Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)
La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)
La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)
Ebook327 pages4 hours

La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

“Alle soglie della Tempesta del Tempo si troveranno e la trama della storia sgretolar faranno...”

La Scozia non esiste più. Un ragazzino con gli occhi neri come la perdizione è salito al potere, nominando PrimoDuca il suo braccio destro: Trevor O'Connor. Nel giorno di Beltain a StoneWall si celebra l'anniversario della venuta dell'Eletto e della nascita della SacraScozia: sarà l'occasione per il Rampollo di essere ammesso nella cerchia dorata del potere. Esiste un ultimo baluardo contro il regime appena instaurato, dove i SikTavinder seminano terrore e morte nel nome dell'Eletto, celando al mondo un terribile segreto. La Resistenza guidata dai fratelli Barton progetterà un attentato per neutralizzare i vertici del nuovo potere costituito e riportare la libertà nel paese. Il fallimento dell'attacco porterà a improbabili alleanze e sconcertanti scoperte: quella realtà è sbagliata. Clandestini in patria, costretti a scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile, Duncan, Aisha, Dean e Aurora capiranno che l'unica via di fuga dall'incubo è far collassare quella seconda linea temporale corrotta.
LanguageItaliano
Release dateJun 22, 2015
ISBN9788891194657
La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)

Read more from Veronika Santiago

Related to La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)

Related ebooks

Fantasy For You

View More

Related articles

Reviews for La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3)

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La tempesta del tempo (La guerra degli elementi Vol.3) - Veronika Santiago

    amarezza.

    PARTE PRIMA

    La SacraScozia

    Capitolo 1

    Un ragazzo allampanato entrò di corsa nello scantinato, e tanto era esausto che quasi inciampò nei suoi stessi passi. Dean Barton lo osservò avvicinarsi all'angolo di comando, dritto verso di lui, e constatò quanto fosse cresciuto e smagrito nell'anno appena trascorso.

    «Abbiamo l'infiltrato!» annunciò ansante: era la notizia che aspettavano da mesi.

    «Bel colpo, Justin» lo accolse Dean battendogli una mano sulla spalla mentre il ragazzo, piegato in due, riprendeva fiato.

    «Avete sentito?» chiese poi ad alta voce, rivolto a tutte le persone ammassate nel quartier generale. «Un anno fa colui che si fa chiamare l'Eletto ha preso il potere, trasformando il nostro paese in una dittatura di repressione e morte. Stasera ci riprenderemo le nostre vite.»

    Un boato inondò la stanza fatiscente dove si nascondevano; erano le urla liberatorie di chi tentava di allontanare la paura in vista di una grande impresa.

    «Conoscete il piano» continuò Dean appena l’eccitazione si placò. «Cominciate a prepararvi. Tra dieci ore rovesceremo il regime.»

    Dopo un'altra esplosione colma di trepidazione e coronata da ogni sorta di gesto scaramantico conosciuto, lo scantinato si trasformò in un laborioso formicaio, dove il fermento serpeggiava facendo da padrone. Justin, fiero di aver dato il via all'operazione nonostante avesse fatto solo da portavoce, raggiunse i compagni che, impazienti, avevano già iniziato ad aprire le casse traboccanti di armi e speranza.

    Dean sedette allo sgangherato tavolo che negli ultimi mesi aveva assunto il ruolo di centro tattico, nonostante l'umidità l'avesse attaccato fino all'osso ammorbandolo di un odore malsano. Prese dei vecchi fogli scritti a mano con una grafia orribile, la sua, e li rilesse per la centesima volta. Doveva sincerarsi di non aver dimenticato nessun particolare del piano di attacco che così a lungo avevano sperato di poter attuare. Il progetto era ambizioso e si proponeva di annientare i tre principali detentori del potere del regime: l'Eletto, il PrimoDuca e, per sicurezza, anche il suo Rampollo. Dean non amava l'idea di un triplice omicidio, ma la loro eliminazione era l'unico modo per tornare al passato, alla normalità. Non vedeva l’operazione come un atto di vendetta, preferiva considerarla la mannaia della giustizia. Da quando quell'essere demoniaco e il suo braccio destro avevano preso il potere, troppe persone erano morte in modo violento e senza un motivo, e altrettante erano sparite. No, non si trattava di vendetta. Ciò che volevano fare era giusto, e un coro dall'altro mondo reclamava il loro intervento a gran voce.

