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Chiedilo al mare
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Chiedilo al mare

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About this ebook

Una storia d'amore che si snoda tra due mondi: l'Estremo Oriente e il Messico.
Marcello è un uomo sulla quarantina in piena crisi matrimoniale. La donna che ha tanto amato se ne andrà e la sua vita cambierà radicalmente obbligandolo a fare delle scelte drastiche. Partirà per un lungo viaggio in Oriente dove cercherà di dimenticare l'amore e di ritrovare se stesso. Otterrà conforto nell'esperienza di nuove avventure. Ma un giorno il passato bussa di nuovo alla sua porta. Sarà costretto a un nuovo viaggio dall'altra parte del mondo nell'affascinante Messico dove, forse, la vita potrà di nuovo tornare a sorridergli.
LanguageItaliano
PublisherClaudio Alla
Release dateSep 19, 2013
ISBN9788868556334
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    Chiedilo al mare - Claudio Alla

    CHIEDILO AL MARE

    Romanzo di

    CLAUDIO ALLA

    Copyright © 2013 Claudio Alla

    Tutti i diritti riservati

    «Perché lo spettacolo del mare è così infinitamente e così eternamente gradevole?

    Perché il mare offre contemporaneamente l’idea dell’immensità e del movimento».

    Charles Baudelaire, Diari intimi

    Entrò, si tolse il pesante giaccone e lo adagiò sull’attaccapanni. Era stanco. Diede un’occhiata allo specchio dell’ingresso. Vide se stesso. Un uomo sulla quarantina ancora gradevole ma che si era lasciato andare. Non era più il bel ragazzo di vent’anni prima. La foto sulla parete stava a testimoniarlo. Gli occhi neri, la carnagione chiara, i lunghi capelli scuri, di un bruno intenso dai riflessi lucidi e col cappello panama che lo facevano apparire un avventuriero di altri tempi. Era piaciuto a tante ragazze del nord Europa…

    Adesso i capelli erano ancora folti ma corti e brizzolati e le occhiaie si facevano notare. Appariva imbolsito come un attore decaduto con la pancetta che non poteva più essere nascosta.

    Si recò in cucina, dove c’era Juana. La osservò indaffarata a preparare la cena.

    Juana era di corporatura minuta. Alta circa un metro e sessantacinque. Magra con le ossa affusolate. Gambe slanciate e sode. In quel paese machista che era il Messico, la sua patria, camminando per la strada, il suo corpo, spesso attirava attenzioni non sempre gradite. Aveva i capelli molto lisci e di un nero corvino, tipici dalle sue parti. Le cadevano sulle spalle. Li portava così, sciolti, oppure raccolti sulla nuca. Il viso era tondo, gli occhi a mandorla, eredità di suo nonno di origine cinese; le labbra carnose a forma di cuore che potevano affascinare molti uomini. La carnagione color ambra  le conferiva quell’aria esotica da climi soleggiati e sub tropicali.

    Quando era solo una ragazzina, già era evidente il suo carattere gioioso e pieno di vita, quasi ingenuo; ma aveva dovuto lottare. Era la penultima di cinque figli. Era stata costretta a subire le prepotenze delle sorelle maggiori; che a volte sfociavano in liti furibonde fino ad arrivare alle mani. Essendo la più piccola, le prendeva spesso, ma non si arrendeva.

    Il padre aveva abbandonato sua madre per andarsene con un’altra donna. Erano stati dei brutti periodi, fatti di sacrifici e patate tutti giorni. Erano state crudeli con lei, come capita spesso agli ultimi arrivati. Eppure era meglio così, invece di un padre padrone che non aveva permesso a lei e ai suoi fratelli, nemmeno un giocattolo; erano una perdita di tempo, dovevano solo pensare a studiare, diceva. A volte li sorprendeva con delle domande improvvise su argomenti scolastici. Se non rispondevano, erano dolori, anche fisici. Con un padre così, chiunque vuole fuggire. I fratelli maggiori erano quelli sottoposti alla pressione più forte.

    Nora, la sorella più grande di Juana, non ce la faceva più a sopportare un padre tiranno come quello, e colse la prima occasione possibile per andarsene.

    In un giorno d’estate, presso l’università che frequentava, conobbe un uomo di origine francese, Jean. Non era bello ma molto affascinante. Naso grande, magro, assomigliava lontanamente a Yves Montand da giovane. Era un tipo divertente sempre con la battuta pronta. Sapeva far ridere le donne. Questo, si sa, è un bel vantaggio. Era anche un fiestero, festaiolo come dicevano in Messico. Un ballerino nato. Un uomo perché sia affascinante, in latinoamerica, deve saper ballare. E lui era un mago.

    Nora perse subito la testa per questo novello Yves Montand. La colpiva la possibilità di una vita diversa. Lo sfavillante divertimento che gli era stato sempre negato. La sua adolescenza perduta sui libri per compiacere un padre che non si accontentava mai. Così da un giorno all’altro decise di sposarsi per andarsene via di casa. Poco tempo dopo Nora rimase incinta. Credeva che la sua vita avrebbe cambiato direzione da quel momento in poi, ma si sbagliava. Quell’uomo all’apparenza così divertente, in realtà non lo era poi tanto. La vita di tutti i giorni è ben diversa. Non si vive di solo divertimento.

