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I Delitti di Castelmorte
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I Delitti di Castelmorte
E-book222 pagine6 ore

I Delitti di Castelmorte

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Info su questo ebook

A Castelmorte d'Asti c'è attesa per i festeggiamenti del millesimo anniversario del borgo antico. L'evento viene però funestato da una serie di omicidi: l'anziana maestra della cittadina, ormai in pensione, viene trovata senza vita e poco dopo anche il parroco della chiesa di San Sebastiano viene ucciso in sagrestia. Sui delitti indagano un cronista del Reporter Astigiano e una sua amica, appassionata di gialli e impiegata nell'unica agenzia funebre di Castelmorte. A collaborare alle indagini anche le perpetue del sacerdote ucciso, le Pie Donne del Santissimo Sacramento, sempre attente a ciò che si racconta in paese. Ma i delitti non sono ancora finiti.
LinguaItaliano
Data di uscita25 ago 2014
ISBN9788891154804
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    Anteprima del libro

    I Delitti di Castelmorte - Riccardo Santagati

    633/1941.

    Capitolo I

    Quella mattina la signorina Angelica Oltrepò decise di alzarsi dal letto prima della maggior parte dei suoi conoscenti i quali erano abituati a non uscire di casa se non dopo aver udito il settimo rintocco della settima ora dell'orologio che dominava, dal campanile, tutto il centro abitato di Castelmorte. Le sette erano diventate lo spartiacque tra la notte e il giorno, in estate quanto in inverno, e chi si azzardava a mettere il naso fuori dall'abitazione prima che l'orologio finisse il settimo rintocco della settima ora avrebbe messo in moto una serie di congetture e ipotesi, tutte rigorosamente infondate, sul motivo di quell'insubordinazione all'ordine precostituito. Per gli abitanti di Castelmorte uscire di casa presto poteva significare solo due cose: o era mancato qualcuno in famiglia o qualcuno stava male e si doveva correre di gran volata al pronto soccorso dell'ospedale di Asti. In questo clima di sospetti chiunque si fosse fatto vedere in giro prima che il grande orologio lo autorizzasse a farlo con i suoi rintocchi sarebbe stato sulla bocca di tutti, almeno fino a quando non fosse stato dato il cessato pericolo con una dovuta e accettabile spiegazione.

    La signorina Oltrepò, apprezzata ex maestra della scuola media (ormai chiusa da tempo), abitava a Castelmorte da quando era nata, quasi ottantatré anni prima e conosceva bene le regole del vivere comune; pur alzandosi sempre molto presto, aspettava che l'ora fatidica passasse con largo margine così da non mettere in agitazione i vicini e chi la conosceva, vale a dire più o meno tutti. La maestrina, come molti suoi ex alunni amavano chiamarla da quando si era ritirata dal lavoro, era abituata a consumare una frugale colazione leggendo una copia del Reporter Astigiano, l'unico bisettimanale locale con tutte le principali notizie della provincia di Asti ma, soprattutto, necrologie fresche, trigesime, anniversari e altre esclusive funebri che non trovavano spazio nei restanti giornali. In un piccolo centro di provincia sapere di essere sopravvissuti almeno un giorno in più ad una persona conosciuta, magari più giovane, è sicuramente una notizia degna di essere letta mentre si sorseggia una tazza di caffè bollente. Lo era per la signorina Oltrepò ma anche per tutti quegli anziani abituati a non uscire al mattino senza sapere chi avesse definitivamente detto addio a questo mondo. Se gli astigiani hanno fama di essere un po' chiusi e sospettosi, i castelmortesi lo sono dieci volte tanto ma, davanti ai lutti, dimostrano una certa predisposizione al chiacchiericcio, motivo per cui dare per primi la notizia di un avvenuto decesso significa avere materia di conversazione almeno per un paio di giorni.

    Certo, se Angelica Oltrepò avesse potuto immaginare che sulla successiva edizione del Reporter, addirittura in prima pagina, ci sarebbe stata la sua foto seguita da un lungo articolo di cronaca nera, forse avrebbe cambiato idea sulla lettura del giornale e si sarebbe dedicata ad altre faccende più importanti. Ma non poteva certo saperlo, né intuirlo, come non lo poteva sapere nessun altro cittadino di Castelmorte.

