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Il sole di Axum. Sulle orme della regina di Saba
Il sole di Axum. Sulle orme della regina di Saba
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Ebook266 pages4 hours

Il sole di Axum. Sulle orme della regina di Saba

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About this ebook

Quando la giovane Makeda, regina di Saba, affronta le sabbie del deserto per fare visita al re Salomone, sovrano celebre per la sua sapienza, non sa che a Gerusalemme scoprirà non solo una nuova dimensione del sapere, ma anche e soprattutto del proprio essere.
LanguageItaliano
PublisherRena Hawke
Release dateSep 17, 2013
ISBN9788868556075
Il sole di Axum. Sulle orme della regina di Saba

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    Il sole di Axum. Sulle orme della regina di Saba - Rena Hawke

    Salem.

    Capitolo Uno

    Makeda aprì cautamente un occhio solo. Le bastò osservare lo spicchio di luce che si disegnava sul pavimento vicino al sofà su cui era comodamente accoccolata, per capire che il sole era ormai alto nel cielo.

    Non che le piacesse dormire fino a tardi di solito: l’aurora tropicale era un’esperienza rigenerante che preferiva gustare all’aria aperta tutti i giorni. Ma quella mattina il suo corpo aveva il peso di un elefante, tanto si sentiva stanca.

    I festeggiamenti al dio Almaqah si erano protratti fino a notte inoltrata e, quale sovrana di Saba nella terra di Cush¹, in Etiopia, aveva dovuto presenziare a tutte le cerimonie. Impegno sempre molto faticoso per lei.

    Del resto era la festa più importante dell’anno e, comunque, Almaqah se lo meritava anche: era il dio che aveva sempre protetto suo padre, il re Agabo, e suo nonno, re Rashid di Saba.

    Forse sarebbe stato opportuno far slittare al pomeriggio il consiglio reale che si teneva ogni anno all’indomani della festa di Almaqah. Di sicuro il dio non si sarebbe formalizzato per qualche ora di ritardo e avrebbe illuminato lo stesso i partecipanti nella stesura del programma annuale. Ma per quell’anno ancora non sarebbe andata così: i suoi fidati consiglieri con il sole così alto erano di sicuro già raccolti in attesa che lei, la regina di Saba, arrivasse. Ma sì, ma sì sapeva bene che i sovrani possono farsi attendere. Ma c’era un limite. Forza, bisognava solo alzarsi.

    La regina spalancò entrambi gli occhi nell’intento di riguadagnarsi più in fretta la realtà. Chiamò a raccolta tutte le sue energie e si alzò. Buon giorno, Makeda. Immediatamente si diresse nella stanza delle vesti.

    Qui una giovane ancella dalla pelle scura, Nika, la stava aspettando da un po’. Non appena vide la sovrana, la ragazza le andò incontro e subito si accinse ad aiutarla a liberarsi della veste della notte. Secondo le istruzioni ricevute la sera prima, iniziò a drappeggiarle addosso la tunica con i ricami d’oro che la regina indossava sempre per il consiglio reale. Finita la vestizione, Makeda si accomodò sopra un sedile e l’ancella cominciò ad acconciarle i capelli.

    Nika, mi fai male! reclamò la regina, portandosi le mani alla testa.

    Scusate, Maestà! Scusate, scusate, scusate! C’era un nodo nascosto, credetemi vi prego! si giustificò con grande apprensione l’ancella, saltellandole intorno.

    La sovrana non fece in tempo a dirle che non era il caso che si mettesse a piangere, quando qualcuno scostò il tendaggio che delimitava la stanza.

    Buongiorno, Maestà! Disturbo?

    La regina non girò nemmeno la testa.

    Certo che disturbi! Non vedi che sono impegnata? rispose tranquilla. Spero solo che il motivo della visita sia pregiato, altrimenti darò ordine ai miei uomini di non lasciarti più passare!

    Makeda aveva riconosciuto subito la voce di Tamrin, il mercante, che a corte era di casa: era stato un grande amico di suo padre, il re Agabo, che invece già da sette anni li aveva lasciati per ricongiungersi al Sole.

    Una regina così giovane e così bella non dovrebbe essere già nervosa di prima mattina, Maestà!

    I mercanti avevano sempre una risposta per tutto. Makeda, anche se ormai aveva ventotto anni, si stava ancora chiedendo se erano stati gli affari a sciogliere in quel modo la lingua di Tamrin o se fosse stata piuttosto una sua dote di natura. Certo era che il mercante riusciva sempre ad avere l’ultima parola in ogni situazione. Ma Tamrin era quasi parte della sua famiglia, quindi, nel bene o nel male, andava sopportato. C’era solo da sperare che non ci fossero guai nell’aria, considerata l’ora inusuale della visita.

