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Diamond il mio miglior nemico
Diamond il mio miglior nemico
Diamond il mio miglior nemico
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Diamond il mio miglior nemico

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About this ebook

Un’avventura spaziale che vi lascerà senza respiro. Intensa, incalzante, toccante. Aspra e dolce, violenta e tenera. L’ultima, mirabolante avventura di Brian Black, il Diamante Nero.

Della stessa autrice: “Fratelli dello Spazio Profondo”, “Blado 457 oltre la Barriera del Tempo”, “Tutti i Doni del Buio” e “Black Diamond”.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 7, 2014
ISBN9788891141200
Diamond il mio miglior nemico

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    Diamond il mio miglior nemico - Erika Corvo

    Erika Corvo

    Diamond

    il mio miglior nemico

    Youcanprint Self - Publishing

    Titolo | Diamond il mio miglior nemico

    Autore | Erika Corvo

    ISBN | 9788891141200

    © Tutti I diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 – 73039 Tricase (LE) – Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Della stessa Autrice: Fratelli dello Spazio Profondo, Blado 457 oltre la Barriera del Tempo, Tutti i Doni del Buio e Black Diamond.

    ANNO 752 FEDERAL DOMINI

    "… Il regno dei Cieli soffre violenza

    e i violenti se ne impadroniscono."

    Mt.11.12

    PARLA BRIAN BLACK

    Comandante della Black Diamond

    La florida città di Beris, capitale del pianeta Moh, costellazione Drago, era ridotta ad un cumulo di rovine fumanti, e le ultime sacche di resistenza dell’esercito federale venivano ad una ad una ridotte al silenzio a suon di bombe.

    «Non risparmiate nessuna divisa, Diavoli del Cielo!» Si divertiva un sacco, Montespierre, ad incitare le sue truppe allo sterminio. «Cinquecento Corone a chi per primo metterà a tacere quella batteria!»

    Tarchiato, massiccio, la lunga treccia da guerriero che gli scendeva fino a mezza schiena: il classico tipo del pirata venuto su nei bassifondi della galassia. Niente di speciale.

    Il limpido cielo di Moh era oscurato dal fumo denso ed acre delle esplosioni che si susseguivano lungo l’intera linea difensiva federale, ormai allo sfascio. Le vie erano ingombre di macerie, rottami e navette in fiamme che le truppe di entrambe le fazioni scavalcavano correndo, inseguendosi a vicenda tra le case sventrate dalle cannonate e i cadaveri sparsi al suolo. Le perdite tra le fila di Montespierre erano pesanti, questa volta, ma il risultato non cambiava di molto: quando noialtri della pirateria spaziale, la cosiddetta Fratellanza dello Spazio Profondo si attaccava un pianeta, la guardia spaziale della Federazione Interplanetaria resisteva un po’, poi finiva per prenderle.

    Incitati dal loro sanguinario comandante, parecchi uomini cercarono una posizione migliore per puntare i bazooka sul cannoncino nemico che impediva loro il passaggio verso un deposito di uranio.

    «Fuoco!»

    Tre colpi di bazooka in rapida successione: il cannoncino tacque per sempre dopo un’esplosione sorda, celato alla vista da una nuvola di fumo.

    «Avanti, Diavoli del Cielo!» gridò Montespierre. «Il deposito è nostro!»

    Tra esclamazioni di gioia e urla selvagge, una quarantina di pirati si slanciò oltre gli improvvisati ripari travolgendo e massacrando gli uomini in divisa verde-oro.

    In un’altra zona della città di Beris, il palazzo governativo cadde nelle mani della Fratellanza dopo due sole ore di assedio. Tre squadre di pirati spaziali lo invasero uccidendo senza pietà guardie, uscieri, e chiunque tentasse di opporsi al loro passaggio, radunando invece in un gruppo parlamentari e ministri dalle pompose acconciature ed abiti sontuosi.

    «Qui Darrel, squadra quattro», comunicò uno dei caposquadra nel microfono agganciato alla radiocuffia. «Obiettivo raggiunto: stiamo iniziando ora a radunare i prigionieri».

    «Magnifico, squadra quattro», rispose dagli auricolari la voce del coordinatore d’assalto da bordo della nave corsara rimasta in attesa, in orbita. «Ci frutteranno un ottimo riscatto. Richiamatemi non appena avrete terminato di riunirli: vi mando giù le navette necessarie a portarli a bordo».

    «Ricevuto, Do Lubre: ti richiamo entro mezz’ora».

    Trascinato a viva forza da un pirata, un alto dignitario passò accanto al caposquadra Darrel, protestando vivacemente.

    «Non potete farci questo! Non potete! Noi non siamo militari: siamo civili pacifici, e…»

    «TU saresti un uomo pacifico?» lo apostrofò bruscamente il caposquadra agguantandolo per il bavero. «Dici sul serio?»

    «Certo, Devaj! Sono il ministro Marcus De Foil, e voialtri ladroni non…»

    Non fece in tempo a terminare la frase. Darrel gli sparò a bruciapelo e, mentre il ministro lo fissava ad occhi sbarrati, agonizzante, gli sibilò in viso: «Ne uccide più la vostra burocrazia dei nostri mitra, carogna! Il numero di schiavi trovati in questo letamaio non lascia molti dubbi in proposito!»

