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Memorie di un caporal maggiore
Memorie di un caporal maggiore
Memorie di un caporal maggiore
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Memorie di un caporal maggiore

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“Memorie di un Caporal Maggiore” è un diario particolarmente dettagliato del tempo di vita militare trascorso da Giulio Parizia, Alpino del Battaglione Dronero.

Partendo dal 1937, egli racconta le vicende vissute nel periodo di ferma obbligatoria, e poi nei tempi delle guerre contro la Francia e la Grecia (in Albania) per finire con la Campagna di Russia da cui tornerà ferito ma vivo.

Dalla sua narrazione, esposta con precisione temporale e geografica, si può cogliere una chiara testimonianza di come in quel periodo storico viveva la (povera) gente “normale” e di come la guerra fosse da molti affrontata con la rassegnazione di chi non poteva ribellarsi.
LanguageItaliano
Release dateOct 2, 2013
ISBN9788868553784
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    Memorie di un caporal maggiore - Giulio Parizia

    srl


    PREFAZIONE della figlia Giuliana Parizia

    L’autore di queste "Memorie" è stato mio padre, Giulio Parizia.

    Era nato a Villafranca Piemonte, terzo di quattro figli: Angelo (1912), Mario (1914), Giulio (1915) e Giuseppina (1920).

    Suo padre, era un "maestro di potatura" ed era nativo del Saluzzese; nel 1924 si era trasferito con la famiglia a Costigliole Saluzzo.

    Gli studi di mio padre si erano limitati alla quarta elementare, poi aveva cominciato a lavorare, più o meno con continuità, come "servo di campagna" nelle terre del Saluzzese ed anche in provincia di Torino.

    In queste sue memorie ricorda spesso i suoi datori di lavoro che chiama, secondo quel che usava allora, "i miei padroni".

    Con molti di questi mantenne nel corso della vita rapporti di reciproca amicizia e benevolenza, partecipando con convinzione alle loro gioie e, purtroppo, anche ai loro lutti.

    Non cosi con altri, con i quali aveva invece interrotto anzitempo il rapporto di lavoro essendo da essi eccessivamente sfruttato.

    Fin da piccolo, come lui stesso raccontava, amò molto la geografia: aveva un’ottima memoria ed un gran senso dell’orientamento, tanto che, come si può leggere anche in queste memorie, era stato nominato geografo della sua Compagnia.

    Come autodidatta, aveva studiato ed amava osservare i movimenti di stelle e pianeti e ricordo con emozioni i momenti in cui, nelle sere stellate, mi spiegava dei pianeti e delle costellazioni.

    In famiglia non faceva pesare la sua mutilazione e per noi figli era una cosa del tutto normale avere un papà con una gamba di legno, che però faceva tutto ciò che facevano gli altri papà e, a volte, anche di più.

    Si lamentava soltanto del fatto che la pensione di guerra era troppo scarsa, tanto più che non aveva chiesto lui di andare in guerra.

    Ripeteva che i governanti, nel momento in cui assumono l’incarico di governare, devono pensare a rimediare anche ai guasti provocati da chi li ha preceduti.

    Personalmente, quando ero piccolina, ho sentito molte volte il racconto dei fatti che gli erano accaduti durante il periodo militare; poi i racconti si erano molto diradati, in particolare da quando, nel 1955, aveva acquistato la Vespa con il sidecar, che gli aveva permesso di riacquistare quella libertà di movimento che fin lì gli era stata preclusa a causa della sua mutilazione.

    La Vespa fu poi sostituita nel 1964 dall’auto Daf Variomatic, credo la prima auto senza marce e frizione, adatta quindi alle sue possibilità di guida.

    Nel 1974 acquistò anche un pulmino Volkswagen a nove posti, con le marce automatiche.

    Con questi mezzi diede sfogo al suo grande desiderio di viaggiare e percorse le strade dell’Italia centro-settentrionale ed anche molte di Francia, Svizzera ed Austria, salendo in particolare su tutti i passi delle Alpi.

