Indagine su Anna
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Indagine su Anna - Paolo F. Cuniberti
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1
La busta bianca venne lasciata cadere con malagrazia dalla signora Cavagnero sulla scrivania di Orlando Piovano, assieme a due quotidiani e a un bollettino postale per il pagamento del telefono. Nient’altro, in quella bella mattina di primavera inoltrata che chiamava a uscire piuttosto che fare il topo da ufficio. Il tonfo del malloppetto di carte sollevò un po’ di pulviscolo, ben visibile nel raggio di luce che penetrava dalle imposte socchiuse, fece volare a terra un foglio di appunti datato 28 gennaio 1988 e fece traballare pericolosamente una tazzina di caffè con il vicino bicchierino di liquore per la correzione. Orlando, che stava rivolto verso la finestra con la schiena alla scrivania, sobbalzò sulla poltroncina in cui s’era appisolato come un angioletto innocente meditando un caso di una certa gravità. Fece ruotare il sedile verso il centro della stanza in tempo per vedere il fondoschiena sdegnoso della Cavagnero che spariva oltre la soglia e chiudeva la porta sbattendola, ma non troppo, per non danneggiarla.
La sua fedele segretaria Teresa aveva raggiunto la fatale soglia della maturità e si stava incamminando verso il prossimo traguardo dei sessanta. Ormai da settimane, attraverso muti segnali gestuali, coglieva ogni occasione per comunicare la sua disapprovazione verso il contegno di Piovano, perché ci teneva a mantenere una certa disciplinata apparenza, a cominciare da se stessa, sempre ben curata ed efficiente, nonostante la mancanza di lavoro e il dissesto finanziario in cui versava l’agenzia da qualche tempo. Tutto per colpa del socio che aveva lasciato l’attività e preteso la sua quota, portandosi via anche qualche buon cliente. Ormai si campava bene solo con spiate industriali e sporadiche informative riservate su qualche candidato durante le campagne elettorali. Tutte cose in cui il socio eccelleva. Orlando, specializzato in infedeltà, pedinamenti e indagini familiari, doveva riconoscere che l’attività nel suo ramo tendeva ormai a languire. Troppe separazioni consensuali dopo nemmeno un anno di matrimonio, troppe corna risapute, dichiarate e tollerate. L’unico caso che gli avevano commissionato di recente riguardava solo un’indagine su una spartizione ereditaria, già contesa prima ancora che tirasse le cuoia una vecchietta quasi centenaria. Una fazione dei futuri eredi temeva scherzi da parte di qualcun altro della famiglia, un gruppo avverso di parenti che magari stava già disinvoltamente circonvenendo l’anziana progenitrice. Una questione di soldi insomma. L’unico argomento che ancora tirava. Si campava ogni tanto su alcuni divorzi, purché ci fosse un bel contenzioso sulle sostanze e sugli alimenti, ma si doveva trattare sempre di grosse cifre, altrimenti mica valeva la pena. Perciò la brava Cavagnero non sopportava l’inerzia del suo datore di lavoro; e tuttavia non se ne andava, anche se non percepiva stipendio da tre mesi, potendo a breve contare sull’imminente assegnazione della pensione dopo quasi quarant’anni di onesto lavoro.
Orlando raccolse il foglio di appunti da terra e lo esaminò con una certa attenzione, poi diede un’occhiata al datario sulla scrivania: 21 maggio. Accennò ad avvicinarsi allo schedario di metallo grigio addossato alla parete di fianco, poi si risolse altrimenti: appallottolò il foglio e lo lanciò nel cestino, senza centrarlo. Guardò la corrispondenza: prima la bolletta, che aprì e ripiegò con un sospiro facendola sparire in un cassetto; poi aprì un giornale scorrendo i titoli grandi; lo chiuse con un altro sospiro. Stava per esaminare il secondo quotidiano quando realizzò la presenza della busta. Oggetto inconsueto, da un po’ di tempo, nel suo ufficio. La granfiò incuriosito e per prima cosa controllò l’indirizzo per accertarsi di esserne il legittimo destinatario e non, per dire, si trattasse di un disguido postale. Inforcò gli occhiali per i suoi occhi presbiti e scrutò il frontespizio della busta dove mano sicura ed elegante aveva vergato in caratteri stampatello:
AGENZIA CISPADANA INVESTIGAZIONI
ALL’ATT.NE SIG. O. PIOVANO
VIA … TORINO
Infilò il dito in una fessura del piego e lo strappò estraendone una lettera a cui era spillato un assegno circolare. Prima di leggere la lettera Orlando non poté fare a meno di guardare la cifra: un milione di lire tondo. Come gli assegni del signor Bonaventura nei fumetti che leggeva da ragazzino sul Corriere dei Piccoli. Titolo non trasferibile e intestato all’ordine di Orlando Piovano Cispadana Investigazioni, a firma abbastanza leggibile di un certo Eugenio Casalis.
Dispiegò i fogli e lesse.