    L’ancella, che intanto aveva finito di pettinare e di raccogliere i capelli della regina sulla sua nuca, si dileguò in fretta e lasciò la sovrana sola con l’inatteso ospite.

    Makeda, con i suoi raffinati lineamenti arabi ereditati dai genitori, si alzò in piedi, restituendo a Tamrin l’immagine di una bellissima donna.

    Tamrin, inchinatosi allora goffamente, cioè fino a dove la sua pancia glielo permise, disse: Non so se sia la spilla di brillanti che vi chiude la tunica sulle spalle, Maestà, ma siete davvero incantevole stamattina.

    Non era facile restare seri davanti a Tamrin, nemmeno quando cercava di essere gentile. Forse era la sua faccia rotonda, forse era perché era tutto rotondo. Makeda si impose di non perdere la sua compostezza, perciò, cercando di mantenere un tono sostenuto, rispose:

    Se cominci con i complimenti, Tamrin, significa che devi farti perdonare qualcosa.

    No, Maestà, questa volta vi sbagliate! rispose il mercante agitando tutte e dieci le sue dita davanti alla sua regale interlocutrice. Ci tenevo solo a che foste informata subito del fatto che ho ricevuto un’ambasciata da parte del re Salomone.

    Makeda, per qualche interminabile istante, non reagì, poi, come riemergendo dai suoi pensieri, chiese:

    Re Salomone? Il re del Nord che regna su Giuda e Israele?

    Esatto.

    Tutti sapevano chi era il re Salomone e tutti ne conoscevano la potenza, la ricchezza e mormoravano sulla sua proverbiale sapienza.

    Tamrin! esclamò la regina in tono di marcato rimprovero. Mi avevi detto che non hai nulla di cui farti perdonare!

    Mi confondete, Maestà bofonchiò il mercante, in realtà non molto preoccupato del richiamo.

    Tamrin! continuò la regina con solenne tono irritato "Da quando in qua ad Axum si presenta il messaggero di uno dei re più potenti del mondo e questo non viene introdotto immediatamente a corte dalla regina di Saba? Che cosa è diventato il glorioso trono del re Agabo? Una sgangherata sedia da tavolo?"

    A dire il vero... balbettò Tamrin, tuttavia rassicurato dalle motivazioni rese dalla sovrana per il suo risentimento "non si è esattamente presentato ad Axum un messaggero del re Salomone… l’ambasciata ha fatto qualche passaggio di mano... È stato il mercante Alì di Saba a portarmi il messaggio che a sua volta aveva ricevuto da Amos, un mercante fenicio che aveva incontrato nell’ultimo suo viaggio alle terre del Mare Bianco di Mezzo²".

    Makeda storse il naso: Alì di Saba… Amos… E c’è da fidarsi?

    Maestà, non sono un ragazzino! replicò il mercante, sinceramente indignato per la poco considerazione manifestatagli dalla giovane regina. Conosco personalmente il mercante Amos di Tiro, sono in affari con lui. Quando vado lassù sono sempre suo ospite e so bene che vanta molte conoscenze alla corte di Gerusalemme. E poi guardate qui cosa mi ha consegnato Alì a riprova della bontà dell’offerta disse ancora Tamrin, estraendo dalla bisaccia un medaglione d’oro a forma di semicerchio, che presentava una profilatura irregolare nella parte corrispondente al diametro. Questo gioiello sarà il mio segno di riconoscimento quando mi presenterò a corte. Mi è stato detto che si incastra perfettamente, nella parte in cui è smozzicato, con un altro medaglione speculare a questo che c’è a Gerusalemme, cosicché insieme formano un cerchio perfetto. E questa è sicuramente lavorazione ebraica! continuò il mercante rigirando l’oggetto fra le mani.

    La regina allungò il collo per vedere meglio il medaglione e commentò:

    Di sicuro non è fatto né qui, né dai sabei... Ma andiamo al sodo, Tamrin. Cosa vorrebbe questo Salomone proprio da te?

    Sembra che il re stia ultimando la costruzione di un grande tempio a Gerusalemme, iniziato ormai sette anni fa e per questo mi chiede di vendergli materiali pregiati di vario tipo. Vuole portare a termine nel lusso più sfrenato il suo grandioso progetto. Penso che gli procurerò soprattutto oro rosso e pietre preziose dall’Arabia. Del resto si dice che negli ultimi tempi Salomone sia diventato ricchissimo, quindi non dovrebbe avere difficoltà a rendermi i lauti compensi che mi ha promesso.

