La sartoria di Matilde
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Scritto sotto forma di diario di Lisa e sviluppato secondo una struttura circolare, La sartoria di Matilde è una storia semplice e bella, di quelle che fanno bene al cuore.
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Book preview
La sartoria di Matilde - Chiara Curione
cucito.
20 ottobre 1997
Oggi non ho avuto fretta di tornare a casa per cucinare, tanto mio marito e i miei figli non sarebbero rientrati per l’ora di pranzo.
Passeggiando nella piazza e nel corso, anche se il tempo minaccia la pioggia, ho percorso la strada lentamente in compagnia dei miei pensieri.
Domani andrò alla ricerca di un nuovo lavoro e, per fortuna, non ho la necessità di trovarlo subito come un anno fa, quando la mia famiglia ha vissuto gravi difficoltà economiche.
Finalmente ho avuto il coraggio di buttare l’ultimo flaconcino di gocce, che da parecchio tempo avevo lasciato lì, sul comodino, per provare a me stessa che di quel genere di calmanti non avevo più bisogno e, anche se fosse crollato il mondo, avrei trovato con le mie sole forze il coraggio di andare avanti.
Ecco che, mentre scrivo questa pagina di diario, Mimì è saltato sul tavolo per giocare con un foglio di carta strappato dal quaderno e appallottolato, e quasi mi impedisce di continuare.
Con il suo orecchio destro dalla punta recisa, il suo flebile miagolio di quando ha fame, me lo trovo vicino in ogni stanza nella quale vado.
Ormai è diventato un membro della nostra famiglia e un fedele amico dal quale non potrei mai separarmi. Quando lo osservo non posso fare a meno di ricordare quello che mi è accaduto un anno fa e come, da allora, è cambiata la mia vita.
Lisa
20 ottobre 1996
Alle otto e trenta del mattino la nebbia si è diradata, lasciando il posto a un tiepido sole, ma questo non ha reso il mio animo più sereno.
Ho dormito poco nonostante le gocce di tranquillante e sono stata presa da un forte torpore. Non ho potuto dimenticare quello che è accaduto ieri.
Di notte mi sono girata e rigirata nel letto e, se in passato per avvenimenti meno importanti di questo mi disperavo inutilmente, adesso la mia rabbia e infelicità hanno raggiunto il culmine.
Non solo Paolo mi ha nascosto per lungo tempo la nostra situazione economica, ma è colpevole di tutto ciò che c’è stato di negativo nella mia vita.
È sempre stato un uomo di poche parole, ma ultimamente è peggiorato: se gli ponevo un problema non rispondeva; se i figli gli parlavano sembrava assente; a casa rimaneva pochissimo ed era spesso nervoso e irritabile per ogni sciocchezza.
Invece di sentirmi molto più trascurata del solito, avrei capito il suo stato d’animo se mi avesse detto che l’azienda era in passivo, che lavorava grazie al credito delle banche e che, poi, non era più stato in grado di pagare.
Mi sono chiesta perché non me ne avesse mai parlato prima e solo ieri sera mi abbia detto bruscamente che era fallito. Ma non ho trovato nessuna scusa per il suo comportamento.
Mentre pensavo al modo in cui sarebbe cambiata la nostra vita, è arrivata zia Rosa, trovandomi in vestaglia. Ieri sera le ho telefonato per informarla di ciò che era accaduto, ma soprattutto per sfogarmi con lei.
Ha bussato insistentemente e, come al solito, non ha smesso finché non le ho aperto la porta.
Mattiniera, dal passo svelto e dal fisico asciutto, mostra dieci anni meno dei suoi ottanta. Non è sposata e io sono la sua unica nipote.
Appena entrata, mi ha guardata con severità disapprovando che fossi in vestaglia. Poi, con aria risoluta, dopo aver chiuso con forza la porta ha detto: Presto, lavati e vestiti senza perdere tempo: ti ho trovato un lavoro.
Sulle prime ho pensato che non parlasse sul serio e l’ho invitata a sedersi per spiegarmi meglio la situazione. Qui nessuno trova lavoro tanto presto, e, comunque, non le avevo chiesto di farmi questo favore.
