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Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica
Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica
Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica
Ebook150 pages1 hour

Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica

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Numerosi sono gli autori, psicologi e letterati che, nel corso del XX secolo si sono occupati del tema dello specchio. Lo specchio è un oggetto apparentemente semplice ed ordinario ai nostri occhi, ma che si rivela uno strumento portatore di risorse e di domande sulla natura dell’uomo. Sono sorti, in questo modo, non solo dibatti e discussioni, ipotesi e teorie, ma anche studi sistematici nell’ ambito della psicologia.

L’interazione con la propria immagine riflessa allo specchio risente del rapporto che si ha con il contesto sociale, con il gruppo dei pari, con la famiglia e porta con sé sentimenti, impressioni e giudizi esperiti dalla nascita fino al momento attuale; tutto ciò richiede un' integrazione tra le proprie informazioni e ciò che il mondo esterno ci rimanda.

L'intervista allo specchio è uno strumento che permette al terapeuta di condurre un’indagine diagnostica più rapida rispetto agli strumenti tradizionali, ma può anche essere utilizzata nel percorso terapeutico o come follow-up.

In questo lavoro vengono messi a disposizione l'intervista ed i metodi di studio. Dopo una presentazione delle modalità di applicazione dello strumento “SPECCHIO” e dell’intervista nelle diverse versioni che ne abbiamo elaborato, viene analizzata una situazione clinica e confrontata con altri più tradizionali test del percorso diagnostico.

LanguageItaliano
Release dateJun 25, 2013
ISBN9788868550288
Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica

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    Uso clinico del test dello specchio nell'attività diagnostica e prognostica - Graziella Fava Vizziello

    dell’individuo.

    CAPITOLO 1

    LA RELAZIONE CON LA MADRE E CON LO SPECCHIO-MADRE

    1.1  Il bambino allo specchio e il riconoscimento della propria immagine

    Gallup (1970)⁴ postula che per gli scimpanzé l’autoriconoscimento può avvenire probabimente solo perché hanno un concetto di sé ed estende all’uomo questa sua concezione . La capacità di riconoscersi allo specchio potrebbe quindi diventare un criterio per individuare la presenza del concetto di sé. Gallup ha scoperto, infatti, che alcuni scimpanzé marcati con una tinta rossa (test della macchia) sembravano essere capaci di riconoscersi nello specchio; essi utilizzavano l’immagine allo specchio per esplorare la marcatura rossa, cosa che le scimmie non erano in grado di fare, per quanto fossero state esposte a lungo allo specchio. Poiché le identità dell’osservatore e del riflesso sono le stesse, ne deriverebbe che l’abilità nell’inferire correttamente l’identità dell’immagine nello specchio, potrebbe essere basata su un già preesistente senso d’identità.

    Secondo Gallup la mancanza di questa abilità rappresenta un deficit cognitivo. Senza almeno un rudimentale concetto d’identità, l’autoriconoscimento sarebbe impossibile. Ciò potrebbe spiegare perché alcuni autori (Amsterdam, 1972; Zazzo 1975; Bretenthal and Fischer, 1978; Lewis e Brooks-Gunn 1978), che hanno svolto studi per descrivere le tappe fondamentali dei comportamenti del bambino davanti allo specchio, hanno trovato, con un generale accordo, che il riconoscimento della propria immagine avviene solo verso i due anni e mezzo di età.

    Beulah Amsterdam⁵ (1972) individua una sequenza di tappe che il bambino compie, tra i 6 e i 24 mesi di vita, per giungere all’autoriconoscimento allo specchio. Secondo l’autore inizialmente non vi è interesse da parte del bambino nei confronti dello specchio, non lo guarda oppure gli rivolge sguardi rapidi e sfuggenti, preferendo focalizzare l’attenzione sulla madre o su altre cose. Solo a partire dal terzo mese di vita il bambino inizia a mostrare interesse per i movimenti dell’immagine nello specchio.

    In seguito, tra i 5 e gli 8 mesi, il bambino passa a quello che Amsterdam definisce un comportamento sociale nei confronti dello specchio: sorride, ride, bacia o tocca la propria immagine, vocalizzando proprio come fosse un compagno di giochi, un bambino reale.

    Nello stadio successivo, compreso tra i 12 e i 18 mesi, il comportamento prevalente del bambino è quello di confronto tra sé e la propria immagine o tra un oggetto e la relativa immagine, alternano quindi la propria attenzione tra realtà e immagine virtuale. Successivamente il bambino inizia una fase di sperimentazione in cui manipola l’immagine, soffermandosi ad osservare cosa succede se si muove. In questo comportamento auto-comparativo, il bambino guarda nuovamente alternativamente al proprio corpo e all’immagine riflessa nello specchio. Già a partire dai 12 mesi compare una fase caratterizzata da comportamenti di ricerca con i quali il bambino tenta di entrare nello specchio, lo tocca, vi guarda dietro mostrando, in generale, curiosità e perplessità.