    Bene... E questo significa che ora abbiamo il fiato sul collo non solo degli egiziani, ma anche degli ebrei! commentò Makeda, incrociando le braccia.

    Maestà, non esagerate! Sapete che noi mercanti conosciamo bene la geografia. Vi assicuro che sia gli egiziani che gli ebrei sono abbastanza lontani da qui.

    Da qui, sì, ma dalle vie dell’incenso che controlliamo noi sabei non così tanto, Tamrin! puntualizzò la regina.

    Il mercante, preoccupato solo della ricchezza che gli sarebbe derivata dalla consistente proposta commerciale del re Salomone, si diede da fare per rassicurare Makeda:

    Maestà, non conviene vedere sempre il peggio! Non è detto che questo Salomone debba per forza esserci ostile. A me ha solo proposto un affare di sicuro vantaggioso...

    Tamrin, sei abbastanza vecchio per sapere che le cose non sono sempre come sembrano.

    Vorreste dire che Salomone potrebbe volermi imbrogliare? chiese Tamrin, grattandosi la testa.

    Tamrin, non capisci che ci può essere ben altro sotto alla richiesta che ti è stata fatta?

    Il mercante, temendo che la regina gli volesse impedire di accettare la commessa e quindi di partire per il regno di Israele, argomentò:

    Capisco, capisco, Maestà... ma avrò perso tanti capelli per qualcosa, non vi pare? Ci starò attento, certo… Comunque, già fra due giorni dovrei essere in grado di mettermi in viaggio.

    Makeda guardò oltre Tamrin per qualche istante, poi disse:

    Potrebbe non essere una cattiva idea, Tamrin. Ma sarà tuo compito capire se Salomone ci è ostile o se sta cercando la nostra amicizia.

    Sollevato dalle parole della sovrana, Tamrin rispose:

    "Avrete le informazioni che chiedete, regina Makeda, ve lo prometto. Passerò prima dall’Arabia: prenderò lì la merce per il tempio di Gerusalemme. Mi fermerò a Marib³, nella capitale del regno di Saba. Se avete qualche messaggio da recare al re Shams vostro fratello, sono a vostra disposizione".

    Certo, Tamrin. Riferiscigli che le cose ad Axum vanno bene e che la regina gode sempre di ottima solitudine.

    Come avete detto, Maestà? chiese Tamrin, aggrottando le sopracciglia.

    Lascia stare, Tamrin. Digli che va tutto bene rispose la regina, rinunciando alla battuta polemica nei confronti del fratello, che ormai stava facendosi sempre più insistente perché prendesse marito al più presto.

    Sarà fatto, Maestà rispose il mercante, facendo il cenno di andarsene.

    Aspetta, Tamrin... disse allora Makeda Forse è meglio che tu porti questo a Salomone da parte mia e così dicendo Makeda si tolse la collana che indossava, sfilò il medaglione che vi era appeso e su cui vi era inciso un cammello, o almeno dei segni che lo richiamavano bene, e lo consegnò al mercante. Digli che è da parte della regina di Saba o di Axum, come preferisci, e digli che la regina vuole così rendere omaggio al re Salomone e al suo potente regno. Ti attendo per un resoconto e, mi raccomando, anche sul re Salomone, anzi soprattutto sul re. Non dimenticare.

    Al vostro servizio, Maestà.

    Tamrin.... Hai un’adeguata scorta a protezione delle merci che trasporterai, vero? Insomma siete ben armati, no?

    Certo Maestà, come sempre. Le mie carovane viaggiano sempre in sicurezza.

    Bene. Se avrò qualcosa d’altro da comunicarti, te lo farò sapere prima della partenza. Almaqah vi accompagni!

    I miei rispetti, Maestà! e così dicendo Tamrin si inchinò e uscì a passi veloci dalla sala. Aveva poco tempo e doveva raccogliere i carovanieri e il vettovagliamento da portare con sé.

    Makeda si girò verso la finestra.

    Mae-tà! Mae-tà! Mae-tà! gracchiò intanto il pappagallo seduto su di un trespolo d’oro. Makeda lo raggiunse e gli accarezzò il capo. Il magnifico uccello verde dal collare blu e il becco rosso era stato di suo padre, il re Agabo.