    Darrel lasciò la presa e l’altro stramazzò al suolo.

    «Ma… capo!» protestò il pirata che l’aveva trascinato fin lì. «Ho fatto un accidente di fatica a tirarlo fuori da dov’era nascosto».

    «Beh, vai a cercarne un altro! Ce ne sarà ancora qualcuno, là dentro, no? Non li avrete mica già finiti tutti».

    «Wah! Al diavolo».

    Il pirata sfogò il suo disappunto con un calcio all’ormai defunto ministro e tronò ad addentrarsi tra i corridoi del palazzo, tornando a passare di lì a poco con un nuovo ministro tenuto ben stretto per la collottola.

    Il quartiere elegante, tutte palazzine basse circondate da lussuosi giardini, fu invaso da cinque squadre di scatenati. Ma se le porte blindate delle abitazioni erano difficili da sfondare anche a colpi di bazooka leggero, le sottili inferriate a protezione di finestre e verande non si rivelarono abbastanza robuste. In cinque riuscirono a penetrare all’interno di una delle tante villette, mentre in strada si scatenava un putiferio di gente che cercava ad ogni costo la via della fuga portando in salvo quel po’ che si potesse. Il più delle volte, però, ogni tentativo era inutile.

    O la borsa o la vita, pare dicessero i briganti di una volta. I ragazzi di Montespierre, detto Il Diavolo, invece, non concedevano opzioni: volevano entrambe le cose. Nel caso si imbattessero in donne, anche qualcosa di più.

    «C’è ancora qualcuno, qua dentro: forza!»

    «Sì, dev’essere al piano di sopra! Sentite rumore di passi anche voi?»

    «Saliamo, su!»

    La trovarono che ancora cercava scampo nel sottotetto, salendo su una minuscola scala telescopica calata da una botola, e la tirarono giù senza tanti complimenti mentre lei strillava e si dimenava, stringendosi al petto una grossa borsa.

    «Ohilà! Gentile, la nobildama!» esclamò il pirata rovesciandone a terra il contenuto, dopo avergliela strappata. «Gioielli, Corone Federali, pietre preziose… ci ha risparmiato la fatica di cercarli.»

    «Stupendo!» sentenziò il caposquadra, infilandosi in tasca una manciata di gioielli. «Direi che la Devajde merita la nostra riconoscenza e il più sincero affetto; non trovate anche voi, ragazzi?»

    «Mai stati più d’accordo, capo! Chi è che inizia ad essere affettuoso con lei?»

    «Io, no? Sono il caposquadra!» rispose, mentre la donna continuava a smaniare ed agitarsi, a volte insultando, a volte supplicando perché la lasciassero andare «E poi le sono simpatico: non sentite quante paroline dolci usa, per stuzzicarmi i sensi?»

    «Squadra dodici, qui Do Lubre», si fece udire qualche minuto più tardi la voce del coordinatore attraverso le cuffie «Come sta andando?»

    «Qui Rolf, squadra dodici: non hai un’idea di come ci si diverta, quaggiù!» rispose questi, riallacciandosi i calzoni «Non senti che bella musica?» concluse, alludendo ai lamenti e alle grida di sottofondo.

    «Dai, sbrigatevi! Le altre squadre nella vostra zona hanno quasi terminato. Voi a che punto siete, con il saccheggio?»

    «Ci rimangono ancora cinque o sei villini da visitare, poi abbiamo finito anche noi».

    «Datevi una mossa, allora! Tra un’ora esatta, trovatevi nel punto dove siete stati sbarcati: si sloggia. Ricevuto?»

    «Ricevuto, Do Lubre. Ragazzi, mollate la tizia: dobbiamo muoverci».

    «Ehi, e noi?» protestarono in due, non avendo ancora saziato le proprie voglie e vedendo sfumarne le possibilità «Non abbiamo ancora fatto niente, noi!»

    «E io non ho ancora finito!» reclamò il terzo, già all’opera.

    «Ho detto basta così! Muoversi!»

    Con gesto secco sfoderò il coltello e tagliò la gola alla donna, in modo da far cessare le proteste.

    «Hey, non vale! Che scherzi sono?»

    «Muoversi, ho detto!»

    L’obbedienza al caposquadra è cosa buona e giusta.

    La abbandonarono con la gola squarciata in un lago di sangue, gli occhi vitrei rivolti al cielo. Un cielo pieno di Diavoli.

    «Se è proprio scritto che dobbiamo morire tutti quanti, allora preferisco crepare dopo l’ultima scopata! Non trovi anche tu che sia il modo migliore per lasciare questo lercio mondo?» ansimò l’uomo, sudato e gocciolante, mentre la ragazza gemeva piano tra lui e la scomoda brandina che cigolava al ritmo dei loro movimenti, senza rispondere.

    Una lacrima scivolò e cadde giù lungo una guancia di lei.

    Tutto ciò che conteneva la stanzina in cui si trovavano consisteva nel lettino posizionato sotto un grande specchio, nei sanitari e nel sottile uscio, che traballò due volte prima di venire sfondato con un calcio.

