PROGENIE DEGENERE - L'origine del male
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Indossano la stessa e pesante camicia verde oliva, dotata di una cintola elastica, che penzola lungo la schiena senza frenare l’istinto, i passi verso il tramonto ed oltre l’inferno della ragione.
A guardarli sono così simili. Entrambi con la testa rasata. La statura media di Ela è pressappoco quella di Samuel, neanche lo dissocia per ossuta corporatura, lentezza, tanto meno distinzione sessuale; ma sono di spalle, una sorta di specchietto per le allodole, perché ad invertire il punto di vista bisogna armarsi di coraggio. Tutto cambia irreparabilmente e non riferito alla mera constatazione del brutto - assolutamente opinabile, soggettivo - quanto alla percezione di un sinistro presentimento che danno. Lei, adolescente disturbata, dalla gestualità infantile, silenziosa ed apparentemente indifesa. Ha grandi occhi neri e sguardo livido di una sensazione impronunciabile. I tratti spigolosi e il naso irregolare si addolciscono lungo la bocca carnosa, da cui inizia una lunga cicatrice che supera il mento fino a perdersi dietro l’orecchio destro, a formare l’incompleto segno dell’infinito, la lettera “S”. Per Samuel non deturpa, non vìola la bella pelle dell’unica creatura capace di rendere desiderio raggiungibile la debolezza, il calore che rifugge come madrileno affetto da albinismo, che, nell’anomalo candore, inquieta con occhi che sembrano cangiarsi all’improvviso, scrutare e destabilizzare per una malevola gioventù. Come qualcosa di puro ed oltraggiato allo stesso tempo, che i lineamenti regolari descrivono tra banalità e disturbo incontrollabile che ha, che dà di un’identità amorfa, per questo duttile, nel conformarsi mutevole alla sostanza del dolore inferto senza coscienza e che il bianco veste di indifesa paura. Un etereo letale di ventiquattro anni, mentre Ela ne ha solo quattordici.
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PROGENIE DEGENERE - L'origine del male - Maria Rosaria Cofano
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PROGENIE DEGENERE
L’origine del male
di Maria Rosaria Cofano
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INDICE
DINIEGO – I Capitolo
LA VILLA – II Capitolo
L’INGEGNO DEL RAGNO – III Capitolo
FAME – IV Capitolo
PRESAGIO – V Capitolo
UN BRUTTO RISVEGLIO – VI Capitolo
LA QUARTA PORTA – VII Capitolo
IL SEGNO – VIII Capitolo
Avvio
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I Capitolo
DINIEGO
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- 1 -
x232, un fallimento numerato pronto a replicarsi. Il figlio del purificatore diede fuoco al suo castigo. Era la prova di Samuel Ortega. Cinque anni prima, in un tardo pomeriggio di maggio, l’innocenza cercava ancora se stessa. A piccoli passi, sporchi di sangue, avanzava lungo una scala eburnea, fino alla parete di vetro.
Nella mano insanguinata stringeva il ciondolo della mamma, una chiave d’argento affilata, che dolce affondava nella carne marchiando la colpa senza lacrime.
<
Oltre la scala cerco la spia, dove la festa non è andata via.
Sopra il riflesso disegno il mio cerchio.
Dietro lo specchio rimango in silenzio.
Nessuno mi vedrà. Nessuno mi troverà.
Chi vincerà? Chi vincerà?
<
Il suo nome era Ela. Non aveva provato dolore, per quanto fatto e non urlato dall’amore che non teme confronto, se non il rischio di perdersi. Tutto era successo, quando aveva nove anni ed altri cinque erano trascorsi simulando l’attesa in una realtà preclusa, candida come l’innocenza e smarrita come la ragione.
Senza desiderare il tempo perduto, il ricordo andava e veniva, non doveva arrendersi. Insistente, nell'isolamento forzato, sopravviveva a fatica tra visioni e decontestualizzazioni spaziali dalle proporzioni variabili; dove la luce era un’illusione, passata dalle pareti alla memoria secondo un’artificiosa logica, che le dava il riposo, il risveglio, il respiro. Non vedeva corpi, materia da toccare e capire, ma ancora declamava a labbra mute quella filastrocca
ed un piccolo uomo la spiava, sempre.
- 2 -
Fiamme e fumo incorporavano urla strazianti, ma non visibili fughe dalla disperazione. Una polvere granulosa scivolava lungo gli angoli della stanza imbottita dell'apatica Ela. In quell'inferno qualcuno afferrò la sua mano.
<
L'ultimo corridoio, l'ultima stanza, l'ultimo fuoco e c’era ad aspettarli la libertà. Fuori, da quel rasente e convesso complesso strutturale, di un geometrismo architettonico avveniristico, per una distribuzione a tre placche granitiche e circolari, i cui diametri convergevano nel terreno, serrandosi all'infinita distesa di verde con un costrutto-cognitivo, che sembrava non essere di questa terra.
Samuel fissava gli enormi pannelli specchiati a congegno termico, posti lungo la parete perimetrale e che l’incendio aveva automaticamente aperto.
Superata l’uscita di sicurezza, abbandonavano quello strano luogo con una sinistra lentezza, in un tardo pomeriggio di un’incerta stagione, dove il vento soffiava leggero e l’odore del verde stordiva come una mendace verità.
Indossavano la stessa e pesante camicia verde oliva, dotata di una cintola elastica, che penzolava lungo la schiena e non avrebbe più frenato l’istinto, i passi verso il tramonto e oltre l’inferno della ragione.
A guardarli erano così simili. Entrambi con la testa rasata. La statura media di Ela, pressappoco quella di Samuel, non lo dissociava per ossuta corporatura, flemma, tanto meno distinzione sessuale; ma erano di spalle, una sorta di specchietto per le allodole, perché ad invertire il punto di vista, tutto cambiava e ancora li accomunava irreparabilmente. Non era la mera constatazione del brutto, assolutamente opinabile e soggettivo, quanto la percezione di un sinistro presentimento che davano. Lei, come adolescente disturbata, manteneva una gestualità infantile, silenziosa, apparentemente indifesa. Dai grandi occhi neri, e sguardo livido di una sensazione impronunciabile. I tratti spigolosi ed il naso irregolare si addolcivano lungo la bocca carnosa, da cui iniziava una lunga cicatrice, che superava il mento fino a perdersi dietro l’orecchio destro, a formare la lettera S
. Per Samuel non deturpava, non violava la bella pelle dell’unica creatura capace di rendere desiderio raggiungibile la debolezza, il calore che rifuggiva, perché affetto da un anomalo candore, inquietato di una malevola gioventù. Condizione pura ed oltraggiata allo stesso tempo, che i lineamenti regolari descrivevano tra banalità e disturbo incontrollabile che aveva e che dava di un’identità amorfa; per questo duttile, nel conformarsi mutevole alla sostanza del dolore inferto senza coscienza e che il bianco vestiva d’indifesa paura. Un etereo letale di ventiquattro anni, mentre Ela ne aveva solo quattordici.
- 3 -
La strada intrapresa tendeva ad assottigliarsi nella desolazione, quando l'immensa prateria sprofondava in un silenzio irreale. I crampi alle gambe erano diventati insopportabili, ma non potevano fermarsi. Nell’oscurità si orinavano addosso. Non era la sofferenza che avrebbe potuto piegarli e come ogni momento si riempiva del coraggio accecato delle loro azioni.
Superavano i ruderi di un borgo medievale, tracce di un passato dove la vita aveva perso ideali e realtà. Camminare sul respiro della storia, quando la visione naturale e illimitata svelava una tregua possibile, le luci