    Agabo aveva vent’anni anni e viveva ancora a Saba con la sua nobile famiglia, quando, lungo le rive del Mar Rosso, nell’Arabia del Sud, si era imbattuto nel volatile. Come faccia a nascere una grande amicizia fra un pappagallo e un ragazzo, non è semplicissimo a comprendersi, ma può aiutare la considerazione del fatto che in Arabia Agabo non aveva mai visto uccelli del genere e questo era sicuramente arrivato fino a lì con qualche imbarcazione. Fatto sta che i due familiarizzarono subito, Agabo chiamò l’amico piumato Rorò, come il primo verso che era riuscito a fargli pronunciare e, come in tutte le belle storie, se lo portò con sé e non si separò più da lui. Il re Agabo diceva sempre a Makeda che Rorò era dotato di un’anima speciale, in grado di comunicare con gli spiriti della vita, e che era il miglior consigliere reale che avesse mai avuto.

    Non a caso Rorò era stato testimone di tutte le vicende che avevano segnato la vita di Agabo di Saba: il pappagallo era al suo seguito quando questi, ancora giovane, lasciò il regno di Saba per trasferirsi ad Axum⁴, con la moglie Syrin, figlia del re Rashid di Saba, e con un nutrito gruppo di sabei⁵ in cerca di fortuna nella verde e fertile Terra di Cush; l’uccello era sempre con Agabo quando questi riunì a casa sua gli indigeni di Axum per organizzare la cacciata del tiranno Arweche ed era sulla sua spalla quando i cushiti vollero proclamarlo re di Axum in segno di riconoscenza, dopo che il crudele Arweche era stato messo in fuga; appollaiato sul suo trespolo d’oro, Rorò aveva preso parte ad ogni consiglio reale del nuovo regno di Axum, incluso quello durante il quale fu decretata la partenza di Shams, il primogenito di Agabo, per il regno di Saba, dove, nella nuova capitale Marib, sarebbe succeduto al nonno Rashid, morto senza eredi maschi; infine il pappagallo era sulla spalla del suo amato padrone al momento della morte della sua unica moglie Syrin, e sul trespolo d’oro nella camera reale, quando la dea della Morte era venuta a portarsi via il re stesso.

    Sì, Makeda sapeva bene di aver ereditato essenzialmente due cose dal regale genitore: il trono e Rorò, o forse addirittura: Rorò e il trono. Certo che Rorò cominciava ad essere vecchiotto: ormai era meno incline a svolazzare e il suo superbo piumaggio aveva decisamente perso un po’ di smalto. Makeda si chiedeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto cercare negli occhietti del suo amico piumato il riflesso dell’immagine del proprio padre, alto, pelle appena scura, enormi occhi neri in un viso scarno incorniciato sempre da un turbante chiaro. La giovane regina, guardando Rorò, si trovava spesso a conversare con suo padre, come se questi fosse ancora presente.

    Che dici Rorò? Guai in vista o possiamo ancora dormire tranquilli? disse la regina ad alta voce, sperando che qualche spirito lo illuminasse davvero.

    Ta-chilli, ta-chilli le fece ecco il volatile.

    Uhm… Due a uno, allora! Anche tu con Tamrin. Makeda sospirò. Questo regno mi pesa come un macigno, Rorò. Non potrei sopportare il rimorso di non aver saputo reggere ciò che mio padre Agabo ha messo insieme con tanta abilità e persino con l’appoggio degli indigeni cushiti, che non vedevano l’ora di liberarsi dalla pesante oppressione del tiranno Arweche.

    Makeda si fermò un attimo, poi, come se stesse rispondendo a qualcosa che aveva appena sentito, aggiunse:

    "Sì, padre. So bene che non devo farlo solo per te, ma per tutto il nostro popolo… Adesso poi che abbiamo il controllo, oltre che sulla via araba dell’incenso⁶, anche su quella africana⁷… sempre più difficile però: gli abitanti aumentano ogni giorno… Ti ho già detto che ad Axum sono diventati così tanti i sabei giunti dall’Arabia in cerca di verde e di acqua, che hanno quasi pareggiato il numero della gente indigena? Adesso la popolazione è mezza scura di pelle e mezza chiara".

    Mentre Makeda continuava a grattare il capo del volatile le parve di sentire di nuovo la voce di suo padre Agabo:

    Sei regina di un grande regno e devi saperlo reggere. Ci vuole forza per governare, ma ricorda che la più grande forza di un sovrano, Makeda, non viene dall’esercito, ma dalla sua saggezza e la saggezza viene dalla conoscenza. In terre lontane, come in Egitto e nella terra di Caanan, sanno raccogliere la conoscenza su fogli di papiro o sulla pietra, disegnando le parole. Disegnare le parole è una magia che mette in contatto l’uomo con gli dei e l’uomo con gli altri uomini.

