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Animus Meus
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Ebook89 pages1 hour

Animus Meus

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“Le tue dita sfiorano il sogno, lo accarezzano dolcemente e ti perdi in lui. Ma dietro l’angolo di un giorno qualunque Mr. Fato è in agguato pronto a rubare una parte di te, come ti fu predetto in quel caldo giorno d’estate”.

Di fronte al miracolo della vita, si provano emozioni profonde e totalizzanti.

Ma quando la creazione non giunge a compimento, non c’è Sorella che non sperimenti dolore, rabbia, frustrazione e il senso di inadeguatezza incrina le certezze dell’esisenza. Animus Meus è scritto da una donna per le donne, le Sorelle, per condividere un dolore intimo, solo “nostro”.

Romanzo che ondeggia tra il reale e l’onirico.

La trama, dai toni forti e coinvolgenti, la senti dentro, l’anima ne gode e trasmette intense emozioni.

Lo stile narrativo, a tratti poetico, è scorrevole ed avvincente, parole leggiadre ed immagini suggestive rievocate con sapienza e maestrìa, simili a pennellate sulla tela della vita dove i vari colori si mescolano, talvolta integrandosi con armonia talvolta scontrandosi con impeto rabbioso.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateAug 16, 2012
ISBN9788867513543
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    Animus Meus - Noemi Bonapace

    sconosciuta)

    Ad occhi chiusi, stretto al petto il vecchio libro di poesie, Adelina si assopì.

    Le parole sfarfaleggiavano nella mente, effimere falene portatrici d’improbabili speranze.

    "EPILOGO - Quando sarà l’aurora / dopo di me / vorrei che, come quando / c’ero / e prima che ci fossi / vorrei che seguitasse /l’incanto d’uno sguardo / in un altro sguardo / e non morisse / com’è nostro destino / l’epilogo d’un bacio." (A.P.)

    Improvvisamente il suono crudele della sveglia la riportò in vita, abbandonato il letto a piedi scalzi si rifugiò in cucina, il suo regno. La moka occhieggiava invitante dalla mensola bordata di pizzo, meccanicamente allungò la mano accingendosi a preparare un caffè consolatore. L’aromatico profumo aveva il potere di rasserenarla, un sorso di nero arabica debitamente zuccherato la ristorava più di un sorriso di Orazio, vecchio brontolone incupito dal tempo.

    Ma una strana inquietudine le pungeva il cuore impedendole di gustare quell’ora del mattino in cui la vita è sospesa tra sogno e realtà. Così accadde che, senza alcun segno premonitore, la nostalgia s’impossessò di lei e il desiderio di ritornare indietro nel tempo anche solo per pochi attimi divenne irresistibile, così pressante da costringerla ad abbandonare il tepore della sua casa. Spaventata, si rifugiò in giardino respirando con avidità la frizzante aria del mattino già odorosa di gelsomini. Povera creatura prigioniera dell’orco Ieri, scacciato per anni e ora suo padrone e signore! Le gambe vacillavano pericolosamente mentre il cuore, ormai in balia della pazzia, rullava come un tamburo masai nell’assolata savana mandando messaggi ai ricordi-ombra, nell’assurda speranza di farli risorgere limpidi e consolatori. Prigioniera delle sensazioni che l’avvolgevano, incautamente s³immerse nel calderone del rimpianto abbandonandosi alle sue false carezze e nel tiepido dei ricordi la mente, agile come a vent’anni, seguendo la scia profumata dello struggimento veleggiò dolcemente controcorrente, verso il passato. Emozioni e desideri squassavano quel fragile corpo irreparabilmente bollato dagli anni, acuendo crudelmente la consapevolezza dell’ineluttabilità della fine ormai prossima. La clessidra della vita si stava lentamente svuotando ma lo scorrere del tempo non ce l’avrebbe fatta a sotterrare le preziose pagliuzze che avevano impreziosito l’ordinaria sabbia della sua esistenza! Rinfrancata si abbandonò alla memoria che, come una gestante prossima al parto, lentamente espulse l’essenza di un giorno particolare. A mano a mano che si delineava, il ricordo si riempiva di colori e suoni e profumi, talmente reali da spingerla ad imboccare la ripida scaletta che portava al loculo della rimembranza.