    Bisogna avere delle responsabilità, pensava Nora. Come quasi tutte le donne. Nel loro codice genetico è scritta la responsabilità di occuparsi della progenie, di permettere che la specie continui con successo.

    Il francese, nella sua testa, continuava a vivere da single. Usciva quasi tutte le sere per andare alle feste. In Messico ce n’è sempre una per qualcosa o qualcuno, e lui non se ne faceva scappare nemmeno una. Jean tornava la sera tardi a casa. Lavorava poco. La sua famiglia era benestante, e lui vi si appoggiava spesso. Andava da solo perché Nora doveva badare ai bambini e quando rincasava era ubriaco. La cosa tipica delle feste messicane è il ballo e il bere. È così è facile lasciarsi andare a dei bicchieri di troppo, specialmente quando si è tipi scherzosi come lo era Jean. Continuava a piacere alle donne, anche per il suo fascino europeo.

    Per gli stranieri in Messico, c’è un rapporto di amore-odio. Tutto deriva dai tempi della nuova Spagna. Ai tempi della conquista Cortés si fece un’amante india di nome Malinche. Era una donna d’intelligenza brillante e d’indole intraprendente che imparò rapidamente la lingua del conquistatore e lo aiutò facendo da tramite verso le popolazioni locali. Cortés ebbe dei figli con lei; ma la cattiva fama della Malinche, riconosciuta come complice dell’invasore, rimane tutt’oggi. Per questo si dice che i messicani sono malinchisti. Il malinchismo è quell’atteggiamento contraddittorio per il quale rimangono affascinati dagli stranieri ed allo stesso tempo qualsiasi cosa succeda, è colpa dello straniero.

    Il francese continuava a vivere senza impegni di nessun genere se non quello di divertirsi; ma la famiglia è un’altra cosa. Doveva occuparsene e non c’era mai, e quando Nora recriminava qualcosa, la notte, al ritorno dai suoi bagordi, lui, mezzo ubriaco, la mandava a quel paese. Lei piangeva così, sommessamente, nel buio, mentre i due bambini dormivano. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto. La vita le sembrava spregevole e senza uscite.

    Il francese era sempre più alla deriva; ma a suo modo amava Nora. Lui cercava una madre che Nora non poteva essere. Sembrava un adolescente ribelle; ma si sa, non si può essere adolescenti tutta la vita.

    Alla fine, la storia con Jean si fece disastrosa. Alle recriminazioni di Nora, Jean rispondeva con insulti e schiaffi. Col suo odore di rum era diventato insopportabile. Questo accadeva tutte le sere oramai; la mattina dopo, smaltita la sbornia, era un uomo diverso. Piangeva e si disperava. Si gettava ai piedi della donna implorandola. Chiedeva perdono, ma lei già aveva perso l’amore. E l’uomo che anni prima le era apparso come un affabile conquistatore, ora era solo un ubriacone senza incanto.

     La vita passa oltre, volenti o nolenti. Ci sono persone che non si arrendono all’evidenza. Lui era uno di quelli. Nora sopportò molto. Troppo. Un giorno decise che non poteva tollerare ancora. Il problema, era, che non aveva alternative; ma una volta che aveva deciso, non si tirava più indietro. Era fatta così.

    Dovette pensare in fretta a una via di fuga. In modo indiretto si vide costretta a dover far ricorso al padre. Mai lo avrebbe voluto, ma i casi della vita sono strani. Come una giostra che gira, si ritorna spesso allo stesso punto da cui siamo partiti.

    Sua sorella Elva, aveva avuto una proposta di lavoro, tramite le conoscenze di suo padre, per entrare nella sanità nazionale. Vista la situazione di Nora, Elva rinunciò alla proposta per cederla alla sorella. Così Nora poté rincominciare una nuova vita. A lei non piaceva avere dei debiti. Così, poiché non poteva ammettere di averne nei confronti di Elva, semplicemente se ne dimenticò. In futuro non avrebbe mai ammesso che il suo posto di lavoro era dipeso per lo più dalla sorella che aveva rinunciato a suo favore. In seguito anche Elva riuscì a entrare nella sanità perdendo però alcuni anni.

    Juana rimase la bambina di casa, con le sorelle che erano andate via. Sua madre la vezzeggiava. Non le lasciava fare niente. Juana non sapeva nemmeno cucinare. Così la ragazza continuò la sua vita modesta studiando e lavorando.

    Si era trovata un lavoro part-time in una farmacia che le consentiva di continuare a studiare. Col tempo aveva finito il liceo ed era entrata nella scuola per fisioterapista. Intanto continuava con il suo impiego.

