Doris Lessing fra colonialismo e postcolonialismo.
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Book preview
Doris Lessing fra colonialismo e postcolonialismo. - Valentina Burcheri
Self-Publishing
Copyright © 2012
Youcanprint Self-Publishing
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www.youcanprint.it
Titolo : Doris Lessing fra colonialismo e postcolonialismo.
Autore : Valentina Burcheri
Immagine di copertina a cura dell’autore.
ISBN: 9788867512799
Prima edizione digitale 2012
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.
Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Table of Contents
Doris Lessing fra colonialismo e postcolonialismo.
Copyright © 2012
Introduzione
Capitolo I: Contesto storico e cenni biografici.
I.1. L’incontro dei genitori e il trasferimento in Persia.
I.2. L’Africa, il periodo formativo, i matrimoni.
I.3. Il trasferimento a Londra e la consacrazione a scrittrice.
I.4. Un po’ di storia.
I.5.Doris Lessing e la sua esperienza nel rapporto fra neri e bianchi.
II capitolo: The Grass is Singing.
II.1. Sintesi e personaggi.
II.3. Narratore.
II.4.Tematiche e genere.
II.5.Le contraddizioni del sistema coloniale: una coppia scomoda.
II.5.1.I Turners e il loro rapporto con i neri.
II.5.2. Mary e Moses: una relazione ambivalente.
Capitolo III: Collective African Stories.
III.1. Struttura dell’opera.
III.2. Sintesi e analisi dei racconti.
III.3. Spazio e tempo.
III.4. Il genere.
III.5.Ambivalenze in una società gerarchica coloniale.
Capitolo IV: African Laughter.
IV.1. Sintesi e struttura dell’opera.
IV.2. Narratore.
IV.3. Spazio e tempo.
IV.4.Tematiche e genere.
IV.5.Un viaggio nelle contraddizioni del mondo postcoloniale.
Conclusione
Bibliografia
Ringraziamenti
Introduzione
Doris Lessing ha vissuto fino ai trent’anni in Rhodesia del Sud (dal 1980 Zimbabwe), in seguito è stata esiliata dal paese per il suo impegno comunista contro il razzismo dei coloni bianchi tornandovi in visita nel 1982, dopo ventisei anni dal suo esilio. Tale percorso ha suscitato l’interesse sul modo in cui Doris Lessing tratta i rapporti fra i neri e i bianchi all’interno delle sue opere nel corso di sessanta anni.
Questo lavoro mira ad approfondire tre opere di Doris Lessing in cui vengono messe in evidenza quelle contraddizioni nei rapporti fra bianchi e neri che si vengono a creare all’interno del sistema coloniale e postcoloniale. Le opere scelte sono The Grass is Singing, Collective African Stories e African Laughter, Four Visits to Zimbabwe.I primi due mostrano i rapporti che vi sono all’interno del sistema coloniale tra gli anni venti e cinquanta, il terzo mostra gli stessi rapporti in una prospettiva postcoloniale, dagli anni ottanta e novanta.
All’interno delle opere il punto di vista generalmente è dei coloni bianchi, poiché Doris Lessing è cresciuta all’interno del contesto coloniale bianco; tuttavia, grazie alla diversità
nel percepire il mondo in cui ha vissuto, Lessing mostra nelle prime due opere come i personaggi di colore abbiamo delle reazioni e agiscano secondo la loro individualità. Con ciò la scrittrice dimostra che sia neri che bianchi si relazionano l’un l’altro e, non meno importante, che entrambi i gruppi sono schiavi
delle regole che il sistema coloniale ha legittimato.
