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L'umanità del Fisco
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Ebook96 pages1 hour

L'umanità del Fisco

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“Sappi Vincè, figlio mio, che la Madonna ti accompagnerà

sempre, non aver timore e non preoccuparti. Se questa è la tua

volontà, stai tranquillo che è la stessa cosa che vuole il Signore”.

Osservavo la faccia di mia madre, donna Amalia.

Seduto accanto a lei il suo compagno di vita, papà Ernesto, ascoltava

con aria solenne la benedizione, che segnava l’imprimatur per l’inizio

della mia carriera professionale. Appariva rilassata e rassicurante,

come se avesse percepito a sua volta un diretto contatto con quel

suo mondo celestiale, da cui restavo puntualmente catturato e coinvolto,

pur rimanendone estraneo.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 13, 2013
ISBN9788891106315
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    L'umanità del Fisco - Vincenzo Carrella

    professionale.

    Assuntina

    Vincè, vedrai che le soppressate quest’anno sono venuteancora più buone e saporite. Donna Concetta ne tirò fuori alcune daun contenitore che, pur ingiallitosi per colpa del tempo, che ne misuravainesorabilmente il logorio, conservava la sagoma di una borsa. Eranocontenute in un secco budello e legate nel loro caratteristico intrecciodi spago.

    Seguii con l’atteggiamento distaccato, acquisito nel mioabituale ambiente professionale, quei movimenti, a tratti armoniosi,delle irsute braccia. Con un sapiente colpo di polso, Concetta riuscìa sistemare gli insaccati in una sola mano. Poi li adagiò delicatamentenella ospitante piccola area dove si era sistemata la figlia. Assuntaera seduta proprio di fronte a me e accanto a lei, sulla destra, c’erapapà Ciro. Il sole, alle sue spalle, imbruniva sapientemente parte diquei lineamenti, che segnavano i confini del suo volto, resoperennemente pallido dalle lunghe e continue sofferenze, con cui eracostretta a convivere dacchè era nata. Una malattia rara d’originecardiopatica (a me comunicata con sforzi dialettici ed incomprensibilidettagli) le aveva sottratto e annullato l’intera sua fase adolescenziale,privandola del gusto di assaporare l’insieme della magiche armonietipiche di quell’età. Avvertivo spesso in sua presenza una particolareinclinazione alla tristezza; tutta una serie di interrogativi e diconsiderazioni mi perseguitarono per l’intera durata della loro visita: povera figlia, quante privazioni durante l’intero primo periodo dellasua crescita, proprio in quella fase in cui scoperte e ricerche delquotidiano aiutano a tratteggiare il carattere, formandolo e modellandoloattraverso gli ideali e i giusti valori della vita.

    La sua condizione era per me paragonabile al riuscire avedere abitualmente il sole senza mai aver ammirato e gustato l’alba.

    Con gli occhi mi sforzai di focalizzare velocemente le suelabbra per abbreviare il rito di quella frase, che da anni mi sentivoripetere con grazia e dolcezza: Grazie tante Vincè, per la tua generosadisponibilità e per l’affetto e le attenzioni che non ci fai mai mancare.

    D’istinto la mia reazione fu quella di chinarmi alla sua altezza,senza badare allo scompiglio che si determinava sulla scrivania.Tentavo, così, di agevolarle il lancio di quel suo caratteristico umidobacio fugace con lo schiocco che, puntualmente, stampava sulle mie guance. In quel tenero gesto, quasi meccanico, individuavo una suaformale accettazione della breve, ma intensa (quanto a qualità edinsegnamenti) prestazione professionale resa.

    Anche quell’anno, nonostante oramai le ripetute e automaticheazioni si riproducessero da tempi lontani, sistematicamente concentratenel breve spazio della intensa stagione delle dichiarazioni dei redditi,ebbi conferma che quel suo viso continuava ad essere impreparatoall’abitudinario rito. Un colore rosso porpora, infatti, iniziò la sua dilagante diffusione sull’intero viso di Assunta. Il volume e l’intensitàdel rossore fece piombare in una sorta di imbarazzo anche tutti noi,che assistevamo e ne osservavamo lo sviluppo.