    «Eccone qua altri due!» osservò il caposquadra invadendo lo stanzino con altri sei uomini «C’era il tutto esaurito, quest’oggi, qua dentro?»

    L’uomo e la donna si staccarono alzandosi dal lettino di scatto, completamente nudi, cercando un riparo simbolico appiattendosi sulla parete di fondo. Al caposquadra bastò un’occhiata ai vestiti abbandonati ai piedi del letto per capire con chi avesse a che fare.

    «Ma guarda un po’, un tenente della Guardia Spaziale!» esclamò divertito notando i galloni sulla divisa «Un vero coraggioso! La battaglia è fuori, non dentro qui; lo sapevi oppure è così che combatti?»

    «Sporchi pirati!» li apostrofò quello, rabbioso, cercando pudicamente di coprirsi i genitali «Non siete che dei volgari ladri, dei criminali, dei…»

    «ZITTO!» gli intimò il caposquadra. «Visto che ti sei nascosto, dovremo pur controllare se i coglioni ce li hai per davvero, no? Tenetelo fermo, ragazzi!» Venne acciuffato senza tanti complimenti e immobilizzato nuovamente sul lettino. «Oh, ma ce li ha sul serio! Avete visto? Be’, glieli metto in bocca, così la prossima volta si ricorderà che non si usano solo per scopare».

    Sfoderò il coltello dallo stivale in cui era celato e gli recise gli attributi con un taglio netto, cosicché mentre quello lanciava un grido straziante, glieli ficcò in bocca.

    «Peccato che non ci sarà una prossima volta».

    Rinfoderò il coltello e gli sparò a bruciapelo, lasciandolo stecchito sotto lo sguardo terrorizzato della ragazza che, ad occhi sbarrati, tremava come una foglia.

    Non appena il tenente terminò la sua agonia, l’attenzione del caposquadra si rivolse a lei. Le si avvicinò, osservandola, iniziando a sbottonarsi la giubba.

    «No; pietà, Devaj!» supplicò lei, con voce appena udibile.

    «Pietà?» domandò a sua volta il pirata, addolcendo inaspettatamente la sua espressione «Ma che hai capito? Noi siamo pirati, non federali. Rivestiti, sorellina!» le sorrise porgendole il giaccone «La schiavitù è finita. Adesso ti portiamo via da qui, non aver paura. Nessuno ti farà del male».

    La ragazza, una giovane di notevole bellezza, fissò incredula l’uomo dinanzi a lei e il cadavere che giaceva sul letto in un lago di sangue, poi iniziò ad infilarsi l’indumento con gesti impacciati e timorosi.

    «Andreas, dalle i calzoni di quello scoglionato e portala con le altre al luogo di raduno».

    Nel lungo corridoio erano in attesa altre otto ragazze, anch’esse rivestite alla meno peggio, provenienti da altrettante camere con le porte sfondate.

    «Forza, bimbe!» le incitò Andreas con un gesto della mano «Abbiamo meno di tre quarti d’ora per lasciare questo schifo di posto!»

    Seppure spaventate a morte, le ragazze lo seguirono.

    L’interminabile fila di navette faceva spola tra la nave da guerra in attesa e le rovine in fiamme che si consumavano lentamente al suolo, tra bagliori ed esplosioni, trasportando uomini, armi e tutto ciò che era stato razziato. Per i pochi superstiti della città di Beris, probabilmente, doveva essere uno spettacolo spettrale. Per noi della Fratellanza, il rientro dopo la vittoria è sempre stato uno spettacolo e basta.

    La nave, su in orbita, era una classe diciotto. Non male, come stazza: qualcosa in più di un terzo degli immensi incrociatori stellari della Guardia Spaziale, ma altrettanto armata e con un equipaggio dieci volte più feroce dei rivali in divisa. Una enorme testa di diavolo circondato da fiamme scarlatte era dipinta sulla prua, e il nome che spiccava su entrambe le facciate era Inferno. Non ci eravamo mai frequentati molto, ma Gilles Montespierre era un buon comandante e lo apprezzavo parecchio. Come nome di battaglia, Diavolo gli calzava a pennello.

    «Tutte le squadre sono rientrate, Do Lubre?»

    «Sì, Diavolo. La squadra dieci era l’ultima, ed è rientrata adesso», rispose il coordinatore.

    «Magnifico! Ti spettano quarantotto ore di riposo: il tuo lavoro è concluso».

    «Grazie, comandante».

    Il giovane coordinatore inserì il materiale cartografico del territorio assalito nei files relativi insieme alla registrazione delle ultime ore e archiviò tutto. Spense il grande pannello luminoso che gli aveva permesso di tenere sotto controllo tutte le squadre impegnate nei combattimenti e infine si sfilò la cuffia con un gesto che tradiva una grande stanchezza.

    Mica facile, fare il coordinatore d’assalto. Perfino le truppe hanno qualcuno che dà loro il cambio, ogni tanto. Il coordinatore, no. E deve tener d’occhio fino a una trentina di squadre dicendo loro dove devono o non devono andare, confrontandone la posizione con quella delle truppe nemiche e interpretare i movimenti di queste ultime cercando di scoprirne gli armamenti e le intenzioni con tutti i mezzi a disposizione. Più che giustificato, vederlo stropicciarsi gli occhi e lasciare barcollando il ponte di comando, diretto alla sua cabina.