Lei, sempre in piedi, ha insistito perché mi sbrigassi.
Stizzita, le ho domandato: Posso almeno sapere di che cosa si tratta?
Niente di complicato
mi ha risposto.
Voleva continuare a spiegarmi, ma io l’ho interrotta dicendo: Tieni presente che io sono casalinga da vent’anni e, per il momento non so fare altro.
Non ti ho certo trovato un posto in ufficio!
ha esclamato. Poi con più calma, si è spiegata dicendo: Devi assistere una signora anziana.
Notando la mia espressione perplessa, zia Rosa ha continuato a parlare usando un tono più rassicurante: Non preoccuparti, è una mia amica, si chiama Matilde. Era proprietaria della sartoria dove lavoravo da ragazza come apprendista. Forse ti ho parlato di lei, qualche volta, e di sicuro ti avrò detto che non ci vede bene.
Le ho risposto che ricordavo vagamente e lei ha continuato a spiegarmi: Sono anni che Matilde ha questo problema, che è peggiorato da quando è rimasta vedova. Fino a poco tempo fa riusciva a essere autonoma, ma ormai ha bisogno di essere accompagnata quando esce e aiutata a cucinare, riordinare e cose del genere.
Per essere più convincente, poi, ha esaltato i pregi del carattere di Matilde: È una donna affettuosa e sensibile. Anche se ha qualche anno più di me, ottantotto per l’esattezza, ha una memoria eccezionale e ricorda il passato perfettamente. Vicino a lei ho avuto sempre molto da imparare, perché ha una forza di volontà incredibile. Non è una donna noiosa: vedrai, con lei ti troverai bene.
Ma, visto che non mi decidevo, ha esclamato: Beh, non perdiamo tempo!
E ha continuato a elencare le virtù di Matilde quasi fosse una santa.
Non ho avuto altra scelta che accontentarla e andare con lei dalla signora. Dopo essermi vestita ho dato uno sguardo allo specchio, constatando di avere un aspetto orribile: l’immagine di una donna grassa, dallo sguardo spento, vestita senza cura, che, a quarantotto anni, ha perso la voglia di vivere.
Spinta a uscire di casa a un’ora che, date le mie abitudini, considero quasi l’alba, dopo una nottata del genere, ho pensato a mio marito: che cosa avrebbe detto, adesso, se avessi lavorato?
Lui non aveva mai voluto, ma, visto che ormai siamo poveri e pieni di debiti, probabilmente non mi avrebbe ostacolata. Forse si sarebbe offeso che io avessi preso questa decisione senza parlargliene prima, ma di questo non ho voluto preoccuparmi eccessivamente.
La casa di Matilde si trova in una zona che un tempo veniva considerata periferia ed era circondata dalla campagna ordinata, con muretti di pietre bianche per separare un appezzamento da un altro. Abbiamo preso la macchina per arrivarci.
Mentre zia Rosa parlava ininterrottamente per darmi svariati consigli, io osservavo il paesaggio per distrarmi da lei.
Nemmeno la vista delle due grandi ville antiche disabitate, circondate da pini con la chioma a ombrello, alcuni dei quali rimasti ad affacciarsi al cancello per ricordare un ricco passato, riusciva a rasserenare il mio animo.
Guidando con gesti istintivi senza una volontà propria, ho percorso una strada trafficata, che con le sue moderne costruzioni accanto alla bellezza di quelle più antiche ha trasformato il paesaggio: tutto questo ha reso ai miei occhi l’atmosfera sempre più monotona...
Zia Rosa ha interrotto i suoi discorsi per indicarmi la casa a un piano, circondata da una cancellata bassa alla quale si intrecciano rami spogli di un roseto rampicante, attraverso i quali s’intravedono siepi di piante basse su cui si affacciano due grandi finestre.
Ho parcheggiato la macchina all’angolo e ho notato che sul retro del caseggiato c’è un giardinetto con due alberi di limone, un fico e altre piante di fiori.
Abbiamo trovato il cancello aperto e siamo entrate.
Quattro gradini portavano al portone di legno con i vetri in stile liberty, al centro delle due finestre.