    Nei suo viaggi cercò, e quasi sempre trovò, le famiglie degli amici persi in Russia e di coloro che lo avevano aiutato durante i mesi di calvario seguiti al suo ferimento, allacciando con alcuni rapporti di vera amicizia.

    Il suo desiderio di viaggiare e conoscere le persone e il mondo lo portò anche ad avere il battesimo del volo nel 1986, a 71 anni, quando si recò in Argentina, dove ritornò ancora nel 1989.

    Si recò laggiù per conoscere la famiglia di una sua zia paterna là emigrata nei primi anni del ‘900.

    Oltre ad intrecciare amicizie, questi viaggi gli permisero di completare l’albero genealogico della sua famiglia per il quale già aveva raccolto una gran quantità di dati qui in Italia.

    Si dedico poi con impegno poi alla sua stesura, specialmente quando a causa dell’età, rinunciò a rinnovare la patente di guida.

    Ritengo abbia scritto le memorie di questo libro a partire dagli anni 1995-96. Usando la Olivetti Lettera 22 ne scrisse alcune personali successive edizioni, rendendo il racconto via via più preciso ed ordinato.

    Sull’edizione che credo sia l’ultima, sono intervenuta soltanto per spezzare i periodi che, per la loro eccessiva lunghezza, impedivano una chiara comprensione del racconto, oppure per correggere i più grossolani piemontesismi o errori di sintassi.

    Con l’età, le sue possibilità di movimento si andarono sempre più riducendo. Si dedicò quindi a leggere tutto quanto riguardava la disastrosa ritirata dei suoi commilitoni in Russia, soffrendone più di quanto avesse mai dimostrato di soffrirne prima. Gli elenchi dei morti e dei dispersi divennero per lui quasi un’ossessione.

    La sofferenza fu peggiorata dal manifestarsi, ad intervalli sempre più ravvicinati, della sindrome dell’arto fantasma, che lo tormentava con dolorissimi e improvvisi colpi al moncone.

    Mio papà è mancato, per sopravvenuta malattia respiratoria, il 3 ottobre 2006, poco dopo aver compiuto 91 anni.

    Dopo qualche tempo noi figli abbiamo pensato di ricordarlo anche con un cippo sulla collina del Sacrario di San Maurizio di Cervasca, non lontano da quello che ricorda il suo amico Marro Giuseppe.

    Parizia Giulio fu Giuseppe e fu Galaverna Maria, nato a Villafranca Piemonte (TO) il 22 settembre 1915. Lavoro svolto fino alla chiamata al servizio militare di Leva: servo di campagna nelle campagne del Saluzzese e in provincia di Torino.

    DIARIO DEL PERIODO MILITARE, Maggio 1937/ Settembre 1944

    L’arruolamento e il periodo di naia

    Maggio 1937____

    Mi presento al Distretto Militare di Cuneo (in Cuneo vecchia) il mattino del 17 maggio 1937: andata in treno con il foglio rosa, cioè gratis, ed è la prima volta che viaggio in treno.

    Sono arruolato con la classe 1916, dato che l’anno precedente ero stato giudicato rivedibile per debole costituzione.

    Vengo destinato al Corpo degli Alpini, Battaglione Saluzzo, 2° Reggimento. Con altre reclute la sera stessa raggiungo Saluzzo e il giorno successivo riceviamo la divisa alpina. Il 20 maggio prima esercitazione in Piazza d’Armi. La sera del 22, con una ventina di altre reclute, siamo trasferiti a Cuneo alla Compagnia Comando Reggimento.

    Per due mesi ci fanno fare esercitazioni alle Basse di S. Anna nel torrente Stura. Durante la libera uscita, ore 17/21, vado sovente dal cugino Dalmazzo Oggero che gestisce la Trattoria degli Alpini in via Fossano. A volte mi reco anche da sua sorella Maria Oggero in Dalmasso nelle campagne a Torre dei Frati, nelle vicinanze di Cuneo e do una mano nel lavoro dei campi. A fine giugno ho un permesso di due giorni e li passo lavorando alla mietitura presso i miei ex datori di lavoro, i fratelli Pansa di Villafalletto: mi guadagno quaranta lire che mi serviranno sotto la naia.

