Fukushima Global Warming e Competizione: Se non tu, chi? Se non ora, quando?
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Fukushima Global Warming e Competizione - Arshad Moscogiuri
pagine.
CAPITOLO I
Alfa
una tragica corsa
Il traguardo dell’atomo è stato raggiunto dopo una corsa estenuante, una vera e propria gara all’ultimo respiro durante la più colossale e drammatica competizione della nostra storia: la Seconda Guerra Mondiale.
Ogni conflitto armato è un orrore; quello fu un orrore madornale. Un massacro da 55 milioni di vite, la sofferenza per un numero incalcolabile tra feriti e abusati, il dolore in milioni di famiglie, lo shock su intere generazioni.
Uno tsunami di terrore invase il globo.
Nei sei anni della guerra, crebbe esponenzialmente un clima di scontro finale tra il bene e il male assoluto, percepito con tale tragica intensità che, oggi, non possiamo comprendere appieno. La lotta tra il bene e il male è lo spot che promuove ogni giustificazione bellica; lo sentiamo riecheggiare da millenni. Però, dopo anni di lutti, paura e privazioni, l’eventualità che i regimi nazisti, fascisti e imperiali che reggevano l’asse Germania-Italia-Giappone potessero instaurare il loro dominio sul mondo atterriva nel profondo miliardi di persone, dall’una e dall’altra parte degli schieramenti.
Verso gli ultimi mesi di guerra, il Giappone dava ancora filo da torcere per l’incrollabile determinazione guerriera dei suoi soldati e strateghi.
L’Italia aveva già testimoniato con impegno che le spoglie delle sue qualità politiche e militari giacevano per sempre assieme a quelle dell’Impero Romano, che il fascismo aveva grottescamente tentato di resuscitare.
La Germania, invece, preoccupava assai seriamente gli avversari.
L’efficienza organizzativa e le capacità produttive della nazione erano saldissime e lo rimasero per gran parte del conflitto. Soprattutto, il livello tecnologico e delle ricerche scientifiche applicate alla guerra era sempre un po’ più avanti rispetto agli altri. La Germania fu in testa per tutta la corsa, tallonata dagli Stati Uniti che restavano sempre un po’ indietro, mentre il mondo teneva il fiato sospeso.
I tedeschi, impegnati su più fronti, tirarono fuori aerei avanzatissimi, maneggevoli e veloci il doppio dei loro duellanti. Fabbricarono sottomarini virtualmente inafferrabili, lanciarono missili di portata che si riteneva irraggiungibile.
Fondandosi sulle possibilità aperte dalla teoria della relatività di Einstein e sui successivi studi di Enrico Fermi, furono proprio due scienziati tedeschi, il chimico Hahn e l’assistente Strassman, a scoprire la fissione nucleare. Era il dicembre del 1938, nove mesi prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Il Terzo Reich stabilì due gruppi di ricerca per lo sfruttamento bellico del nucleare, uno civile e uno militare. Contavano su un gran numero di illustri scienziati, tra i quali anche Wernher von Braun, figura portante della missilistica, e Karl Heisenberg, autore del principio di indeterminazione quantistica.
Per questo il mondo temeva che la Germania fosse a un passo dal confezionare la prima bomba atomica della storia, a un soffio dal traguardo che le avrebbe assicurato di vincere la competizione.
Così, per rincorrerla si formò negli Stati Uniti, già pochi giorni dopo l’entrata in guerra della Germania, un altro team eccellente. Tra i suoi campioni, scienziati come Einstein e Fermi, che per fortuna se n’erano andati dai rispettivi paesi di residenza, Germania e Italia.
Molti tra loro correvano solo perché ci si sentivano costretti, storicamente e moralmente obbligati a non permettere la vittoria dei nazisti. Quando anche gli USA entrarono in guerra alla fine del 1941, gli scienziati moltiplicarono i loro sforzi. Nel 1942 si riunirono in quanti più poterono intorno all’opulento Progetto Manhattan, guidato da Oppenheimer, e cominciarono a gareggiare giorno e notte.
Difficile dire se furono loro i più veloci, se percorsero la via più breve, se fossero il team migliore. È anche possibile che la squadra avversaria abbia iniziato a rallentare, a perdersi per strade tortuose.
Qualcuno dirà di averlo fatto apposta, per non permettere al nazismo di vincere la guerra.
Perlomeno, questo si proverà ad affermare di Heisenberg, che era a capo del programma nucleare tedesco. Nel 1941 la pensava diversamente: la sua mancanza di scrupoli, secondo lo stesso Heisenberg equivocata, fece scegliere al collega Bohr, che poi confluì nel progetto Manhattan, di interrompere la loro amicizia. Con una più ardita operazione di restyling von Braun, ufficiale delle SS, sarà invece riciclato a stelle e strisce e diventerà il capostipite del programma spaziale della NASA.
Nel 1945 i nazisti, accerchiati nella Germania in rovine, puntarono tutte le loro residue speranze sulla nuova arma segreta millantata da Hitler, unico fattore che avrebbe potuto rovesciare le sorti del conflitto ed evitare la fine del Reich.
Era già troppo tardi.
Al fotofinish, nell’ultimo brandello di rush finale, gli USA vinsero di strettissima misura e il mondo tirò un sospiro di sollievo.
Ci furono grandi luci, da qualche parte in Giappone.
Le nostre mani che spezzavano l’atomo s’illuminarono più del sole.
Il male minore era temporaneamente assicurato.
