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Il Parco Osborni
Il Parco Osborni
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Il Parco Osborni

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About this ebook

Primavera 2010:

la vita scorre serena in casa Osborni; ma durante una festa, nel parco annesso, accade un grave fatto di sangue e anche rapimenti e sparizioni. Vengono duramente colpite le famiglie di un diplomatico straniero e di un importante funzionario italiano, ma le indagini a tutto campo si arenano per lungo tempo. Una studentessa italiana partecipa a importanti ricerche universitarie svolte in una città del medioriente, ma sconta senza colpa un periodo di detenzione e, tornata a casa, si attiva per far migrare in Italia una sua amica sfi orata dai sospetti di un servizio segreto di cui alcuni agenti sono coinvolti in attività terroristiche nel nostro paese. Una storia dai molti concatenamenti che condizionano le vite di più persone e ne scoprono i caratteri, i vizi e le virtù, collocati come sono, in scenari apparentemente tranquilli, ma di profondo turbamento psicologico.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJun 18, 2013
ISBN9788891114136
Il Parco Osborni

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    Il Parco Osborni - Ezio Falconieri

    racconto.

    1

    Gilberto Osborni era intento ad ammirare le minuscole neonate delle sue piante grasse: erano una sua creatura. Dieci giorni prima aveva posato i semi sulla speciale composta, l'apposito terriccio che aveva in precedenza accuratamente preparato e sterilizzato da mesi e di cui custodiva la particolare composizione; questa veniva modificata e aggiornata di anno in anno sulla base delle sue osservazioni, di studi e confronti. Le piccolissime piantine erano appena spuntate da un paio di giorni e lui ne aveva auspicato la germinazione osservando con una lente di ingrandimento l'apparire del puntino verde tra i granelli di sabbia sparsi sulla superficie del terriccio. Anche ora scrutava la superficie del terriccio alla ricerca dei nuovi puntini verdi che, secondo le sue previsioni ed esperienze, avevano la possibilità di apparire ancora entro una decina di giorni.

    -

    -< Sì, Gil; tra un minuto vengo a vederli. Finisco di leggere il capitolo…> rispose la giovane moglie.

    Gilberto e Leonilde erano sposati da dodici anni; avevano tre figli, Nastasia di vent'anni nata da una precedente e burrascosa relazione tra Gil e una servotta di casa, Leandro di undici anni e Leopoldo di nove anni. Loro, i coniugi Osborni, si erano innamorati lentamente e senza nemmeno saperlo, lì nella casa di famiglia di lui: una grande casa con parco sulla strada provinciale tra Santo Spirito e Giovinazzo, a una quindicina di chilometri da Bari.

    Nata la piccola Nastasia e scacciata la mammina, la bimba era stata affidata alle cure di una prosperosa nutrice ladina che se ne era occupata per quattro anni, prima di tornarsene al suo paesello transalpino. Leonilde, giovanissima puericultrice, era stata assunta da nonna Cloe per proseguire nell'accudimento della piccina e, occhiata dopo occhiata, sfioramento dopo sfioramento, l'interesse tra Gilberto e Leonilde si era tramutato in simpatia, in tenero affetto, in tiepido amore e in sfrenata passione.

    Determinante fu la spinta di mamma Cloe, vuoi per il manifesto e amorevole attaccamento di Leonilde alla bambina, vuoi per dare una sistemata al disordinato vivere di Gilberto ormai quarantenne; il matrimonio risolse le ansie di Cloe rallegrata, e non poco, dall'arrivo del nipotino Leandro. La previdente nonnina, però, non fece in tempo a gingillarsi col terzo nipotino Leopoldo: non aveva retto all'emozione di sentirlo scalpitare nel pancione di Leonilde, schiattando improvvisamente per andare a raggiungere in cielo la buonanima del marito.

    -< Come sono piccole!> aveva esclamato Nilde, accorsa di fianco al marito per vedere le nuove plantule.