    Per me la vita militare non è tanto faticosa, abituato com’ero alle fatiche nei campi: di notte si dorme bene e si fa anche la siesta al pomeriggio. Anche il vitto non è poi da disprezzare: caffelatte o latte e cioccolato al mattino, a pranzo brodo con carne (congelata, non molto appetitosa) e a cena minestrone con i tubi (maccheroni).

    Appartengo al Plotone collegamenti, radiotelegrafisti/eliografisti. A capo della compagnia c’è il Capitano Paraccone, ma chi la comanda di fatto è il Tenente Tommaso Giglio.

    Luglio 1937____

    Il 19 luglio si parte per i campi estivi: da Cuneo a Monterosso Grana. Passo la prima notte sotto la tenda: dormo benissimo in un bel letto fatto di paglia: ci eravamo accampati sotto gli alberi sulla riva sinistra del torrente Grana (a destra arrivando da Cuneo), poco prima del paese.

    Il 20: marcia al Colle dell’Ortica nel vallone di S. Pietro e ritorno fino a Pradleves. Questa marcia per me ed altre reclute non abituate a camminare in montagna risulta molto faticosa.

    Il 21 riposo a Pradleves.

    Il 22 si sale a Castelmagno, tratto non lungo e, già un po’ allenato, mi sono stancato meno.

    Il 23 riposo a Castelmagno: un sole splendido e molti, specie i Toscani, approfittano per farsi la tintarella al sole (tanto da spelarsi bene le spalle!), non io però. Il 24 da Castelmagno verso la Bandia per il colle del Mulo. Molti anziani facevano crema, cioè non potevano andare avanti per i dolori alle spalle, allora io andavo avanti un tratto, posavo il mio zaino, ritornavo indietro a prendere lo zaino del mio caposquadra Dotta di Fossano oppure di Caldi di Pontremoli. In soli tre giorni mi ero già allenato a camminare in montagna. Alla Bandia ci siamo accampati vicino a un margaro e le mucche pascolavano tra le tende. Abbiamo anche del latte dal margaro. Si fanno esercitazioni nei dintorni per due giorni.

    Il 27 dalla Bandia si va a Prato Ciorliero passando per il Colle della Gardetta. Qui siamo sul versante della valle Maira nel Vallone d’Unerzio. Il Tenente Giglio ha comprato latte dai margari e per cena abbiamo minestra al latte: la prima ed ultima volta durante la naia. Il 28 si scende in valle Maira tra Acceglio e Prazzo per fare esercitazioni e si ritorna a Prato Ciorliero. Il 29 per il fondo valle, per Acceglio, si va a Ponte Maira dove montiamo le tende nell’oscura pineta: però il grosso della Compagnia passa dall’alto verso il Monte Oronaye ed arriva a Ponte Maira dal di sopra, facendo così una marcia molto più lunga della nostra. Qui sono incaricato di fare da aiutante ai cucinieri.

    30 riposo. Il 31 per Saretto – Colle Greguri, dietro la Rocca Provenzale/Castello, si scende alle Grange Cerviera nel Vallone Maurin.

