Il figlio del Boia
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About this ebook
Il romanzo è ambientato in Francia nel periodo della pena capitale. Il protagonista è Bastian, figlio di Clément Vailant, boia del paese e Rosa Picone.
Bastian il cui destino sembra segnato. Figlio di boia, il mestiere gli verrà tramandato dal padre. Mestiere infamante per la gente “perbene”, la stessa che assiste alle esecuzioni incitando alla violenza.
Fin da piccolo Bastian subisce le angherie dei compagni di scuola che cessano solo in prossimità delle esecuzioni capitali. L’unico suo conforto è l’affetto della madre Rosa che sogna per il figlio un destino diverso da quello a cui sembra destinato.
Bastian a sette anni ha già imparato a mentire per proteggere la madre, troppo fragile per affrontare la realtà. La rabbia cova nel cuore del piccolo Bastian che giura a se stesso che non farà mai il mestiere del padre, anche se il destino non sembra lasciargli nessuna possibilità di scelta.
Adolescente viene accompagnato dal padre alla Maison Mimì, una casa d’appuntamento dove conosce Lavinie, una prostituta, una “diversa” come lui. Fra loro nasce una solida amicizia che durerà negli anni.
Bastian lotta con tutte le sue forze per non fare il boia. Un giorno mentre lavora in un negozio di frutta e verdura incontra Genevie, una giovane e bella zingara, e fra loro è subito amore. L’incontro fra due anime gemelle. L’incanto però durerà poco e Bastian dovrà affrontare difficoltà e immensi dolori prima di trovare la sua strada.
Un romanzo denso di emozioni che fa riflettere sulle problematiche etiche e sul significato di diversità.
Un romanzo dove l’emarginazione e la solitudine vengono sconfitte solo dall’amore e dall’amicizia. Le uniche in grado di squarciare il muro di omertà e rifiuto innalzato dall’ignoranza e dal perbenismo bigotto.
Un romanzo che sorprende per la sua trama originale e un finale inaspettato.
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Book preview
Il figlio del Boia - Katia Brentani
Katia Brentani
Il figlio del boia
Prima Edizione Ebook 2014 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868101534
Illustrazione su licenza Shutterstock.com
Damster Edizioni
Via Galeno, 90 - 41126 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Katia Brentani
Il figlio del Boia
INDICE
TAGLIARE TESTE È UN AFFARE DI FAMIGLIA
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Ringraziamenti
Catalogo Damster Edizioni
Non siamo mai tanto diversi dagli altri
quanto crediamo o dovremmo.
(Ivy Compton-Burnet, Madre e figlio)
TAGLIARE TESTE È UN AFFARE DI FAMIGLIA
Che non sia facile né divertente esercitare il mestiere del boia credo sia un pensiero non particolarmente originale e che a tutti prima o poi è passato in mente, vuoi per un articolo di giornale sulla pena di morte - nei tempi antichi o odierna, visto che ancora siamo lontani dall’averla debellata anche nei paesi che si proclamano così civili da volere imporre la propria civiltà con le armi - vuoi perché si è visto un film (anni fa, Il miglio verde di Frank Darabont), si è letto un libro (di recente, L’armata dei sonnambuli di Wu Ming), o un fumetto (un paio di anni addietro, Il boia di Parigi di Barbato e Casertano) in cui gli strumenti dell’omicidio legalizzato e i loro utilizzatori si ritagliano ruoli da protagonisti temporanei o assoluti. Poi c’è chi non ha avuto bisogno della fiction e il boia se lo è trovato di fronte, occhi negli occhi, ma essendo impossibile che questi stiano leggendo, possiamo presumere che il 99,9% di voi che vi prendete la briga di perdere 10 minuti prima di iniziare Il figlio del boia, conosca questo mestiere e più in generale lo svolgimento di una esecuzione capitale solo attraverso racconti e descrizioni e più o meno veritieri. Lo 0,1% rimanente è composto da chi boia lo è o lo è stato, ne teniamo conto per amore di possibilità statistica ma è probabile che sia uno scrupolo esagerato.