Inoltre, alcuni testi critici non considerano Doris Lessing un’autrice che si occupa di rapporti interraziali come si può dedurre dalla nota di Adams: Son oeuvre diverge d'emblée de celle de Nadine Gordimer qui, des sa première nouvelle, (…), aborde le terrain des rapports entre Européens et Africains en Afrique du Sud
¹. Adams cita solamente la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer come colei che denuncia i problemi fra razze e negando così il ruolo sociologico e implicitamente politico di Doris Lessing, la quale, come vedremo, parla diffusamente dei rapporti fra occidentali e africani fin dal primo romanzo; inoltre Bertinetti non la annovera nella sezione Letterature africane
del secondo volume di Storia della letteratura inglese² ma in quella di Letterature contemporanee
probabilmente per via del suo esilio in Gran Bretagna, diversamente dalla già menzionata Gordimer e da André Brink, che invece sono rimasti in Sudafrica. Inoltre, il fatto che Lessing non venga annoverata ne Le letterature africane
né all’interno della letteratura postcoloniale si può dedurre dal fatto che le opere di Doris Lessing siano diverse in genere e in setting, e quindi difficili da categorizzare in un’unica sezione. Tuttavia, proprio per la sua prolificità e per le tematichepostcoloniali di cui vedremo, e che solo Chennells ha evidenziato in Postcolonialism and Doris Lessing's empires
³, Doris Lessing, non solo si occupa di rapporti umani fra culture e razze diverse, ma anche di tematiche riguardanti il transculturalismo, il ruolo dei subalterni, la stereotipia, l’ibridismo, suscitando maggiore stimolo ad approfondire l’aspetto postcoloniale e antropologico di Lessing.
Il presente lavoro si propone di mostrare, attraverso l’analisi dei rapporti fra bianchi e neri raccontata da Doris Lessing, le contraddizioni che vengono a crearsi involontariamente dalle regole che il sistema coloniale ha legittimato e che continuano ad essere presenti nel sistema postcoloniale; allo stesso tempo l’obiettivo è quello di inserire la scrittrice in un contesto critico-letterario confacente alle tematiche da lei trattate dal momento che fotografa una realtà sociale africana caratterizzata da uno sguardo neutro sulle vite di bianchi e di neri all’interno dei distretti coloniali tipici della zona in cui la scrittrice ha vissuto, concentrandosi quindi sui cosiddetti subalterni
come direbbe la Spivak, o i dannati della terra
, come direbbe Fanon e mettendo in evidenza le difficoltà della vita che affrontano i neri e persino i bianchi.
Tuttavia, una panoramica sulle origini degli studi accademici sul postcolonialismo è utile per poter apprezzare l’opera di Doris Lessing.
Grazie agli studi postcoloniali e alla rivalutazione postuma da parte di critici e studiosi accademici delle opere scritte in periodo coloniale, viene alla luce una maggiore comprensione di tutto ciò che è avvenuto nel periodo storico coloniale.
Il colonialismo è la politica di conquista e di dominio di uno stato su di un altro che possiamo osservare storicamente nascere all’inizio del XVI secolo, dopo la scoperta dell’America fino alla seconda metà del 1700. In questo primo periodo lo sfruttamento commerciale da parte di Compagnie di navigazione precede generalmente la conquista militare e politica dei territori. Un primo gruppo di scritti rilevanti per la storia del colonialismo è costituito da memorie, diari di bordo degli esploratori, geografi e missionari, che in molti casi furono l’avanguardia della conquista coloniale. Queste opere, in cui la descrizione meticolosa dei paesi e delle loro caratteristiche geografiche va di pari passo con la descrizione delle popolazioni, della loro cultura e della loro organizzazione sociale, spesso costituiscono fonti insostituibili anche per la storia del periodo precoloniale, soprattutto per popolazioni in cui l’assenza della scrittura non permette di disporre di testimonianze più antiche.
