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Soldati a vapore
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Ebook136 pages2 hours

Soldati a vapore

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About this ebook

Un'avventura Steampunk di guerra e azione ambientata in un'ucronia risorgimentale, un 1848 alternativo in cui coraggiosi piloti di mech italiani devono affrontare i sanguinari nemici austriaci pronti a scatenare una nuova superarma contro l'Italia.
LanguageItaliano
PublisherDiego Ferrara
Release dateMar 27, 2013
ISBN9788867557752
Soldati a vapore

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    Soldati a vapore - Diego Ferrara

    © 2013 Diego Ferrara

    Progetto grafico a cura di Alessandro Canella. L’immagine di copertina racchiude rielaborazioni di articoli estrapolati dalla Gazzetta Piemontese e dalla Gazzetta del Popolo della Domenica.

    Diego Ferrara

    SOLDATI A VAPORE

    Soldati a Vapore è un’opera di fantasia.

    Qualunque riferimento a cose o persone

    realmente esistenti o esistite è da considerarsi

    del tutto casuale. Nomi e avvenimenti sono

    frutto della fantasia dell’autore.

    0. Intro

    (il brodo delle Mec)

    dal Diario di Guerra di Giuseppe Basile

    dintorni di Pozzolengo – 16 giugno 1848

    A me il brodo fatto col cervello dei crauti ha sempre fatto schifo, lo dico chiaro e tondo.

    C’è chi continua a ripetere che ci si fa l’abitudine – qualche genio ha il coraggio di sostenere che col tempo diventa addirittura buono – ma per me ficcare il naso in quella sbobba è come mettersi a baciare il culo di un cane. Come ci si può abituare a una merdata simile? Se non sbaglio il primo a raccontarmi che era solo questione di tempo era stato un certo Gianetti, mentre camminavamo verso il comando di battaglione con gli ordini nel tascapane e una torma di pensieri confusi su ciò che ci aspettava al di là delle colline. Il punto è che ti ci devi abituare per forza, era stato il suo ragionamento. Al rientro da un assalto bisogna bere, è tradizione. Sono ammesse defezioni solo se un Krebs ti ha staccato una mano e riesci a filartela in infermeria per direttissima. Oppure se i crauti ti hanno fatto secco. Sono passati quattro mesi da quel giorno, e il ricordo è stato sommerso da ciò che ne è seguito: un’alta marea di grida, boati e sinistri cigolii. Ma era tutto vero. Prima dell’inizio della primavera lo avrei constatato più volte di quante avrei desiderato.

    Ai Pulcini è Costa che prepara il brodo, perché da civile faceva il barista a Pavia. Insomma, è quello con le qualifiche. La procedura è semplice: si prende un crauto – vivo è molto meglio, ma se proprio non si trova va bene anche morto – e mentre quello piange e strilla nein! Bitte nicht! gli appoggi il bordo di un bossolo da 120 sopra l’orecchio e cominci a menare forte con la mazza da cinque chili. C’è un punto preciso (Costa sa benissimo dov’è) che se lo prendi, con due o tre colpi ben piazzati la calotta cranica del crauto salta via come un tappo di prosecco. Il cervello, sotto, è grigio e bitorzoluto. Bisogna scalzarlo con un grosso cucchiaio e poi tagliare. A questo punto viene fuori parecchio sangue, ma tanto nessuno ci fa caso: stanno tutti lì incantati a vedere quella roba grigia nelle mani di Costa che con aria cerimoniosa la ficca nell’Elmo Potorio, a bagno nella mistura di grappa e olio lubrificante. Stando alle parole del tenente Bregoli, l’olio del Manzetti dovrebbe essere il fottuto sangue nero delle nostre vene. L’Elmo Potorio per noi ha lo stesso valore di un artefatto magico. È la nostra Cornucopia. È il primo pickelhaube catturato dai Pulcini da quando il battaglione è stato assegnato alla zona del Mincio, nel febbraio scorso. Ormai possiede la sua aura di leggenda. Quando non serve per bere il brodo, Costa lo tiene appeso al posto d’onore dietro il banco, insieme a un sacco di altra roba rastrellata sul campo di battaglia: croci di ferro, sciabole, stivali, il cranio di un colonnello crauto di cui non ricordo mai il nome (comunque il cranio è stato ribattezzato Joseph, in onore del sommo bastardo gran comandante di tutti i crauti). Sono cimeli che la compagnia conserva a memoria della sua gloria imperitura. C’è perfino un folgoratore da Wanderer intero, anche se un po’ carbonizzato, che punta il suo naso mortale verso il soffitto. Costa lo adopera come rastrelliera per i bicchieri.

