spiegava coi fasci di spini che Caino portava sulle spalle. Queste due spiegazioni aprono il campo ad una immaginazione negativa: la Luna non sembrerebbe né perfetta sul piano fisico, né felice sul piano psicologico. Tutto questo non va bene. Per questa ragione Beatrice, lancia in resta, parte alla confutazione dell’errore e dimostra a Dante con una complessa spiegazione che la Luna è perfettamente integra e che le macchie sono semplicemente luoghi in cui la luce divina non è piovuta.

    Il lettore si domanderà che importanza possa avere una questione del genere, ma nel Paradiso l’astronomia non è decorativa, è invece sostanziale, perché dal dato astronomico discende tutta la rete dei significati. La questione delle macchie lunari dunque non è affatto peregrina, perché anche gli spiriti lunari nella loro vita hanno delle macchie cioè dei punti oscuri in cui non è piovuta la luce o la grazia divina. Essi infatti in terra per complesse vicende, indipendenti dalla loro volontà, vennero meno al voto di castità, come vedremo dalle loro storie.

    Lo spirito lunare

    Gli spiriti lunari hanno una bellezza particolare, quasi diafana. Dante pensa di avere davanti uno specchio e si volta indietro sicuro di trovare qualcuno, facendo l’errore opposto a quello di Narciso (dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ‘l fonte) che aveva scambiato per reale la sua immagine riflessa nello specchio dell’acqua.

    Perché Dante ha sentito il bisogno di nominare Narciso a proposito dello spirito lunare? Probabilmente in terra aveva immaginato i lunari come anime che si guardano allo specchio, chiuse in una sorta di autocontemplazione (spesso i religiosi sono accusati di egoistico isolamento). Ma può questa frigidità far parte del Paradiso, luogo in cui regna sovrano l’amore di Dio per le sue creature? Assolutamente no. Il narcisismo autistico non può far parte della luna, e lo dimostra un’anima che più delle altre appare vaga di ragionar, cioè desiderosa di comunicare.

    Piccarda Donati

    Dante le chiede notizie sulla sua identità e sulla condizione del primo cielo e lei pronta e sollecita rivela la sua identità e il suo passato monastico: La nostra carità non serra porte a giusta voglia….. I’ fui nel mondo vergine sorella; e se la mente tua ben sé riguarda, non mi ti celerà l’esser più bella, ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda. Si noti lo spirito di carità aperto ad ogni legittimo desiderio.

    Piccarda spiega poi a Dante perché insieme agli altri spiriti faccia parte del cielo della Luna: la ragione sta nel fatto che in vita sia lei che gli altri non sono riusciti a compiere perfettamente i voti. Anche qui c’è come un gioco di luce e ombra: da un lato questi spiriti sono belli e caritatevoli, dall’altro però mostrano come un piccolo neo in questa carenza dei voti. Dante allora ulteriormente interroga Piccarda: Ma dimmi: voi che siete qui felici, disiderate voi più alto loco per più vedere e per più farvi amici? Egli cerca di capire se c’è una sorta di rimpianto, di piccola infelicità, forse di invidia per gli spiriti dei cieli superiori. In pratica vuol capire se Caino abbia lasciato qualche piccolo strascico nella psicologia lunare, che risulterebbe offuscata da una sorta di perenne insoddisfazione.

    Piccarda spiega che lo spirito lunare è felice di quello che ha e non desidera di più. Se desiderasse essere più in alto, sarebbe in contrasto con la volontà di Dio e questo è impossibile nel Paradiso, dove regna l’armonia e il sentimento di reciprocità (E ‘n la sua volontade è nostra pace). Dante si dà per vinto e capisce come ogne dove in cielo è paradiso, etsi la grazia del sommo ben d’un modo non vi piove. Anche se la pioggia della grazia divina è diseguale, ovunque c’è felicità.

