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L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri
L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri
L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri
Ebook278 pages4 hours

L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri

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Terzo volume della trilogia fantasy-medievale de L'ULTIMA ALBA

Un monaco benedettino.

Un amore impossibile.

Un libro maledetto perso da secoli è stato ritrovato.

L'ultimo sigillo dell'apocalisse sta per essere spezzato.

Un uomo, una donna, una profezia, uno spettro fuggito dagli inferi e una spada.

Il destino dell'umanità è nelle mani di un giovane monaco. Riuscirà ad impedire la venuta del quarto Cavaliere dell'Apocalisse? Che la battaglia abbia inizio.

Una delle più belle storie d'amore di tutti i tempi.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateApr 9, 2013
ISBN9788891108340
L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri

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    L'ultima alba - Il risveglio dei Cavalieri - Cassidy McCormack

    Cassidy McCormack

    L’ULTIMA ALBA

    Il risveglio dei Cavalieri

    Della stessa Autice

    Ti Sento

    Temptation

    Della stessa collana

    Il sonno del Guerriero

    La Profezia

    Copyright: Cassidy McCormack 2012

    Edizione I 2012

    Volume III

    Copyright © 2013

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Titolo | L’ULTIMA ALBA - Il risveglio dei Cavalieri  

    Autore | Cassidy McCormack

    ISBN | 9788891108340

    Prima edizione digitale 2013

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Solo con te dice la donna mia

    Solo con te io farei l’amore, direi

    Di no anche a Giove.

    Dice così, ma quel che donna dice a un amante pazzo di lei

    Nel vento è scritto, nell’acqua è scritto.

    Caio Valerio Catullo

    Antefatto Storico

    Da quando, nel 410 d.C., Roma venne invasa e messa al sacco per la prima volta dai barbari VisiGoti, l’Impero d’Occidente si trovò nella condizione di vedersi scivolare di mano l’agiatezza e la quiete della vita classica a cui l’avevano abituato secoli di grandi uomini al comando, per dar spazio a discriminazioni razziali, saccheggi, persecuzioni religiose, espropriazioni, vandalismo, morte...

    Roma messa a ferro e fuoco dai barbari di Alarico, perse il suo titolo di Capitale in favore di Ravenna, una città costiera più semplice da difendere dalle turbolente invasioni di popoli barbari che occupavano ormai gran parte del territorio Italiano.

    Con l’ascesa al comando di Attila nel 445 d.C. in pochi anni il nord Italia vide sbriciolarsi anche gli ultimi rimasugli di civiltà. Pagheranno il prezzo della brama di conquista del feroce Unno: Aquileia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo e in parte anche Milano.

    Il tradimento di Genserico ora a capo a Cartagine dei pirati Vandali e la morte di Ezio, generalissimo della guardia imperiale, assassinato dallo stesso Imperatore d’Occidente Valentiniano III, innescarono la miccia che condusse il regno italico alla disfatta.

    I soldati tramarono contro l’Imperatore e non lasciarono passare più di un anno prima di vendicare il loro Generale.

    È il 16 marzo 455 d.C, quando due ufficiali assassinano l’Imperatore.

    Con la morte di Valentiniano III, il collasso dell’Impero d’Occidente è ormai alle porte.

    Il repentino forzato passaggio di comando del Regno italico – da Petronio Massimo prima ad Avito, Maggioriano, Libio Severo, Antemio, Oliario, Glicerio, Giulio Nepote, Romolo Augusto e Odoacre infine –, il violentissimo accanimento sulle coste Italiane e il sacco di Roma da parte dei Vandali di Genserico, e la pessima strategia politica dei più, decretarono in soli vent’anni la disfatta definitiva dell’Impero romano d’Occidente.

    Con il barbaro Odoacre iniziò inoltre l’espropriazione al popolo romano di un terzo delle terre italiche in favore dei suoi soldati barbari.

    Il suo regno di dittatura costrinse presto, Zenone, Imperatore d’Oriente a volgere la sua attenzione sulla sorte della popolazione italiana, che lo inondava di suppliche d’aiuto.