Sarà nel XIX secolo che l’espansione coloniale avrà il suo climax, quando nove decimi dell’intera superficie del pianeta vennero posti sotto il controllo, diretto e indiretto, dei governi dei paesi europei. Il dominio coloniale e imperiale fu legittimato da teorie antropologiche che sempre più ritrassero i soggetti del mondo colonizzato come inferiori, infantili, femminili, incapaci di badare a se stessi (malgrado lo avessero fatto bene per lunghi millenni) e bisognosi (…)
⁴del benessere e soprattutto della civilizzazione che solo i bianchi avrebbero portato. In questa seconda fase, che prende il nome di Imperialismo, a differenza della prima, la conquista militare e politica precede lo sfruttamento commerciale. Proprio nella seconda metà di questo secolo si assiste ad uno straordinario incremento delle pubblicazioni che sono una sorta di reportage dell’esploratore e/o colono di quello che osservava nelle terre colonizzate. Questo incremento è sostenuto da un aumentato interesse del pubblico per la questione coloniale e dall’attività di società geografiche e scientifiche. Questi primi scritti, oltre ad essere un’impareggiabile panoramica sociologica e culturale dei paesi colonizzati, concorrono al crearsi di pregiudizi e cliché che nel tempo verranno esasperati e stigmatizzati: l’immagine del buon selvaggio del XVII secolo, ma anche dell’altro
, da non conoscere, ma da emarginare e/o trattare con condiscendenza data la sua inferiorità, per ingrandire l’immagine della superiorità degli occidentali e del bianco in genere. Questi testi comunicano la convinzione dei bianchi che solo il colono può rappresentare il nativo, perché quest’ultimo non è capace di autorappresentarsi, vista la sua semplicità e la mancanza di valori. Solo gli occidentali, infatti, possono farlo perché portatori di cultura, raziocinio e persino di verità sulla fede religiosa. In effetti anche la Chiesa fa il suo ruolo di colonizzatrice piuttosto che di evangelizzatrice: La Chiesa in colonia è una chiesa di bianchi, una Chiesa di stranieri. Non chiama l’uomo colonizzato alla via del Signore, ma alla via del bianco, alla via del padrone, alla via dell’oppressore. E com’è noto, in questa faccenda ci sono molti più chiamati che eletti.
⁵Fanon ci ricorda che il mondo coloniale è un mondo manicheo. Non basta al colono limitare fisicamente, (…), lo spazio del colonizzato. Come ad illustrare il carattere totalitario dello sfruttamento coloniale, il colono fa del colonizzato una specie di quintessenza del male. (…) L’indigeno viene dichiarato impermeabile all’etica, assenza di valori, ma anche negazione dei valori. In questo senso, è il male assoluto.
⁶ E’ nata così quella dicotomia nero o scuro = male e bianco = bene, pregiudizio che si protrarrà fino alla fine del colonialismo, e base per il dominio e la conseguente brutalizzazione e animalizzazione
degli indigeni. Si acuisce così l’idea di razza tesa a giustificare l’appropriazione di manodopera e quindi di schiavi da parte dei colonialisti. Nel XVIII secolo questo flusso migratorio forzato sarà uno dei più imponenti nella storia dell’umanità.
Se in The tempest di Shakespeare, del 1611, traspare l’idea che il commercio con le colonie sia solo frutto dell’ambizione umana in seguito vi saranno vari esempi di scrittori che valorizzano l’idea del bianco portatore di civiltà e allo stesso tempo supportano l’espansione mercantilistica e quindi il capitalismo, portatori di benefici e ricchezze alle nazioni europee di cui Inghilterra e Francia erano le più potenti. Un esempio attinente è Oroonoko or The Royal Slave romanzo scritto da Aphra Behn del 1688, che pur riconoscendo come la vita degli schiavi fosse dolorosa e disperante, è consapevole del potenziale economico che il commercio con le colonie poteva portare alla corona britannica. Nel 1719 viene pubblicato il primo romanzo della tradizione borghese europea, Robinson Crusoe di Daniel Defoe, che, può essere letto non solo come una parabola esemplare del nascente capitalismo mercantilistico, ma anche come modello di narrazione coloniale.
⁷ Grandi autori come Kipling, Conrad e Forster concorrono in maniera magistrale al grande affresco di un’epoca che la letteratura coloniale va a