***
lo scettro d’uranio
Come ci si sente a disporre di qualcosa che emette così tanta energia da scaldarci, fare luce, cuocere i cibi, piegare i metalli?
Nel momento in cui stringemmo una torcia in fiamme, ci sentimmo possessori di una forza mai immaginata prima. La comprensione e la padronanza del fuoco cambiarono per sempre le nostre vite.
Come ci si sente dunque a possedere qualcos’altro che emette fino a 5milioni 191mila volte l’energia del fuoco stesso?
È questo il rapporto che c’è tra la densità energetica della legna che brucia e quella rilasciata dalla fissione dell’uranio 235 puro, usato all’80-90% di concentrazione nelle testate atomiche e nei propulsori dei sottomarini a fissione nucleare.
Nel momento in cui abbiamo messo le mani su una barra di carburante nucleare, siamo diventati responsabili di un’energia mai immaginata in precedenza. La comprensione e la padronanza del nucleare hanno il potere di cambiare le nostre vite milioni di volte più del fuoco.
Abbiamo moltiplicato per cinque milioni le opportunità di evolverci o estinguerci.
Prima della scoperta del fuoco, le possibilità di causare devastazioni su vasta scala erano per noi quasi nulle. Poi, finalmente in grado di innestare la scintilla che da vita agli incendi, il nostro potenziale distruttivo si è allargato notevolmente.
Che ne sarebbe stato di noi, se avessimo scoperto il fuoco ma non il modo di spegnere le fiamme?
Avremmo potuto ardere il mondo intero? Anche volendo, sarebbe stata un’impresa impossibile. Bacini d’acqua e altre barriere naturali avrebbero limitato i danni a grandi aree geografiche, risparmiando il resto del globo. Malconci, saremmo sopravvissuti anche noi.
Fortunatamente abbiamo scoperto il modo di domare le fiamme, almeno entro certe proporzioni. Se poi l’incendio scappa di mano, allora devasta foreste, brucia animali, uccide persone.
Per quanto grande sia, però, alla fine si fermerà.
Quello che lascerà sul suolo sarà il fertilizzante per l’erba nuova, per nuova vita.
Messe le mani sull’atomo, abbiamo scoperto come tenere controllata la reazione a catena, come moderarla, come raffreddare i nuclei dei reattori. Abbiamo capito il modo in cui poter utilizzare questa immensa forza, sia per scopi bellici che civili. Enormi quantità di energia, per distruggere e per creare.
Ci sono però due considerazioni imprescindibili.
La prima, è che non sappiamo ancora come spegnere questo nuovo tipo di fuoco, specie se ci scappa di mano. È impossibile circoscrivere il fenomeno e i suoi tempi di arresto sono geologici, non umani.
La seconda: ciò che la fissione lascia come residuo è fatalmente nocivo per la vita e l’ambiente. Nessuno sa cosa fare delle ceneri di questi fuochi, che sono da centinaia di migliaia a milioni di volte più brillanti dei vecchi legnetti incandescenti.
Invitando lo sguardo ad abbracciare la situazione presente del rischio nucleare, è bene non perdere di vista queste due semplici considerazioni.
Non si tratta di stabilire se il nucleare sia giusto o sbagliato.
L’energia è energia, non è giusta e non è sbagliata.
La corrente elettrica può friggere un uovo, oppure il cervello di un condannato a morte.
Il gas può scaldare la tua casa, o sterminare vite umane.
La dinamite può spegnere un incendio, o far esplodere un magistrato e la sua scorta.
La tua stessa, più intima e nascosta energia può essere impiegata per amare oppure per odiare.
È l’uso che si fa dell’energia che ne determina l’esito relativamente negativo o positivo.
Non assolutamente, bensì relativamente.
Si potrebbe infatti dire che l’energia, comunque questa sia prodotta, è benefica o nociva solo in base all’uso che ne viene fatto? Possiamo affermare che utilizzare il nucleare per bombardare qualcuno non è positivo, mentre sfruttarlo per produrre energia civile e industriale a zero emissioni serra è positivo?
Proviamo a valutare.
Pensando alle bombe atomiche del 1945, è stato un bene o un male che siano state sganciate?
Forse oggi riusciamo a immaginare che questa non fosse l’unica via percorribile, che gli USA avrebbero potuto farle esplodere in maniera dimostrativa, piuttosto che radere al suolo sia Hiroshima che Nagasaki con quasi tutti i loro abitanti. Saremmo magari in grado di trovare alternative possibili, da un punto di vista lontano e distaccato.
Capire però se è stato un bene o un male, anche a settanta anni di distanza, è ancora un dilemma della coscienza.
Stando alla logica perversa della competizione bellica il caro prezzo da pagare, circa 200mila morti con due bombe, è stato funzionale a ottenere il minore possibile dei mali e ad assicurare benefici certi. Il peggiore dei mali poteva essere l’atomica in mano ai nazisti, un timore largamente condiviso dalla pubblica opinione. Sebbene la Germania avesse già firmato la resa tre mesi prima e il Giappone, unico superstite dell’Asse, fosse agli sgoccioli, questa paura restava ancora calda e fu un’ottima leva sulla quale poggiare una fredda strategia decisa a tavolino: con un eccidio senza precedenti, la posizione di predominio militare degli USA nei nuovi equilibri mondiali che si stavano formando sarebbe stata indiscussa. Questo il beneficio certo. Se non ci fossero stati i morti, la potenza dell’atomica non sarebbe stata così evidente: la competizione tra ordigni bellici si è sempre calcolata in vite