    Una volta finito il caffè e sciacquata la tazzina nel piccolo lavello ormai divorato dal calcare, la maestrina si preparò ad uscire avendo preso un appuntamento, già da qualche giorno, con il sindaco Viarengo. Il primo cittadino, eletto per acclamazione paesana alle precedenti elezioni amministrative che lo vedevano contrapposto al ragioniere Arturo Pastrale, aspettava di incontrare l'ex maestra della scuola media per discutere i dettagli di un libro che avrebbe voluto stampare in vista del millesimo anniversario dalla fondazione di Castelmorte.

    Per chi non ne avesse mai sentito parlare prima, Castelmorte, che dista una quindicina di chilometri dal capoluogo di provincia, in tempi molto remoti (e dimenticati dai più) era stato uno dei bastioni difensivi dell'antico comune di Asti. In epoca medievale, sotto il diretto controllo del vescovo, aveva goduto di una prosperità enorme grazie alla presenza di un castello (da qui la prima parte del nome) dove venivano mandati a morire (ecco spiegata la seconda parte) i nemici della città, almeno in un primo tempo, poi quelli del Ducato del Monferrato, in un'epoca più vicina, infine i condannati a morte durante il Regno dei Savoia. Si dice che i vigneti della Barbera impiantati sulle verdeggianti colline intorno al castello producano uno dei vini più prelibati dell'intero Piemonte e questo, secondo la tradizione, perché furono innaffiati per secoli con il sangue dei prigionieri politici che scorreva in abbondanza dal suolo dei sotterranei del maniero. Dicerie senza alcun tipo di riscontro le quali, proprio per questa ragione, avrebbero avuto ampio spazio nel libro che il sindaco era a tutti i costi intenzionato a pubblicare per celebrare nel modo più consono possibile l'importante ricorrenza del millesimo anniversario.

    Castelmorte vanta una storia di cui i cittadini vanno fieri ma che per gli estranei suscita sovente un senso di angoscia e ribrezzo abilmente mascherato con ammiccamenti e sorrisi di cortesia. Perché è vero che il castello, i cui resti sono oggi inglobati nel palazzo del municipio, è l'edificio più importante del nucleo abitato ma non è l'unico tragicamente sinistro. La piazza principale, dove si affacciano il comune, la chiesa, l'ufficio postale e il commissariato di polizia – miracolosamente sopravvissuto ai tagli orizzontali solo grazie alla densità abitativa -, è indicata sulle mappe come largo del Lazzaretto perché nel XVII secolo ospitava i malati di peste, in un edificio poi raso al suolo a metà del XIX secolo. Sulla piazza, al cui centro si incrociano corso Speranza e via degli Appestati (nomi dati da qualche funzionario del governo che non brillò certo di originalità), domina il campanile della chiesa di San Sebastiano, neanche a dirlo protettore dei malati di peste e quindi considerato da tutti i cittadini come uno di casa. Con il passare dei secoli il cuore del borgo antico ha assunto varie conformazioni fatte di stradine e case costruite e abbattute più volte fino all'attuale toponomastica, molto simile a quella di altri paesi dell'Astigiano, che vede le due grandi strade principali incrociarsi nella grande piazza e una serie di vie parallele, molto più piccole, che raggiungono i quartieri posti a corona della chiesa parrocchiale più importante.

    Per raggiungere il municipio la signorina Oltrepò dovette incamminarsi lungo corso Speranza imboccandolo appena fuori dalla propria casa. Avanzando in direzione della piazza principale passò davanti alle vetrine dell'unico ristorante degno di nota, il Don Rodrigo, chiamato così perché il titolare Marco Casagrande aveva letto un solo libro in tutta la sua vita ai tempi della scuola superiore. Una volta trasferitosi a Castelmorte aveva rilevato il locale dal precedente gestore e pensando a come chiamarlo, in vista della riapertura, immaginò che sarebbe stato caratteristico rifarsi a quel libro (per la cronaca i Promessi Sposi) dove la pestilenza è ciò