L'Arca dell'Alleanza
By Carlo Santi
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Book preview
L'Arca dell'Alleanza - Carlo Santi
Tavola dei Contenuti (TOC)
Copertina
Prefazione
Prologo
Etiopia
L’inizio della fine
Monastero Benedettino
Notizia inaspettata
Il Rifugio
Fra Pasquale
A Roma
Il nuovo Papa
L’Apocalisse Etiope
Il sospetto
Misteriosa scomparsa
Incontro fra amici
USS George Washington
In azione
La nuova Apocalisse
L’Arca dell’Alleanza
Inconsulto assalto
Nuovo incarico
Addis Abeba
Missione compiuta
Di nuovo a Roma
Teheran
Il mistero dell’oro
Il protocollo ‘Millennium’
Pericolosa intrusione
Indebito intervento
In Terra Santa
Il Santo Sepolcro
Il Fuoco Sacro
Primo Elemento: il Fuoco
I sotterranei del Santo Sepolcro
Fuga da Israele
Notre-Dame de Chartres
Chartres, Francia
Secondo Elemento: la Terra
Il labirinto di Chartres
La chiave
Assalto alla Cattedrale
L’hangar
Evento imprevedibile
Terzo Elemento: l’Aria
Modica
La sinagoga
L’inganno Templare
La Torah
Un incontro inconsueto
Quarto Elemento: l’Acqua
Axum
Sorpresa amara
L’Isola di Tana Kirkos
I Falasha: gli Ebrei neri di Etiopia
La svolta decisiva
Verso il sud dell’Etiopia
La Valle dell’Omo
I Custodi dell’Arca
L’ultimo respiro
Il Guardiano dell’Arca
La chiave di Fra Pasquale
Epilogo
Note dell’autore
Il quinto Vangelo
La Bibbia oscura
Dall’Autore de:
"Il quinto Vangelo e
La Bibbia oscura"
Carlo Santi
L’Arca
deLL’ALLeanza
Prefazione a cura di
PIA BARLETTA
Thriller Storico
L’ARCA DELL’ALLEANZA
Autore: Carlo Santi
Copyright © 2014 Carlo Santi & CIESSE Edizioni
P.O. Box 51 – 35036 Montegrotto Terme (PD)
info@ciessedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
www.ciessedizioni.it – www.shop-ciessedizioni.it
www.blog-ciessedizioni.info
ISBN versione eBook
978-88-6660-131-9
I Edizione stampata nel mese di settembre 2014
Impostazione grafica e progetto copertina:
© 2014 CIESSE Edizioni
Immagine di copertina: by Max Rambaldi
Collana: Black & Yellow
Editing a cura di: Sonia Dal Cason & Pia Barletta
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia, anche se basata su fatti storici. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati, quando non diversamente segnalati nelle note, sono il frutto della fantasia dell’autore o vengono usati in maniera fittizia.
Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
A Sonia,
il mio bene più prezioso
Prefazione
A cura di Pia Barletta
Qualcuno, non so chi, ha detto che la Prefazione è quella cosa che si scrive dopo, si mette prima e non si legge né prima né dopo. Io spero che non sia così, perché per introdurre il testo che avete tra le mani occorre fare un passo indietro.
Tommaso Santini, alias il Risolutore, nasce dalla mente di Carlo Santi con un compito ben preciso: trovare il Quinto Vangelo e impedire che cada nelle mani sbagliate. Il Risolutore è determinato, forgiato da anni di duro allenamento e da tecniche di meditazione, non teme i pericoli né tantomeno l’ignoto e si avvale della collaborazione di un team di alto profilo. Di bell’aspetto, particolare che non guasta mai, è devoto alla sua religione e, purtroppo per le donne che lo circondano, votato alla castità.
Nel Quinto Vangelo l’abbiamo visto impegnato a far riconoscere la possibilità dell’esistenza, oltre a un Santo Padre, di una Santa Madre. Congettura che, se mai un giorno dovesse essere supportata in qualche modo, rivoluzionerebbe il concetto di patriarcato che vige nella nostra religione.
Con la Bibbia Oscura prendono corpo ipotesi ancora più azzardate che ci catapultano tra personaggi inquietanti, dove tutto avviene tra rocambolesche avventure e colpi di scena degni dei grandi maestri del thriller. La tanto ambita Bibbia potrebbe essere passata tra le mani di Hitler, di Leonardo da Vinci, di Napoleone Bonaparte o, addirittura, di Nostradamus e anche qui, se fosse vero, si spiegherebbero molte delle profezie più chiacchierate al mondo.
Cosa possiamo aspettarci con L’Arca dell’Alleanza sulla quale si è detto e si è scritto tutto, si sono girati documentari e film famosi? La verità è ancora tutta da scoprire, probabilmente nessuno riuscirà a squarciare il velo di mistero che l’ammanta e le teorie che la riguardano, da quelle storiche alle più fantasiose, sono destinate a restare tali.
L’Arca dell’Alleanza non è l’invenzione di un trovatore medievale, come il Sacro Graal, ma un manufatto realmente esistito che ha lasciato moltissime tracce del suo passaggio. È un dato di fatto, sebbene ci sia, e sempre ci sarà, qualche pensiero scettico che tenterà di declassarla al ruolo di leggenda, forse perché non rientra nel concetto di uomo evoluto
.