    «Ash-Hai».

    «Sì, Diavolo?»

    «Arma una testata nucleare da trentasei e falla brillare sulla città di Beris.»

    «Eseguo», assentì il bombardiere.

    «Enrique! Appena l’ordigno sarà stato lanciato, lasceremo la costellazione Pleiadi. Rotta verso la costellazione Lince, settore C6 LBT, 29, 1, 48 da Moh; 1, 12 e 54 da Stogari, 12 punto 9, massima velocità».

    «Eseguo, comandante».

    Seguito dal suo secondo di bordo, Diavolo lasciò la sala comandi dirigendosi verso le stive. Là erano stati ammassati tutti gli uomini rastrellati, in attesa di una accurata selezione.

    «Hai già valutato l’ammontare del bottino raccolto, Germaine?»

    «Soltanto ad occhio e croce, signore, ma anche senza un conteggio preciso posso anticiparvi che questo sia uno dei colpi migliori che ci siano mai riusciti».

    «Ne valeva la pena; hai visto? E dire che hai tentennato fino all’ultimo! Sei un bravo ragazzo, Germaine, ma ti manca il coraggio di osare quello che non è mai stato osato. È la sola dote che ti difetta per diventare un buon comandante, sai?»

    «Lo so, signore», rispose il secondo in comando seguendo Diavolo lungo una serie di corridoi su diversi livelli, «ma sono ancora convinto che attaccare Moh delle Pleiadi sia stata una follia: siamo troppo vicini a Knid, la capitale dell’Impero Federale, e lo spazio intorno a noi pullula di incrociatori della Guardia Spaziale. Se solo qualcuno su Moh avesse fatto in tempo a trasmettere del nostro attacco, ce li ritroveremmo tutti alle costole nel giro di poche ore. Non mi sentirò al sicuro finché non avremo cambiato aria».

    «Non ci vorrà molto, Germaine: poche ore e saremo già nell’iperspazio, lontani da qui».

    «Me lo auguro, signore».

    Giunti all’ingresso della stiva N°1, Diavolo attivò la serratura ad impronta vocale e la porta si aprì, obediente all’unicità del suono della voce umana.

    All’interno dello smisurato magazzino erano ammassati quattro gruppi di persone, di cui due tenuti tranquilli soltanto grazie alla minaccia delle armi.

    «Iniziamo dai parrucconi?»

    «Certo, Germaine. Come al solito».

    Una volta catturati dalla Fratellanza, nessuno tra i prigionieri aveva interesse a fingere di non potersi permettere il pagamento di un bel riscatto succoso: anche un tentennamento o un’esitazione avrebbe significato andarsene a guardare le stelle senza tuta spaziale indosso. Li si interrogava ad uno ad uno chiedendo loro soltanto se fossero in grado di sborsare una certa somma e, se sì, chi si dovesse contattare. Chi poteva, veniva trasferito nelle celle di sicurezza, e chi non poteva o non voleva… buon viaggio! Ma questa volta i prigionieri di lusso erano in tale sovrabbondanza che per selezionare i paganti del primo gruppo ci vollero più di un paio d’ore.

    «Di questo passo finiremo tra una settimana», si lagnò Germaine, che di ritorno da ore e ore di combattimenti, non era certo fresco come una rosa.

    «Non è colpa mia se Moh brulicasse di gente piena di quattrini fino agli occhi. Sono stanco anch’io, comunque, e non vedo l’ora di farmi una bella dormita. Vediamo di sbrigarcela in fretta, con questi altri».

    «E come?»

    «Non è difficile. Vuoi vedere che faranno a gara a chi offre di più?» scommise Diavolo, sottovoce «Ofel, queste trattative mi hanno già stufato, oggi!» asserì a voce alta rivolto ad uno dei suoi uomini «Dividi questi qua in due gruppi: chi è in grado di sborsare almeno ventimila Corone verrà tenuto in vita. Chi non è in grado, buttatelo fuori subito. Ho cose più importanti da fare, che ascoltare le solite lagne!»

    «Eseguo, comandante», rispose pronto l’uomo «Allora, bei signorotti dalle tasche gonfie! Avete sentito il Diavolo? Chi può tirar fuori ventimila corone alzi la mano: forza!»

    Un coro di proteste si levò dal gruppo.

    «Ma siete tutti pazzi? È troppo! Nessuno possiede una cifra del genere! Per chi ci avete presi?»

    «Non mi interessano le vostre proteste e non mi piace ripetere le cose due volte: quanti di voi possono pagare? Alzate la mano, su!» urlò Diavolo, troncando le rimostranze.

    Solo dieci mani su più di trecento persone si alzarono. Montespierre fece cenno ad Ofel di separarli dal gruppo.

    «Sarò magnanimo: quanti di voi possono pagarne almeno diciannovemila?»

    Altre dodici mani si alzarono.