    Alle sue spalle era stato appeso un tabellone di sughero, il primo elemento di arredo da quando si erano rifugiati sottoterra. Ognuno di loro vi aveva appeso una foto o un foglietto con scritte in memoria dei caduti e dei dispersi. Nel tempo omicidi e sparizioni non avevano fatto altro che aumentare, e ogni persona disperata unitasi alla causa affiggeva un contributo sul tabellone per suggellare l'appartenenza alla Resistenza. Il ricordo di chi avevano perso era ciò che dava a tutti la forza per continuare a combattere sfidando il pericolo e mettendo in gioco la propria vita. Non era rimasto neanche un angolo libero sulla superficie di sughero e quelle immagini di gente sorridente avevano iniziato a sovrapporsi: lo chiamavano il Muro del Coraggio, e ogni volta che qualcuno si sentiva perso o senza speranza, andava là per ritrovare fermezza e motivazione.

    Dean guardò i suoi genitori nella foto sorridergli dal molo: alle loro spalle nient'altro che il mare grigio e turbolento contro un cielo inaspettatamente azzurro. Del paesino dove viveva con la famiglia non era rimasto niente; in seguito a una soffiata riguardante la minaccia di un focolaio di resistenza, era stato raso al suolo nel giro di un paio d'ore, poche settimane dopo l'inizio del regime. Era stata un'operazione dall’organizzazione spietata e dalla precisione letale. Fu allora che Dean aveva osservato per la prima volta all'opera l'esercito personale dell'Eletto: i SikTavinder, un monito per chiunque avesse tentato di minacciare il nuovo ordine costituito. La vista dei genitori massacrati sulla porta di casa l’aveva spinto a correre in lungo e in largo in cerca della sorella, tra le grida e il sangue che scorreva sull’acciottolato. Quando un SikTavinder gli si era parato davanti, non aveva trovato altra via di scampo che gettarsi in mare. La corrente lo aveva trascinato lontano dall'orrore e, una volta ripreso i sensi, si era trovato disteso sul bagnasciuga di una spiaggetta poco distante, dove con la famiglia e la gente del posto andava a godersi pace e riposo le domeniche d'estate. Fradicio e orfano, aveva atteso che l’eco del massacro cessasse, certo di non poter fare niente, da solo, per porre fine allo scempio. Quando il senso d'impotenza l’aveva soffocato riuscendo a offuscare addirittura il dolore, aveva capito che la sua vecchia vita, serena e un po' monotona, era finita per sempre e aveva giurato a se stesso che avrebbe impiegato ogni giorno della sua nuova esistenza per rovesciare il regime. Solo così la sua sopravvivenza avrebbe avuto un senso. Nel momento in cui alle sue orecchie era giunto l'assordante frastuono di un silenzio di morte, era tornato a piedi verso ciò che era rimasto del paesino: grondante di sangue non suo, la sorella gli era andata incontro, tremante e sotto shock, barcollando lungo la viuzza coperta di cadaveri con i volti distorti dall'orrore.

    Dean scosse la testa nel tentativo di allontanare quelle immagini, riaffioranti già fin troppo spesso nei suoi incubi, e s’impose di concentrarsi sull'attacco di quella sera. Pur tenendo memoria di ogni minimo dettaglio, ricontrollò la planimetria di StoneWall: erano stati necessari tempo, ricatti e denaro per entrarne in possesso. Finalmente conoscevano ogni anfratto del castello del PrimoDuca e, in attesa di un evento mondano di grande risonanza congiunto alla disponibilità dell'infiltrato, avevano pensato a una soluzione di emergenza in caso di complicazioni impreviste.

    I preparativi per quella sera sembravano non avere fine. Nonostante controllassero meticolosamente ogni dettaglio da un mese, a poche ore dal grande evento stavano fiorendo a dismisura dubbi e contrattempi da risolvere all'ultimo minuto: nulla doveva andare storto. Era la prima unica vera occasione di cambiare le cose e un fallimento non era ammesso.

