Mondo Parallelo
By A.R.S
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Mondo Parallelo - A.R.S
Ballabio
L’Incontro
Era una domenica come tante, mancavano due settimane al Natale, guardai fuori dalla finestra, la giornata era fredda e nevosa. Diedi una rapida occhiata all’orologio, le quindici. Decisi di uscire in questo paese per me nuovo visto che da sei mesi avevo lasciato la mia città nativa per cambiare vita.
I negozi erano abbelliti come ogni Natale da luci colorate, la gente si affrettava a comperare regali d’ogni genere per parenti ed amici, io, invece, giravo per negozi senza preoccuparmi di nulla.
Mentre camminavo vidi un centro commerciale e mi convinsi ad entrare, era affollatissimo. Cercai una toilette perché in quel momento avevo bisogno di darmi una scrollata; non appena entrai sentii dei rumori, per terra c’era qualcuno ma non riuscivo a capire chi fosse. Allora mi avvicinai e chiesi: Si sente bene?
Mi abbassai e le alzai la testa: era una splendida ragazza dai capelli corti castani con occhi scuri ma penetranti; mi guardava senza dire una parola.
Rimasi ad osservarla per parecchi secondi senza riuscire a dire nulla, ero come pietrificato dalla sua bellezza… il viso, gli occhi…
La sollevai e le chiesi chi fosse ma, inspiegabilmente, non disse nulla.
Non sapevo che fare, che dire, così decisi di prenderla sottobraccio per portarla fuori dall’ipermercato.
Mi mise una mano sul fianco e appoggiò la testa sul mio petto: incredibile, era come se fossimo due fidanzati legati per la vita e, invece, non ci conoscevamo neanche. Sentii il suo corpo sempre più vicino, mi s’incollò addosso senza staccarsi un attimo.
Era vestita con un paio di jeans marroni, un maglione nero e scarpe da tennis all’apparenza molto consumate.
Ci avviammo verso casa mia.
Circondati da tantissima gente che andava e veniva per la strada, come se per loro fosse l’unico giorno di vita carichi di borse piene e di portafogli vuoti, c’eravamo noi due che camminavamo verso la mia abitazione, mi sembrava di non arrivare più e con me c’era questa ragazza che mi trascinavo senza spiegazione come se qualcosa ci tenesse uniti… una sensazione strana ed ambigua.
Probabilmente stavo sbagliando, anzi, ne ero quasi certo, avrei dovuto portarla all’ospedale o alla polizia, stavo facendo tutto questo forse per egoismo. Dopotutto penso che il destino sia come un treno che corre in noi stessi, corre senza mai fermarsi e saremo noi a decidere le fermate; era per questo che non volevo perderla.
Aprii la porta di casa, entrai ed accesi la luce, la accompagnai sul divano.
Riposati, poi mi racconterai tutto quello che ti è successo
le dissi.
Mi preparai un caffè, ne avevo proprio bisogno, non mi era mai capitato nulla del genere prima di allora.
Ritornai da lei, si era addormentata.
Presi una coperta e un cuscino che tenevo in una scatola sopra l’armadio, vivevo in un monolocale e non potevo pretendere d’avere tutto a portata di mano, dovevo arrangiarmi in qualche modo; nel frattempo il caffè era pronto ma era più quello fuoriuscito dalla caffettiera che quello da bere, mi sedetti su una sedia e mi misi di fronte a quella strana ragazza, la osservai pensando a chi sarebbe potuta essere, al motivo che l’aveva spinta in quel centro commerciale, al perché si trovava per terra nella toilette. Tante domande mi passavano per la testa ma non riuscivo a trovare nessuna risposta.
Quella ragazza così misteriosa mi attraeva, pensavo a lei, la sognavo, era qui vicino a me, intoccabile ma la sfioravo col pensiero in modo amabile.
Passarono più di tre ore, io ero ancora lì di fronte a lei che dormiva come se fossero giorni che non riposava.
Decisi di andare sul balcone, faceva freddo ma il cielo era limpido e stellato, una notte meravigliosa. Mi fumai una sigaretta, in strada la gente stava diminuendo sempre più, ormai tutti rientravano nelle loro abitazioni, vedevo la città di fronte a me illuminarsi non per le luci delle case ma per il calore che emanavano le famiglie come se avessero un interruttore all’interno del proprio cuore. Se il Natale durasse tutto l’anno quest’interruttore sarebbe sempre rotto perché l’amore è come una strada tortuosa: più la percorri e più la perdi.
Rientrai in casa, avevo sonno ma il divano era occupato, decisi di coricarmi sul pavimento sopra il tappeto, vicino al divano, mi coprii con il cappotto e mi addormentai.
Mi svegliai improvvisamente verso le sette del mattino, mi alzai di scatto e mi precipitai in bagno, ero a piedi nudi e scivolai rischiando di rompermi l’osso del collo facendo un baccano assurdo tanto da provocare una risata a squarciagola da parte della ragazza; ritornai da lei facendo finta di niente anche se zoppicavo vistosamente, lei, intanto, continuava a ridere.
Ridi ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi
le dissi con un sorriso forzato.
Scusami non volevo, è solo che… che mi hai fatto morire dal ridere, non è da tutti i giorni vedere uno che cade in quel modo
rispose frettolosamente.
Io invece muoio dalla voglia di sapere: primo chi sei e poi cosa ci facevi per terra nella toilette del centro commerciale.
Vidi subito nei suoi occhi una strana espressione e, subito dopo, volse lo sguardo per terra.
Non lo so, non ricordo nulla, non so come mi chiamo, chi sono, di una cosa però sono certa: ho fame.
