IL GIORNO DELL'ORACOLO
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IL GIORNO DELL'ORACOLO - Lucia Guazzoni
Guazzoni
Colofone
Cover Elisabetta Rossi
ISBN
Riferimento Diritti d'Autore
Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione, trasformazione,
moltiplicazione o distribuzione, totale o parziale, della
presente opera, attraverso memorizzazione digitale (fotografia,
microfilm o altro), sono espressamente vietati in assenza di una
autorizzazione scritta dall'Autore.
Riferimenti ad eventi, luoghi o persone sono frutto della fantasia
dell'Autore e pertanto puramente casuali.
Sinossi
Frisco e il suo Gabbiano
sono fermi a Tinos, un'isola dell'Egeo, in attesa di Niels che li ha convocati.Angela è morta in un incidente d'auto e Frisco da quel momento non è più lo stesso, disperato e deciso a distruggersi con le proprie mani. Ma a bordo del Gabbiano
arriva Jolanda, giovane ed entusiasta che si innamora di quell'uomo cupo e scontroso che la tratta male.Una nuova avventura con scontri epici e battaglie che vedrà l'affondamento del Gabbiano
e la decisione di Frisco di portare Jolanda a Delfi per sapere dall'Oracolo se tenere la ragazza con sé o cacciarla. E tra le pietre sconnesse del Santuario, davanti alla caverna dove la gente veniva ad ascoltare la parola dell'Oracolo, Frisco e Jolanda troveranno la risposta a quello che diventerà un nuovo amore.
Cap. 1
Il tre alberi doppiò il faro candido di Tinos e proseguì, aggirando l'isola. Era una splendida giornata di aprile, ma nell'Egeo il sole scottava già e il cielo aveva quella particolare tonalità di azzurro che lo faceva sembrare come il mare che iniziava appena più sotto. Le nuvole bianche macchiavano il cielo e il vento gonfiava le vele del tre alberi che procedeva veloce.
Sembrava una nave scuola, ma con lo scafo più snello, come un levriero da corsa. Era nero e bianco, lucido, elegante; il bompresso puntava al mare e il vento fischiava tra il sartiame. Sulle due fiancate e sulla poppa scintillava il nome a lettere dorate Il Gabbiano
L'uomo al timone era alto, magro, con i capelli neri e folti mossi dal vento, il viso scavato con la barba di un paio di giorni, gli occhi neri, profondi. Era a piedi nudi, i jeans arrotolati al ginocchio e una sigaretta tra le labbra. Senza girare il capo, disse.
- Ammaina tutto, Tom.
L'uomo a cui era diretto il comando era un negro alto quasi due metri, che si sporse dalla porta della plancia e gridò, in greco.
- Ammaina tutto!
Nel giro di pochi minuti le grosse vele furono ammainate e arrotolate da una decina di uomini abbronzati e scalzi che somigliavano più a pirati che a marinai.
- Molla l'ancora, ci fermiamo qui.
La nave si trovava in una piccola insenatura dove si stagliavano poche case bianche e un mulino, uno dei tipici mulini dell'Egeo per irrigare i campi. L'uomo si scostò dal timone e si affacciò al parapetto. Tom gli si affiancò.
- E' questo il posto?
- Già. Niels ha detto che sarà qui oggi. O domani.
- Allora mando a terra gli uomini?
- Sì, ma che tornino prima di sera. Se Niels arriva, dovremo partire in fretta, forse.
Il negro annuì e si allontanò, mentre l'uomo con calma tirava fuori un pacchetto di sigarette e se ne accendeva una con il mozzicone della precedente. Si chiamava Francis Ackermann, meglio noto come Frisco. La sua vita era stata parecchio movimentata e, benché ora fosse un armatore in regola con la legge e le sue navi container fossero conosciute in tutto il mondo, prima era stato un trafficante d'armi, ugualmente ben conosciuto. Tra fasi alterne si era trovato al di là e al di qua del muro della legge e ora, da anni, viveva apparentemente tranquillo. Ma solo apparentemente, perché di tanto in tanto esercitava ancora la vecchia professione, però sotto l'egida e le istruzioni di un settore molto distaccato della CIA. Rappresentante di questo settore era Niels Sorensen, che era diventato suo amico quando per la prima volta gli aveva dato la caccia.
Ora erano tutti e due dalla stessa parte e, tre giorni prima, Niels gli aveva telefonato nel suo ufficio al Pireo. Era sembrato frettoloso e poco ciarliero. Gli aveva chiesto di trovarsi all'isola di Tinos col suo Gabbiano
e di aspettarlo lì, doveva parlargli. Frisco non era abituato a ricevere ordini, ma tra di loro c'era sempre stato un canale quasi telepatico che li univa. Se Niels chiedeva in quel modo, c'era una ragione precisa e così avvisò la segretaria che se ne sarebbe andato per qualche giorno; telefonò a Roulla, la governante, per avvisarla che non sarebbe tornato a casa e chiamò Tom.
Tom era con lui da quando era arrivato per la prima volta in Grecia, dall'America, dove era nato e vissuto. Prima era stato suo marinaio, poi gli aveva salvato la vita e ora era il suo migliore amico.
Così ora il Gabbiano
era ancorato lì, di fronte a Tinos, in attesa di Niels.
Frisco scese la scaletta che portava al ponte e incontrò Adonis, un giovane greco sempre sorridente che si era autonominato suo angelo custode anni prima e che continuava ad adorarlo apertamente. Anche ora gli sorrise, i denti candidi che brillavano nel viso scuro.