    Passò in rassegna ogni arma con una concentrazione maniacale, poi perfezionò con i partecipanti alla missione la strategia di attacco in modo da rendere lo svolgimento del piano sincronizzato come il movimento di una sola persona. Finito il giro, ripercorse lo scantinato in senso inverso, tornando alla sua ammuffita e buia postazione; assuefatto com’era all'umido e all'assenza di luce a cui erano costretti, già da tempo ormai non ci faceva più caso. Gli effetti della clandestinità li vedeva soprattutto sulla sorella: gli indomabili capelli castani, un vanto dei tempi andati, erano ridotti a ciocche scarmigliate lunghe al massimo quattro dita. Un giorno, decisa a lottare per il loro futuro, l’aveva vista prendere un paio di forbici arrugginite e, buttandosi i ricordi alle spalle, trasformarsi nel secondo in carica della Resistenza. Il suo braccio destro.

    «Quanti pensieri» lo schernì Brianna. «Rilassati per qualche minuto o ti esploderà il cervello.»

    Dean squadrò la sorella con pantaloni militari e maglia nera, un fucile a canne mozze a tracolla e quella sfumatura viola negli occhi, unica e sinistra. Era sempre stata un maschiaccio, ma non avrebbe mai voluto quella vita per lei.

    «Dean, sto parlando con te» continuò lei, distogliendolo dai suoi rimpianti.

    «Bree, non posso permettermi neanche un attimo di deconcentrazione, dovresti saperlo. È da mesi che aspettiamo un'occasione come questa, forse non ce ne capiterà un'altra.»

    «Credi che non lo sappia? Sto solo dicendo che se stacchi per un po' sarai meno stanco e teso per l'inizio delle danze.»

    «Danze?»

    «Dopotutto andiamo a un ballo, o sbaglio?»

    L'accenno di un sorriso increspò il viso tirato di Dean; l'abbronzatura delle giornate trascorse in mare aveva lasciato il posto a un pallore leggermente verdognolo, e la mancanza di sonno aveva cerchiato gli occhi blu come l'oceano in tempesta.

    «Andrà tutto bene, vedrai» gli sussurrò Brianna, abbracciandolo.

    Dean avrebbe voluto contraccambiare quel gesto di affetto e conforto, ma la corazza forgiata in quei mesi da fuggiasco non gli permise cedimenti.

    «Rimandiamo le smancerie a dopo» sancì, allontanandola.

    Come se si aspettasse quella reazione, la sorella abbandonò la presa senza altre insistenze.

    Aisha si girò nel letto per l'ennesima volta senza trovare la voglia di alzarsi. Vide un foglietto accartocciato spuntare tra le lenzuola e lo dispiegò per leggerlo.

    La notte. Strana amica, avventata e sincera consigliera. Ti striscia silenziosa nell'anima, lasciando al suo passaggio misteriose intuizioni. Parole invisibili che sfuggono nel buio. Sogni a occhi aperti fissando il soffitto, illuminato a tratti dai fari delle auto. Promesse che si sciolgono all'alba, con i primi raggi del freddo sole di un eterno inverno. Essere chi veramente siamo, in questa bolla scura e immobile. La notte. E infrangersi in una maschera di menzogna nella debole luce del mattino.

    Aisha rilesse con orrore le parole scritte quella notte e sbiancò. Come la maggior parte degli artisti, e tale nel segreto del suo cuore si reputava, scrutava il mondo con occhio strabico e spesso vedeva cose molto diverse rispetto a quelle che aveva davanti, ma in quei tempi di oppressione doveva stare attenta: un errore, un solo errore, avrebbe potuto decretare la sua fine. Se una qualsiasi persona avesse trovato quella prova inoppugnabile e tangibile, niente e nessuno avrebbe potuto salvarla. Condannata senza possibilità d'appello. Pena: la morte. Accusa: Eresia.