    Per finire il discorso, si lascia il cervello del crauto a macerare per mezz’ora, finché non ha preso quel gusto odioso di culo di cane. Un sorso a testa, dice a quel punto Costa (come se ci fosse qualcuno così coglione da scolarselo tutto!) e l’Elmo Potorio passa di mano in mano finché non è stato svuotato. Una volta finito, si butta via il cervello, poi l’Elmo viene sciacquato, asciugato con cura e torna al suo posto dietro il banco.

    È così che si fa il brodo da noialtri delle meccanizzate.

    Se lo racconti, la gente non ci crede.

    1. Chiacchiere serali

    col tenente Bregoli

    Esco dallo spaccio e mi soffermo ad aspirare l’aria carica di umidità che sale dal fiume. Grazie alle sei bottiglie di grappa scolate insieme agli altri Pulcini, ho l’impressione di avere la testa chiusa in un barile che ruzzola giù per un pendio. La sera è tiepida e una brezza leggera fruscia tra le chiome degli alberi. La cannoniera Savoia alla mia destra è una grande sagoma oscura. È un dinosauro ucciso nelle battaglie di inizio aprile, e nelle sue budella di metallo rivettato noi Pulcini abbiamo aperto lo spaccio della compagnia. Dall’entrata filtra un rettangolo di luce insieme a un brusio indistinto. Se l’orologio a pendola che Costa tiene sul bancone non s’è fermato di nuovo, dovrebbero mancare pochi minuti a mezzanotte. Mi sento brillo a sufficienza da concedermi un salto giù all’infermeria, prima di andarmene a dormire, per controllare se Di Felice ha tirato le cuoia. Quando l’abbiamo cavato dalle lamiere del Manzetti, alla fine dell’assalto, era ridotto a una polpetta pronta da infornare.

    A metà strada faccio una breve deviazione per svuotare la vescica, e mentre sono impegnato in quell’operazione noto una lucciola arancione vicino agli alberi. Nell’aria ristagna un odore forte di sigaro.

    Sbuca dall’oscurità la voce del tenente Bregoli. «Chi sei?»

    «Basile, signore.» Abbottono in fretta la patta. Non dovrebbe esserci niente di irregolare nel pisciare in un cespuglio, ma con Bregoli non si sa mai. «Comandi.»

    «Finito di bere?»

    «Signorsì.»

    «Vieni un po’ qua.»

    Un rivolo di sudore mi cola dietro la schiena. Che vuole adesso? Non ho fatto niente di male. Nell’ultimo mese sono stato consegnato solo cinque volte, battendo ogni primato della squadra 6. Nell’assalto del pomeriggio credo di aver fatto il mio dovere, tutto sommato, e cioè far secchi abbastanza crauti da non rovinare la media della compagnia. Allora che… Gesù benedetto, il Marsala! Le due bottiglie di Marsala che ho fregato allo spaccio con Di Felice, l’altra domenica! Di Felice mi aveva detto di stare tranquillo… ma magari qualche figlio di cane se n’è accorto e ha fatto la soffiata.

    Il tenente se ne sta appoggiato al tronco, avvolto da strali di fumo biancastro, a guardare gli sbarramenti che ci separano dal Mincio. Mi punta contro qualcosa, e il cuore mi casca giù vicino al culo. In guerra la giustizia militare è rapida. Ma farsi sparare per un furto di Marsala sarebbe veramente la coglionata dell’anno, sentirei le risate dei compagni fin dall’oltretomba.