    La vestaglia si strusciava sulle gambe nel vano tentativo di fermarla ma Adelina non avvertiva altro segnale che quello inviatole dal cuore: ritrovare sorella Disperazione. Per comprendere. Con insospettabile agilità si arrampicò sulla scala a pioli, una porta chiusa le sbarrò il passo ma non si perse d’animo. Con una mano si ancorò alla ringhiera e con l’altra paciugò nella tasca del grembiule dove nascondeva il lasciapassare. Catturatolo, con decisione lo infilò nella toppa, due giri, un lamentoso cigolio e fu all’interno.

    Definire soffitta quel minuscolo locale sotto il tetto probabilmente era un’esagerazione ma le piaceva chiamarlo così, le ricordava la sua infanzia passata nel solaio della maestosa villa immersa nelle colline piemontesi, tra distese di viti che si confondevano con l’orizzonte. In autunno i riflessi ramati degli ultimi raggi del sole indoravano le schiene dei contadini che, curvi, raccoglievano i grappoli d’uva pitturati di bordeaux. Lei, bimbetta magrolina e spaurita, li osservava dalla finestrella del suo rifugio segreto anelando di essere là, nella semplicità di gesti antichi.

    Di natura schiva, passava ore nell’ampia stanza in compagnia dei suoi tesori, giocattoli e pensieri, emozioni e fette di torta di mele cucinata dalla buona Nina, la vice mamma.

    Un sospiro le sfuggì dalle labbra riportandola al presente. Dal lucernario filtrava una luce lattiginosa che l’aiutò ad orientarsi, la mente con precisione le indicò dove giaceva la sua gioventù. Si diresse là, verso l’angolo buio. Nascosto sotto un vecchio materasso giaceva il custode delle sue memorie, un baule di legno color nocciola regalo di nozze di zia Olga soprannominata Niente Affatto. D’indole ribelle, alle richieste che la contrariavano, arricciando il naso per il disappunto, sputava con rabbia il suo perentorio motto, sottolineato con un sonoro battere di tacchi sul pavimento che pareva un feldmaresciallo infuriato. L’immagine della vecchia zia le sollevò gli angoli della bocca in una tenera smorfia simile al sorriso mentre le mani armeggiavano nervose con le complicate chiusure che, alle tante, cedettero e il coperchio si aprì. Era colmo di tutto, libri, quaderni, pupazzetti. La bambola dai lunghi capelli le dette il bentornato, indossava un meraviglioso vestito d’organza e i minuscoli piedini erano protetti da scarpine di morbida pelle. Rosita era un regalo di zio Frank, un parente che viveva nel lontano Canada tra maestose foreste d’abeti e impetuosi ruscelli. Nelle rare visite alla famiglia le portava doni meravigliosi che suscitavano l’invidia delle bambine del piccolo borgo.

    La mia pupa! mormorò stringendola al cuore e tuffando il naso nei lucenti capelli ancora odorosi di lavanda, il profumo preferito di sua madre. E per un attimo avvertì la sua presenza, dolci carezze levigarono la pelle del suo viso ormai deturpato dagli anni. Ma la nostalgia durò il tempo di un lampo, non era lì per rovistare tra vecchie cianfrusaglie, doveva ritrovare una chimera. Dopo un raspare agitato finalmente dal fondo del baule occhieggiò un vecchio quaderno, copertina di pelle nera bordata di rosette gialle e un titolo scritto con grafia minuta ed elegante.

    Pensieri privati - Vietato l’accesso agli estranei.

    Eccolo! gridò eccitata, quasi strappandolo dalle sgrinfie del tempo.

    Con il diario stretto al petto Adelina si sistemò sotto il fascio di luce che proveniva dall’aurora. Con mani tremanti lo aprì, un leggero sentore d’umidità le arricciò il naso facendole temere il peggio ma le pagine erano integre e le sillabe, ricche di svolazzi come si usava un tempo, danzarono beffarde sotto i suoi occhi inumiditi dall’emozione invitandola a partecipare al gran valzer del tempo che fu.

    Emozionata s’immerse nella lettura che la catturò trasformandola nella bella donna di allora, piena di sogni e voglia di vivere.

    Venerdì, 13 novembre 1973

    Oggi, il lago ha il colore del mio cuore. Grigio, come il piombo appena fuso. Pigramente disteso ai piedi delle millenarie colline ricoperte di querce nodose pare in attesa, forse di una spera d’aria che, birichina,

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