    Da più di un anno i tempi erano cambiati e sgarrare poteva costare veramente troppo caro: molte persone negli ultimi mesi erano sparite senza lasciare traccia. Aisha si tirò a sedere sul letto, con i capelli arruffati nonostante maschere e balsami, e il viso pulito dall'espressione assonnata. Con gli occhi ancora abbottonati esaminò la camera per sincerarsi che non ci fossero in giro altri segnali ad alto rischio: l'armadio racchiudeva tutti i suoi vestiti, ripiegati e appesi, tranne quelli che avrebbe indossato quel giorno, appoggiati in ordine sulla sedia davanti alla scrivania. Su una gruccia agganciata a un'anta, ricoperto da una custodia immacolata, riposava scaramantico il lungo abito di raso bianco con cui sua madre era andata all'altare, riadattato alla sua taglia. Una premura decisamente prematura considerando che nessuno l'aveva ancora chiesta in moglie.

    «Tesoro?» La voce della madre la raggiunse dal piano terra, accompagnata dall'acciottolio di stoviglie. «Vieni, la colazione è pronta!»

    «Arrivo» bofonchiò Aisha. La mattina, appena sveglia, non era mai particolarmente performante.

    Calzò le ciabatte imbottite, indossò la vestaglia e si premurò di far sparire le tracce del suo crimine: frugando nel cassetto della scrivania trovò un fiammifero, poi sgattaiolò in bagno e bruciò il foglietto con la prova del suo folle gesto, quindi sciacquò il lavandino e aprì la finestra per far sparire l'odore sospetto. Dopo una veloce sistemata, scese in cucina dove una tazza di tè la attendeva insieme a un piattino colmo di biscotti al burro.

    «Oggi è un gran giorno, bambina mia!» esordì sua madre, pimpante come non mai. «Abbiamo molte commissioni da sbrigare in giornata. Stasera dovrà essere tutto perfetto!» continuò mentre Aisha sonnecchiava sulla tazza fumante, sbocconcellando un biscottino.

    «Sì, mamma» la blandì bramando silenzio. «Come vuoi tu.»

    «Finisci la colazione e preparati. Prima usciamo e più tempo avremo per i nostri acquisti» le consigliò togliendosi il grembiule da cucina per appoggiarlo sullo schienale di una sedia. Dopo un sorriso complice, si allontanò canticchiando.

    Perché era così su di giri quel giorno?, si domandò Aisha mentre finiva il tè. Diede uno sguardo alla mobilia stile country alla ricerca di risposte, ma tutto era ordinato come al solito, nessun indizio. Mise la tazza nell'acquaio, coprì il piatto di biscotti con un tovagliolo e, strascicando i piedi, fece per uscire dalla cucina. Fu in quel momento che i suoi occhi distrattamente caddero sul calendario: era il trenta aprile, il giorno di Beltain. Come aveva fatto a non pensarci prima? Quella sera ci sarebbe stato il Gran Ballo a StoneWall e lei e i suoi genitori, non sapeva ancora bene perché, erano stati invitati. L’attendeva una lunga giornata; le commissioni a cui si riferiva sua madre sarebbero senza dubbio state, nell’ordine: vestito nuovo con tanto di scarpe e accessori coordinati, parrucchiere ed estetista. Un programma allettante per un milione e mezzo di ragazze della sua età ma non per lei: l'abito sarebbe stato sicuramente scomodo, le scarpe le avrebbero massacrato i piedi e l'acconciatura tirato i capelli tanto da farle venire mal di testa. Non riusciva a capire perché la bellezza dovesse andare di pari passo con la sofferenza. Purtroppo non poteva far altro che tenere per sé quelle considerazioni e fare buon viso a cattivo gioco.

    Quando ebbe finito di prepararsi, guardò la sua immagine riflessa nello specchio: una ragazza minuta, con una gonna non troppo corta e una camicetta non troppo sbottonata, i capelli castani raccolti in una coda che le ricadeva sulla spalla sinistra e un trucco leggero. Perfetto, tranne l'espressione nello sguardo; quella proprio non riusciva a nasconderla. Per quanto si sforzasse di fingere, i suoi occhi, nel profondo, riflettevano ciò che aveva dentro: nessuna speranza. Non era la sola a non avere prospettive di realizzazione, e questo certo non la consolava. Ogni tanto incrociava per strada mute occhiate che rispecchiavano il suo stesso stato d’animo, ma quel briciolo di comprensione non poteva da solo mutare la realtà dei fatti. Scegliere non era più una possibilità.