    Successivamente, tra i 17 e i 24 mesi, subentra una reazione di evitamento davanti allo specchio; il bambino piange, si nasconde o comunque sfugge dall’immagine. Ciò è dovuto, secondo Amsterdam, al fatto che il bambino ora si rende conto, grazie alle nuove capacità cognitive acquisite, che questa esperienza d’interazione non coincide con quelle vissute con altri esseri viventi. Il bambino nello specchio non è come lui: è freddo al tatto e bidimensionale. Solo al termine di questa fase il bambino giunge ai comportamenti di autoconsapevolezza: egli si ammira con fierezza o al contrario lancia timide occhiate arrossendo, si agghinda e fa il pagliaccio o sembra invece imbarazzato. A questo punto, indicativamente verso i due anni di età, compare un chiaro riconoscimento, che si manifesta quando il bambino dice il proprio nome o indica se stesso e/o il riflesso.

    Tra il 1972 e il 1980, Renè Zazzo⁶, compie diversi esperimenti per rispondere ad alcune domande sullo sviluppo del comportamento del bambino davanti allo specchio, arrivando infine ad individuare una serie di tappe che si susseguono nel corso dei primi anni di vita del bambino. Anche secondo Zazzo il bambino non si identifica con l’immagine allo specchio prima dei due anni d’età. In questo lungo periodo le sue reazioni davanti allo specchio sono in continua evoluzione permettendo di individuare delle tappe di sviluppo tipiche. Nelle prime settimane di vita il neonato guarda davanti a se, ma in modo intermittente e non sembra interessato a ciò che vede. Nel periodo che va dai 3 ai 4 mesi compaiono le prime reazioni sociali: sorrisi e vocalizzazioni. Verso i 10-12 mesi, il bambino mette in atto scambi sociali come se l’immagine allo specchio fosse un bambino reale. Successivamente compaiono i primi contatti: il bambino batte sulla superficie e gioca con le mani attraverso una sperimentazione continua e si confronta con l’immagine allo specchio. Questi giochi con le mani scompaiono poi bruscamente verso i 18 mesi per lasciare spazio ad un atteggiamento di perplessità ed immobilità: la reazione di evitamento.

    Come precedentemente accennato, un metodo, utilizzato per la prima volta da Gallup⁷ sulle scimmie, per verificare quando il bambino si riconosce allo specchio, consiste nel test della macchia.

    Il viso dei bambini viene macchiato di rosso in una parte che non sia accessibile visivamente, come il naso o la fronte, in modo che essi non se ne accorgano, con una sostanza inodore e non percepibile al contatto con la pelle. Successivamente i bambini vengono portati di fronte allo specchio e si osserva se essi portano la mano sulla propria faccia o se, invece, la avvicinano all’immagine riflessa. Se i bambini sono indotti a toccare la macchia sul proprio viso o a cercare di pulirsi, vi è allora una precisa evidenza della loro capacità di riferire l’immagine esterna al proprio corpo, e quindi di riconoscersi. Mentre l’avvicinare la mano allo specchio è tipico delle fasi precedenti al riconoscimento della propria immagine.

    Tra i bambini che furono coinvolti negli studi di Zazzo, il più precoce a superare il test della macchia aveva 17 mesi mentre il più tardivo aveva 27 mesi. La prova della macchia è un criterio attendibile per verificare l’autoriconoscimento, infatti permette di verificare l’autoriconoscimento con una sola prova e di tipo non verbale, consentendo quindi di superare le difficoltà relative all’interferenza dello sviluppo linguistico.

    Un ulteriore modo per verificare l’autoriconoscimento del bambino è quello di chiedere Chi è? riferendosi all’immagine nello specchio. Con questa metodologia il riconoscimento avviene in modo sistematico solo verso i 36 mesi, quando tutti i bambini rispondono alla domanda dicendo il proprio nome o sono io

    Il divario fra la riuscita al test della macchia e la risposta verbale, non sembra avere rapporto con il quoziente di sviluppo, ma secondo gli autori attesta la fragilità della conoscenza visiva di sé. La conoscenza visiva di sé, inizia quindi non prima dei 16-18 mesi; ma in media è presente verso i 2 anni e si sviluppa seguendo una sequenza tipica. In un primo tempo, infatti, il bambino, anche se si è già riconosciuto, continua ad andare a cercarsi dietro lo specchio. Questo comportamento si estingue solo quando compare la comprensione dello spazio virtuale.

    Inizialmente Zazzo aveva ipotizzato che il meccanismo, che consente al bambino di mettere in relazione l’immagine allo specchio con se stesso, fosse il sincronismo dell’esperienza allo specchio; il bambino si rendeva conto di essere lui nello specchio nel momento in cui diveniva conscio dell’uguaglianza dei propri gesti, con i gesti dell’immagine riflessa. Con il procedere dei suoi esperimenti l’autore abbandona però l’idea che il sincronismo sia all’origine della conoscenza visiva di Sé, avendo constatato che le reazioni di perplessità ed evitamento, in cui era evidentemente coinvolta la percezione del sincronismo, precedevano di molto la conoscenza visiva di Sé.

    Zazzo ammette quindi di aver individuato quelli che lui definisce i paletti, cioè le tappe fondamentali dello sviluppo, senza però aver individuato il come avvenga il passaggio tra una fase e l’altra e quale sia la relazione tra esse. Vediamo quindi che le successioni descritte dai due autori non si discostano di molto l’una dall’altra. Inoltre sia Amsterdam che Zazzo concordano sul fatto che il bambino riconosce prima gli oggetti inanimati, poi le altre persone, quindi i cambiamenti o gli accessori della sua immagine corporea e, solo alla fine, se stesso.

    1.2  Winnicott e la funzione specchio della madre

    Donald W. Winnicott viene influenzato, nell’elaborare la

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