Ebbene, in quest’opera Carlo Santi ha riversato non solo tutta la passione profusa nelle precedenti, ma anche tutto il suo impegno di scrittore attento e scrupoloso: il risultato è un lavoro di narrativa sui generis
che richiede al lettore, pagina dopo pagina, una partecipazione emotiva che via via si fa sempre più speculativa.
Frutto di un immane lavoro di ricerca, questo romanzo-saggio mescola, abilmente, storia e leggenda, leggi fisiche e pensiero magico, intrighi politici e poteri divini, architettura e geometrie sacre, in un sapiente dosaggio dove il tocco dell’artista si ravvisa nelle sfumature che stimolano la fantasia del lettore. Nonostante la mole di informazioni e riferimenti, però, l’autore riesce a calamitare l’attenzione fino all’ultima pagina grazie allo stile fluido e veloce che lo contraddistingue e al plot narrativo che vede ancora una volta il Risolutore al centro di adrenaliniche e mirabolanti avventure.
Santini ci conduce in un viaggio intorno al mondo: partendo dall’italianissima città di Teolo ci fa attraversare i palazzi del Vaticano, per poi farci giungere nella magica Etiopia dove, si dice, l’Arca dell’Alleanza è in attesa di un’anima pura, degna di posarvi lo sguardo.
Dio ci ha donato l’Arca perché ne facessimo buon uso, ma l’arroganza e la sete di potere di alcuni hanno fatto sì che, a prescindere dalla religione che professiamo, ci fosse preclusa. Eppure, dopo aver letto qui di suoni, di canti e di vibrazioni in grado di sprigionare immensa energia propulsiva, un dubbio ci assale: perché ci è tanto difficile padroneggiare un così grande potere?
Super partes, Carlo Santi lascia a noi trarre le conclusioni.
"Nuvole e oscurità la circondano, giustizia ed equità sono le basi del suo trono.
Un fuoco la precede e consuma i suoi nemici d’ogni intorno.
I suoi lampi illuminano il mondo.
La terra la vede e trema.
I monti si struggono come cera alla presenza dell’Eterno…"
(Salmi 97: 2-5)
Prologo
Oltre tremila anni fa
Sul Monte Sinai, inginocchiato di fronte al Roveto Ardente, Mosè ascoltò il volere di Dio che gli apparve sotto forma di fuoco freddo.
Gli vennero consegnate le Tavole Sacre: i Comandamenti.
In seguito Dio volle dargli un nuovo e vitale ordine, al quale non poté sottrarsi: «Farai un’Arca di legno d’acacia e la rivestirai di oro puro. E dentro vi porrai la Testimonianza che io ti darò.»
Mosè obbedì senza indugio. Si fece aiutare da Bezaleel, il più abile degli artigiani a lui fedele e, seguendo alla lettera le indicazioni del suo Dio, il Patriarca Ebraico costruì una cassa di due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di altezza e di larghezza e la rivestì di oro purissimo, sia all’interno che all’esterno. Quindi la coprì con un coperchio dorato, chiamato propiziatorio. Sopra vi collocò due piccole statue raffiguranti dei cherubini, anch’essi d’oro. Ai lati della cassa inserì quattro anelli affinché potesse essere trasportata inserendovi due pali, così da non doverla toccare. All’interno dell’Arca della Testimonianza, l’oggetto più sacro della tradizione religiosa Ebraica, Mosè depose un po’ della manna raccolta durante la traversata del deserto, la verga fiorita con cui erano state scatenate le piaghe d’Egitto e separate le acque del Mar Rosso, ma, soprattutto, le Tavole dei Comandamenti. L’Arca così forgiata era molto pesante, eppure inspiegabilmente riusciva ad auto levitare per facilitare il trasporto.
Il manufatto era il segno tangibile dell’alleanza con Dio.
Per la custodia del sacro oggetto Mosè impose al suo popolo una serie interminabile di disposizioni, tanto precise e insindacabili quanto incomprensibili. Dell’Arca si sarebbero occupati i figli di Aronne, che per questo motivo vennero chiamati Leviti, che però si sarebbero potuti accostare ad essa solo dopo che fosse stata coperta dai sacerdoti, denominati anche Custodi.
Durante le soste, nel corso dell’esodo nel deserto durato quarant’anni, l’Arca era collocata all’interno della Tenda del Signore, una specie di tempio rimovibile, e portata alla testa del popolo durante le marce.
Raffigurazione grafica della 'Tenda del Signore'
Nessuno avrebbe potuto avvicinarla né toccarla, solo a Mosè era permesso di servirsene per lasciarvi comparire Dio seduto in trono sul propiziatorio, nello spazio fra i due cherubini.
L’Arca era investita di enormi poteri, in particolari momenti si ammantava di luce ed era in grado di scatenare una devastante potenza divina, annientando migliaia di persone. In che modo questo avvenisse non era chiaro, ma con l’Arca alla loro testa gli Ebrei annientarono decine di tribù ostili incontrate durante il loro peregrinare nel Sinai.
Le folgori dell’Arca distrussero le armate degli Etei e dei Gergesei, dei Gebusei e degli Evei e di un’altra decina di popolazioni che vivevano nella fascia di Canaan{1} nel XIII secolo a.C.
Chiunque venisse in contatto con Essa, moriva percosso dalla potenza di Dio.