    Tuttavia, né gli Italiani quando chiesero il suo aiuto, né Zenone quando lo accettò, immaginavano minimamente che la decisione di deporre il Tiranno Odoacre sarebbe stata la miccia che avrebbe scatenato una delle guerre più devastanti dell’alto Medio Evo. La guerra Gotico-Bizantina.

    L’Italia intera, impreparata e stanca, stava per assistere allo sgretolamento del suo essere a colpi di ordini, rappresaglie e persecuzioni.

    Era l’anno 488 d.C. quando il Sovrano dei VisiGoti, Teodorico, ricevette il messo dell’Imperatore Zenone con la richiesta d’aiuto contro Odoacre.

    Solo cinque anni dopo, nel 493 d.C., Teodorico veniva acclamato nuovo Re d’Italia.

    In principio il governo di Teodorico non fu dei più tolleranti per gli italiani. Il popolo si aspettava un liberatore, ma troppo presto scoprì d’aver aperto le porte a un nuovo tiranno.

    Dopo aver assegnato ai suoi uomini le terre italiane che erano già state sottratte da Odoacre, Teodorico emanò una serie di leggi che miravano a mantenere ben distinte le due popolazioni.

    - È assolutamente vietato… - leggevano i banditori Goti nelle varie città e villaggi -… a qualunque italiano l’uso e il possesso di armi. Chiunque sarà trovato in possesso di queste sarà arrestato e soggetto alle severe leggi del nuovo Regno. L’ordine è di consegnare subito le armi agli ufficiali VisiGoti, pena la morte.-

    Nelle piazze, su un palco di travi o nei vecchi teatri e anfiteatri, il banditore affiancato da quattro soldati, lesse ripetutamente, per tre giorni l’editto del nuovo Re.

    - È assolutamente vietata l’unione matrimoniale tra Goti e Italiani.- e ancora - È severamente proibita la conversione dall’arianesimo al Cristianesimo.-

    Uno per volta, gli italiani si ammassarono attorno ai soldati per consegnare le armi. Qualcuno si rifiutò, provò a sottrarsi all’arresto, ma venne catturato e ucciso in pubblica piazza come monito per altri smaniosi ribelli.

    Nonostante tutto, Teodorico portò benessere e ricchezze ai romani.

    Nel 500 d.C. infatti, il nuovo Re fu così colpito dalla calorosa accoglienza che gli manifestarono il Senato, il popolo e il Clero romano durante la sua visita alla vecchia Capitale, che decise di stabilire il suo quartier generale proprio a Roma.

    Da quel momento provvide al restauro dei monumenti e al mantenimento della città, ristabilendo perfino l’usanza di distribuire cibo al popolo gratuitamente.

    Diversamente dai precedenti regnanti, Teodorico era un grande uomo politico, forse uno dei più grandi della sua epoca, se non il più illustre.

    Tenne a bada le altre popolazioni barbare conducendo una politica di alleanze attraverso matrimoni combinati.

    Pur se in possesso di un Re barbaro, l’Italia per un lungo periodo sembrò iniziare pian piano a riemergere dalle ceneri delle precedenti devastazioni.

    Erano passati oltre venti anni dall’incoronazione di Teodorico e da allora i suoi territori non erano più stati vittime di attacchi nemici.

    Le città avevano ricostruito le proprie mura, i contadini avevano permesso alla terra di rifiorire, i greggi si erano ripopolati, le strade tornavano ad essere sicure grazie all’azione militare contro il brigantaggio voluta dal Re. Le paludi Pontine venivano bonificate a spese della corona e le nuove terre, così ottenute, egualmente distribuite.

    Teodorico aveva regolato i prezzi delle merci, aveva annullato i sussidi statali alla chiesa per tenere basse le tasse, ma soprattutto, aveva riscattato i cittadini romani ridotti in schiavitù da altri popoli e li aveva stabiliti in Italia, affidando loro delle terre come contadini piccoli proprietari terrieri.

    Con questi minuti ed efficaci accorgimenti, Il Re riuscì a farsi amare e rispettare dal suo popolo. L’economia italiana cominciò a rianimarsi e la vita urbana tornò a un regime di normalità.

    Grazie a Teodorico, l’Italia tornò ad essere esportatrice di vettovaglie in tutto l’Impero.

    Eppure, i giorni di pace stavano per finire.