    «Io posso arrivare a diciottomila, signore: abbiate pietà! Ho moglie e figli!» supplicò un prigioniero, senza neanche considerare l’ipotesi che i suoi familiari potessero essere tutti morti.

    «Io arrivo a diciottomila e trecento, signore!» gridò un’altra voce «Bisogna per forza arrivare a diciannovemila?»

    «Vedi?» fece notare Montespierre al suo secondo «Spaventali un po’, e vedi come giocano al rialzo. È la vostra giornata fortunata, signori: quanti arrivano a diciottomila?»

    Altre quindici mani si alzarono.

    «Benissimo. Ofel, separa questi signori dal gruppo e butta fuori tutti gli altri. Immediatamente: qui non c’è ossigeno da sprecare. Con loro, ho terminato».

    Il terzo gruppo di prigionieri era composto da feriti più o meno gravi. Non tutti erano in condizione di parlare, anche se avessero potuto offrire un buon riscatto.

    «Per questi bisognerà interpellare uno dei medici di bordo: chi non sarà in grado di rispondere alle nostre domande entro due giorni, lo si butta fuori subito e ci si toglie il pensiero. Idem per chi ha il fiato per parlare ma non può garantire almeno per diciottomila Corone. Cifre inferiori non mi interessano».

    «Potrei occuparmene io, se non avete nulla in contrario, signore.» intervenne uno degli uomini di guardia.

    «Come vuoi, Sigmund. Cerca solo di non perderci troppo tempo: ci sono un mucchio di altre cose di cui occuparci».

    «Sì, comandante».

    «Ed ora veniamo agli schiavi», fece Montespierre.

    Già, gli schiavi: uno dei tanti punti dolenti della Federazione Inteplanetaria. La schiavitù è sempre stata proibita, all’interno della F.I., ma chi volete si prenda la briga di far rispettare le leggi, quando sono in ballo interessi che contano più zeri degli atomi scissi in una fissione nucleare? Grandi industrie ad alto rischio di lavorazione, cave minerarie, piantagioni immense dei latifondisti più ricchi… chi, tra questi, non aveva le sue brave migliaia di schiavi? Li si importava illegalmente e li si adibiva ai lavori più sporchi, massacranti e pericolosi senza sborsare nient’altro che il loro prezzo d’acquisto. In breve tempo morivano come mosche per la fatica, i maltrattamenti e le privazioni a cui venivano sottoposti dopo aver fruttato un mucchio di Corone, e una volta morti, si rimpiazzavano con altri disgraziati. E non era raro che negrieri e sfruttatori avessero coperture di rilievo tra i pezzi grossi della Federazione, o che gli stessi parrucconi organizzassero e gestissero il traffico di carne umana.

    Noi della Fratellanza, invece, se ci divertivamo un mondo a trattare a pesci in faccia politicanti e riccastri, ci divertivamo ancor di più a soffiare loro tutti gli schiavi che riuscivamo a rastrellare per poi render loro le libertà e arruolarli nelle nostre fila. Una volta bene addestrati, gli ex schiavi combattono come tigri e non gli importa niente di lasciarci la pelle, pur di sfogare il loro odio contro i federali.

    Datemi un equipaggio totalmente composto da loro, e conquisterò Knid in mezza giornata.

    «Molti uomini e poche donne…» constatò Montespierre dopo una rapida occhiata all’ultimo gruppo «Signori miei cari! C’è qualcuno, tra voi, che odî abbastanza i federali da volersi arruolare nella Fratellanza? Non importa quanto siate magrolini e malmessi in questo momento: non c’è bisogno di essere dei forzuti per premere il grilletto di un fucile laser, e a rimettervi in sesto ci penseremmo noi. Ebbene?»

    Una selva di mani si sollevò tra entusiastiche grida di gioia e di rivalsa. Lunghi anni di schiavitù avevano instillato in quella gente un odio profondo e radicato unito al desiderio di potersi, un giorno, vendicare dei propri aguzzini.

    «Ottimo!» esclamò Diavolo ammiccando al proprio secondo, mentre Ofel si incaricava di separare dal gruppo gli aspiranti Fratelli «E con questi abbiamo già rimpiazzato almeno la metà degli uomini persi durante gli scontri».

    Gli elementi rimasti, ancora in apprensione per la propria sorte, si strinsero ancor di più gli uni agli altri cercando conforto nella reciproca vicinanza. Ma un viso tra i tanti attirò l’attenzione di Montespierre.

    «Ma… Germaine! Guarda là!»

    «Dove, signore? Chi?»

    «Per tutti i demoni dell’Universo Tutto, ma quello è…»

    Una figura girata di tre quarti era stata la causa di quelle genuine esclamazioni di stupore: una figura dai corti capelli nerissimi che indossava una giubba da spazio nera, il cui viso ovale dagli zigomi alti si lasciava vedere solo in parte.

    «Brutta miseria, comandante!» gli fece eco Germaine «Avete ragione, quello è…»

    «Ma cosa ci fa, qui, e in mezzo agli schiavi?!» Inquieto, Montespierre si fece largo tra la folla di prigionieri, raggiungendo la persona in questione e costringendola a girarsi. Ma quando questa si volse, trasalendo di paura, Diavolo strabuzzò gli occhi per la sorpresa «Bastardi Dèi…» sussurrò, al massimo della confusione.