    -< Beh, dalle il tempo; domani avranno sicuramente compagnia. Poi, man mano, si svilupperanno. Ora… ma dov'è Nastasia? vorrei che le vedesse anche lei.>

    -< Nastasia? credo che sia vicina a tornare; aveva lezione fino all'una. Ma ecco Felix coi ragazzi: deve aver atteso prima Leandro e poi passato a rilevare Poldo. Per fortuna le due scuole sono vicine. Pasqua!> gridò: -< E' pronto? i bambini vengono sempre con una fame…>

    -< Sì, signora; tra due minuti porto in tavola.> gridò da lontano la domestica.

    -< Felix, tutto bene?> chiese intanto al nuovo venuto.

    -< Celto, signola; i signolini sono andati a lasciale gli zaini.>

    Felix era un domestico tuttofare: cameriere, aiuto di cucina, sbrigafaccende e, all'occorrenza anche autista; era originario dello Sri-Lanka da dove era arrivato come clandestino. Incontratolo per caso, era stato assunto in prova per qualche mese e poi regolarizzato come dipendente con permesso di soggiorno. Doveva avere qualche ascendenza cinese e faticava a pronunciare la erre; e non solo… poi sembrava non avere alcun interesse per il sesso femminile.

    Pasqua, una florida donna giovinazzese, lo trattava con leale fraternità chiamandolo a condividere le fatiche della cucina e della casa tutta; lei aveva famiglia a Giovinazzo dove abitava. Arrivava a casa Osborni puntualmente alle sette di tutti i giorni e, altrettanto puntualmente, cercava di tornare a casa sua alle diciannove: tutti i giorni sul suo Ciao, un vecchio motociclo di altri tempi.

    Un altro personaggio che aveva libero accesso a casa Osborni era Sto', un vecchissimo contadino che veniva a curare il parco un giorno a settimana; curare, così per dire. Era curvo quasi ad angolo retto per lo strenuo lavoro di campagna svolto da tutta una vita, così ripeteva come un ritornello: si limitava a spazzare il viale e ad osservare la vegetazione indicando ai proprietari i lavori di manutenzione occorrenti e a incaricare tra i suoi conoscenti le persone adatte a svolgerli.

    -< Ciao, mamma.> i due figlioli all'unisono, baciando Nilde.

    -< Ciao, bambini; bacetto a papà e a lavare le mani.> impose la mamma, indicando Gil con un gesto del capo. I ragazzi corsero dal papà e Poldo: - chiese.

    -< Sì, eccoli qua; sono i primi. Sono in attesa dei fratellini.>

    -< Come sono piccoli…> osservò Leandro.

    -< Be', pensa a come eravate piccoli voi il primo giorno… e ora, dopo vari anni… ma anche loro, fra qualche anno, saranno come le madri lì sul terrazzo. Ma la specie è quella, diventeranno grandi quanto una moneta da due euro o poco di più.>

    -< E Nastà? non c'è ancora?> chiese il ragazzo, pensando al pranzo.

    -< No, starà arrivando.> si intromise Nilde: - aggiunse, nel sentire un tocco di clacson.

    I ragazzi si affrettarono verso il bagno, incrociando la sorella, mentre entrava:

    -< Ciao a tutti, il traffico, oggi… mi ha fatto fare tardi!> baciò i genitori e, insieme, si avviarono nella sala da pranzo e presero posto attorno al tavolo.

    -< Che buon odorino,> osservò, annusando il profumo che proveniva dalla cucina: - chiese.

    -< Qualcosa di buono! Pasqua ha detto che è una sua ricetta. Le faremo i complimenti, se sarà veramente buono.> disse Nilde.

    -< Sì, sì, brava Pasqua; abbiamo una fame…> dissero i ragazzi, nel sedersi e facendo il segno di croce.

    -< Certo, ma mentre Pasqua porta la minestra, come è andata oggi a scuola?> volle sapere la mamma.

    -< Tutto OK.> rispose Leandro.

    -< Non ho capito; parla in italiano. Sai che non mi piacciono le espressioni straniere; un bene è più semplice e musicale.> Gil ci teneva al corretto modo di esprimersi.

    -< Sì, papà; anch'io sono andato bene all'interrogazione.> disse Poldo, alzando la forchetta nel vedere Pasqua con il vassoio.

    -< Meglio così; allora, buon appetito.> tagliò corto Nilde, raccogliendosi un attimo in preghiera mentale.

    -< Spero che vi piaccia; è una vecchia ricetta di mia madre.> disse Pasqua, iniziando a spadellare nei piatti.