    Fu una pessima mossa, probabilmente studiata per scatenare una nuova guerra dalla quale sperava di rimpossessarsi di un regno al massimo della sua maturazione economico, quella del successore di Zenone, Giustiniano, che nel 523 d.C. pretese da Teodorico la restituzione di tutte le chiese ariane in favore del culto Cristiano.

    Questa assurda richiesta risvegliò l’assopito animo violento e vendicativo di Teodorico. Il Re infatti, rispose all’arroganza dell’Imperatore con una campagna di persecuzione dei Cristiani e dell’intera popolazione italiana, sospettata di tradimento in favore dei Bizantini.

    Teodorico regnò per altri tre anni, periodo in cui, le scorribande violente dei suoi soldati demolirono nuovamente lo spirito di un’Italia appena tornata con fatica al suo antico splendore.

    Le cittadine si ridussero a piccoli borghi ai quali seguirono perfino lunghi periodi di abbandono e desolazione. Gli uomini del Re si diedero al saccheggio incontrollato. I campi non furono più coltivati e gli edifici, dati alle fiamme, andarono sgretolandosi.

    Quasi l’intero paesaggio italiano divenne disagevole e inospitale.

    Teodorico morì a Ravenna il 30 agosto del 526 d.C.

    Aveva regnato rettamente per oltre trent’anni, ma prima di morire riuscì a restituire all’Italia quell’aspetto selvaggio che aveva trovato al suo arrivo.

    La morte del Re e le suppliche d’aiuto di una Regina maltrattata, convinsero L’imperatore d’Oriente di poter riconquistare l’Italia e ricacciare una volta per tutte l’orda barbarica che aveva invaso la penisola e che, soprattutto, non aveva alcuna intenzione di lasciarla. Giustiniano sapeva bene che i Goti si sarebbero battuti con le unghie e con i denti pur di assicurarsi il controllo del Regno, ma l’ennesima presunzione dell’Imperatore, che inviò il suo esercito alla conquista dell’Italia, diede il via a una Guerra di sangue senza fine.

    Nel 535 d.C. iniziò la fatale guerra al nuovo regno d’Italia. Al comando del Generalissimo Belisario, l’esercito Bizantino iniziò la sua opera di riconquista dalle splendide coste della Sicilia, proseguendo poi la risalita - villaggio dopo villaggio, città dopo città - contro gli uomini del nuovo Re Goto, Teodato.

    Belisario aveva con sé quattromila soldati tra federati e romani. Completavano l’esercito tremila Isaurici, duecento Unni, trecento Mori e altri soldati muniti di scudi e lance. Circa ottomila uomini in tutto. Aiutato nel comando, Belisario si circondava di fedeli e prodi comandanti: i due traci Costantino e Bessa; Peranio, principe degli Iberi; Valentino, Magno e Innocenzo, ufficiali della cavalleria; Erodiano, Paolo, Demetrio e Ursicino, capitani di fanteria; Ennete a capo degli Isauri.

    Questo era l’esercito che salpò da Costantinopoli per approdare e occupare la Sicilia prima di toccare le coste della Penisola.

    Nel frattempo, Mondone, ufficiale barbaro a capo della milizia bizantina nell’Illirico, ricevuto l’ordine di assalire i Goti in Dalmazia, riuscì a riprendere Solona.

    La Sicilia capitolò facilmente agli assalti Bizantini, le città presidiate dai Goti capitolarono una dopo l’altra, e con la presa di Palermo, la più fortificata, Belisario si vide nel palmo della sua mano l’intera isola.

    La caduta di Palermo diete vita a tutta una serie di negoziati fra Teodato e l’Impero.

    Teodato era disposto a cedere il regno per evitare una guerra contro i greci, ma la sconfitta di Mondone in Dalmazia, trucidato dai Goti di Grippa, Asinaio e di altri comandanti Goti, rafforzò l’animo timoroso del Re che rifiutò le trattative con l’Impero e si preparò a muovere battaglia contro il nemico.

    Per contro, Giustiniano inviò Costanziano in Dalmazia a riconquistare Salona una seconda volta, occupata da Grippa e i suoi uomini. Come sperato, questi riuscì a mettere in fuga il nemico e a rimpossessarsi di tutta la Dalmazia e la Liburnia, assoggettando all’Impero gli abitanti Goti di quelle terre.