    Un giorno come se il destino avesse voluto metterci la zampa, alla farmacia si presentò uno straniero. Lei lo notò e ne rimase subito colpita. Un ragazzo sulla trentina. Sembrava molto sicuro di sé. Esperto delle cose della vita. Così lo vide Juana, e, quasi inconsapevolmente, si affrettò a farsi avanti per servirlo. Iniziarono a conversare come se si conoscessero da tanto. Lui parlava un buon spagnolo e aveva la parlantina facile. Gli disse che era italiano, si trovava in Messico perché aveva avuto un viaggio in omaggio, e che voleva sfruttare l’occasione per farsi un giro.

    Juana lo ascoltava estasiata. Ogni parola di quello straniero, che aveva visto chissà quali cose, che lei poteva solo lontanamente immaginare, era magica. Le sue labbra tremavano. Era sorridente fuori, ma dentro aveva un mondo in subbuglio.

    Possibile rimanere innamorati in pochi istanti? Anche se non ci aveva mai creduto prima, sembrava di sì. Di quel giorno, in futuro,  le sarebbe rimasto solo un vago ricordo, tanto l’emozione era stata forte. Eppure ricordava particolari che a nessuno sarebbero venuti in mente. Il colore della camicia aperta sul torace magro di lui che lasciava intravedere una villosità sconosciuta in Messico, dove gli uomini erano per lo più glabri, l’implacabile sole delle tre del pomeriggio nel Messico centrale, l’odore delle ciambelle del venditore all’angolo, le mani curate dell’uomo, i gomiti appoggiati sul bancone, gli occhiali ambrati che ne lasciavano intravedere gli occhi.

    Lui si chiamava Marcello. In Italia era uno qualunque. Lavorava in un’agenzia di viaggi. Per questo conosceva le lingue. Molte possibilità di viaggi gratuiti, e così aveva deciso di visitare il Messico. Era stato sempre un po’ timido, ma in questo paese la sua timidezza era superata. Le donne lo guardavano con occhi diversi, interessate. Lo lusingavano con sguardi e sorrisi, appena capivano che era straniero. Ora, a quasi trent’anni, cercava qualcosa. Non era soddisfatto della sua esistenza. Aveva sempre vissuto con i suoi genitori, isolato, come in un limbo. Non era mai cresciuto.

    Juana gli era piaciuta subito. Aveva quell’innocenza che le donne conosciute in Italia avevano perso da un pezzo. Gli dava l’impressione di essere intraprendente. Qualcuno su cui contare e nel pieno della giovinezza che affascina. Lui aveva perso oramai molte occasioni con le donne. Il suo pallino erano state sempre le straniere. Qualche anno prima, era stato in Germania, in occasione della festa della birra, e si era legato a una ragazza del posto con cui aveva avuto una relazione duratura. La distanza relativamente breve lo aveva portato ad allungare questa relazione per tanto tempo. Quando aveva capito che non poteva essere qualcosa di sano per lui, aveva troncato il rapporto già troppo burrascoso; ma oramai erano già passati quattro lunghi anni fatti di viaggi in treno ogni due mesi, litigi, addii e lacrime nelle stazioni dei due paesi di origine.

    Marcello, dopo quell’esperienza, pensava che la sua vita si stesse lentamente volgendo a una parabola discendente. Non poteva pensare di rimanere solo. Decise che Juana sarebbe stata la donna giusta; non decidersi per una vita intera e poi scegliere in un momento.

    Marcello continuava a guardarla. Le labbra carnose. Gli occhi di taglio orientale. Le dita affusolate. Il suo colore dorato. Il seno che s’intravedeva attraverso il vestito lungo. Il corpo slanciato gli faceva venire voglia di stringerlo a sé. Inconsciamente, a pochi centimetri da lei, mentre parlava, percepiva il suo odore. La sua mente era inebriata da tutto quello che coglieva di Juana. Non sapeva se era amore, ma stare insieme a lei lo faceva stare bene. Mentre era lontana, sentiva qualcosa che gli mancava. Come da piccolo, quando un caro amico che aveva passato l’estate con lui e poi, tornato in città, non lo vedeva più per un pezzo, si sentiva come se gli avessero strappato qualcosa.

    Si recava ogni giorno a visitarla alla farmacia. Le propose di uscire una di quelle sere. Lei era restia, pensando a sua madre. Sapeva che non avrebbe approvato. La madre era all’antica. Tutta d’un pezzo, una vera messicana votata al focolare domestico e alla vita di gioie e sofferenze che le donne di questo paese debbono affrontare.

    Finì per accettare l’invito e fu così che iniziarono a frequentarsi tutti i giorni dopo l’orario di lavoro. Lui la portava a cena fuori e lei, nelle lunghe chiacchierate, gli dava dei suggerimenti sui posti da vedere in Messico ma Marcello, seppur affascinato dai luoghi che gli raccontava Juana, non voleva partire. Non voleva allontanarsi da lei per nessuna ragione. Rimase diverse settimane in città per vederla ogni sera. Il fine settimana, facevano delle gite nei dintorni della grande città.

    Un sabato pomeriggio si trovavano a Taxco seduti su una panchina nel giardino pubblico del paese. Osservavano la vita che gli scorreva intorno: il venditore di zucchero filato e quello di palloncini che,

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