    «Eccomi, sono pronta!» urlò, decidendo di abbandonare pensieri tristi e pericolosi. Raggiunse la madre, trepidante all'ingresso di casa, e indossò il cappotto color cammello.

    «Aspetta, tesoro» la bloccò questa e, dopo averle chiuso il cappotto fin quasi a strozzarla, le sistemò il cappellino. «Ecco, così va meglio.» Pur non facendolo intenzionalmente, riusciva a farla sentire sempre un passo indietro, anche se lei ce la metteva proprio tutta per essere all'altezza delle sue aspettative.

    Camminarono in lungo e in largo per le vie di Edimburgo, sua madre valutando con occhio esperto le vetrine dei negozi, Aisha studiando la trasformazione repentina e radicale del mondo che la circondava: i turisti erano spariti, e al loro posto gruppi di SikTavinder, dietro i loro immancabili occhiali scuri, pattugliavano le strade obbligando le persone a vivere con il terrore sordo della minaccia di una condanna. Seguendo la madre e i suoi ininterrotti discorsi su stoffe e colori, Aisha notò all'angolo di una strada un barbone. Il cuore le fece male: un ragazzo biondo e sporco, prostrato dalla nuova realtà del paese, accasciato su pezzi di cartone con una bottiglia di whisky come unica compagnia, declamava con voce impastata spezzoni mescolati di poesie d'amore. Prima che potesse avvicinarsi per dargli qualche spicciolo, Aisha venne tirata per un braccio.

    «Ci manca altro che tu ti perda dietro scansafatiche ubriaconi!» la rimbrottò la madre, trascinandola verso il loro obiettivo.

    Tuttavia, con grande stizza della donna, la loro marcia serrata subì una battuta d'arresto quando un predicatore, nero come la notte incarnata in forma umana, venne catturato da due SikTavinder a causa di sermoni urlati per la strada e giudicati sovversivi. Per il suo sbraitare ai quattro venti di anima e libertà, venne arrestato e portato via dalle guardie in modo turbolento e spettacolare, perché tutti potessero constatare quale sorte spettava ai trasgressori delle nuove leggi.

    «Speriamo non ci siano altri contrattempi» brontolò sua madre innervosita dall’improvviso blocco stradale. «Guarda quanto tempo ci hanno fatto perdere!»

    La mattinata continuò identica a come Aisha l'aveva immaginata: un incubo fatto di smorfie e sorrisetti condiscendenti tra abiti in seta, tacchi troppo alti e un'infinita ripetizione di: «Sì, ma provane un altro, per sicurezza.»

    Non si sentiva a proprio agio in nessuno di quegli abiti, era difficile fingere giorno dopo giorno di essere un'altra persona. C'era stato un periodo, poco dopo il suo diciottesimo compleanno, in cui aveva pensato di andare via di casa e vivere la vita che aveva sempre sognato. Non era mai riuscita ad accettare di poter solo nascere, crescere, riprodursi e morire: trovava la prospettiva agghiacciante e, al solo pensiero, veniva pervasa da un'insoddisfazione di fondo che le toglieva il fiato. Immaginava un monolocale in affitto dove non era obbligata a mettere tutto in ordine in modo maniacale per compiacere la madre; avrebbe vissuto di musica e delle sue canzoni, e forse non sarebbe mai diventata ricca, ma sarebbe stata felice. Poi quel ragazzino raccapricciante era salito al potere e la situazione era precipitata: la Scozia era stata dichiarata indipendente e i confini erano stati chiusi. C'era una sola parola per definire la loro condizione, dittatura, e pronunciarla a voce alta era sinonimo di suicidio. Inspiegabilmente nessun paese aveva mosso un dito, lasciandoli in balìa dei SikTavinder e del loro controllo repressivo. Trevor O'Connor era stato nominato PrimoDuca della SacraScozia, ed entrare nella sua sfera d’influenza significava salvezza. Il mondo si era ristretto per tutti loro fino a coincidere con i confini del paese, e ogni rapporto con gli altri stati era stato interrotto o fortemente limitato, salvo per gli affari che facevano capo al PrimoDuca. Nessuna notizia scomoda entrava o usciva: internet era bloccato, i satelliti non guardavano più nella loro direzione e i telefoni era disabilitati per le chiamate all’estero. Le antenne delle televisioni e le radio captavano un segnale disturbato e le pochissime trasmissioni concesse erano supportate dal regime.