Pianta geografica di Canaan
La stessa sorte toccò persino ai figli di Aronne, sebbene fossero Leviti, ovvero esperti custodi della reliquia, e la medesima fine occorse a Uzzà{2}, uno dei figli di Abinadab. Dopo aver stabilito la capitale a Gerusalemme, David decise di trasferirvi l’Arca dell’Alleanza. Durante il trasporto{3} il carro trainato dai buoi su cui viaggiava l’Arca barcollò e Uzzà, per impedire che cadesse, la sostenne con le mani. Così facendo, egli si arrogò un compito riservato ai soli Leviti e Dio lo punì con una morte istantanea tra la costernazione generale.
La più grande vittoria ottenuta dall’Arca fu la distruzione della città di Gerico. Per ordine di Dio e per sei giorni le armate di Israele, guidate da sette sacerdoti che recavano sette trombe di corno d’ariete e l’Arca dell’Alleanza, girarono attorno ai bastioni ciclopici.
«Al settimo giorno sonate le trombe, le mura crolleranno!», disse Dio a Mosè.
Così avvenne!
Una rappresentazione grafica del crollo delle mura di Gerico
Durante la peregrinazione degli Ebrei nel deserto, l’Arca restò sempre nell’accampamento, spostandosi insieme a loro. Dopo l’entrata del popolo Ebraico nel paese d’Israele, la Tenda del Signore fu eretta a Silo e vi rimase fino al tempo di Samuele. A quell’epoca gli Israeliti decisero di portare l’Arca in battaglia contro i Filistei perché assicurasse loro la vittoria, ma vennero sconfitti e l’Arca fu presa dal nemico.
Da lì a poco, però, scoppiò una grave pestilenza attribuita alla presenza dell’Arca per cui, dopo sette mesi, i Filistei decisero di restituirla agli Ebrei. L’epidemia cessò all’istante.
Ricostruzione del primo Tempio di Gerusalemme.
L’Arca fu quindi trasferita nella città di Kiriat-Iearim e vi restò finché Re Davide la fece portare nella rocca di Gerusalemme, dove trovò la sua collocazione definitiva quando Salomone, figlio e successore di Davide, la fece sistemare nel Tempio di Gerusalemme, da lui fatto costruire appositamente per contenerla. Il tempio venne chiamato Sancta Sanctorum. Quando i Babilonesi, all’inizio del VI secolo a.C., conquistarono Gerusalemme, distrussero il Tempio di Salomone e ne depredarono ogni bene.
Raffigurazione grafica della distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Della famigerata Arca dell’Alleanza, però, non era rimasta alcuna traccia.
1
Etiopia
Febbraio 2014
In base alle stime l’Etiopia contava una popolazione di oltre sessantacinque milioni di abitanti, con una densità di cinquantotto persone per chilometro quadrato. Popolo martoriato dalla povertà a cui si aggiungevano le recenti guerre civili fra le diverse etnie. La speranza di vita media non arrivava ai quarantacinque anni, una delle più basse al mondo. Il gruppo etnico più importante erano gli Abissini che, da secoli, detenevano il primato politico e culturale. Nella società abissina la famiglia era il fulcro della vita. Il prestigio dell’Etiope era direttamente proporzionale a quello della sua famiglia, che doveva essere numerosa e con prevalenza di prole maschile. L’Etiopia era abitata in gran parte da genti antiche, i Galla, i Borana, gli Arussi, i Gugi, che si erano insediati nelle regioni centrali, dove il terreno si prestava maggiormente alle coltivazioni. Nel passato il paese aveva risentito di numerosi influssi semitici che, nel tempo, avevano determinato un’incredibile stratificazione di razze. L’Etiopia celava e preservava un misterioso segreto, conservato gelosamente da più di due millenni. In un qualche luogo imprecisato del Paese si diceva fosse custodita nientemeno che l’Arca dell’Alleanza. La dinastia reale Etiope, secondo le leggende, discendeva dalla regina di Saba che con Salomone aveva generato un figlio, Menelik, che avrebbe poi unificato le popolazioni dell’Etiopia settentrionale costituendo il regno di Axum e assumendo il titolo imperiale di Negus Neghesti: re dei re.
Antichi scritti testimoniavano che l’Arca era stata fatta uscire di nascosto dal Tempio di Salomone molto prima della invasione Babilonese, trasportata in gran segreto nel regno di Axum e nascosta agli occhi dell’uomo. Successivamente fu edificato il nuovo Sancta Sanctorum: una piccola chiesa dedicata a Santa Maria di Sion, ove sarebbe custodita ancora oggi. Di parere opposto erano le autorità religiose Etiopi, a maggioranza cattolica, che asserivano che l’Arca era custodita in Etiopia, ma non in Santa Maria di Sion, bensì in una delle oltre ventimila chiese sparse sul territorio nazionale, senza però indicare quale. Il nuovo Sancta Sanctorum rimaneva quindi un mistero, circondato da millenario riserbo.
Per difendere l’Arca autentica, una copia identica era stata collocata in ogni chiesa del Paese. Le autorità religiose Etiopi avevano dichiarato più volte di aver visto l’Arca con i loro occhi, a testimonianza della veridicità della loro tesi e le autorità governative, riconoscendo la validità di tali argomentazioni, sostenevano il clero e la necessità che l’Arca fosse difesa e nascosta al mondo. Il popolo Etiope non aveva mai sentito il bisogno di ricevere prove scientifiche a sostegno della teoria. A loro bastavano la tradizione millenaria che si tramandava di generazione in generazione, le storie che si raccontavano di padre in figlio, i dipinti che adornavano le chiese e i libri liturgici. Un insieme di usi e costumi che, anche in tempi attuali, ruotavano attorno al misterioso passaggio dell’Arca dal popolo di Israele a quello Etiope. Quella che per il mondo era diventata una leggenda e un mito, per gli Etiopi era e rimaneva la verità, anzi, il punto fondante dell’identità nazionale.