    Per riprendere il controllo della situazione frugai velocementenel primo cassetto del mobile posto sotto la scrivania, a lato dellemie ginocchia: l’obiettivo era quello di recuperare un pò di caramellee cioccolatini appositamente acquistati e lì riposti per averli semprea portata di mano. Senza minimamente pensare alla quantità, neafferrai una manciata e li sistemai nelle sue piccole mani, stringendolei pugni. Un’espressione di gratitudine comparve sul suo viso e miaiutò a spazzare via la tristezza e l’angoscia che, puntualmente, miassalivano quando la guardavo. Poterla vedere sorridere, unitamenteai suoi umili e dignitosi genitori, m’infondeva tranquillità e mi ponevain uno stato di esaltante euforia. Non vi era prezzo che potesseripagare quella particolare condizione; aver potuto soccorrere unafamiglia, evitandole fastidi e preoccupazioni per incombenze di natura fiscale, valeva più di ogni altro riconoscimento.

    Confesso che non avevo (e tuttora non ho) mai osatocomunicare a donna Concetta che gli insaccati non hanno mai avutoun posto rilevante nella mia scala di gradimenti gastronomici.Probabilmente ciò è dovuto alla difficoltà nel digerirli o, semplicemente,è perché non sono di mio gusto ; fatto sta che se le avessi dovuto,in via del tutto confidenziale, rivelare il piccolo segreto del mio rifiutogastronomico, probabilmente le avrei procurato un dispiacere rilevante.Poco importa…c’è sempre stato qualcuno che ha apprezzato per me.

    Come in un fulmineo flashback rividi il nostro primo incontro.Ero in un paesino dell’entroterra salernitano e da poco mi ero lasciatoalle spalle gli uffici comunali, dove mi ero recato per gli abituali controlli,legati alle mia funzione di revisore. Avevo necessità di liberare la miamente, affollata dai contenuti di una miriade di documenti amministrativi, che il responsabile finanziario, Carmine, aveva raccolto e sottopostoalla mia attenzione per una relazione, che mi accingevo a redigere.

    Avvertivo la necessità di staccare e per questo avevo decisodi dirigermi in perfetta solitudine in quello che, con una buona dosedi fantasia, rappresentava il bar del paese: Da Gennaro. L’insegna,piegata verso il basso, copriva parte delle sue lettere, trasformandoin EARO quello che avrebbe dovuto rappresentare il richiamopubblicitario del piccolo esercizio commerciale.

    Lì tutti, bene o male, mi conoscevano: molti mi scambiavano per un distinto ed importante funzionario della Finanza. Infatti pensavano che il revisore stesse a capo di tutti gli organi di controlloa disposizione dell’amministrazione finanziaria.

    Giustificata mi appariva, quindi, tutta quella loro gentilezzae disponibilità, che in massicce dosi mi riservavano ogni volta cheentravo nel locale.

    La moglie di Gennaro, Maria (solo anagraficamente perché non riuscivo a intravedere una vera femminilità in quella sagomamascolina, che la rendeva unica e tipica della zona) era solita salutarmi con una frase, che è entrata a pieno titolo nel mio bagagliolessicale: Uè dottò Vincè , n’altra volta o male e cape? Ve faccio nucaffè che vi aiuterà a scacciarlo via presto.

    Appena pronunciata l’ultima parola del suo incoraggiantesaluto, le fece eco una voce squillante ed acuta, che proveniva dallaparte più buia del locale: O dottore è ospite mio, sempre se non vi offendete. Era Ciro, un omone grosso, ma dotato di un fare armoniosoe gioviale. Indossava ancora la tuta da lavoro, quella tipica, di coloreblu, degli operai metalmeccanici, sbiadita e resa opaca dal continuoutilizzo. Grazie, molto gentile da parte vostra, ma non mi sembra ilcaso Il mio rifiuto era puramente formale; si vedeva lontano un miglioche il mio diniego aveva i toni di una tacita accettazione. Non so qualifossero i motivi di questa mia pronta disponibilità nei suoi confronti.

    Devo, però, riconoscere che Ciro aveva da subito catturatole mie simpatie. Dottò, mi rivelò abbassando gli occhi sulla tazzulelladi caffè appena servita da Maria e lasciando trasparire, in

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