Accidenti hai ragione, adesso guardo nel frigo dovrei avere un po’ di latte e forse, se sei fortunata, anche dei biscotti, ho fatto la spesa ieri ma non aspettavo ospiti
dissi ironicamente.
Si alzò dal divano e si mise a curiosare un po’ dappertutto.
Sono qui a casa tua e non so neanche il tuo nome
mi disse.
Mi chiamo Charles. Se devi andare in bagno non fare complimenti. Fai come se fossi a casa tua.
Senza pensarci troppo si diresse verso il bagno e ritornò dopo dieci minuti; nel frattempo telefonai al lavoro per avvisare che non sarei andato. Ero impiegato in un’azienda farmaceutica come operaio; avevo trovato quest’occupazione, appena arrivato in città, grazie ad un amico.
Quella ragazza e la sua storia m’intrigavano e non potevo lasciarmi sfuggire una simile occasione.
Appena giunse in cucina le annunciai che ero pronto e che potevamo uscire alla ricerca di qualcosa che le potesse ricordare chi era.
Con un sorriso si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia, sentii il mio sangue bruciare e il mio cuore cantare.
Non so come ringraziarti, se non fosse per te non so dove sarei ora.
Non preoccuparti di questo, pensiamo invece a trovarti un nome, dovrò pure chiamarti in qualche modo, non credi? Quale ti piacerebbe? Anna, Laura, Simona, Francesca, Angela..?
Mentre stavo parlando vidi i suoi occhi illuminarsi e, senza esitazione picchiando il cucchiaino sul tavolo, esclamò: Aglaia.
Scossi la testa e, sorridendo, approvai il nome che si era scelta.
Mi alzai dal tavolo e le dissi: Ascolta, adesso usciamo, andiamo al centro commerciale e lì proverai a ricordarti quello che ti è successo ieri.
Va bene Charles, però avrei bisogno di cambiarmi, non hai qualcosa da prestarmi?
Sai, finora non ho mai portato abbigliamento femminile, chissà forse un domani! Se vuoi ti posso dare un paio di jeans e una maglietta, vedo che porti più o meno la mia stessa taglia, l’altezza è uguale
le risposi ironicamente.
Ok, ti ringrazio. Ora vado in bagno, mi cambio e andiamo.
Le feci strada e le mostrai dove stava l’asciugamano e tutto il resto, poi chiamai il mio amico Giulio ma a casa sua il telefono suonava senza ottenere risposta. Peccato perché avrei voluto raccontargli la storia in cui mi ero trovato coinvolto senza un motivo apparente.
Giulio abitava ad una decina di chilometri da casa mia, l’avevo conosciuto sul treno appena arrivato in questa città, fu un incontro casuale, lavorava per le Ferrovie come controllore e quando mi si avvicinò ne approfittai per chiedergli se conosceva qualcuno che affittava stanze, giusto per avere il tempo di trovarmi una sistemazione più adeguata. Ci pensò un po’ e poi mi propose di condividere il suo appartamento e, vista l’insistenza, accettai. Da allora diventammo grandi amici.
Grazie a lui trovai anche un lavoro. Condivisi il suo appartamento per un paio di mesi, poi dovetti trasferirmi in questo monolocale visto che si era sposato.
Nonostante il matrimonio Giulio mi rimase molto vicino, mi riteneva suo fratello; Veronica, la sua consorte, era una donna meravigliosa in attesa di un bimbo, che sarebbe dovuto nascere in primavera.
Il concepimento era avvenuto prima della loro unione ed erano proprio una bella coppia. Mi ricordo il giorno del loro matrimonio: pochi invitati, una cerimonia semplice e rapida; io feci da testimone e ciò mi lusingò parecchio.
Giulio e Veronica si erano conosciuti da bambini all’orfanotrofio, non mi raccontarono mai il perché della loro condizione, l’unica cosa che sapevo era che Veronica aveva un parente in Scozia che non volle mai conoscere; invece di Giulio non seppi nulla.
Ora Giulio era in trepidazione, oltre che in ansia, per la nascita di questo figlio, non ne vedeva l’ora anche se era un po’ preoccupato perché avevano ricoverato Veronica in ospedale a causa di giramenti di testa continui. Nulla di grave, si diceva, ma avevano preferito tenerla a riposo sotto stretto controllo medico.
Guardai l’orologio, erano già passati quindici minuti, mi avvicinai alla porta del bagno e le dissi: Aglaia hai finito? Si fa tardi e devo anche passare in ospedale a trovare una mia amica.
La tua ragazza?
mi sussurrò.
No, non sono fidanzato; è la moglie di un mio amico.
Poco dopo uscì dal bagno, rimasi qualche istante ad osservarla: era splendida ma per colpa della mia timidezza non ebbi il coraggio di dirglielo. Mi diressi frettolosamente verso la finestra, guardai il cielo, era nuvoloso.
Adesso andiamo al centro commerciale e chiediamo a qualche guardia se per caso ti riconosce, si ricorda di te o se ha trovato qualche documento che ti appartiene.
Uscimmo immediatamente e ci avviammo verso l’ipermercato; scendendo le scale incontrammo l’odiosa vicina di casa. Buongiorno signora
dissi forzatamente.
Non mi ascoltò neanche perché stava squadrando da capo a piedi Aglaia. Poi, con voce smorfiosa, disse: Buongiorno signorina, è per caso la nuova inquilina? Divide l’appartamento con questo signore?
La interruppi subito e scocciato le dissi: No signora, è solo una mia amica.
Presi per mano Aglaia e corsi