    -< Beh, l'odore è buono; i complimenti a dopo.> chiuse Nastà, nell'assaporare il primo boccone.

    In pochi minuti il pranzo ebbe termine; l'appetito non era mancato, e il buon sapore… neanche.

    2

    Era stato il nonno di Gilberto a far costruire la villa e contornarla col parco verde; uomo di grande iniziativa, aveva impiantato alla periferia del capoluogo pugliese uno stabilimento, sì, un'industria ai primi del novecento, che fabbricava sapone. Utilizzava soda, olio di scarto dei frantoi olivicoli, sego animale, del sale e saponina e chissà cos'altro; colava la mistura calda in forme a parallelepipedo che lasciava nelle celle frigorifere perché la mistura si solidificasse distaccandosi dalla forma. I pezzi di sapone pesavano trecento grammi ciascuno e venivano impiegati dalle massaie per il bucato, allora esclusivamente a mano e anche con il cospicuo impiego della cenere che proveniva dai focolari. Non tralasciava, per la pulizia delle persone, di fabbricare del sapone più fine utilizzando anche olii di importazione, di palma e di cocco, a cui aggiungeva delle essenze profumate e colorazioni tenui: la stessa procedura delle attuali saponette.

    Il papà di Gilberto aveva continuato a gestire la fabbrica fino al 1970 allorché la diffusione delle lavatrici elettriche fece proliferare grandi nuove industrie di detersivi in polvere e anche liquidi rendendo quasi invenduto il sapone prodotto; infine, i maggiori costi per adeguamenti salariali e assicurativi ne provocarono l'assoluta non remuneratività e fecero maturare la decisione di chiudere la fabbrica.

    La famiglia Osborni, da allora, aveva vissuto ancora in un certo benessere, ma attingendo ai risparmi accumulati negli anni più floridi, vendendo delle proprietà e gestendosi in maniera meno dispendiosa. Anche Gilberto, di tempra assai diversa da quella del nonno, non aveva affatto cercato di crearsi un lavoro, un'attività, e si era adagiato in quell'andazzo utilizzando i residui di quelle rendite; si dedicava, in sostanza, soltanto a coltivare il suo hobby.

    A 53 anni non faceva assolutamente niente per far fronte alle continue e crescenti spese necessarie alla tenuta di quel tenor di vita e pensava da incosciente: finché dura…

    La vita di ogni giorno, in quella casa, scorreva così, monotona e insulsa: Nilde si era adeguata limitandosi al controllo superficiale dell'andamento delle cose e bilanciando l'hobby del marito con la lettura di riviste pettegole e di romanzetti rosa. Aveva provato anche a scrivere qualcosa di suo: qualche novella, qualche raccontino d'amore, ma il deludente giudizio di Clara, la sua amica a cui aveva sottoposto le bozze, l'aveva scoraggiata a proseguire il tentativo. Lei, una bella donna di circa trentacinque anni, di buona cultura e proveniente dal ceto proletario locale, aveva toccato il cielo con un dito quando la signora Cloe aveva benedetto la sua intesa matrimoniale con Gilberto. Poco più che ventenne, aveva pensato che, avendo risolto il suo problema di sopravvivenza oltre che di assetto affettivo e sociale, avrebbe potuto indirizzare il proprio futuro verso programmi più soddisfacenti, almeno dal punto di vista complementare e partecipativo ad attività di contorno alla sua vita di moglie, di mamma e di padrona di casa; vuoi però per la mancanza di stimoli validi, vuoi per le notevoli difficoltà congiunturali a intraprendere una nuova qualsiasi attivita lavorativa e di soddisfacimento morale, ma vuoi principalmente per l'ignàvia e l'esempio del marito, aveva prima rimandato l'attuazione di qualsiasi progetto a tempi migliori per poi rimanere assuefatta al deleterio clima del dolce far niente. Al dilà di qualche amica con cui intratteneva sporadici rapporti telefonici e, comunque, superficiali, le sue ambizioni si erano assopite e il suo tempo veniva utilizzato per le attenzioni al suo corpo, per la supervisione della sana crescita dei suoi figli, e per un superficiale controllo dell'andamento della casa che era quasi interamente scaricato sulla servitù. Certo, non mancava qualche impulso affettuoso verso il marito il quale ricambiava con sufficiente trasporto le premure che riceveva, e il resto del suo tempo lo dedicava alle letture: riviste scandalistiche e romanzetti rosa.

