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Babbo Natale esiste e c’ho le prove
Babbo Natale esiste e c’ho le prove
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Ebook160 pages2 hours

Babbo Natale esiste e c’ho le prove

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About this ebook

Dio e l'Uomo, la superstizione e la razionalità. Tematiche profonde, delicate e ancestrali, affrontate con una logicità disarmante e inappuntabile, ma soprattutto con un linguaggio semplice, condito da un pizzico di garbata ironia. Un libro al contempo leggero e profondo, che diverte e stimola la riflessione.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 28, 2013
ISBN9788891119254
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    Babbo Natale esiste e c’ho le prove - Simone Morganti

    2009

    PARTE I:

    Babbo Natale e la Religione

    L’importante è avere uno scopo

    Bertrand Russell ha coraggiosamente criticato la religione, evidenziandone gli aspetti socialmente dannosi, Piergiorgio Oddifreddi ha analizzato la questione dell’esistenza di dio partendo da un punto di vista logico, analizzando le fonti storiche; Richard Dawkins ha sviluppato la sua visione dell’esistenza dal punto di vista evolutivo, arrivando fino a dedicare un intero libro all’argomento religioso (The God Delusion); Danilo Mainardi ha affrontato l’argomento da un punto di vista di un etologo e antropologo e Bruno Ballardini dal punto di vista del pubblicitario. Ringrazio loro e gli altri autori che hanno dedicato parte del loro tempo all’analisi degli argomenti religiosi dandomi l’opportunità di coltivare il mio interesse e proseguire la mia personale ricerca.

    Tutti loro però, hanno commesso un errore, in maniera più o meno grave, ma non per questo trascurabile: sono partiti dal presupposto di avere certamente ragione ed hanno spesso utilizzato un registro aggressivo.

    Le regole della comunicazione insegnano che l’aggressività innesca meccanismi difensivi che bloccano la trasmissione di informazioni. Per comunicare efficacemente è necessario entrare in empatia con il nostro interlocutore e suscitare in lui interesse. Provate ad immaginarvi seduti in un’aula e vedere un insegnante che entra ed inizia la lezione dicendo tutto quello che sapete non vale niente, siete una massa di pecoroni con scarse capacità di ragionamento e una mente ottusa, abituati a credere in concetti e valori che non hanno alcun significato. Siate sinceri, riuscireste a seguire la lezione con interesse? Il mio obiettivo è quello di affrontare l’argomento partendo da una visuale più generale. La mia critica inizia a priori,rispetto all’analisi delle prove dell’esistenza o della non esistenza di un Dio. Il presupposto dal quale inizio il mio ragionamento è che non esista alcun dio, quindi l’attenzione si sposta sulla ricerca delle motivazioni che portano a credere a questa e altre teorie, con l’obiettivo (assai immodesto) di divulgare un punto di vista logico e facilmente comprensibile, che possa diffondersi non tanto negli ambienti degli addetti ai lavori (saggisti, teologi, ecc.), quanto fra le persone comuni, abituate a non porsi neanche simili problematiche e che potrebbero, spero, imbattersi per caso nel mio libro ed iniziare a ragionarci su.

    Questo genere di ragionamenti per essere portato avanti implica una buona dose di spirito di sacrificio, in primis perché soltanto documentandosi e studiando si può progredire nella conoscenza (ed il tempo e le energie da dedicare allo studio sono tipicamente scarse), in secundis perché è necessario abbandonare le certezze assolute che permeano la realtà culturale nella quale siamo cresciuti. Perché mettere in dubbio una cosa così lineare e semplice come la creazione del mondo in sette giorni per mano di Dio, a fronte di una realtà complessa e non definita con assoluta certezza? Accettare le verità rivelate dalla propria religione dà conforto ed anche per questo è faticoso distaccarsene. Giusto per iniziare a modificare il proprio punto di vista, potrebbe essere d’aiuto prendere coscienza del fatto che anche i credenti, in un certo senso, sono atei, perché di fatto non credono in nessun’altra divinità (o pantheon), tranne che in una: la propria. L’ateo ha soltanto fatto un passo in più, prendendo consapevolezza che neanche il dio che gli è stato propinato fino da piccolo esiste, perché poco plausibile e poco credibile, proprio come tutti gli altri.