    «È stato Di Felice, signore, era sua l’idea… a me il Marsala fa schifo. Io non –»

    «Te fumi, Basile?»

    Mi sta offrendo un sigaro, non la canna di una pistola. Grazie a Dio. Sospiro, e sento di nuovo il bisogno di pisciare.

    «Signornò.»

    «Mai fumato?»

    «Signornò.»

    Il tenente emerge dalle ombre. «Tieni, fuma.»

    «Signorsì.»

    Dallo spaccio arriva un’esplosione di risate. Prendo il sigaro e me lo rigiro tra le dita. È un bel bestione. Roba straniera, toscana probabilmente. Bregoli accende un fiammifero antivento che sputa scintille bianche e sibila come una biscia. Ci metto sopra la punta del sigaro e tiro: la sensazione è quella che proverei ad appoggiare la bocca sull’ugello di un flammenwerfer e aprire la valvola. Tossisco così forte che ho come l’impressione che gli occhi possano saltarmi via e finire nel Mincio (che pure si trova a un chilometro buono) e galleggiare nella corrente fino a Goito. Bregoli continua a guardare verso il fiume, in direzione di Salionze e dei reticolati che i crauti hanno steso in fretta e furia nel pomeriggio, prima di ripiegare a occidente. Tira placido il suo sigaro e sparge volute nella notte.

    «Ti piace?»

    «Signorsì! È buono, signor tenente… solo che non sono abituato.»

    «Non il sigaro.» Il tenente fa un gesto ampio con la mano. «Intendo tutto questo. La guerra, Basile. Il fronte. Gli assalti. Ti piace stare nella Mec?»

    «Ah. Signorsì, mi piace molto la Mec. Mi piace il mio Manzetti.»

    Intanto tengo il sigaro lontano dal naso, come farei con uno che ha parenti viennesi.

    «Sei orgoglioso?»

    «Signorsì.»

    Rimaniamo in osservazione del fiume e della vegetazione, in silenzio, tanto che comincio a domandarmi se non sia un invito implicito a levarmi dalle palle. Il tenente emette un sospiro stanco e rassegnato, e la cosa mi gela lo stomaco. Sentire un sospiro del genere da Bregoli, per un Pulcino, è come per un frate sentire il papa che molla una bestemmia. Se lo raccontassi ai compagni, mi risponderebbero di infilarmi la testa nel culo insieme a una candela e vedere se ci ha fatto il nido un crauto.

    «Vieni. Facciamo due passi.»

    «Signorsì. Signore, volevo passare all’infermeria a vedere come stava Di Felice… è tornato malconcio, oggi.»

    «Sta bene. Ho parlato un’ora fa col capitano medico. Piuttosto, è il suo mec quello messo male. Ci vorrà parecchio lavoro per rimetterlo in funzione… e i ricambi scarseggiano.»

    «Una cazzo di sfortuna, signore.»

    «Già.»

    Ci avviamo lungo il camminamento. Oltre gli alberi si trovano radunate le sagome nere dei Manzetti, giganti di tre metri a testa china. Le guardie di ronda al parcheggio sembrano bambini che girano intorno a una combriccola di adulti addormentati.

    «Ha la pelle dura e le balle di legno, quel Di Felice,» dice il tenente. «Buon elemento. Ho visto come si muove durante l’Attacco a Tenaglia. Molto meglio di te. Tu sei troppo lento. Non sono ancora riuscito a spiegarmi come abbia fatto a finire in mezzo a voialtri lavativi della 6. Mi sembra di aver capito che viene dal meridione. Da dove?»

    «Napoli, signore. Vicino Napoli, ma non mi ricordo il paese. Me l’ha detto, ma non me lo ricordo mai. Piscioni, Pisciasotto,» scuoto la testa, «non me lo ricordo. Comunque qualcosa con la piscia

    Bregoli fa un lento cenno affermativo. «Buona la gente di Napoli, ne ho conosciuti altri e combattono duro. Lo faranno uscire dall’infermeria molto presto, non stare a preoccuparti. Spero che sia lo stesso per il suo mec. E tu Basile da dove vieni?»

    «Torino, signore.»

    Gonfio un po’

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