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L'Ombra
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L'Ombra

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Seguendo una trama tipica della fiaba fantasy, l’autore fa vivere a Fabio, giovane protagonista, un’esperienza che lo porterà a scontrarsi con le paure e insicurezze tipiche dell’età adolescenziale, per approdare alla maturità e alla consapevolezza dei propri limiti e potenzialità. In un’apparente realtà, popolata da oscure presenze, i personaggi incarnano ruoli fiabeschi; l’eroe Fabio, grazie al potenziamento delle sue capacità intellettive, si scontrerà con l’antagonista “Ombra” che cercherà di prendere il sopravvento sulla sua vita; grazie all’aiuto di Sean, dopo una cruenta battaglia con il suo alter ego, il protagonista ristabilirà l’ordine e riconquisterà l’agognato premio finale: la stima dei suoi compagni e l’affetto della madre perduta. 
LanguageItaliano
Release dateJun 14, 2013
ISBN9788868550059
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    L'Ombra - Centrone Fabio

    L’Ombra

    Centrone Fabio,ii Stella A Dx

    Edizione digitale: giugno 2013

    ISBN: 9788868550059


    Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl


    Indice

    Capitolo

    Ringraziamenti

    A mia Madre, per avermi donato la capacità di sognare.

    A James Matthew Barrie, per avermi insegnato a volare.

    Alla prof.ssa E. Di Serio, per avermi insegnato a credere.

    A zia Valeria, per avermi saputo guidare anche lì, dove la luce non arrivava.

    L’Ombra

    Salve a tutti. Mi chiamo Fabio, ho 13 anni e frequento la terza media presso la mia mitica scuola dietro l’angolo.

    Voi posteri vi chiederete il motivo per il quale stia scrivendo queste due righe; ebbene… forse è meglio cominciare tutto dall’inizio, o meglio, da quando penso che tutto abbia avuto inizio.

    Era un mese qualunque di un giorno qualunque di una mattina qualunque. Alle otto suonava la campanella e alle otto meno venti ero ancora nel mio letto a dormire. Di colpo, come tutte le mattine, esclusa la domenica, mio giorno preferito, suonò la sveglia e, contemporaneamente, mia madre cominciò a chiamarmi con quella sua voce squillante e pungente di sempre. Non voglio dire che non voglia bene a mia madre, però, nel dormiveglia, sarei capace di odiare chiunque.

    Ma sorvoliamo su questi piccoli dettagli; visto che la sveglia continuava ancora a suonare ma io non avevo alcuna voglia di alzarmi e spegnerla, sollevai la mano, aprii l’anta dell’armadio, lanciai la sveglia in mezzo ai vestiti accatastati al suo interno e, rimanendo sempre steso nel letto, richiusi l’anta.

    Ma questo non bastò; difatti mia madre entrò poco dopo costringendomi ad alzarmi. La sua ineguagliabile ventiquattr’ore volteggiava sulla sua testa come un’arma micidiale.

    «Fabio» gridava «muoviti, altrimenti farai tardi a scuola!».

    «Sì» dissi io con voce flebile «ora mi alzo, ancora cinque minuti».

    «Altri cinque minuti e non potrò andare a lavoro. Hai visto per caso i miei fogli di calcolo?».

    «Quelli grigi?».

    «No, quelli mi servono il lunedì; oggi è giovedì, quindi mi servono quelli verdi».

    «Hai guardato in cucina?». «Certo» strillò. «Sul televisore?». «Quello del salone?».

    «No, quello della cucina!».

    Senza neanche rispondermi corse verso la cucina. Dopo poco urlò «Grazie, li ho trovati. Tu sei pronto?».

    «Sì, mi sto vestendo».

    E così dicendo scesi dal letto, chiusi la porta e, mentre prendevo la sveglia insieme ai vestiti dall’armadio, con un gesto della mano svuotai la cartella.

    Ah, scusate, forse non vi ho raccontato di un mio piccolo segreto: ho la capacità di spostare gli oggetti con la forza del pensiero.

    Ora non fatevi strane fantasie, perché non vado di certo in giro con un mantello e una maschera a salvare i poveri e i meno fortunati. Non faccio come i protagonisti dei film; io sono un ragazzo e mi comporto di conseguenza. Uso le mie capacità per ciò di cui ho bisogno.

    Ho bisogno di preparare la cartella? Bene, la preparo.

    Ho voglia di una bella tazza di latte fumante? Ottimo, la metto nel forno a microonde.

    Devo aprire la porta di casa? Niente di più semplice: basta un movimento della mia mano.

    Non posso non dire che i miei cosiddetti poteri non mi facilitino la vita, anzi, è proprio grazie a loro che ho un’ottima media a scuola.

    Da quel fatidico giovedì, però, dovetti ricredermi su molte cose.

    Una volta fatta la mia solita passeggiata mattutina, era infatti assurdo prendere l’autobus o farmi accompagnare con la macchina da mia madre, dato che la scuola è praticamente a due passi da casa mia, salutai il bidello che incitava, come ogni mattina, gli alunni ad entrare velocemente nell’edificio. Mi dispersi così in mezzo alla massa di ragazzi e professori intenti a smistarsi nelle proprie aule.

    Ed eccomi lì, seduto nel terzo banco della seconda, fila ad aspettare l’arrivo del professore.

    Nella prima ora avevamo il compito in classe di scienze; non era una materia che mi andava a genio, ma prendevo sempre il massimo dei voti, soprattutto nei compiti in classe. Certo, non potevo non studiare, altrimenti alle interrogazioni avrei fatto scena muta, ma, durante i compiti, un valido contributo me lo davano i miei poteri. Ah, voglio mettere in chiaro una cosa: non c’è nulla di soprannaturale, di mistico o di fantascientifico nel riuscire a muovere gli oggetti col pensiero. Mi sono documentato molto su questo argomento. Voi sapevate che usiamo solo il 7% del nostro cervello? Immaginate allora che cosa potremmo fare se lo sfruttassimo in tutte le parti! Io credo di riuscire a usarlo intorno al 34-35%. Come riesco a fare un’affermazione tanto precisa? Non so dirvelo neanche io.

    Comunque alle otto e dieci circa il professore di scienze, un po’ lunatico a dire la verità, si presentò davanti a noi con il suo solito gilet scozzese, la camicia bianca e i pantaloni scuri. I capelli erano bianchi e lasciati alla deriva come sempre, ma gli occhi erano vigili come non mai.

    «Disponetevi in sei file» tuonò senza neanche sedersi «forza, avanti».

    Subito si udì un forte rumore di banchi e di sedie: sembravamo una mandria di tori impazziti.

    «Mi raccomando Fabio: metti il foglio di lato, così posso copiare qualcosa» disse il mio compagno di banco, nonché compagno di avventure, Cristian.

    Era una vera e propria schiappa a scuola; se la cavava solo grazie a me, che a mia volta mi affidavo ai miei poteri… buffa la cosa, no?

    Comunque, gli risposi che non si doveva preoccupare di nulla e che gli avrei permesso tranquillamente di copiare dal mio foglio.

    Mi ringraziò e staccò due fogli dal quaderno, uno per me e l’altro per lui. Era in qualche modo la sua maniera per sdebitarsi con me.

    Il professore Steveson riprese possesso del silenzio con un troneggiante «Schh» e subito dopo cominciò a distribuire i fogli.

    Con voce soave e delicata la ragazza davanti a me, Silvia, chiese al prof. mentre le porgeva il foglio: «Non sono troppo difficili le domande, vero professore?» e sbatté diverse volte le ciglia.

    «Se avete studiato, no di certo, signorina Di Pinto».

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