    Oggi pomeriggio divento ateo!

    Atei non si nasce, né lo si diventa all’improvviso. Anche volendo, abbandonare la mentalità magica e religiosa non è un percorso che si può compiere bruscamente. Convertirsi ad una religione o sposare un nuovo credo si può fare molto più facilmente, perché si tratta di scambiare dei dogmi e delle credenze con altri di origine differente. Privarsi del sostegno delle certezze assolute che una religione può dare è un passaggio più traumatico e, necessariamente, più complesso e graduale.

    In questo percorso, gioca un ruolo fondamentale l’educazione ricevuta nei primi anni di vita e l’azione della scuola. È evidente che ogni credente ha metabolizzato le proprie convinzioni religiose, iniziando un precoce percorso di formazione culturale; da principio caratterizzato dall’educazione familiare, in seguito rafforzato dalla scuola e, in alcuni casi, definitivamente consolidato dalla frequentazione di corsi di catechismo. Questo è quello che avviene in Italia, il mio Paese ed è quello che io stesso ho vissuto, ma qualsiasi altra religione, per avere successo e sopravvivere, deve cercare di entrare nella vita degli individui il prima possibile, possibilmente dalla nascita (vedi i vari tipi di battesimo).

    A me è capitato di essere cattolico: dato che sono nato in Italia era molto probabile che così sarebbe stato; d’altronde, esiste una forte correlazione fra il Paese o l’area geografica di appartenenza e le religioni dominanti: Cristiani, Musulmani, Buddisti, Induisti, Animisti, ecc. ogni gruppo religioso ha le proprie aree di forza e di maggiore diffusione in alcune zone geografiche bene individuabili. Lo stesso principio vale anche per le religioni minori (che vantano meno seguaci); infatti, ogni comunità, per piccola che sia, se ha una propria autonomia culturale, avrà anche una propria religione, credenza o, quantomeno, una variante personalizzata della religione dominante. Qualsiasi comunità, posto un numero di individui abbastanza grande ed una sufficiente omogeneità culturale, manifesta la propria indipendenza culturale anche tramite la propria personalizzazione della religione.

    Citando Bertrand Russell: Con pochissime eccezioni, la religione che l’uomo accetta è la stessa professata dalla comunità dove vive, sicché è l’influenza dell’ambiente che lo spinge ad accettarla. (Perchè non sono Cristiano, B. Russel, ed. Longanesi)

    Il fatto veramente curioso, agli occhi di una persona che osserva dall’esterno l’universo dei credenti (nella fattispecie parlo di me stesso), è che ciascuna comunità religiosa, a prescindere dalle dimensioni, professa l’autenticità e la verità assoluta del proprio credo. La religione è credere sulla fiducia che una cosa sia vera, anche se il termine più utilizzato nella nostra lingua è credere per fede. Non esiste spirito critico nel religioso autentico, perché credere per fede è, per definizione, credere senza chiedere dimostrazione di quello in cui si crede; al massimo è concesso di essere critici e dubbiosi nei riguardi di chi ha il ruolo di mediatore fra dio e gli uomini (nelle religioni che prevedono una mediazione): si può dubitare della Chiesa e criticare alcune scelte prese dalla sua classe dirigente, ma questo non deve far vacillare la fede in Dio. Io sono sempre stato curioso ed ho sempre cercato di farmi nuove domande interessanti per riuscire a capire meglio il mondo che mi circonda, la curiosità che ho sempre dimostrato è la stessa che la religione alla quale sono stato avvicinato, invece, cercava di sopire con risposte preconfezionate, oltre le quali non esisteva niente se non Dio. Da una parte, ho accettato quelle risposte per umiltà (tutte quelle persone grandi che ci credevano non potevano essere stupide e, allo stesso tempo, essere io il solo ad avere capito che qualcosa non tornava…); dall’altra, la forte resistenza a prendere coscienza della mia perplessità verso la religione derivava dalla paura di non essere accettato e di essere lasciato solo (cosa avrebbero detto di me i miei genitori, i miei amici?) e, talvolta, ho preferito fingere di non vedere che le cose non tornavano e mentire a me stesso, anche per un vantaggio personale (non è poi tanto male avere Dio che ti guarda, che tiene a te, che ti aiuta e che ti punisce solo se ti comporti male). Devo dire, però, che un’altra parte di me, si sentiva come di fronte ad un bambino antipatico che risponde sempre Perché sì! oppure perché no! senza dare alcuna motivazione. Questa sensazione, col passare del tempo, è divenuta sempre più insostenibile.