    Gli emigrati e i parenti o amici degli abitanti non riuscivano più a comunicare se non via posta, sottoposta questa a dura censura. E ogni dubbio circa la reale situazione della Scozia veniva soffocato nella menzogna di funzionari esteri corrotti.

    Un complotto su larghissima scala, talmente ben congegnato da non riuscire a essere scalfito da alcun trattato, indagine o iniziativa internazionale. In poche parole, erano rimasti soli.

    Aisha non aveva mai capito molto di politica ma era abbastanza certa che fossero messi proprio male.

    D'un tratto si riscosse dalle sue elucubrazioni: la commessa del negozio la fissava con espressione indagatrice.

    «Questo le piace, signorina? Trovo che il bordeaux si sposi alla perfezione con il suo incarnato» asserì con tono affabile.

    «È perfetto!» gioì sua madre battendo le mani come una bambina. «Le scarpe però non mi convincono. Ne avrebbe un paio con il tacco più alto?»

    Quando la commessa sparì nel retro alla ricerca di ciò che potesse soddisfare la cliente, Aisha provò a dire la sua senza troppa convinzione: «Mamma, queste vanno benissimo, sono comode.»

    «Tesoro, so che non è colpa tua, ma sei bassina. Dobbiamo pur rimediare.» La scala di autostima interiore di Aisha perse tre punti.

    Il pomeriggio, scandito da ceretta, manicure, trucco e acconciatura, non fu più divertente.

    «Non ti sembra di esagerare?» domandò alla madre, in attesa che la maschera sul viso si asciugasse. «Stai spendendo un patrimonio!»

    «È un investimento, tesoro, fidati» le confidò e si avvicinò, abbassando il tono di voce come se stesse per rivelarle la formula per la pietra filosofale. «Tuo padre preferiva che fosse una sorpresa, ma io non riesco più a tenere la bocca chiusa. Tieniti forte.» Alzò le spalle, mentre le sopracciglia si inarcavano a dismisura, e il sorriso assunse connotazioni birichine. D’un tratto sembrò essere tornata una ragazzina.

    «Dai, mamma, racconta» la esortò Aisha mentre si insinuava in lei la certezza che quanto avrebbe udito non le sarebbe piaciuto per niente.

    Era solo una sensazione, e negli ultimi tempi le avevano insegnato a diffidare di ciò che non poteva essere provato o che non era in sintonia con il volere dell'Eletto. Era stata la parte più difficile del cambiamento a cui erano stati costretti: ignorare le proprie intuizioni.

    Basta, devo smetterla di rivangare il passato!, si impose mentalmente.

    «Non tenermi sulle spine» blandì la madre, di nuovo padrona della parte, nell'interminabile recita che era diventata la sua vita.

    «Se stasera tutto va come deve andare, io e tuo padre potremmo essere riusciti a procurarti un matrimonio con un bel giovanotto che viene da una famiglia rispettabile al servizio degli O'Connor!»

    Aisha sentì le pareti del centro estetico stringersi intorno a lei fino a soffocarla.

    «Tuo padre ha conosciuto i suoi genitori per lavoro, e come spesso accade, sono finiti a parlare di figli.»

    Non riusciva a crederci: un matrimonio combinato. Con quelle poche entusiaste parole, era stata catapultata nel Medioevo. Non sapeva dove guardare: il suo viso, riflesso nello specchio, era imbrattato da una patina biancastra che si stava lentamente seccando trasformandola in una bambola d'argilla; le dita dei piedi separate da ridicoli batuffoli, in attesa che lo smalto si asciugasse; la pelle ancora lucida e un po' arrossata laddove erano passate impietose le strisce della ceretta. Ovunque i suoi occhi si posassero, tutto ciò che vedeva sembrava non avere un senso.