    Ricevuto poi ordine di scacciare i Goti dall’Italia, Belisario lasciò un presidio a Siracusa e Palermo e sbarcò col resto dell’esercito a Reggio, che fu consegnata senza combattere da Ebrimuth, genero di Teodato, spedito poi a Costantinopoli, dove il titolo di Traditore gli fu abilmente mascherato con quello di Patrizio. Gli abitanti delle terre vicine, le cui città erano sguarnite di mura, o che avevano in odio i Goti, si diedero anch’essi spontaneamente a Belisario, lasciando che proseguisse indisturbato nella sua avanzata fino in Campania.

    Solo Napoli arrestò la sua corsa.

    E mentre due grandi eserciti si affrontavano per sconvolgere una nazione, un solo uomo aveva già sconvolto quasi un’intera regione.

    Un giorno quest’uomo portò la cultura in quei villaggi di pastori, che spaventati e stanchi vedevano ormai ad occhio nudo l’alba del giorno del giudizio e tremavano al pensiero dello squillo delle trombe degli angeli di un Dio che sembrava averli abbandonati. Quest’uomo, credendo di far bene, portò regole, leggi e divieti. Sconvolse il loro credo, le loro abitudini, i loro costumi.

    Voleva plasmare le loro anime, invitandoli ad uno stile di vita privo della corruzione di un Mondo al tramonto del suo essere, e fece di questo ideale la sua missione di vita.

    Il suo nome era Benedetto.

    17 Ottobre 542 d.C.

    La campana era al suo sesto rintocco della mezzanotte quando una violenta energia colse Luca alle spalle, inaspettata, scaraventandolo in avanti sotto gli occhi stupiti di tutti i presenti in raccoglimento per la veglia funebre. Rovinò contro il gradino dell’altare battendo la fronte sul ciglio dello scalino. Si alzarono tutti per aiutarlo. Lorenzo si chinò su di lui per sollevarlo da terra. Luca, accovacciato a terra a testa bassa, si teneva la fronte con una mano.

    Bastò che Lorenzo lo sfiorasse con la punta delle dita per farlo ritrarre, quasi fosse appena stato colpito da una fulmine. Lorenzo e gli altri indietreggiarono spaventati nel vedere i suoi occhi assumere il colore delle braci ardenti. Due occhi diabolici li scrutava ora come se non li avesse mai visti prima.

    L’Abate fece loro cenno di stare indietro prima di avvicinarsi con cautela al ragazzo.

    Luca intanto si guardava intorno. Sembrava non sapere dove fosse. Si alzò di scatto appena si accorse che l’Abate continuava a farsi avanti. Tese un braccio in avanti mostrando il palmo della mano che ora esibiva, lucente, il simbolo del Primo Cavaliere dell’Apocalisse. Non voleva che si avvicinasse ancora.

    I Fratelli si segarono ripetutamente stringendo in pungo il crocifisso che portavano al collo.

    - Sta tranquillo!- disse piano l’Abate - È tutto a posto. Sei al sicuro qui. Nessuno vuole farti del male.-

    Lo sguardo di Luca si incattivì al suono di quelle parole e un raggio di fuoco bianco scaturì dal palmo della mano colpendolo in pieno petto e scaraventandolo lungo la navata fin quasi al portone d’ingresso.

    Il grido dei monaci posò la sua l’attenzione su di loro, che a strattoni si spinsero l’un l’altro per guadagnare l’uscita.

    Nella confusione generale, l’Abate riuscì a rimettersi in piedi. Tornò a farsi avanti, seppur a fatica - Voglio solo aiutarti.- disse con voce soffocata dal dolore.

    - Harìf hàdi si thòrem!- gridò Luca con quanto fiato aveva in gola - Hìga mèni tun hèlem!-

    Quelle parole sconosciute frenarono perfino la corsa dei confratelli, che rimasero ad assistere sul soglia del portone.

    - Hèno mes da lohàri hìgo.- disse ancora.

    - Nom lahìri sedh!- rispose l’Abate allargando le braccia in segno di resa - Nom lahìri sedh!- ripeté con maggior convinzione.