    -< Dedicati a qualcosa!> le consigliava l'amica Clara.

    -< Sì, hai ragione; ci penserò.> rispondeva, evasiva.

    La cugina Gilda, donna pia e vicina alla chiesa rionale:

    -< Nilde, vieni in oratorio; fà assistenza ai bambini o agli anziani!> la invitava.

    -< Vedrò, se trovo il tempo…> già, tempo che non riusciva mai a trovare.

    Anche Leandro, pur se egoisticamente, cercava invano di interessarla a qualche ricerca sul computer: attualità o storia. Lei rimandava:

    -< Sì, dopo; comincia tu, per ora. Fra poco vengo ad aiutarti.> e il fra poco durava ore, almeno finché il ragazzo non avesse terminato da solo la ricerca. Indolente e svogliata, affrontava con scarsa lena e sufficienza quelle poche cose che non riusciva a scaricare ad altri. E né Gilberto la spronava ad attivarsi in qualcosa.

    Già; Gilberto…

    nato e cresciuto fannullone! non aveva mai lavorato, trovando oltremodo comodo il benessere assicurato dall'intraprendenza e lavoro del nonno e, perché no, anche del padre. Colpa anche di mamma Cloe? certo, mai un rimprovero, mai un'esortazione a far qualcosa; accondiscendeva a soddisfare ogni capriccio e richiesta del suo unico figlio e si era sempre prestata a coprire le tante bravate che Gil aveva commesso. E quando lei se ne era andata, sì, quando aveva tirato le cuoia, Gilberto aveva proseguito nella propria vacuità senza raddrizzare la spalla e prendersi carico delle incombenze della vita quotidiana, neanche di quelle più ovvie e naturali, quali l'amministrazione dei beni che il cielo o la fortuna avevano avuto l'inaccortezza di affidargli. Era un commercialista che si occupava della gestione e lui non esercitava alcun controllo sull'operato di quel tale. Questione di tempo? o di incapacità? ma no… solo indolenza e menefrechismo.

    Delle sue piante grasse, sì; di quelle si interessava… eccome!

    erano frequenti le sue telefonate con Mauro Coccardini, un altro appassionato come lui a voler fare germinazioni di quelle specie vegetali denominate Lithops e Conophytum; si intrattenevano per ora a scambiarsi esperienze e a descrivere i risultati dei loro successi. L'attaccamento a quelle due specie di piante grasse gli era stato trasmesso e inculcato da mamma Cloe che amava accarezzare e palpeggiare le foglie rigonfie delle piccole cicciottine come le chiamava; ed era solita giustificare quella sua passione dicendo:

    -< Vedi Glberto, la maggioranza delle piante grasse sono offensive e scostanti: con le loro spine feriscono chi vuole interessarsi a loro allontanando ogni tentativo di contatto. Le poche specie senza spine, e queste due in particolare, sono molto amichevoli e cordiali, vellutate e morbide al tatto. E sono anche interessanti e attraenti per la loro forma e per la loro origine esotica. E non solo: la loro breve fioritura annuale è unica, colorata e prepotente. Invitano ad ammirarle, capirle e amarle.>

    E Gilberto aveva fatto propria la passione materna per quelle fragili piantine non limitandosi a curarle e mantenerle, bensì attivandosi alla germinazione dei semi e tentando anche esperimenti di ibridazione allo scopo di ottenere incroci e varianti. Aveva anche cercato di coinvolgere la moglie in quell'hobby e le aveva dedicato una sorta di incrocio chiamandolo col nome Nilde; un incrocio dall'apparenza simile a qualla della pianta madre, ma che lui si sforzava di descrivere facendo notare alcune minuscole differenze dalla specie tipo, differenze appena percettibili e forse oggetto di semplice variabilità intraspecifica. Avendo però notato la totale indifferenza della moglie a quella passione, aveva rinunciato a interessarla limitandosi tutt'alpiù a informarla dell'andamento delle semine e delle germinazioni, giusto per evitare che cadesse tra loro il silenzio più assoluto.