2
Chiedendosi per l’ennesima volta perché mai aveva deciso di accettare quell’incarico, qualche mattina dopo, alle nove esatte, Piovano era sul posto per il primo sopralluogo. Il quartiere era tranquillo, residenziale, altoborghese. Scarso il commercio. Un’edicola all’angolo con la via principale, una tabaccheria di fronte, una panetteria, un bar pasticceria con la sala da té, un’unica botteguccia di abbigliamento minimale in tutto tranne che nei prezzi. Poco altro. L’appartamento dei Casalis era un attico al terzo piano di una palazzina moderna e discreta incastrata tra costruzioni basse primo Novecento. Dalla strada si vedeva un lungo terrazzo da cui sporgevano arbusti fronzuti con ampie vetrate dalle quali si doveva ammirare una bella vista sulla città verso il Po. Alla destra dell’ingresso in cristallo c’era la rampa del garage condominiale chiusa da un cancello di ferro. Pensò che da lì sarebbe uscita lei sulla sua Golf dopo le dieci. Il bar pasticceria era adatto per un primo appostamento da cui controllare i movimenti del mattino prendendo un cappuccino e simulando la concentrata lettura di un giornale. Poiché era ancora presto, ritenne più conveniente non sostare troppo a lungo sul marciapiede, perciò per non dare nell’occhio fece un giro – per il resto perfettamente inutile – del quartiere. In ogni caso aveva necessità di camminare e, passeggiando con fare svagato, gli sembrava di poter assorbire lo spirito del luogo e dei suoi abitanti. Dopo tutto quella era l’aria che respirava Anna Casalis, l’isola di case e negozi su cui posava i suoi occhi ogni giorno, la gente che incontrava per strada e le faceva un cenno di saluto. Compiuto il breve giro si trovò di fronte al chiosco dei giornali dove si soffermò per acquistare un quotidiano e fingere di esaminare alcune pubblicazioni. Avrebbe voluto fare qualche domanda all’edicolante, ma in realtà non aveva ben chiaro cosa chiedere senza sembrare troppo curioso. Avrebbe solo desiderato sapere se Anna comprava il giornale da lui, ma si astenne perché la domanda era del tutto oziosa. Poi, pagando, disse: «Bel quartiere. Sa, sono qui per lavoro. Mi piacerebbe trovare un appartamento in zona… pare tranquilla.»
«Anche troppo» rispose il giornalaio, «per essere tranquilla è tranquilla. Qui stia sicuro che non succede mai niente.»
«Ah… pochi clienti, eh?» Orlando aveva intuito quale doveva essere il principale cruccio di un negoziante in quel quartiere.
«Insomma, un po’ di più al sabato, poi si vivacchia con quelli della zona. Non è che c’è molto passaggio qui.» Poi non aggiunse altro e si chiuse a riccio, diffidando dello sconosciuto e temendo di essersi già esposto troppo: la domanda sui clienti sapeva già di ispettore del fisco. Orlando lo salutò e si diresse verso il bar per fare colazione.
Lo accolse un piacevole profumo di paste appena sfornate. Ordinò un cappuccino molto schiumato, scelse una brioche tra l’allettante campionario della vetrinetta, pagò subito, poi individuò la postazione ideale in un tavolino che aveva un ottimo punto di osservazione sulla strada proprio di fronte alla rampa del garage. Guardò l’ora. Voleva verificare gli orari che gli aveva segnalato l’ingegner Casalis. Erano le 9,40. Sorbì lentamente il cappuccino godendosi la soffice brioche burrosa. Scorreva i titoli del giornale buttando di quando in quando un occhio al cancello di ferro. Alle 9,50 lo vide aprirsi. Uscì una BMW grigia con un maturo signore a bordo con occhiali in montatura dorata e l’aria da medico primario. Il cancello si richiuse automaticamente. Piovano finì il cappuccino e la brioche. Una notizia sul giornale attrasse la sua attenzione: si parlava di un caso di spionaggio industriale scoperto di recente. Lesse velocemente l’articolo per capire se per caso c’era andato di mezzo l’ex socio, ma non c’erano i dettagli più interessanti, a parte l’informazione che un innominato dirigente infedele era stato presumibilmente corrotto. Piovano conosceva il metodo. Alzò gli occhi in tempo per vedere che il cancello automatico della rimessa si stava di nuovo richiudendo. «Accidenti!» pensò «sarà uscita lei?» Erano le 10 in punto, forse un po’ presto, se la signora confermava le abitudini che gli erano state descritte. Ma per saperlo non gli restava altro che attendere le prossime uscite. «Non devo distrarmi, accidenti.»
Fissava ormai da venti minuti il cancello automatico, quando alle sue spalle udì il barista esclamare: «Buon giorno signora Casalis! Il solito?»
3
Teresa Cavagnero era impaziente di conoscere il contenuto di quell’unica lettera pervenuta. Nemmeno una pagliuzza poteva sfuggire al suo totale controllo sulle attività dell’Agenzia Cispadana. Era rientrata dopo cinque minuti nell’ufficio di Orlando con la scusa di portare via la tazzina di caffè. Quel giorno si era messa un tailleur primaverile a tinte pastello che riteneva le conferisse ancora un’aria giovanile; la gonna un mezzo palmo sopra il ginocchio mostrava gambe sane e tornite; era anche fresca di parrucchiere e si era fatta un taglio sbarazzino con la tinta rosso-violacea, ripresa dal rossetto e da un velo di ombretto della stessa tonalità; la camicetta aperta fino ai primi tre bottoni lasciava mostrare un girocollo d’oro, una pelle un po’ lentigginosa e l’inizio del seno che, sostenuto da un premuroso reggipetto a balconcino, rivelava una prospera abbondanza. Una donna che non aveva mai capitolato al suo stato di nubile determinatosi dopo una lunga teoria di sfortunati corteggiatori. Prese la tazzina dalla scrivania mentre ancora lui rileggeva la lettera senza alcun commento e senza muovere un muscolo d’espressione sulla faccia. Aveva appena la solita ruga sulla fronte che si formava ogni volta che leggeva qualcosa, che fosse un’ingiunzione, un biglietto di auguri o un articolo di giornale. Era la ruga