    La regina ripeté ad alta voce: Disegnare le parole è una magia che mette in contatto l’uomo con gli dei e l’uomo con gli altri uomini… Bisognerà che capisca bene come funziona il disegno delle parole prima o poi… E comunque, chissà se questa storia della sapienza di Salomone è vera o se è solo una bufala! Sarei davvero curiosa di… Makeda si fermò un attimo, incrociò le braccia al petto e aggiunse: Ora che ci penso, mi sa che anche che gli ebrei sappiano disegnare le parole. E adesso il loro re ci ronza pure intorno… Credo che tu abbia ragione, padre: dovrò fare due chiacchiere con Ioab, e forse non solo due.

    Capitolo Due

    Makeda era in piedi di fronte al portone del palazzo reale, in compagnia del fidato Nabil, il vizir di corte, circondata dalla sua scorta personale, incaricata di tenere lontano la gente che si accalcava lungo la strada. Non era molto regale ritrovarsi circondata dalla folla in quel modo, ma non si poteva fare diversamente e non avrebbe potuto mancare all’occasione: Tamrin e il suo nutrito seguito erano in partenza alla volta del regno di Giuda e Israele.

    Il serpentone di persone carri e cammelli, almeno quattrocento, lentamente si stava avvicinando alla sua postazione.

    Mentre la carovana stava sfilando davanti alla regina, Tamrin si fece largo tra la folla e la raggiunse:

    Maestà, mettiamo nelle vostre mani questa spedizione. Vi prego di seguirci con il vostro pensiero e di pregare il dio Almaqah, affinché tutto possa andare per il meglio.

    Sarà fatto, Tamrin rispose la regina, chinando leggermente la testa. Per il resto sai che restiamo in attesa di più informazioni possibili.

    Vi ho già dato la mia parola, Maestà rispose Tamrin inchinandosi e, subito dopo, rivolto al vizir, aggiunse:

    Gran Vizir Nabil, anche a voi i miei rispetti e il mio saluto prima di questo viaggio.

    Nabil, avvolto nella sua tunica nera e nel suo turbante pure nero, gli rispose:

    Va’, va’ Tamrin, e portaci buone notizie.

    Almaqah vi protegga, Tamrin. A presto! disse ancora Makeda.

    A presto, Maestà! rispose il mercante, alzando le braccia al cielo e cominciando ad arretrare con qualche inchino. Quando fu abbastanza distante le voltò le spalle e ritornò veloce al suo carro.

    Makeda, intanto, aveva scorto poco lontano l’inconfondibile chioma bianca di Ioab.

    Ioab, ormai sulla sessantina, era a capo di una piccola comunità di ebrei che da almeno un paio di decenni si era stabilita ad Axum. La sovrana era bambina quando Ioab era stato invitato a palazzo dal re Agabo, suo padre, e ricordava ancora bene come il suo genitore avesse apprezzato l’elevato livello di conoscenza che quell’uomo aveva dimostrato di avere. Era davvero molto curiosa di iniziare le lezioni di ebraico con lui. Non vedeva l’ora di cominciare.

    Ioab stava intanto affettuosamente abbracciando il figlio Lyas, un ragazzo di circa sedici anni, anche lui in partenza con Tamrin per Gerusalemme.

    Quando Lyas, lo lasciò per salire sul carro, Ioab cercò di farsi strada fra la gente e, ottenuto dalle guardie il permesso di avvicinarsi alla regina, quando la raggiunse, con un inchino la salutò rispettosamente e disse:

    Maestà, vi ringrazio ancora per la fiducia che avete accordato a mio figlio Lyas, pure molto giovane, mettendolo al fianco di Tamrin come interprete. Questo mi rende molto onore e comunque sono molto emozionato per la sua partenza. Anche lui finalmente, potrà vedere la terra da cui proveniamo.

    Sono certa che la sua conoscenza della lingua ebraica sarà di grande aiuto a Tamrin.

    Tamrin mi ha detto che se lo porterà con sé anche nelle trattative con il re.

    Sarà sua convenienza farlo, Ioab, perché nulla sfugga dal controllo puntualizzò la regina.

    Ma dite Ioab intervenne Nabil. Che cosa sapete di questo famoso tempio di Salomone?

    Visir, è più di quarant’anni che manco da Gerusalemme, ormai posso riferirvi solo di qualche voce che mi è giunta all’orecchio...

    Dite, dite, Ioab.

    So che i lavori per l’edificazione di un grande tempio a Gerusalemme sono iniziati da qualche anno. Credo che ormai sarà finito.

    Quindi intervenne Makeda questo re Salomone si è cimentato in quest’opera non appena salito al trono...

    Più o meno, Maestà riprese Ioab. "La costruzione del tempio, in realtà, era stata un’ispirazione del

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