Credevano che l’Arca non fosse solo un oggetto prezioso, bensì lo strumento che avrebbe garantito loro una condizione di vita migliore in un futuro prossimo. Gli Israeliti erano certi di essere il popolo eletto legato da un divino e indissolubile patto con Dio, come riportato nella Torah.
Stabilirò la Mia alleanza con te e con la tua discendenza e, dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te.
{4}
Gli Etiopi, in quanto attuali custodi dell’Arca, simbolo ‘tangibile’ dell’alleanza con Dio, avevano quindi maturato la medesima convinzione, cioè di essere divenuti a loro volta il ‘popolo eletto’ dall’Altissimo.
Questa teoria poteva apparire bizzarra, ma non del tutto errata. In effetti, secondo l’impostazione ecclesiastica Etiope, la promessa di Dio agli Israeliti, fatta al tempo di Mosè, era indissolubilmente legata al possesso dell’Arca in quanto simbolo della scelta di Dio di adottare quel preciso popolo.
"Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per Me la Mia eredità tra tutti i popoli, perché Mia è tutta la Terra!"{5}
Ora, a ogni buon conto, l’Arca era custodita dal popolo Etiope e a nessuno era permesso vederla, salvo al Guardiano che aveva il compito di non lasciare mai il Tempio durante l’intera sua vita. A lungo esposto ai divini poteri sprigionati dall’Arca, inevitabilmente si diceva che fosse cieco. Solo in punto di morte egli poteva nominare il suo sostituto, scrupolosamente scelto fra i degni depositari di quel particolare e pericolosissimo segreto.
Così era stato per oltre duemila anni, e così doveva rimanere fino alla fine dei tempi. Alla difesa del Tempio, da secoli e secoli e a costo della vita, erano deputati alcuni uomini che, secondo la leggenda, dovevano essere alti non meno di due metri, addestrati alla difesa estrema e dotati di particolari poteri.
Essi venivano chiamati Custodi.
2
L’inizio della fine
La Terra prese a tremare, dilaniata dalle scosse di un tremendo terremoto che provocò migliaia di morti anche nelle regioni confinanti. Si registrarono, in totale, nove scosse violentissime nell’arco di tre ore. La prima, la più potente e prolungata, fu di magnitudo dieci della scala Richter, quelle successive non scesero mai sotto l’ottavo grado.
Il cielo si fece cupo e grigio, illuminato solo da potenti fulmini e assordanti tuoni, quindi si scatenò una gigantesca grandinata a cui seguì una pioggia torrenziale talmente copiosa che non vi era memoria al mondo di un fenomeno simile.
Per quel popolo fu un’ecatombe di portata eccezionale.
Ogni villaggio in un raggio di decine di chilometri dall’epicentro fu raso al suolo. Le povere capanne, fatte di paglia e fango, non ressero a quella serie di cataclismi naturali di devastante potenza. La gente era terrorizzata, ovunque il caos era totale. Alcuni villaggi sprofondarono in voragini aperte dal sisma e dalla pioggia torrenziale, le spaccature nel terreno inghiottirono centinaia di persone e il panico si impadronì dei pochi sopravvissuti. Dopo tre ore tutto finì e imperò il silenzio, nell’aria si sparse odore di morte e di devastazione.
In seguito gli esperti mondiali, messi in allarme e sorpresi da una simile violenza della natura, valutarono l’origine e le cause del terremoto.
L’epicentro fu registrato ad Axum.
3
Monastero Benedettino
Monte della Madonna, Teolo
Ai giorni nostri
Sulla cima di un piccolo colle, in località Teolo nel padovano, sorgeva un grazioso monastero mariano abitato da sette simpatici frati che avevano dedicato la loro esistenza all’eremitaggio. Il colle prendeva il nome dal Santuario dedicato alla Vergine: era chiamato, appunto, Monte della Madonna. Da un’altezza di circa seicento metri l’eremo sovrastava la pianura padana e in giornate particolarmente limpide e soleggiate si poteva intravedere uno scorcio della laguna veneziana a oltre cinquanta chilometri di distanza. Una posizione invidiabile.
A capo di quella piccola comunità di frati benedettini c’era Fra Pasquale, un vecchietto arzillo, astuto e brillante. Nessuno conosceva con certezza la sua età, ma chi lo frequentava era certo che avesse superato i centodieci anni. Fra Pasquale possedeva una forza spirituale incommensurabile e donava a chi lo ascoltava perle di saggezza e serenità, sebbene fossero rare le aperture al pubblico del Monastero dove non si poteva accedere senza l’autorizzazione della Confraternita Benedettina. Il fabbricato si ergeva sulla punta del colle e, per raggiungerlo, occorreva percorrere una ripida stradina che terminava innanzi a un maestoso cancello.
L’obelisco in pietra a fianco della cancellata citava in latino:
Solo i portatori del Signore calcheranno questo suolo.