    «Mi venisse la peste gialla, comandante!» fece eco Germaine, raggiungendo Diavolo con la medesima espressione stupefatta, in viso «È sconcertante… una somiglianza a dir poco incredibile!»

    «Già… chiunque avrebbe detto che fosse proprio lui. Solo che è LEI. Perdonate, damigella.» farfugliò il comandante della Inferno, imbarazzato da un errore così grossolano.

    «Perché mi guardate così?» domandò la ragazza arretrando di un passo «Io non ho fatto niente».

    «Certo che no», rispose Diavolo. «È solo che avevamo scambiato per qualcun altro… un nostro amico».

    Un viso dall’ovale quasi perfetto dai lineamenti fini ed aggraziati, due occhi neri e scintillanti come il nero dello spazio profondo e lunghe ciglia nere e vellutate ad ombreggiarli. Capelli corti, nerissimi, zigomi alti e ben delineati, naso piccolo e dritto dalla punta leggermente all’insù, sopracciglia delicatamente arcuate e una bocca piccola dal taglio adorabile. Una bellezza decisamente sopra le righe; ma non era quello il motivo di tanto interesse e di tanto stupore.

    «È la copia identica di Diamond in versione femminile. Assolutamente identica».

    «Già, e con indosso una giubba da spazio nera come quella da cui Diamond non si staccherebbe neanche a pagarlo, l’illusione è perfetta. Scusateci, damigella», tornò a ripetere Montespierre. «Ci siamo sbagliati».

    Ma non aveva ancora fatto tre passi, che Germaine lo fermò, trattenendolo per un braccio.

    «Un momento, comandante; aspettate! Ma non era proprio Diamond che cercava di rintracciare la sorella, tra gli schiavi di tutti i pianeti assaliti?»

    «Venisse la peste gialla anche a me, ragazzo! Sai che hai ragione? Sì, adesso che ci penso mi sembra di ricordare qualcosa: aveva ritrovato un fratello, ma della sorella non aveva saputo più nulla… che possa trattarsi di lei?»

    «Davanti ad una somiglianza così pazzesca, potrei scommetterci la mia parte di bottino».

    «Damigella!» chiamò Diavolo, tornando sui suoi passi.

    «Sì, Devaj?» domandò la ragazza, intimorita da quelle strane attenzioni rivolte su di lei.

    «Chi vi ha dato quella giubba?»

    «Uno dei vostri uomini, Devaj. Me l’ha prestata perché non avevo nulla, indosso, quando sono stata prelevata, ma ve la rendo subito, se…» rispose lei, facendo l’atto di slacciarla per restituirla.

    «No, no! Non intendevo questo: tenetela pure!» la fermò Montespierre «Da quale pianeta venite, voi?»

    Perché mi dà del voi? pensò la ragazza, stupefatta. Ha bistrattato ministri e dignitari dando loro del tu, coprendoli di insulti, e chiama damigella me, che sono una semplice schiava? Cosa vuole, da me, quest’uomo?

    «Abbiamo appena lasciato Moh, Devaj. Credevo lo sapeste».

    «Sì, certo… Qual è il vostro pianeta d’origine, volevo dire».

    «Io… vengo da Bagen, costellazione Drago. Perché?»

    «Conoscete il Diamante Nero, per caso? Viene anche lui da Bagen. Non è così, Germaine?»

    «Conosco… chi?» domandò la giovane.

    «Ma sì, è proprio da Bagen che viene, Diamond», confermò il secondo di bordo della Inferno.

    «Diamond, damigella: il Diamante Nero, la Pietra Nera di Bagen. È così che lo chiamava, il Cobra, no?» domandò nuovamente chiedendo conferma al suo uomo.

    «Diamond?… Il Cobra?… Io non conosco queste persone», mormorò la ragazza, sempre più frastornata «Io sono solo una schiava, Devaj, e a dire il vero, non so nemmeno chi siate voi», aggiunse mentre gli occhi le si velavano di lacrime, temendo il peggio da quella strana situazione che non riusciva a comprendere.

    «Come vi chiamate, damigella?»

    «Si pronuncia. Àigrel, Devaj, ma non so come si scriva, in galattico standard».

    «Igrel Black, per caso?»

    «No, Devaj. Igrel…» seguì un nome di famiglia che i due uomini dimenticarono quando ancora non l’aveva finito di pronunciare.

    I nomi bageneidi sono talmente complicati, pieni zeppi di acca e di consonanti che sembrano fare a botte tra loro, che la maggior parte degli abitanti di tutto il resto della galassia non riuscirebbe a pronunciarli neanche dopo una settimana di allenamento. Per questo, i federali ce li cambiano non appena ci si iscrive nei loro registri. Sostengono che non sia possibile che genti diverse possano avere rapporti amichevoli tra loro se non riescono neanche a salutarsi chiamandosi per nome e, una volta tanto, hanno ragione. Trovano un nome che assomigli almeno un po’ al vostro, un po’ più pronunciabile e più facile da ricordare, poi lo stampano su tutte le loro carte e concludono dicendovi di presentarvi con quello, qualora abbiate contatti con gente al di fuori del vostro pianeta natale.