    - Dòhine!-

    - Dòhine!- ripeté calmò Benedetto

    Con la stessa violenza di un attimo prima, Luca fu gettato a terra una seconda volta. Nessuno riusciva a vedere cosa fosse l’essere che gli premeva la schiena al pavimento tenendolo immobile per i polsi, ma tutti poterono vedere Luca contorcersi dal dolore e udire indistintamente le sue grida agghiaccianti. Lorenzo non riuscì a resistere e fuggì via coprendosi le orecchie con le mani. Livio si voltò per non guardare, gli altri pregavano in coro a voce alta, senza neanche rendersene conto.

    Presto le urla svegliarono tutti, che si ammassarono sull’entrata uno dopo l’altro.

    Non senza timore, l’Abate si avvicinò quel tanto da permettergli di afferrare la sacca contenente il Libro. Se la strinse al petto e fece qualche passo indietro per raggiungere gli altri. Non poteva fare di più.

    Il bracciale sull’avambraccio di Luca emanava una luce bianca pulsante.

    Erano tutti senza parole, mentre chi avrebbe avuto la forza di parlare si teneva una mano sulla bocca.

    Diversi tagli ed escoriazioni iniziarono a comparire sul corpo di Luca, macchiando il pavimento col suo sangue, poi, all’improvviso, un spaventoso silenzio li avvolse tutti.

    Luca non si muoveva più. Nonostante il suo petto si gonfiasse a fatica per prendere aria.

    Che fosse tutto finito?

    Il primo a farsi avanti fu l’Abate, seguito pian piano da una piccola folla di curiosi. Lucio gli era accanto e lo aiutò ad inginocchiarsi accanto a Luca. Stringeva forte la sacca che gli aveva affidato.

    Benedetto sfilò un fazzoletto dalla cintola e asciugò con cura sangue e sudore dal volto di Luca. Stava per scostargli i capelli all’indietro quando con uno spasmo improvviso Luca si sporse in avanti liberando un ultimo grido di dolore. Un abbondante macchia di sangue imbrattò la tunica sull’addome.

    L’Abate ne frenò la ricaduta. Aveva il cuore in gola dallo spavento, ma riuscì ugualmente a ordinare che lo aiutassero subito a portare Luca in infermeria.

    Solo Lucio, Stefano e Severino ebbero il coraggio di farsi avanti.

    - E adesso cosa facciamo?- chiese Lucio mentre versava dell’acqua in un catino.

    - Antonino avrebbe saputo cosa fare!- rispose allarmato Severino.

    L’Abate intento a tagliare via gli abiti dal corpo di Luca, anche se sembrava non prestare attenzione ai due monaci disse - Non perdiamo la calma proprio adesso.- le mani gli tremavano. Non aveva la minima idea di cosa fare - Dov’è Orazio?- strillò - Portatelo subito qui. Anche a calci se necessario.- guardò Lucio - Che aspetti. Muoviti!-

    Luca parlava ne sonno. Si lamentava. Si agitava.

    - Si può sapere cosa sta succedendo?- chiese Stefano con un velo di collera - Non puoi continuare a tenerci all’oscuro così.-

    - Non è questo il momento!- rispose l’Abate premendo un panno sulla ferita all’addome di Luca per arrestarne l’emorragia.

    - E quando credi che sarà il momento? Sta morendo, non lo vedi?-

    - Smettila!- lo rimproverò.

    Orazio entrò in infermeria ansimante. Pallido in volto, appena vide tutto quel sangue dovette affondare il viso in un secchio lì accanto per non rimettere sul pavimento davanti a tutti.

    Benedetto lo raggiunse rabbioso, strattonando Lucio e Severino che avevano provato a fermarlo, afferrò Orazio per la tunica imbrattandogliela di sangue e lo trascinò di forza fino a Luca.

    - Dimmi cosa farebbe Antonino in questa situazione.-

    - Io..- balbettò - Io non lo so!- tremava - È la prima volta che vedo un caso come questo. Era Luca ad aiutarlo in questo tipo di interventi, io mi limitavo ad assistere gli infermi.-

    - Non mentire.- lo ammonì, scrollandolo per le spalle - Luca lavorava con lui solo da pochi mesi.-

    Stefano intervenne liberando Orazio dalla sua morsa - Dice la verità! Luca non aveva il permesso di entrare a conoscenza delle sue arti erboristiche, ma lo affiancava regolarmente durante gli interventi.-

    - Perché io non ne sapevo niente?-

    - Perché quando ti è stato chiesto non l’hai permesso, ma Luca era l’unico in grado di assisterlo e quindi abbiamo preferito fare a meno del tuo consenso!-

    - Tutto questo è imperdonabile.- ringhiò.