Ma non era certo il piccolo monastero che rendeva speciale quel colle, il parco pullulava di antenne e parabole di straordinarie dimensioni, un fatto alquanto inusuale per un luogo di culto. Tutti credevano che le antenne altro non fossero che ripetitori della televisione e delle compagnie telefoniche, ma in realtà erano l’avveniristica struttura di telecomunicazioni del Rifugio: la sede del Sanctum Consilium Solutionum o, per traduzione, del Santo Consiglio delle Soluzioni
. Il Rifugio era la base operativa dell’SCS, un organismo ultra millenario tra i più segreti della Chiesa. La riservatezza circa la sua esistenza durava fin dalla sua costituzione, avvenuta nel V secolo d.C. a opera di Papa Bonifacio I che aveva nominato il primo Risolutore, il capo assoluto e indiscusso, colui che tutti chiamavano maestro
. Era lui che aveva l’onere di scegliere i Consiglieri che lo avrebbero coadiuvato nei suoi compiti. L’SCS era, di fatto, un organismo d’armi a garanzia della Chiesa, dei suoi segreti e del suo essere struttura religiosa. Il Risolutore rispondeva del suo operato solo al Papa e portava l’anello papale che gli conferiva l’autorità di ricevere piena obbedienza da chiunque esercitasse una qualsiasi funzione ecclesiastica. Solo poche alte cariche del Vaticano sapevano dell’esistenza di tale figura e del potere da questa esercitato: il Segretario di Stato e il Papa, che aveva il potere di nominare Motu proprio colui che avrebbe ricoperto la carica di Risolutore. Anche l’Ispettore Generale della Gendarmeria Vaticana, quale forza di polizia abilitata a garantire assistenza all’SCS in caso di necessità e ad assicurare la riservatezza dei suoi componenti, era a conoscenza di questo secolare segreto. Non esistevano documenti che comprovassero l’effettiva esistenza di un simile organismo, i compiti di tale riservatissima organizzazione venivano esclusivamente tramandati ‘a voce’ fra i tre soggetti deputati che, naturalmente, erano tenuti a mantenere il più assoluto riserbo, pena la scomunica e l’accusa di alto tradimento, ovviamente escluso il Papa.
La sede dell’SCS era stata costruita all’interno del perimetro del monastero in una base sotterranea, edificata nel lontano 1956, a oltre trenta metri di profondità. L’ideatore principale dell’intero progetto era stato l’allora capo dell’SCS Fra Pasquale, al secolo Giovanni Santini, unico ex Risolutore ancora in vita, che aveva ricoperto la carica dal 1937 al 1969, quindi per ben trentadue anni. L’attuale Risolutore era Tommaso Santini, che da oltre trentasei anni ricopriva l’incarico stabilendo, così, un record di durata e battendo tutti i predecessori, persino il prozio Fra Pasquale, suo personale maestro e guida spirituale. Egli, inoltre, rivestiva l’alta carica di Gran Maestro del Supremo Ordine di San Silvestro e della Milizia Aurata{6}, considerato il più antico ordine cavalleresco della Santa Sede che annoverava tra i suoi membri solo pochi altissimi dignitari ritenuti gloriosi per la Chiesa. Santini, nell’espletamento dei suoi doveri, era protetto dalla ‘Indulgenti Arum Doctrina’{7} o Manuale delle indulgenze. Questa poteva essere totale o parziale, veniva riconosciuta dal Diritto Canonico ed era concessa dal Romano Pontefice.
Gli uomini d’armi della Santa Sede, come i Templari o gli Ospitalieri ovvero la stessa Guardia Pontificia{8}, sovente ricorrevano ad atti di violenza per tutelare gli interessi del Papa, della Chiesa o dei Cristiani, contravvenendo così a uno dei Comandamenti più Sacri: non uccidere. Per questo motivo era tradizione che il Papa assicurasse la Indulgenti Arum all’intera crociata, o ai singoli condottieri che si erano distinti in battaglia, annullando in toto ogni peccato, anche il peggiore che potesse essere stato commesso. In periodi successivi all’epoca dei Templari, cioè dopo il XIV secolo d.C., l’indulgenza plenaria o parziale veniva discutibilmente garantita ai regnanti o ai nobili previo versamento di ingenti somme di denaro. Ben presto, però, questa usanza venne meno per le forti opposizioni interne alla Chiesa stessa.
Comunque sia, tale istituto ancora resisteva{9}. A Santini era garantita una particolare indulgenza plenaria, totale e perpetua, mentre i Consiglieri dell’SCS potevano riceverla unicamente in occasione della loro morte, ma solo se fosse avvenuta nell’esercizio del dovere, quindi a seguito di atti in difesa della Chiesa. In alcuni casi l’Indulgenza Plenaria poteva essere concessa dallo stesso Risolutore, unico soggetto del Consiglio abilitato a esercitare il ministero presbiterale. Inoltre, in virtù del suo ministero, Santini era autorizzato a impartire i Sacramenti, tra cui l’Unzione degli Infermi{10}. Negli anni aveva subito molte perdite fra i Consiglieri e sovente offriva tale conforto spirituale in occasione della loro dipartita, assolvendoli dai peccati. Santini era quindi considerato il più abile ed esperto Risolutore di tutti i tempi, oltre che il più longevo.
Pur avendo superato i sessant’anni di età, possedeva una stazza fisica eccezionale, costituita da muscoli allenati e guizzanti ben distribuiti su tutto il metro e novanta di altezza. Gli occhi color ghiaccio, abbinati al capello brizzolato, gli assicuravano un’aura spettrale che incuteva a tutti un timore reverenziale. L’uomo era altresì dotato di una cultura vastissima unita a un’intelligenza superiore alla norma, ma non disdegnava di fare uso della sua fatidica e micidiale forza fisica.