    «Non ci ho capito niente», disse, infatti, Diavolo «Vorreste ripetere, per vostra grazia?»

    Inutile. Il risultato fu identico.

    «Potreste scriverlo?»

    «Ho paura di no, Devaj», si scusò lei, cercando di trattenere le lacrime. «Io conosco soltanto la scrittura huddyg. Non so scrivere in galattico standard: ho imparato questa lingua durante la schiavitù, ma non so scrivere».

    «Non preoccupatevi, damigella; non è poi così importante. Che ne pensi, Germaine?» fece Diavolo storcendo la bocca dopo un lungo sospiro, perplesso.

    «Sono sconcertato quanto voi, signore. Bisognerebbe che la vedesse lo stesso Diamond. Non sappiamo niente, tutto sommato, della sua vita privata.»

    «Sì. Credo tu abbia ragione. Non sappiamo nemmeno che cosa domandarle, per sapere se sia proprio lei o no. Tondo! Subito qui!» chiamò Montespierre.

    Un uomo accorse alla chiamata.

    «Tondo, accompagna la damigella nella mia cabina e trattala come se fosse mia madre. Fai in modo di metterla a suo agio; io tornerò ad occuparmi di lei al più presto possibile».

    «Eseguo, signore. Volete seguirmi, mia dama?» l’ultimo arrivato si rivolse gentilmente alla ragazza, dopo un goffo tentativo d’inchino.

    Sempre più frastornata, la giovane lo seguì.

    "Mio caro Diamond,

    ho una sorpresa per te. Alloggiata nella mia cabina c’è una damigella di età compresa tra i venti e i ventiquattro anni che ho appena scovato tra gli schiavi su Beris (pianeta Moh, costellazione Pleiadi), che ho appena finito di depredare.

    Alle domande che le ho rivolto - poche, in verità - costei ha risposto di essere nata su Bagen e di chiamarsi Igrel. Il nome dei suoi avi è talmente bislacco che non sono in grado di ripeterlo, e la ragazza non sa scrivere in galattico standard. Come si chiami, del resto, non conta nulla dato che in realtà io non mi chiamo Gilles Montespierre come tu non ti chiami Brian Black: conosciamo l’usanza federale di cambiare i nomi. Ma il fatto è che questa damigella ti assomiglia a tal punto che, quando l’abbiamo vista con indosso una giubba da spazio nera, sia io che Germaine l’abbiamo scambiata per te.

    Purtroppo non conosco a sufficienza la tua vita privata per immaginare quali domande poterle rivolgerle, per appurare se possa trattarsi o meno di tua sorella. Ma se pensi possa esserci una reale possibilità che lo sia davvero, ti prego di venire ad identificarla di persona.

    Sto facendo rotta verso la costellazione Lince, e potrai raggiungermi alle seguenti coordinate spazio-temporali…

    Il tuo fedele Fratello dello Spazio Profondo

    Gilles Montespierre – Diavolo

    Rilessi una seconda e poi una terza volta il messaggio appena consegnatomi dall’addetto alle comunicazioni, come se a rileggerlo potessi trovarci qualcosa in più, o qualcosa di diverso. Rigirai il foglio tra le mani, come se anche questo gesto potesse fornirmi ulteriori chiarimenti

    «Quando è arrivato, questo, Puškin?» domandai al mio tecnico, in attesa davanti a me.

    «Meno di tre minuti fa, comandante. È stato trasmesso sulle frequenze usate dalla Fratellanza ed intercettato e ritrasmesso da tre delle nostre navi, prima di arrivare sulle nostre antenne. Immaginando quanto potesse essere importante per voi, ho pensato di consegnarvelo subito, personalmente. Devo trasmettere una risposta, signore?»

    «Sì. Hai fatto bene a portarmelo subito. Torna al tuo posto, ora, e rispondi che arriviamo di corsa».

    «Eseguo, Diamond», si congedò l’uomo.

    «Aspetta… hai idea di dove sia finito Stylo?»

    «Purtroppo no, signore. In sala comandi non c’è».

    «Va bene, vedrò di rintracciarlo io. Vai pure, adesso».

    Igrel…

    …Con una giubba da spazio nera, l’abbiamo scambiata per te… rimuginai.

    Fissai il riflesso del mio viso nell’oblò che avevo davanti sullo sfondo nero del cielo al di là di esso, e provai ad immaginarlo in versione femminile cercando di figurarmi come avrebbe potuto apparire mia sorella, adesso, dopo tutto quel tempo.

    Il mio viso. Occhi e capelli nerissimi quanto lo spazio profondo, zigomi alti, naso piccolo e dritto dalla punta leggermente all’insù. Bocca piccola dal taglio deciso; il tutto racchiuso in un contorno ovale appena squadrato. Un viso che chiunque avrebbe trovato bello. Solo che in tutta la galassia, vedere la mia faccia a spasso da qualche parte significava per chiunque morte e distruzione; soprattutto per chi avesse la sfortuna di indossare i colori verde-oro della Federazione Interplanetaria. Praticamente nessuno si sarebbe soffermato a riflettere su quanto il mio viso fosse interessante o no. Neanche le donne, di solito, lo facevano.