Abbiamo bussato. Ad aprirci è venuta una vecchia signora dall’aspetto ordinato, i capelli bianchi, ondulati e corti, di statura molto piccola, appoggiata a un bastone, la quale non ha chiesto prima che fosse alla porta.
Matilde!
ha esclamato zia Rosa vedendola.
La signora ha avuto un breve attimo di esitazione prima di salutare, durante il quale si è sforzata di mettere a fuoco le nostre immagini. Poi ha detto con entusiasmo: Rosa, lo sapevo che eri tu. Ho riconosciuto il tuo modo di suonare il campanello.
Volgendosi verso di me ha aggiunto: Questa è tua nipote Lisa, vero?
Quindi mi ha sorriso con dolcezza, porgendo la mano per salutarmi.
Siamo entrate nella sua casa adorna di molti ninnoli, dove dai quadri, alle sedie, al tavolo, al portafiori, niente può dirsi attuale. Sembra che lì il tempo si sia fermato.
Ci ha fatto accomodare su un divano di velluto bordeaux, mentre lei si è seduta su una poltrona a dondolo al lato del divano, vicino alla finestra.
Sorridendo, Matilde ha spiegato pacatamente quanto sia importante la sua amicizia con zia Rosa, e ha detto: Sono moltissimi anni che conosco Rosa. Posso contare su di lei in qualsiasi momento, e lei su di me... La ricordo sempre ragazzina, il primo giorno che venne alla sartoria. Rimasi meravigliata osservando la sua precisione, mentre eseguiva i lavori, la velocità con la quale apprendeva ciò che le insegnavo e la delicatezza con cui teneva in mano la stoffa. Capii che sarebbe diventata un’ottima sarta. La nostra amicizia dura sin da allora. Tra noi non c’è mai stato un litigio e, da sempre, tutto ciò che abbiamo da dirci di bene o di male ce lo confessiamo con sincerità, senza parlarne alle spalle con altri.
Zia Rosa ha sorriso approvando ciò che diceva e ha lasciato che continuasse a parlare.
Ultimamente Rosa mi è stata molto vicina e sa bene quali sono i miei problemi. Quando le ho detto che avrei avuto bisogno di una signora che mi sia di aiuto durante il giorno, ha proposto di parlarne con sua nipote... Cioè con te, Lisa.
Io ho continuato a mostrare quell’espressione di tristezza che non riuscivo a mascherare. Tuttavia, ho provato per lei una simpatia che, in quel momento, avrei voluto manifestare con un sorriso, ma non sono stata capace di accennarne.
Mentre rimanevo in silenzio, zia Rosa è intervenuta dicendo: Lisa sta attraversando un periodo difficile. Te ne ho parlato ieri sera per telefono, quando ti ho chiesto se potevi aver bisogno di lei sin da oggi.
In quel momento avrei voluto fare a zia Rosa tante domande: non era la prima volta che si intrometteva nella mia vita, naturalmente a fin di bene e a mia insaputa. Sapeva che mi doveva una spiegazione e subito si è rivolta a me dicendo: Quest’idea che tu aiutassi Matilde non è nuova e volevo parlartene prima, ma ti vedevo sempre depressa e troppo presa dai tuoi problemi. Ieri sera invece, dopo la tua telefonata, ho pensato che, spinta dalla necessità, avresti accettato la mia proposta, così ho chiamato Matilde.
Visto che loro due avevano deciso tutto al mio posto, non mi restava altro che precisare: Sì, è vero, ho bisogno di lavorare, ma non so se riuscirò a essere puntuale: le gocce che prendo la sera al mattino mi danno un po’ di sonnolenza.
Matilde, mostrandosi comprensiva, ha risposto: non fa niente se non sarai puntuale, l’importante è che per il momento cominci a venire da me, così impariamo a conoscerci. Ormai vedo molto poco e non posso più vivere da sola in casa: il tuo aiuto mi è necessario. Forse ti darò un po’ di fastidio, ma spero che avrai pazienza."
Dalla poltrona sulla quale era seduta si è spinta in avanti per darmi un’affettuosa pacca sulla mano, e maternamente ha voluto incoraggiarmi: "Non preoccuparti, Penso che riusciremo a capirci. Anche se, come dice Rosa, stai attraversando un periodo difficile della