4
Notizia inaspettata
All’interno del gigantesco parco del Monastero benedettino, il maestro stava addestrando Nic, il suo fidato e principale allievo, colui che a tempo debito lo avrebbe sostituito nella carica di Risolutore.
Stavano combattendo a mani nude un incontro in stile Wushu. L’esercizio di una simile e antica arte marziale non necessitava della sola forza fisica, bensì della capacità mentale e di coordinamento. Se opportunamente addestrati, gli adepti erano in grado di sorprendere per l’incredibile leggerezza dei movimenti alternati a fulminei scatti. La potenza dei colpi inferti all’avversario era pari solo alla capacità straordinaria del corpo di assorbirli. In presenza di un nemico non addestrato, il risultato era del tutto scontato.
Era un’arte marziale dai movimenti sinuosi ed eleganti ma mortale. Santini era un abile ed esperto maestro di Wushu, insegnatogli da un suo vecchio allievo, Denny Ching{11}, un giovane e promettente monaco Shaolin prestato a Santini affinché completasse e integrasse la sua formazione di combattente. Quindi non aveva difficoltà a sopraffare qualsiasi avversario che non fosse alla sua eccezionale portata, Nic compreso. Intento a osservarli c’era Jonathan Weston, detto Jon, il più giovane componente dell’SCS. Jon era un ragazzo prodigio, un genio con centosettant’otto di quoziente intellettivo, laureato al MIT a soli dodici anni.
Il matematico era l’ideatore e il responsabile dell’intero sistema informatico dell’SCS e in quell’occasione approfittava dell’allenamento di Nic e del maestro per programmare qualche nuova diavoleria sul suo adorato e inseparabile computer portatile.
«A che vi servono tutte quelle scazzottate», esordì Jon, «se poi vi lamentate tutto il giorno che avete male ovunque?»
Santini e Nic, troppo concentrati nell’allenamento, non risposero. Jon si infastidì per essere stato snobbato.
«Che parlo a fare, poi. Tanto non mi ascoltate mai», concluse tornando a digitare una miriade di comandi al portatile.
L’addestramento proseguì per altri dieci minuti fino a quando sopraggiunse Mali, la suora patologa legale e segretaria del Consiglio.
«Maestro», urlò con il fiato corto e visibilmente agitata.
Santini si voltò verso di lei mentre Nic, ormai sbilanciato, lo centrava in pieno volto. Una mazzata che avrebbe steso un’intera mandria di buoi. Santini crollò a terra e quasi perse i sensi. Ci vollero un paio di minuti prima che si rendesse conto di cosa fosse successo, ma si riprese e, massaggiandosi il mento dolorante, fulminò Nic con uno sguardo glaciale che non preannunciava nulla di buono.
«Ops! Scusa maestro», disse Nic con aria innocente aiutandolo ad alzarsi, «non sono riuscito a fermarmi in tempo.»
Santini stiracchiò i muscoli indolenziti. «Fa niente, Nic. Bel colpo, mio malgrado devo ammettere che stai migliorando. Ma preparati a una rivincita, non mi va di terminare un incontro atterrato dal mio avversario.»
Era rilassato e stranamente allegro grazie alla proficua attività fisica e per aver ricevuto, purtroppo per il suo mento, la conferma del buon livello agonistico raggiunto dal fido Nic.
Poi si rivolse a Mali in tono leggero. «Che hai da urlare, tu? Che sarà mai capitato di tanto grave da interrompere il nostro allenamento, la fine del mondo?»
«Peggio», specificò la suora, «Fra Pasquale ha avuto un malore. I fratelli lo stanno accudendo, ma non vuole farsi visitare da nessuno, nemmeno da me. Sembra grave, anche se non ho notato nulla di anomalo, almeno a prima vista. Servono esami approfonditi e accertamenti diagnostici, ma il sommo maestro dice che non siamo in grado di fare nulla per lui, né di comprendere il suo stato di salute e, quindi, di curarlo. Chiede solo di te e lo fa in modo insistente, cacciandoci dal suo capezzale anche con la forza. Si capisce che sta molto male, ma inspiegabilmente ha una vitalità da giovincello e non riusciamo ad avvicinarci senza subire la sua ira. Sono davvero molto preoccupata, maestro, non ho mai visto Fra Pasquale così agitato e sofferente.»
Santini si fece scuro in volto, abbassò la testa pensieroso e preoccupato. L’allegria era svanita di colpo per lasciare spazio a un profondo dolore.
Senza rivolgersi ad alcuno in particolare, asserì: «È giunto il momento che temevo di più.»
Nic e Jon si resero conto che stava succedendo qualcosa di estremamente grave per angosciare così il maestro. Si avvicinarono a lui.
«Che succede, maestro?» chiese Nic con la voce rotta dall’emozione.
Santini non rispose, rimase assorto fra mille pensieri, il volto corrugato testimoniava la sofferenza per qualcosa che gli altri evidentemente non comprendevano. Con aria triste il maestro fece segno a Mali di seguirlo verso il Monastero, poi si rivolse ai due ragazzi.
«Rientrate nel Rifugio», ordinò loro, «riunite il Consiglio e restate in mia attesa. Pregate per Fra Pasquale, fatelo per me e per colui che è il mio mentore, il mio maestro e la mia insormontabile guida spirituale.»