    Le cronache del tempo raccontano come questa bellissima fanciulla avesse indirizzato l’anima sua a Dio e avesse fatto voto di castità, entrando nel monastero di Santa Chiara dell’ordine dei Minori. Ella voleva evitare il matrimonio, combinato dai suoi fratelli, con un nobile fiorentino. Ma il fratello Corso Donati, che si trovava a Bologna, saputa la cosa, corse al monastero a prenderla con la forza e la costrinse al matrimonio. Poco dopo la poverina si ammalò e morì. Piccarda, creatura bella e gentile, ha paura del mondo e si rifugia nel chiostro di un monastero, per vivere secondo una perfetta regola di vita. Terrorizzata dal matrimonio con un uomo (che paventa brutale come suo fratello), si rifugia nelle braccia dello sposo invisibile che è Cristo. Ma il mondo se la riprende con la forza. L’impatto è troppo violento e Piccarda ci rimette la vita. Piccarda appare la reincarnazione di Abele, vittima di Caino, come lei di Corso.

    Nel suo racconto molte parole sono dedicate all’esperienza religiosa (Santa Chiara, simbolo di perfetta vita, la regola del suo ordine che indica una norma ideale, l’abito che allude al comportamento esemplare, la dolce chiostra che indica il distacco dal mondo, lo sposo invisibile che è Cristo); pochissime parole invece sono riservate al dramma del rapimento e del matrimonio forzato. La norma è enfatizzata rispetto all’ uso, lo stile di vita impeccabile supera di gran lunga i comportamenti sbagliati di uomini, a mal più ch’a ben usi. La carenza dei voti non dipende da Piccarda, bensì dal mondo in cui è vissuta. Perciò sulla penosa vicenda viene steso come un velo di pietosa discrezione. Si direbbe che nel Paradiso Piccarda abbia ridimensionato la vicenda e non ne sia più toccata. Non è forse questa una conferma della verginità dello spirito lunare, che non è sopraffatto interiormente dal male che ha subìto?

    Ma cosa può significare la vicenda di Piccarda in termini meno letterali? La monaca di clausura protetta dal velo è un’immagine di notevole pregnanza simbolica: il suo matrimonio con Cristo indica l’unione virtuale con l’elemento divino che c’è nella natura umana, il chiostro è uno spazio sicuro e separato dal mondo reale, il velo impedisce di vedere il mondo per quello che veramente è, ne sfuma i contorni, ne smorza i colori, attutendo l’impatto emotivo.

    Quali sono le situazioni-tipo in cui la nostra vita appare così conformata? Non c’è dubbio che il primo chiostro della vita sia l’infanzia. Tutto è tranquillo e sicuro in quel piccolo spazio governato dalla stabile presenza materna e scandito nel tempo dall’andare e venire della figura paterna, mobile ma rassicurante nel suo puntuale ritorno. Anche dall’infanzia improvvisamente siamo strappati, quando percepiamo la fine dell’Eden nella disarmonia di sguardi, voci, gesti che non ci parlano più d’amore, ma di odio, rancore, stanchezza, noia. Il bambino in quel momento diventa un naufrago e comincia la sua odissea nel mondo reale. Quel dolore torna nella vita più volte e ci fa sentire di nuovo naufraghi.

    Questo ci fa capire che chiunque sperimenti il dualismo tra la perfezione di un mondo protetto e la violenza aggressiva della realtà esterna entra in relazione con l’archetipo lunare. Il primo spirito lunare è perciò in assoluto il bambino innocente, che paga sulla sua pelle le modalità più o meno violente con le quali viene tolto alla sua stessa infanzia. A volte anche un bambino si chiude in se stesso come risposta al disincanto.

    Costanza d’Altavilla

    Ma come dal novilunio si arriva al plenilunio, così alla fine del canto vediamo uno spirito lunare che è tutto uno splendore. Ce lo indica Piccarda attraverso la vicenda di una monaca che divenne imperatrice (sorella fu, e così le fu tolta di capo l’ombra de le sacre bende. Ma poi che pur al mondo fu rivolta contra suo grado e contra buona usanza, non fu dal vel del cor già mai disciolta. Quest’è la luce de la gran Costanza che del secondo vento di Soave generò 'l terzo e l’ultima

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