    «Philipp, così si chiama. Che bel nome nobile, non trovi? Beh, ha visto una tua foto e non sta nella pelle, vuole conoscerti di persona.»

    Ciò che pensava e voleva ormai non aveva più importanza, non da quando erano diventati solo burattini, prede del terrore, troppo spaventati per pensare ad altro che non fosse la pura sopravvivenza.

    «Stai tranquilla, tesoro. L'incontro di stasera è pura formalità. Praticamente l'affare è già concluso.»

    Ecco perché erano stati invitati a StoneWall. Senza l’aiuto della famiglia di questo Philipp, come avrebbero mai potuto essere ammessi a tale onore?

    «Tuo padre mi ha detto che è un bel ragazzo, colto ed educato, con un ottimo lavoro al servizio degli O'Connor.»

    Aisha si sentì vuota e questo la meravigliò; era sicura di essersi lasciata alle spalle già da tempo la speranza di una vita in cui essere se stessa, e solo in quel momento capì di non averlo mai accettato fino in fondo. Non riusciva neanche a odiare i genitori o a provare rabbia nei loro confronti: volevano sicurezza, e avvicinarsi alla famiglia O'Connor era l'unico modo per garantirle e garantirsi un'esistenza scevra da preoccupazioni.

    «Stasera potrebbe addirittura chiedere la tua mano.»

    Ora capiva perché quell'abito di raso immacolato riposava da giorni appeso all’anta del suo armadio: a sua insaputa quella trattativa stava andando avanti da settimane. Si sentì solo un oggetto, priva di qualsivoglia possibilità di scelta, usata come merce di scambio per avere la certezza della sopravvivenza. Così accettò di compiere il sacrificio che sua madre le stava prospettando in modo tanto appassionato: era morta a diciannove anni senza ancora aver vissuto.

    «Mamma, è fantastico» sussurrò cercando di evitare che la voce si rompesse in singhiozzi.

    «Lo so, tesoro mio, ti sei commossa. È per questo che ho deciso di parlarti prima, così non rischiamo che il trucco venga rovinato da lacrime di gioia. Questa è la cosa migliore che ci potesse capitare!»

    Lo pensava veramente e non aveva senso disilluderla. Avere la garanzia di poter continuare a vivere, pur senza sogni, o lottare per qualcosa di ineffabile mettendo a rischio non solo la propria vita, ma anche quella dei propri cari? No, non aveva scelta. Forse sua madre aveva ragione a essere felice e, se si fosse impegnata, un giorno lo sarebbe stata anche lei. La storia era già stata scritta, senza il suo assenso: non rimaneva altro da fare che recitare il copione.

    Questo pensava Aisha mentre finiva di prepararsi per il Gran Ballo, strizzata nel lungo abito di seta bordeaux, in bilico su tacchi vertiginosi, incredula davanti al proprio décolleté reso irriconoscibile da un regalo dell'ultimo minuto: un super push up.

    «Avrà tempo per scoprire la verità» le aveva sussurrato la donna, togliendo altri due punti nella sua scala di autostima.

    Infine un elaborato chignon decorato da un fermaglio di perline, rigorosamente in tinta con il vestito, faceva sfuggire ad arte due ciocche castane ai lati del viso.

    In verità non stava affatto male, semplicemente non era lei. Ma ogni attrice aveva i suoi abiti di scena, e lo show stava per cominciare.

    Capitolo 2

    Il PrimoDuca si concesse qualche minuto di pausa per ammirare i suoi domini dispiegarsi a perdita d'occhio oltre la finestra, poi osservò orgoglioso i fregi nobiliari che gli erano stati conferiti dall'Eletto nell'anno appena trascorso: lucidi e splendenti spiccavano nell'enorme salone di StoneWall, monito per chiunque avesse ricevuto l'onore di varcarne la soglia.

    Due colpi sordi sulla porta di quercia lo distolsero

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1