    Le prime luci del mattino schiarirono la stanza attraversando la porta aperta.

    - Non è questo il momento!- lo ripassò Stefano - Pensiamo prima a fermare tutto quel sangue.-

    Con un rantolo e un eccesso di tosse un rivolo di sangue colò dall’angolo della bocca del ragazzo.

    L’Abate scosse la testa disperato, portandosi alla fronte una mano lorda di sangue - Non so che cosa fare.-

    - Usa il Libro!- esordì Achille facendosi avanti dal fondo della stanza - Se vuoi che viva devi usare il Libro. Non c’è arte umana che possa curare quella ferita.-

    Benedetto guardò uno per uno i suoi uomini - Lasciatemi solo!- disse.

    - Ma…- provò ad obiettare Severino.

    - Ho detto: Fuori!- sbraitò.

    Achille si aggirava guardingo ai piedi del letto di Luca - Dimmi cos’è successo!- chiese.

    - Perché, non lo sai già?- Benedetto, in laboratorio frugava fra i residui di pergamene dei codici di Antonino.

    - Non troverai le tue risposte lì in mezzo. Stai solo perdendo tempo.-

    - Perché dovrei fidarmi di te? Credi che non sappia chi sei?-

    - Sei fastidiosamente presuntuoso!- ghignò il soldato.

    L’Abate lo fissò minaccioso - Attento!-

    Un lamento di Luca richiamò la loro attenzione su di lui.

    - Non capisco perché esiti tanto!- brontolò il soldato - Antonino avrebbe agito senza pensarci un attimo.-

    - Sono responsabile della sua anima. Non sarò lo strumento che gliela catapulterà fra le fiamme dell’inferno.-

    Achille si fermò. Sorrise. Un sorriso nervoso - Ma è questo che credi? È questo il motivo per cui lo stai lasciando morire?- si avvicinò rabbioso - Maledetta ignoranza! È ancora vivo!- lo indicò - La sua anima non è vincolata dal maleficio finché c’è anche un solo alito di vita nel suo corpo.-

    Benedetto lo guardò. Dubbioso.

    - Vuoi fare qualcosa o no?- gridò.

    Un corvo varcò la soglia del laboratorio saltellando sulle due zampette. Con un balzo e due battiti d’ali si issò sul bancone al centro del laboratorio. Gracchiò.

    - Prova a fidarti di me!- lo implorò Achille.

    Con un rapido gesto del braccio, l’Abate sollevò la sacca sul banco. Prima di aprirla lanciò un’ultima occhiata al soldato, che si maltrattava le mani per scaricare il nervosismo crescente. Slacciò la bocca della sacca e vi immerse il braccio per recuperare il Libro ancora avvolto nel suo involucro di stoffa.

    - Attento a non toccarlo!- lo avvisò Achille - Dovrebbero esserci anche dei guanti nella sacca.

    Assicuratosi di avere le mani protette, l’Abate aprì il Libro dopo un primo momento di esitazione - Questo è uno strumento del male!- disse fra sé - Che Dio mi perdoni!-

    - Ti perdona, ti perdona!- rispose lo spettro per mettergli fretta.

    Il primo capitolo del Libro conteneva la descrizione dettagliata di almeno duemila piante dalle straordinarie caratteristiche medicamentose. Il secondo era dedicato alla raccolta di oltre seimila pozioni per la cura di innumerevoli malanni. Il terzo era occupato da una lista di seicentoottantaquattro veleni naturali. Il quarto completava il terzo con duemilanovantotto pozioni letali. Il quinto era interamente dedicato ai sortilegi di vita: centoventinove tra pozioni e formule che garantivano la completa guarigione in caso di ferite o malanni mortali. Solo il sesto era dedicato ai malefici di morte. Mentre il settimo conteneva la lista delle uniche formule contrarie di quest’ultimi. Un capitolo neutro, tre di

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