Non disse altro e, lasciandoli stupefatti, si allontanò con Mali.
5
Il Rifugio
La sede del Sanctum Consilium Solutionum si articolava su tre livelli. Al primo vi era quella che si poteva definire una struttura abitabile, con tanto di cucina, sala da pranzo, alloggi, eccetera. Al secondo si trovavano avveniristici laboratori e l’attrezzatissima sala operatoria con annessa una vera e propria sala rianimazione. Al terzo livello pulsava il vero cuore della base: la centrale operativa situata a oltre trenta metri di profondità. Jon e Nic scesero al terzo livello, utilizzando l’ascensore che percorse la discesa in una manciata di secondi. All’apertura delle porte, alla vista si presentò una gigantesca sala rettangolare con un soffitto di altezza superiore ai dodici metri e un corridoio sopraelevato che percorreva l’intero perimetro. Su ogni parete si aprivano delle porte che davano accesso alla sala server e ad altri uffici. Appena fuori l’ascensore le scale conducevano al piano inferiore che era un unico grande salone pieno di scrivanie separate da eleganti pareti di vetro e tubi di acciaio. Degli enormi schermi circondavano l’intera sala trasmettendo le immagini più disparate: telegiornali dei più importanti network mondiali, foto satellitari di varie zone del mondo o le immagini del sistema di videosorveglianza che riprendevano l’area attorno al Monastero, la strada di accesso e altri punti strategici del Colle. Alle postazioni, intenti a svolgere lavori di routine, c’erano Ale, un autentico esperto d’armi da fuoco, e due nuovi Consiglieri: una religiosa di nome Maria Stella Itnas, chiamata comunemente Stella, e un omone gigantesco che rispondeva al nome di Dagomar Wagner, detto Dago. Di recente nomina a Consigliera dell’SCS, Stella era una monaca di origine greca. Un tempo votata alla religione greco-ortodossa, si era convertita al cattolicesimo entrando a far parte dell’ordine della Santissima Annunziata, denominato brevemente O.SS.A. Le appartenenti erano chiamate anche Annunziate Turchine oppure monache Celesti. Tale ordine monastico femminile adorava il mistero del Verbo Incarnato, onorando la divina maternità di Maria. Santini aveva scelto Stella perché possedeva una peculiarità rara, era un’autentica esperta di un sapere antico, da tanti considerato fantasioso e poco credibile, ma molto preciso e pratico per chi lo conosceva: l’alchimia. Il pensiero alchemico veniva considerato da molti il precursore della chimica moderna, prima della nascita del metodo scientifico. Era anche un antico sistema filosofico esoterico che combinava elementi di chimica, fisica, astrologia, arte, semiotica, metallurgia, medicina, misticismo e, non ultimo, anche di religione. Stella era entrata a far parte del Consiglio solo da pochi mesi, ma Santini era convinto che le sue conoscenze avrebbero garantito un apporto considerevole all’SCS. Dago, invece, era nato e vissuto in Germania ed era pronipote niente meno che del famoso compositore dell’ottocento Richard Wagner, anche se non aveva ereditato alcuna propensione musicale. Alto ufficiale della Gendarmeria Vaticana in servizio presso l’ambasciata della Santa Sede in Germania, il suo nominativo era stato suggerito a Santini dall’Ispettore Generale della Gendarmeria dello Stato Vaticano in persona, il famigerato Generale Andrea Baresi, amico e allievo di Santini. Dago si era contraddistinto per meriti di servizio presso la Gendarmeria e le sue abilità avevano convinto prima Baresi e poi Santini a inserirlo nell’organico dell’SCS, anche se non era un presbitero{12}. La scelta era caduta su di lui per le sue peculiarità fisiche, essendo alto oltre due metri e con spalle larghe quasi altrettanto, al suo cospetto persino il titanico maestro risultava sminuito. Pluricampione Olimpico di lotta greco-romana, Dago era scaltro e molto capace, un combattente eccezionale dotato di una forza esagerata, persino superiore a quella di Santini. Il che lo rendeva una risorsa importante per le future missioni del Risolutore, qualora la situazione avesse richiesto l’uso della forza.
In pratica, quasi sempre.
Nic e Jon misero al corrente gli altri compagni dell’improvviso grave malore che aveva colpito Fra Pasquale, del profondo dolore che emergeva chiaro sul volto del loro beneamato maestro e della necessità di pregare per le due persone a loro più care: Santini e il simpatico e anziano frate. Due punti di riferimento che avevano imparato a conoscere, apprezzare e servire con assoluta fedeltà, mettendo la loro vita nelle mani del Risolutore senza mai tentennare. Una fedeltà e una fiducia indiscussa nei confronti di Santini, il maestro, ma anche di colui che era stato, a sua volta, il maestro del loro capo. Prima di dire altro pregarono a lungo, in un’orazione fervida e convinta ove supplicarono il Signore affinché preservasse a lungo la vitalità dei loro mentori. Intonarono canti alla gloria, come solitamente facevano a sostegno dei compagni feriti o, peggio, morti per colpa dei tanti, troppi nemici della Chiesa. Si tennero per mano senza mai staccarsi fino a quando non ebbero terminato, poi ripresero la discussione.
«E il maestro che ha detto?», chiese con curiosità maniacale Ale.
