Il Cristianesimo dei primi secoli tra filosofia e riti misterici
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Il Cristianesimo dei primi secoli tra filosofia e riti misterici - Franco Savelli
Trinitari
La crisi sociale dei primi secoli
Nel II sec. dC nel mondo romano si rese evidente uno stato di crisi, non più legato soltanto a carestie e pestilenze, ma causato dalle difficoltà che coinvolgevano i popoli degli evoluti territori di confine ed i traffici commerciali; pressati i primi dalle tribù barbariche ed ostacolati i secondi dalle azioni di pirateria, i disagi affliggevano l’intera comunità, già avvilita dalle lotte di potere. L’imperatore Traiano (98-117), all’inizio del II sec. era stato costretto ad intervenire contro i Daci della Pannonia (attuale Ungheria) per stroncare le minacce sui confini danubiani e così Marco Aurelio (161-180) dovette contenere prima i Parti invasori dell’Armenia e poi contrastare le infiltrazioni dei popoli sarmati (originari delle regioni pedemontane degli Urali) che erano giunti fino ad Aquileia. La necessità di approntare milizie a difesa dei confini, nel periodo successivo alla dinastia dei Severi (193-235) segnato da tumulti militari e tensioni sociali, costrinse a pianificare un enorme impegno finanziario ed umano che comportò imposizioni fiscali e l’abbandono delle campagne. Venne pertanto a cessare lo stato di benessere che si era registrato nel periodo imperiale della dinastia degli Antonini (96-192). La costituzione di nuove milizie richiese impiego di uomini che, per non ridurre lo sforzo volto a colmare i vuoti nelle campagne e nelle grandi tenute private, obbligò all’utilizzo di masse barbariche sia per l’arruolamento nell’esercito che per il ripopolamento dei fondi agricoli. Strategie che causarono un profondo mutamento della società perché l’inserimento nelle campagne di nuovi arrivati portatori di una cultura diversa modificò metodi e maniere mentre l’arruolamento di militanza barbarica comportò lo spostamento di maestranze dall’esercito all’amministrazione e da qui ad altri settori. E, nel momento in cui anche il dislocamento dell’esercito lontano dal centro di potere accrebbe l’autorità politica dei militari, si verificarono frequenti atti di insubordinazione che contribuirono a far scivolare la società in una profonda crisi.
In tale contesto le masse popolari, rimaste prive di riferimenti, travolte dai bisogni, escluse da ogni iniziativa promozionale e dominate da un senso di smarrimento, si accostarono a forme sempre più accentuate di misticismo, irrazionalismo e religiosità intrisa di superstizione. Così, oltre ai culti ed ai riti ufficiali, crebbe tutto un sottofondo di credenze a carattere popolare e di pratiche corredate da stregonerie ed esorcismi che, nei processi di inurbamento, si erano trasferite dalla campagna alla città. Si vennero anche a incrementare le pratiche religiose facenti capo all’imperatore pontefice massimo
, favorite da ragioni di opportunità politica e da esigenze di carattere civile mentre i ceti culturalmente più evoluti si accostavano alle correnti del pensiero filosofico greco che, tendente a saldarsi con quello di un Dio unico e supremo, affermava la credenza nella possibilità di una eterna sopravvivenza dopo la morte, prospettiva garantita dalle religioni misteriche e dalla nuova dottrina cristiana che attraeva le classi più emarginate. Non mancava tuttavia chi, ignorando i problemi spirituali, continuava a vivere rivolto unicamente alla soddisfazione dei sensi.
La dottrina cristiana
A metà del primo secolo, nel mondo romano, si era iniziata a diffondere la dottrina cristiana che trasmetteva il messaggio di un Cristo-Messia venuto a promettere la salvezza eterna a coloro che lo avessero seguito nell’amore verso Dio. Seduceva e faceva proselitismo la dottrina innovativa di un Dio fattosi uomo per abbracciare la condizione degli indigenti così come coinvolgeva il racconto enfatizzato della sua condanna a morte e crocefissione come fosse un sedizioso. I ceti meno abbienti trovarono così un nuovo approdo in quelle comunità di cristiani che rivolgevano la loro attenzione alla condizione dei diseredati e dei più esposti alle insidie del mondo (poveri, vedove ed orfani, anziani e condannati per ragione di fede) che venivano accolti con comprensione e protezione. Una maniera che rifiutava i modelli di vita eroica esaltati dalla mitologia pagana. Coloro che si rivolgevano ai seguaci della nuova dottrina oltre alla solidarietà trovavano appagamento nell’apprendimento delle scritture in un’atmosfera spirituale di carità ed amore (esaltata nell’Octavius dall’apologeta del III sec. Minucio Felice).
I promotori della dottrina cristiana, che s’identificava nell’appartenenza a Cristo ed alla sua cittadinanza celeste, smaniavano di far proseliti e guidare coloro che si accostavano alla nuova fede verso forme di vita appartata rispetto alla comunità terrena ed alla inconciliabilità con altre fedi religiose. La qualcosa comportava la ricusa dei beni, il rifiuto della partecipazione alla vita politica e l’assunzione di comportamenti morali rigorosi, nell’aspettativa della sopravvivenza