Il riflusso
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Il riflusso - Marco Del Pasqua
Juliet
Capitolo 1
Davanti al portone chiuso della scuola si era assiepata una folla vociante. Nel caldo dei primi giorni dell’agosto 1979 la città era ormai vuota e semi deserta. Parecchie famiglie di studenti, che avevano superato gli esami di maturità, erano già prossime alla partenza per le vacanze dopo l’attesa pubblicazione dei risultati.
Studenti e genitori in fibrillazione scorrevano con le dita i cartelloni con cognomi, nomi, voti riportati con, a fianco, l’espressione maturo
, oppure non maturo
, in cerca della casella con il proprio nome o quello del figlio. Sui loro volti apparivano, secondo le circostanze, sorpresa, soddisfazione o delusione.
Con molta fatica, e qualche spintone, riuscii ad avvicinarmi ai cartelloni. Finalmente intravidi quello della mia classe, la quinta C, e subito cercai il mio nome: Fanni Alessandro; accanto c’era l’agognatissima espressione maturo
ed il voto di cinquantotto sessantesimi, feci un grande sospiro di sollievo e di soddisfazione. Scorsi subito con curiosità gli altri nomi della classe. Tutti i miei compagni avevano superato l’esame. Solo quell’antipatica di Luisella Andini si era presa il voto massimo di sessanta sessantesimi. Il secondo miglior voto era il mio ma credevo che avrei meritato il massimo. Ero certo di essere più bravo dell’Andini ma lei, a differenza di me, teneva un atteggiamento molto servile verso gli insegnanti e, inoltre, come si usava dire all’epoca, non faceva politica
. Una caratteristica tutta italiana quella di premiare l’adulazione penalizzando il merito.
La soddisfazione per il buon voto tuttavia ottenuto si trasformò subito in un certo rancore per aver avuto un voto più basso di quell’insopportabile compagna di classe, che però svanì subito e mi congedai per sempre dalla mia scuola, che mi aveva accolto per cinque anni e fatto crescere. La scuola della protesta, delle assemblee, dell’occupazione del 1977 che mi vide tra i protagonisti. La scuola dello studio, delle amicizie e dei primi amori, dell’impegno in politica nel collettivo politico studentesco. Avevo avuto degli insegnanti stupendi che non si limitavano a insegnare soltanto le materie di studio, ma erano dei veri maestri di vita e maturai molto in quegli anni; mi sentivo ormai un adulto. Ripercorsi con la mente i cortei, le violenze che costantemente condannavo e avversavo, le molotov, la repressione e le cariche delle forze dell’ordine, il timore delle infiltrazioni terroristiche delle Brigate Rosse, soprattutto dopo la scoperta di una stella a cinque punte dipinta con lo spray rosso sul muro della scuola. Non avevo però rimpianto né rimorsi perché ero consapevole di aver lottato per una causa giusta e ora lasciavo il testimone agli altri; toccava alle generazioni future battersi per una scuola e un mondo più giusti. Mi allontanai dalla folla vociante e salii sulla mia Vespa.
A casa i miei genitori si commossero, trattenendo le lacrime, per il buon voto e, nel pomeriggio, ricevetti telefonate di complimenti da alcuni parenti e qualche amico di famiglia e una soltanto da una compagna del collettivo con cui parlavamo spesso: Giulia. Cercai a mia volta di telefonare a qualche compagno di classe per commentare i risultati, ma non riuscii a trovare nessuno; tutti sembravano improvvisamente scomparsi nel nulla.
La sera a cena i miei mi chiesero che cosa mi sarebbe piaciuto ricevere come regalo di maturità. Risposi che non ne avevo idea e che dovevo pensarci con calma.
Dopo cena mi ritirai nella mia stanza, dove ancora regnava il disordine dei libri di testo e dei fogli di appunti sparsi qua e là. Sembrava un campo di battaglia ma a me piaceva così perché non nutrivo alcuna simpatia per l’ordine. Accesi la radio per ascoltare il notiziario; si parlava ancora dell’uccisione del tenente Antonio Varisco da parte delle Brigate Rosse. Eravamo nel pieno degli anni di piombo e attentati, violenze e assassinii politici erano ormai una tragica normalità quotidiana. Mi chiedevo quando sarebbe terminata questa lunga scia di sangue. Seduto alla scrivania, mi stropicciai gli occhi per la stanchezza. Alzai un attimo lo sguardo e, quando la vista tornò di nuovo a fuoco, riconobbi sullo scaffale l’Odissea di Omero. Allungai la mano e afferrai il volume, lo sfogliai leggendo qualche verso. La traduzione di Pindemonte mi divertiva con la sua poesia aulica, ma l’epopea di Troia riusciva ad affascinarmi davvero. Mi ritornarono in mente le gesta di Ulisse che l’insegnante di Lettere ci narrava con passione travolgente.