«Non ha detto niente», rispose Jon agli esterrefatti colleghi, «sembrava assorto in un pensiero funesto, quasi fosse in una sorta di trance e, a un certo punto, ci ha chiesto di rientrare e attenderlo e, nel frattempo, di riunirci e pregare per lui e Fra Pasquale.»
«Molto strano», commentò Ale, «nemmeno il Nemico{13} turba il maestro, quel che sta succedendo al sommo maestro deve essere molto grave.»
Jon saltò dalla sedia, fulminato da un pensiero malsano. «Non è che, per caso, Fra Pasquale sta morendo?»
Il silenzio calò all’istante, si sentiva solo il ronzio delle ventole di raffreddamento dei server. Tutti rimasero ammutoliti, il pensiero del loro compagno poteva avere una qualche ragionevolezza: solo un probabile pericolo di vita dell’anziano frate poteva stravolgere in modo così evidente il loro maestro.
Il ragionamento di Jon stava prendendo una piega del tutto logica e coerente. Nessuno, a quel punto, ebbe il coraggio di contrastarlo, tacendo quasi per esorcizzare il timore che un’ipotesi simile potesse realizzarsi. Si fissarono per un paio di minuti, e quel lasso di tempo sembrò un’eternità.
«Non può essere», a infrangere il silenzio ci pensò Nic, «Mali ha visto il sommo maestro e dice, anche se non si è lasciato visitare, che è pieno di vitalità e forza. Mali è un dottore, una patologa di grande esperienza, quindi sono certo che si tratti solo di un malore, spero di lieve entità. Fra Pasquale è forte, si riprenderà. Il maestro ci ha chiesto di pregare per la sua pronta guarigione solo ed esclusivamente per questo motivo.»
In verità Nic credeva poco a quanto aveva appena asserito, ma sentiva il dovere di confortare i compagni che apparivano preoccupati. Dopo tutto era il braccio destro di Santini, un giorno sarebbe divenuto il Risolutore, il capo e maestro del Consiglio.
E un maestro deve saper rasserenare i suoi allievi.
Però era anche molto preoccupato per la sorte del frate, essendo il membro più anziano del Consiglio dopo Santini, la sua conoscenza con Fra Pasquale era decennale, lo aveva sempre considerato il nonno di tutti loro e lui, in particolare, lo adorava.
E chi non adora quel sant’uomo
, pensò Nic fra sé mentre auspicava che il suo amico Jon venisse smentito nel modo più assoluto.
6
Fra Pasquale
Santini e Mali percorsero il cunicolo che dal Rifugio portava alle cantine del Monastero, salirono le scale e seguirono il corridoio che conduceva alle celle dei monaci: quella di Fra Pasquale era l’ultima in fondo, la più umile. Sei frati erano assiepati appena fuori dalla porta, timorosi di entrare per non subire l’ira del loro amatissimo fratello.
Quando videro Santini, i sei gli si inginocchiarono di fronte e baciarono l’anello papale in segno di deferenza e devozione. Conoscevano il compito di quell’uomo, ignoravano molte delle sue caratteristiche, ma sapevano della sua enorme influenza all’interno della Santa Sede.
«Reverendissima Eccellenza», disse uno di loro, «il fratello Pasquale vuole vederla da solo.»
Nella Chiesa Cattolica il titolo di Eccellenza era riservato ai vescovi e agli arcivescovi. Sia per il titolo di Eccellenza che per quello di Eminenza, il cerimoniale imponeva di far seguire sempre l’aggettivo Reverendissima. Lo stesso titolo poteva essere riconosciuto a persone degne che si erano distinte per le loro azioni e per la dedizione alla Chiesa Cattolica.
Il ruolo di Santini, quale Risolutore e Gran Maestro del Supremo Ordine di San Silvestro e della Milizia Aurata, gli garantiva il diritto di essere componente attivo della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano.
Lui era, quindi, una delle poche personalità che rivestivano, per la Santa Sede, particolari funzioni di stretta utilità per il Papa. Per questa ragione poteva fregiarsi del titolo di Eccellenza.
«Ditemi cos’è successo», chiese Santini, «illustratemi ogni dettaglio prima e dopo il malore, anche quello che vi è apparso più strano o meno importante, e fatelo con dovizia di particolari.»
I sei frati raccolsero le idee, si consultarono velocemente ed esposero la versione dei fatti così come cronologicamente accaduti. I dettagli furono a volte fumosi e poco chiari, alcuni passaggi vennero via via corretti, ma i frati riuscirono a essere abbastanza precisi nella loro esposizione definitiva.
Quella mattina si erano accorti che Fra Pasquale non era ancora uscito dalla sua cella. Un fatto straordinario se si considerava che l’anziano frate, da oltre cinquant’anni, era sempre il primo ad alzarsi e l’ultimo a ritirarsi nella sua stanza.
Quando i fratelli erano andati a controllare, si erano resi conto della gravità della condizione di salute del loro anziano fratello.
«Fra Pasquale era in preda al delirio», precisò il frate che era entrato per primo nella cella. «Era pallido e febbricitante, il suo corpo era scosso da incredibili tremori e aveva la bava alla bocca. Pareva indemoniato e ho preso davvero paura. Ho chiamato gli altri e, una volta accorsi, il nostro amato fratello ha iniziato a dire cose strane, parlava in modo sconclusionato, pronunciando frasi incomprensibili.»
Intervenne un altro frate. «Non sembravano parole compiute, con una pronuncia intellegibile, bensì somigliavano