    Uno dei tanti rovesci della medaglia, quando ti ritrovi ad essere uno dei capi storici della Fratellanza dello Spazio Profondo, un uomo che lascia dietro di sé, dopo ogni incursione, una scia di morti più lunga della coda di una cometa. Perfino per le guerriere del mio equipaggio io ero il comandante: uno a cui portare rispetto, devozione, obbedienza; fedeltà fino alla morte, se volete. Ma sicuramente, non qualcuno da amare. E a ventisette anni, un rovescio simile pesa, e non poco.

    Igrel. Non la vedevo da quando, a otto anni, lasciai Bagen per frequentare il Complesso delle Scienze, su Ottol: un collegio federale. Federale come i bastardi che pochi anni più tardi si impadronirono di Bagen con frodi e inganni, sterminando gran parte della popolazione e vendendo il rimanente agli schiavisti e ai negrieri. Quando venni a saperlo era già troppo tardi: tornai subito là, ma soltanto per venire a sapere della morte dei miei genitori. Della morte di mio fratello Rohed mi informò l’altro fratello, Kentel, il maggiore, quando riuscii a rintracciarlo quattro anni più tardi, ridotto ad un relitto umano in una piantagione di mandena, schiavo tra migliaia di altri schiavi.

    Igrel… mia sorella minore… erano otto anni, ormai, che la cercavo senza sosta da un capo all’altro della galassia. Volessero gli Dèi che fosse la volta buona!

    Datti una mossa, Brian, piantala di fantasticare: hai un mucchio di cose da fare se vuoi tradurre i tuoi sogni in realtà.

    Attorno a me era il frenetico andirivieni dei miei uomini impegnati nel saccheggio di un cargo interplanet federale caduto in mano nostra dopo un breve scontro. Grandi casse di spezie e pellicce pregiate venivano trasportate su piattaforme antigravità a bordo della nostra nave e ammassate nelle stive, assieme a qualche prigioniero di rilevo che avrebbe potuto fruttare un buon riscatto.

    «Non hai molto tempo da perdere, se vuoi raggiungere al più presto queste coordinate. Già ci vorrà un secolo anche viaggiando nell’iperspazio», pensai valutando mentalmente la distanza che mi separava dal luogo dell’appuntamento con Diavolo. «Conviene lasciar perdere questo stupido cargo», conclusi con un’alzata di spalle.

    In fondo, non è che trasportasse chissà che cosa.

    «Davìd! Alexej!» chiamai a gran voce. «Subito qui!»

    «Eccoci, comandante!» risposero i due interpellati, raggiungendomi in un baleno.

    «C’è ancora molto, da scaricare?»

    «Siamo a circa tre quarti del lavoro, signore: ci vorrà forse un’ora buona, prima di terminare».

    «Troppo. Dobbiamo ripartire immediatamente».

    «Ripartire?» domandò Davìd. «Siamo forse stati intercettati da qualche incrociatore federale, signore? Dobbiamo filarcela?»

    «No, nessun pericolo immediato», chiarii. «Ma dobbiamo andarcene. Radunate l’equipaggio del cargo e rispeditelo a bordo con acqua e aria sufficienti a raggiungere almeno la stazione federale più vicina, Frama nelle Pleiadi, e lasciateli andare. Sospendete il trasbordo delle merci e date fuoco a quello che è rimasto nel cargo: fra quindici minuti esatti lasceremo questo settore».

    «Sì, comandante!» risposero i due come un sol uomo, precipitandosi a ritrasmettere agli altri i miei ordini.

    «Shoden! In quanto tempo possiamo raggiungere queste coordinate?» chiesi all’estrapolatore mostrandogli le indicazioni fornitemi da Montespierre, non appena raggiunsi la sala comandi.

    Shoden inserì i dati nel computer.

    «Il generatore è già acceso e gli accumulatori sono a piena potenza, signore. Per il viaggio in sé stesso basterebbero sedici ore, quaranta minuti e dodici secondi. Tutto dipende da quanto tempo saremo ancora occupati con quel cargo, signore».

    «Giusto il tempo di sganciarlo e non un minuto di più. Bisogna muoversi. Abanga! Non appena riceveremo l’assenso dalla sala macchine punteremo il naso in direzione della costellazione Gemini e faremo rotta in modo da incrociare Diavolo nel settore F4 HDC, 12, 24, 2 da Menkalinan, 5, 20, 42 da Mirlak, 19 punto 7, velocità massima».

    «Eseguo, Diamond».

    «Lupi!» chiamai attraverso l’interfono. «Tieniti pronto ad invertire il raggio traente che blocca il cargo e manda su di giri il generatore: si parte entro pochi minuti».

    «Eseguo, comandante», rispose la voce dalla sala macchine.

    «Che succede, Diamond? Ho saputo che stiamo per sganciare il cargo e ripartire in tutta fretta: ci sono problemi?»

    «Oh, sei qui, Stylo? Mi stavo giusto chiedendo dove fossi finito».

    Stylo. Il mio secondo di

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