Un viaggio in Grecia, nella terra di Ulisse! Ecco cosa potevo chiedere per regalo ai miei genitori! Sfogliai l’atlante e cominciai a osservare la cartina della penisola ellenica. Troia bisognava escluderla dal viaggio perché era in Turchia, perciò troppo lontana, ma Micene, Sparta, Corinto, Atene ed anche Olimpia, Delfi, Tirinto erano tutte città facilmente raggiungibili. Elencavo tutte le città elleniche legate alle storie narrate da Omero, intanto i contorni dell’atlante divenivano sempre meno nitidi e la vista si confondeva. Mi risvegliai dopo un sonno profondo; avevo la testa e il collo indolenziti. Guardai l’orologio; segnava ormai le due e trenta e andai a letto.
Il mattino seguente, mia madre in cucina stava bevendo un caffè. Mamma, avrei voglia di fare un viaggio in Grecia, mi dareste i soldi come regalo per la maturità?
Proruppi con slancio senza neppure darle il buongiorno.
In Grecia? Così lontano? Non sei mai andato all’estero prima d’ora …
. Balbettò dopo un attimo di smarrimento. La tazzina le tremava leggermente in mano.
Dai mamma! Ho ormai diciannove anni e la Grecia non è mica tanto lontana. Poi mi hai promesso un regalo tu ed il babbo, non ricordi?
Va bene, ne riparleremo con calma stasera con tuo padre
. Era un po’ confusa.
Ritornai nella mia stanza e pensavo che forse, se avessi trovato un compagno di viaggio, la vacanza sarebbe stata più piacevole. Non avevo la ragazza e allora feci un elenco mentale di tutti gli amici cui chiedere se avessero voglia di venire con me. Mario, mio amico d’infanzia, non poteva venire perché stava prestando il servizio militare in Friuli. Carlo era partito sei mesi or sono per gli Stati Uniti e lavorava come cuoco in un ristorante a San Francisco. Luigi, che era un anno più giovane di me, stava trascorrendo l’estate nella baita di famiglia in montagna. Mi resi conto che non era facile trovare qualcuno all’ultimo momento. Potevo forse chiedere a due compagni del collettivo con i quali ero in buoni rapporti, anche se non eravamo proprio amici. Presi il telefono e li chiamai. Uno mi rispose che stava partendo per il mare con la fidanzata e l’altro mi disse che era dispiaciuto ma non aveva soldi per permettersi una vacanza.
Mi rassegnai un po’ a malincuore a partire da solo. In fondo, pensavo, non era poi la fine del mondo e il desiderio di visitarla era davvero enorme.
A cena i miei genitori mi annunciarono, un po’ esitanti ma con la ferma volontà di onorare la promessa, che mi avrebbero dato i soldi necessari per andare in Grecia, raccomandandomi però di usare giudizio, di evitare i pericoli e le persone poco perbene. Ero al settimo cielo dalla gioia.
Il giorno dopo andai in un’agenzia e comprai un biglietto economico di passaggio ponte per un traghetto che partiva da Ancona dopo due giorni. Andai poi in una libreria del centro, comprai una guida turistica e una carta stradale della Grecia. Al mercato comprai uno zaino adatto alla moto e un sacco a pelo. In banca cambiai in dracme e marchi tedeschi.
Finalmente giunse il giorno atteso della partenza. Caricai il bagaglio sul portapacchi della Vespa, salutai mia madre, che mi raccomandò di guidare piano e di stare attento a non combinar guai. Non preoccuparti mamma, ti telefono appena arrivo
. La salutai con un bacio sulla guancia, m’infilai il casco, misi in moto e via.
Capitolo 2
Firenze era pressoché deserta quella mattina di Agosto. Chi era rimasto in città se ne stava chiuso in casa per sfuggire al caldo.
Raggiunta Arezzo presi la statale per Sansepolcro. A Città di Castello persi un po’ di tempo per trovare la strada per Fossombrone che era deserta e piena di curve. Ogni tanto vedevo delle mandrie al pascolo e l’aria era frizzante e gradevole. Nel pomeriggio arrivai finalmente al porto di Ancona. Il traghetto partiva alle ventuno e avevo ancora circa tre ore di attesa. Presentai il biglietto alla stazione marittima e ricevetti un adesivo con scritto Patrasso
da applicare sulla moto.
Girovagavo qua e là per il porto per ingannare l’attesa cercando di sciogliere la tensione; era il mio primo viaggio all’estero, e in solitaria, della mia vita. Un’ora dopo, la fila allo sportello della stazione marittima si era considerevolmente allungata. Gli impiegati cominciavano a essere accaldati e nervosi.