Continuiamo con la statistica: quanti di voi sono d’accordo con l’iniziale affermazione che quello del boia non sia un mestiere né facile, né divertente (al di là di quanto viene remunerato, argomento su cui sono completamente ignorante)? Spero un’alta percentuale, perché altrimenti significherebbe che il titolo di questo libro ha attirato maniaci sadici e sanguinari e non so se potremmo considerare questa eventualità un successo... Anche se forse proprio questo dovrebbe essere il pubblico da augurarsi, così che si possa redimere
qualche lettore attraverso questa storia. In ogni caso, se deve essere così, l’arduo compito sarà affidato alle successive pagine di Katia Brentani, io posso infischiarmene di qualunque intento di conversione e redenzione e dichiarare che già mi sembra odioso che un uomo sia costretto a uccidere un suo simile per lavoro, se poi in cambio (oltre al suddetto stipendio) ne riceve solo disprezzo universale allora c’è proprio da essere solidali con le sofferenze del boia. Perché prima che l’ipocrita sterilizzazione plastica dei nostri tempi si inventasse giochini in cui l’iniezione letale viene mescolata a siringhe di acqua zuccherata per non fare ricadere su nessuno (ma, in realtà, su tutti) la responsabilità dell’omicidio, in tempi in cui il boia esercitava a capo scoperto ed era da tutti conosciuto e riconosciuto, accadeva proprio questo: che un povero individuo per campare era costretto da poteri e istituti collettivi a togliere la vita a un altro tizio che di norma nemmeno conosceva e nulla di male gli aveva fatto. Oppure, addirittura, a qualcuno che stimava e apprezzava. O amava. E in cambio della sua ligia obbedienza si vedeva emarginato, non fosse altro che per il terrore che il suo potere emanava. Anche chi razionalmente comprendeva che questo potere era in realtà inesistente, dal momento che doveva essere esercitato solo e obbligatoriamente su comando altrui, non poteva reprimere un brivido lungo la schiena alla vista di quell’uomo così abile nel dare la morte. Così, quegli stessi che si scappellavano di fronte ai giudici che decidevano chi dovesse essere soppresso come un animale malato, si scansavano incontrando colui che avrebbe portato a termine questo destino di morte.
Nella storia che andrete a leggere tutto ciò viene affrontato da una prospettiva originale, quella che origina dallo sguardo del figlio del boia, prima bambino poi adolescente, sempre più cosciente di ciò che comporta il lavoro del padre non solo in termini morali ma anche di un’esclusione sociale che si ripercuote su tutta la famiglia. Il figlio del boia - Bastian è il suo nome - non solo si ritrova vessato dal bulletto di turno - questo potrebbe capitare anche al figlio del fabbro o del governatore, per dire - ma viene tenuto a distanza anche dai coetanei con cui sente che potrebbe stringere amicizia, più simili a lui ma incapaci di superare la barriera che gli adulti hanno eretto attorno alla sua famiglia. Finisce che alla sofferenza personale Bastian deve aggiungere quella per la madre, reclusa in casa fino alla follia.
Questo racconto è una parabola sull’esclusione da un gruppo per colpe non commesse, dunque, ma anche sulla difficoltà di sfuggire al proprio destino, tracciato in maniera ineluttabile al momento della nascita. Perché nella civile Francia in cui l’ultima decapitazione è datata 1977 (non è un errore, non ho invertito due cifre, è davvero millenovecentosettantasette) e l’abolizione della pena capitale 1981, per lungo tempo, come il figlio del fornaio finiva a cuocere pane e il figlio del nobile finiva a sfruttare poveracci e sputtanarsi denari, il figlio del boia finiva a tagliare teste. A volte erano quelle dei fornai, altre quelle dei nobili, ma poco cambiava. Quella del boia era una carica ereditaria
come qualunque altro mestiere.
Allora anche chi è diventato una figura leggendaria come Charles-Henry Sanson, il boia più famoso della famiglia di boia più famosa, ha dovuto portare sulle spalle, fin da bambino, il peso della consapevolezza che, prima o poi, sarebbe diventato un assassino.