    Anche i due figlioli sembravano non subire il fascino della passione paterna: i loro commenti alle notizie sulle nascite delle plantule si limitavano a semplici espressioni manierate di presa d'atto di quanto avveniva nei vasetti di semina, al pari di un qualsiasi avvenimento domestico. Gilberto era perciò isolato col suo hobby e lui, ormai, persa ogni speranza di far proselitismo in famiglia, vieppiù si isolava corrispondendo con chi, come lui, subiva il dominio di quella sana attrattiva. Con periodici messaggi su facebook cercava nuovi adepti coi quali corrispondere, si era iscritto a un'associazione specifica, ma l'unico perditempo come lui era Mauro Coccardini, un ex nobile siciliano evidentemente con l'innato vizio a intaccare, decimare, sfruttare un patrimonio lasciatogli dagli avi; sì, di tanto in tanto dialogava con qualche altro appassionato, ma quasi tutti, pur contagiati dall'hobby, lo consideravano appunto come tale, senza dargli il primo posto tra le proprie attività, avendo ben altri impegni e necessità contingenti che obbligavano a non trascurare il lavoro come fonte di sostegno alla famiglia.

    Con Coccardini dunque, sfaccendato suo pari, Gilberto trascorreva ore al telefono; parlavano a lungo delle loro semine, del tipo di terriccio adoperato per avere risultati soddisfacenti e di ogni altra cosa inerente la migliore riuscita, pur riservandosi qualche particolare delle loro esperienze di cui erano gelosi. E litigavano pure! già, perché Gilberto sosteneva che le semine dovessero farsi in primavera, quando la temperatura e la luce solare erano le più vicine alle condizioni di propagazione naturale di piante della stessa specie nel loro ambiente originario, il Sudafrica e in particolare la Namibia, mentre Coccardini optava per semine effettuate in ogni periodo dell'anno, purché venissero imitate artificialmente le condizioni di umidità, temperatura e di illuminamento caratteristiche delle zone di origine. Le discussioni erano piuttosto accese tra loro: Gilberto insisteva sulla memoria genetica delle specie, per cui era meglio seminare nel periodo quando le condizioni erano più vicine a quelle di germinazione naturale nei posti di origine; Coccardini, al contrario, si accaldava nel difendere la teoria che proveniendo ormai tutti i semi che loro adoperavano da piante sufficientemente acclimatate al nostro clima, avevano dimenticato le condizioni naturali e il periodo in cui si propagavano originariamente: era quindi sufficiente fornire ai semi condizioni artificiali abbastanza vicine a quelle originali per ottenere piantine anch'esse acclimatate al nostro clima. Le concitate diatribe su questo tema finivano sempre con un:

    -< Mi faccia il piacere…> e talvolta:

    -< Ma vaffanc…>

    Però, la telefonata successiva cominciava sempre con:

    -< Caro amico, come va?…>

    3

    Nastasia aveva ereditato dalla madre tratti somatici e fattezze popolane, peraltro ingentilite dall'ambiente di vita, dall'educazione ricevuta e dagli studi. Era sostanzialmente una bella ragazza che, come tutte le donne, cercava di migliorare il proprio assetto estetico con sapienti tocchi ed espedienti di trucco e acconciatura.

    Frequentava il secondo anno presso il Dipartimento di lettere e storia dell'Univarsità di Bari intendendo specializzarsi nel restauro dei codici antichi; come esercitazione stava riproducendo con buona approssimazione una porzione di un rotolo del Mar Morto affidatogli dall'insegnante e il cui originale si riteneva ascendesse all'antica biblioteca di Alessandria distrutta nel 300 d.C.

    Il suo carattere non si differenziava molto da quello delle sue coetanee: non insensibile ai complimenti e ad un controllato divertimento.

    E già! perché l'anno prima aveva partecipato a una festa di un'amica, matricola universitaria e, forse per un aperitivo in più o per qualcosa scivolata nel suo bicchiere, il suo autocontrollo si era ottenebrato e si era trovata all'improvviso già donna senza sapere a chi o a quanti di quegli scalmanati suoi colleghi dovesse lanciare il suo anatema per aver profanato la

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