    L’insoddisfazione generata dall’inadeguatezza delle risposte date dalla religione alle mie domande non è stata l’unica sorgente dalla quale è iniziato a sgorgare il mio ateismo, perché la fede religiosa di default {quella che caratterizza la comunità alla quale apparteniamo) può derivare da una sorta di disciplina morale, che ci è stata trasmessa fin da piccoli, senza avere altre alternative da valutare. Contemporaneamente a questa disciplina, il bambino riceve il resto del pacchetto educativo (come stare a tavola, come comportarsi con prudenza prima di attraversare la strada, quando e come salutare una persona, ecc.). Questi insegnamenti hanno in comune il fatto di essere ritenuti veri in quanto trasmessi da chi ci cresce e ci educa e nei loro confronti abbiamo timore reverenziale. Iniziare a diventare atei significa iniziare a pensare, anche solo lontanamente, che i nostri genitori e tutte le persone a noi care, stiano sbagliando strada oppure l’abbiano sbagliata da sempre. Per fare un passo come questo, è necessario raccogliere informazioni, elaborarle ed iniziare a capire meglio da che cosa sia composto il rumore di fondo che disturba la nostra mente, quando ci poniamo dei dubbi riguardo ad alcuni aspetti, che rendono poco plausibili le tesi all’origine della religione. Ad esempio: ogni religione professa verità completamente discordanti luna dall’altra; questo è oggettivo e per verificarlo basta leggere i testi sacri (o sacrilegi, a seconda della religione di appartenenza del lettore) e prendere appunti su quello che ce scritto, ascoltare i discorsi dei membri delle caste religiose ed osservare quanto siano diversi i punti di vista (spesso in contrasto con altri individui professanti la medesima religione). Certo, sono frequenti i tentativi, a mio avviso goffi e, di fatto inefficaci, di dimostrare che in realtà tutte le religioni hanno fini comuni, credono in cose comuni, quindi siamo tutti fratelli, abbiamo punti di vista diversi, ma alla fine tutti crediamo in un unico DIO!. Che sarebbe come andare al G8 e dire: Suvvia, è vero che siamo Stati diversi, con forme di governo diverse, con leggi diverse, con economie diverse, con climi diversi, con origini storiche diverse, ma alla fine abbiamo tutti la comune convinzione che la Terra esista e sia approssimativamente rotonda, quindi perché continuare a litigare tra di noi?.

    Insomma, se ogni religione ha tesi differenti e ciascuna sostiene di essere la verità assoluta, nella migliore delle ipotesi soltanto una ha ragione e le altre hanno torto, quindi i seguaci delle altre o sono degli illusi ed i mediatori del messaggio divino, o sono anch’essi degli illusi, o sono degli impostori.

    La pretesa verità assoluta delle principali religioni oggi esistenti, fra l’altro tutte monoteiste, è il seme che ha generato il conflitto fra i popoli appartenenti alle diverse confessioni religiose. Tutto questo, visto dal punto di vista di un osservatore esterno non religioso,

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