- Che si fa, Kirie Frisco? Andiamo a visitare I Panaghia?
Tinos era infatti famosa in tutto il mondo greco-ortodosso per il santuario con l'icona miracolosa della Madonna, I Panaghia appunto. Da ogni parte della Grecia e da tutte le isole accorrevano a Tinos, malati e delusi dalla vita, a implorare la grazia dalla scura icona d'argento che donava ogni tanto miracoli, come una Lourdes ortodossa.
Frisco scosse appena il capo e sorrise.
- Va pure, Adonis, io resto a bordo. Se qualcuno mi cerca, sono in cabina.
Adonis lo scrutò, preoccupato.
- Non ha dormito stanotte. L'ho vista sul ponte, per ore.
Il giovane lo guardò, blando, ma un lampo d'ira gli era passato negli occhi.
- E tu, dov'eri? Mi spiavi?
Adonis sbuffò, offeso.
- Ero di guardia, Kirie Frisco! E lei non ha dormito! Vada a dormire ora, ci penso io a tenere
tutti lontani dalla sua cabina!
Frisco scosse il capo e gli batté una mano sulla spalla.
- Non ho sonno, Adonis. Mi sono portato del lavoro da sbrigare. Va' pure a terra e non ti preoccupare.
Si allontanò a passo lento e il giovane greco borbottò tra i denti:
- Non ti preoccupare, non ti preoccupare! E invece io mi preoccupo, eccome!
Frisco si chiuse in cabina; due scialuppe furono calate in mare e una decina di uomini se ne andò a terra.
Erano uno strano equipaggio: avevano lavorato con Frisco quando col Gabbiano
avevano eluso tutte le guardie costiere del Mediterraneo e contrabbandato armi da un paese all'altro. Con lui si erano dati alla legalità, diventando perfetti equipaggi di navi container. E con lui, di tanto in tanto, partivano in strane scorribande col Gabbiano
, sempre fedeli, sempre pronti a seguirlo dovunque, senza chiedere, con una sorta di idolatria e amore che faceva di lui non solo il padrone che pagava bene, ma anche l'amico, il fratello, il compagno.
La giornata si trascinò, Tom tornò a bordo per l'ora di pranzo, ma Frisco era sempre chiuso nella sua cabina e non osò disturbarlo, così prese un panino e si sedette sul ponte, al sole. Adonis lo raggiunse poco dopo e disse, cupo.
- Non ha dormito nemmeno stanotte. E ora non ha voluto mangiare. Si ammalerà, se continua così.
Tom annuì.
- Sì, credo sia proprio quello che vuole. Sta cercando di distruggersi e non gli riesce.
- Ma dobbiamo fare qualcosa, Tom!
Il negro scosse il capo.
- No, Adonis, non ancora. Lascialo fare, ha bisogno di comportarsi così.
- Ma è stupido! Non è proprio da lui!
- E' da chiunque, Adonis. Tu, come credi che ti comporteresti se la tua ragazza morisse?
Adonis fece in fretta il segno della croce e alzò gli occhi al cielo, un lampo di paura sul viso.
- Sei matto? Non dire nemmeno per scherzo queste cose! Porta male!
- Beh, allora cerca di capire lui. E lascialo in pace, per ora. E' ancora troppo presto.
A quel punto Adonis non parlò più e si allontanò a testa bassa, mentre Tom rientrava in plancia; doveva mettere un po' d'ordine nelle carte di bordo, il Gabbiano
aveva avuto una lunga sosta.
Il ponte di comando era silenzioso, c'era il piccolo fornello col bricco del caffè e sembrava che aleggiasse ancora l'immagine di Angela, la donna che Frisco aveva sposato e che era morta tre mesi prima in un incidente d'auto sulla strada che da Atene portava a Sounion.
Angela Moro era una ragazza italiana di cui Frisco si era innamorato in modo quasi morboso, possessivo, completo. Per lei aveva ucciso, per lei aveva abbandonato il contrabbando, per lei aveva scordato che esistevano altre donne. Era felice solo quando l'aveva vicino, e quando, tre mesi prima, era morta volando giù con la macchina dalla scogliera sulla strada panoramica per Sounion, sembrava che la sua vita fosse finita.
Col volto di pietra e senza una lacrima, era andato a riconoscere il corpo all'obitorio; aveva ascoltato il racconto dell'autista del pullman che, perso il controllo, aveva invaso la corsia investendo la macchina di Angela; aveva organizzato il rientro in Italia della salma, sapeva che i suoi l'avrebbero voluta vicina.
Sempre senza una lacrima, aveva detto a Roulla, la governante della sua villa a Tatoi, di vuotare gli armadi e di togliere ogni traccia di Angela. Personalmente tolse tutte le foto dalle cornici e le strappò, senza emozione apparente.
Due giorni dopo si era ripresentato agli uffici della Ackermann Maritime e, a chi gli si era fatto incontro per fargli le condoglianze, aveva risposto con voce fredda che non voleva parlarne e che desiderava che tutti facessero altrettanto.
Angela Moro era sparita dai discorsi di tutti come se non fosse mai esistita. Quando qualcuno osava nominarla, prima si guardava intorno, per essere certo di non essere udito da Frisco.
E lui aveva ripreso il solito lavoro, il volto di pietra, gli occhi asciutti. E aveva cominciato a non dormire,