Non starò a chiedermi se si può sfuggire al proprio destino, ancora meno starò a raccontarvi se riesce a farlo il buon Bastian, che anzi forse ho già detto troppo. Di sicuro il figlio del boia percorre fino in fondo la propria strada, arriva al punto ultimo e più doloroso del percorso che è stato tracciato - da chi o da cosa non so - per lui. Bastian si fa escluso fra gli esclusi, emarginato fra gli emarginati, fino a capire che casa
non è, necessariamente, dove sei nato. E diventa portatore di morte anche quando non sale sul patibolo per officiare il rito laico dell’esecuzione capitale.
Non si tratta di scegliere, ma di accettare, sopportare, soffrire per trovare una via di uscita che non è una vittoria ma assomiglia a una speranza.
Michele Righini
Capitolo 1
Ma non vedrà certo negozi di aquiloni,
né qui né da nessun’altra parte.
Il tempo degli aquiloni è finito.
( Klaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni)
Il primo sasso mi passa a pochi centimetri dalla tempia. Più che un sasso è un impasto di terra argillosa, quella terra grigia e opaca che si trova vicino allo stagno dove i ragazzi vanno a giocare nelle afose giornate estive.
Non mi colpisce, ma so di non avere scampo.
Sento i loro passi, sempre più vicini e i miei sempre più stanchi.
Mi volto per vedere la distanza che mi separa dai miei inseguitori e noto che nel gruppo c’è anche Stephane.
In fondo al gruppetto, con il ciuffo biondo che scende a coprirgli gli occhi e l’aria di chi vorrebbe trovarsi da tutt’altra parte.
Guardate come corre, sembra una lepre
la voce di Juan sovrasta le altre. Riconosco il tono sprezzante con cui si diverte a tormentarmi ogni giorno a scuola.
Bastian scappa, tanto non ci sfuggi!
, le risate di scherno mi inseguono, mentre inizio a correre. Non vorrei, ma l’istinto di sopravvivenza è più forte.
Cerco di scansare i sassi, ma non riesco a schivare tutti i colpi. Porto una mano alla guancia, la pelle brucia, mentre, alle mie spalle, le risate di scherno aumentano di tono.
Sono sicuro che è stato Juan a colpirmi.
Il dolore è lancinante e, per un attimo, chiudo gli occhi. Quando li riapro Juan e gli altri bambini non ci sono già più.
Per oggi si sono divertiti abbastanza.
Passo le dita sulla guancia, avverto al tatto un leggero gonfiore. Una smorfia amara si disegna sul mio viso. Non posso nasconderlo, come non posso nascondere la guancia arrossata.
Mi chiamo Bastian Vailant e sono figlio di Clément Vailant e Rosa Picone.
Vivo in un piccolo paesino della Francia, ammesso che si possa chiamare paese un gruppetto di case spruzzate su una collina percorsa da una strada sterrata, con una chiesa e qualche negozio.
Abito quasi fuori paese, vicino alla fontana vecchia, l’ultima casa senza giardino, senza patio e sempre con le tende abbassate.
Una casa con uno stretto cortile, circondato da un alto muro, che dalla strada non si vede. Una stretta striscia di terra fangosa dove mia madre coltiva fiori e ortaggi e, a volte, guarda il cielo, lontana dagli occhi del mondo .
La gente mormora sia il luogo dove si allena mio padre per il suo lavoro.
Mio padre che non fa il falegname, il maestro o il medico, ma il boia.
La nostra è la casa del boia, la fontana è la fontana del boia e io sono il figlio del boia.
Un marchio infamante che mi accompagna dalla nascita, che fa di me uno da evitare ad ogni costo.
Non ho ancora smesso di correre e il cuore sembra scoppiarmi. Mi fermo vicino ad un campo dove crescono spontanee le ortiche, per riprendere fiato.
Porto una mano al petto, mentre ansimo e sputo la rabbia insieme alla saliva.
Le ortiche mi sfiorano le gambe e mi viene in mente di strofinare alcune foglie in faccia, nella speranza di coprire il danno fatto dall’argilla.
Ne raccolgo alcune e le strofino con forza sul mio viso.