    Agosto 1937____

    Il 1° agosto siamo fermi in questa zona e si fanno brevi passeggiate nei dintorni sotto una fredda pioggia. Il 2 agosto, con il Tenente Venezia, attraverso alte montagne si va a Madonna delle Grazie nel Vallone del Mollasco, ma il grosso della Compagnia fa il giro molto più lungo arrivando dal Colle Bellino. Li ci sono grandi e belle praterie con tante belle stelle alpine tra l’erba. Il 3 si scende un tratto verso Acceglio, si svolta a sinistra e si sale al Col delle Sagne, per poi scendere al Rifugio Camoscere nell’alto Vallone d’Elva. Qui ci fermiamo 2 giorni. Io sono sempre addetto alle cucine. Gli altri fanno la marcia sul monte Pelvo (3064 metri). Il Tenente Giglio mi chiede se voglio andare anch’io, ma rinuncio, e ho fatto male perché non arriverò mai più oltre i 3000 metri. La stessa cosa avviene il giorno dopo, quando i miei compagni vanno sul Chersogno (3026 metri). Quando, a guerra finita, avrei voluto salire, non mi è più stato possibile, data la mia mutilazione. Il 6 di nuovo per il col delle Sagne, si ritorna a Madonna delle Grazie. Il 7 per il colle Bellino si va alle Grange Autaret, sul versante Varaita. L’8, con un forte alpino langarolo, Molino, sono mandato a fare la spesa per la mensa Ufficiali a Chiazale, borgata di Bellino. E’ stata una passeggiata molto faticosa e lunga, tanto che al ritorno non ce la facevo più ad andare avanti: per fortuna il mio compagno, molto forte, si portò quasi tutto il peso sulle sue spalle. Il 9 e 10 sempre fermi alle Grange Autaret e addetto alla mensa Ufficiali: il cuoco era un alpino lombardo di Breno (Val Camonica - Brescia). Il suo nome: Servalli Dino, di professione macellaio. Eravamo molto amici. Da richiamato fu aggregato alla Divisione Julia e mandato in Albania¹.

    L’11 saliamo verso il monte Faraut, (3033 metri): io porto sulle spalle un cesto di viveri per gli Ufficiali, si cammina sopra un grande ghiaione e si scivola facilmente per cui io mi fermo prima della cima onde evitare il rischio di versare il cesto con i viveri. A sera si ritorna a Madonna delle Grazie. Dal 12 al 16 sempre esercitazioni nei dintorni ed io sempre con il cestino viveri per gli Ufficiali che sono cinque: Capitano Paraccone, Tenente Giglio, Tenente Venezia, SottoTenente Florio e il Cappellano Militare. Il 16, alle ore 10 circa, la tromba annuncia il fine manovre (significa che sono finiti i campi estivi). Il Tenente Giglio mi ordina di distribuire tutto il contenuto del cestino agli alpini, ma io, sapendo che alcuni della mia squadra erano lontani, mi riempio prima le tasche e lo zainetto! Dopo mezz’ora arrivano i miei amici, molto stanchi: il Tenente Giglio rimane male e dice: Purtroppo ho dimenticato questi che hanno faticato più di tutti. Allora io tiro fuori quanto avevo messo in disparte e lo do a questi ultimi arrivati. Il Tenente fu molto soddisfatto di questa mia azione.

    Siamo sulla Costa Scebolet, si scende nel vallone che porta al col delle Sagne, si risale verso sud-est per precipizi poi, sempre per impervi dirupi, si scende su Ussolo, quindi a Prazzo dove montiamo le tende nei prati lungo il Maira.

    Nella traversata di impervie montagne e precipizi (siamo in un punto a sud-ovest del monte Chersogno), incontriamo il Colonnello Maurizio Lazzaro De Castiglione, nostro Comandante di Reggimento 2° Alpini; subito il Tenente Giglio ci fa inquadrare alla meglio per presentare le armi a questo Superiore: nella fretta a me scappa di mano il fucile che cade con grande rumore sui sassi. Il Colonnello, che è quasi davanti a me, mi apostrofa dicendomi:

    -"Bravo alpino, butti via il fucile così malamente, e se ne avessi subito bisogno come faresti?! Come ti chiami?-

    Rispondo:

    -Alpino Parizia Giulio-

    Mio papà Giuseppe Parizia

    Mia mamma Maria Galaverna

    Foto scattata a Venasca davanti all’albergo della Posta, dopo la mia seconda visita di leva.

    Sono in centro nell’ultima fila.

    -Parizia... sei forse parente con l’alpino Parizia Mario²?-

    -Signorsì, è mio fratello!-

    -Bene, ringrazia tuo fratello, che è stato mio attendente l’anno scorso, altrimenti 10 giorni di rigore nessuno te li toglierebbe, e fa attenzione che non ti sfugga di mano un’altra volta il fucile!!-

    Alle ore tre del mattino del

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