Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'Ultimo Respiro
L'Ultimo Respiro
L'Ultimo Respiro
Ebook372 pages4 hours

L'Ultimo Respiro

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Un anno dopo l’incoronazione, Morwen, divenuta Regina degli Inferi, governa incontrastata sulla Terra Oscura. La Principessa Kamria, Protetta di Vueno, è diventata sua allieva, ma il suo addestramento si rivelerà più arduo di quanto immaginasse. Tra soprusi, violenti combattimenti e l’inesorabile crudeltà della sua Maestra, Kamria incontrerà un giovane misterioso, destinato a cambiare non solo la sua vita, ma anche il destino di coloro che le sono accanto. Un giovane per cui tutto ebbe inizio…
È il momento di tornare a Penthànweald, poiché la passione bruciante del Principe e della Regina è pronta a incendiare nuovamente il loro futuro.
La nascita di un nuovo amore porterà con sé una scia di dolore e distruzione.
Un amore immortale scriverà nel fuoco il fato di Morwen e Galadir.
La vendetta di Maithon porterà il nome del Protetto di Dahan, e tutto crollerà.
Una nuova battaglia mortale ha inizio. E la neve pretende il loro sangue.
LanguageItaliano
PublisherChiara Cilli
Release dateFeb 9, 2014
ISBN9788868857097
L'Ultimo Respiro

Read more from Chiara Cilli

Related to L'Ultimo Respiro

Titles in the series (4)

View More

Related ebooks

Sagas For You

View More

Related articles

Reviews for L'Ultimo Respiro

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'Ultimo Respiro - Chiara Cilli

    Chiara Cilli

    L'Ultimo Respiro

    UUID: 396df366-8058-11e8-a933-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prologo

    Parte Prima

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    Parte Seconda

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    Parte Terza

    16

    17

    18

    Epilogo

    Glossario dei nomi propri e delle parole magiche

    Ringraziamenti

    L'autrice

    Un romanzo della saga

    LA REGINA DEGLI INFERI

    L'Ultimo Respiro

    © 2010 Chiara Cilli

    www.autricechiaracilli.blogspot.it

    Copertina by © Gaetano Di Falco

    www.gaetanodifalco.com

    Questo libro è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi, e avvenimenti sono frutto dell'immaginazione dell'autore o sono usati in modo fittizio. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, vive o defunte, è del tutto casuale.

    Alla mia mamma,

    perché è la fan numero uno di Morwen e Galadir

    e perché ha fatto irruzione in camera mia dopo

    aver letto il libro, dichiarando con le lacrime agli

    occhi che sono davvero molto cattiva.

    A R./Te,

    perché è solo grazie al tuo sorriso

    che sono andata avanti

    a scrivere questo libro.

    Sei la mia e la sua àncora, lo sai.

    A M./Te,

    perché sei tu a darmi la forza,

    non io a darla a te.

    Sei il mio monolito, e la mia anima ti appartiene.

    Holding my last breath

    Safe inside myself

    Are all my thoughts of you

    Sweet raptured light it ends here tonight

    Evanescence

    Prologo

    Palazzo Reale di Thera, Terra degli Uomini

    « Ed ecco il figlio del sole!»

    Galadir sorrise a Donel, appena entrato nella sua camera, e gli scoccò un'occhiataccia. «Piantala, fratello.»

    «Chi la fa, l'aspetti. O non ricordi le tue amorevoli battute il giorno delle mie nozze, fratello?» chiese Donel, mettendogli una mano sulla spalla.

    Galadir fece una smorfia.

    «Galadir.» Donel lo scosse per avere la sua attenzione. «Sono fiero di te.»

    Il Protetto lo fissò intensamente, quasi non riuscisse a credere a quelle parole. «Grazie, fratello.»

    Donel sorrise e gli strizzò l'occhio. Poi gli posò anche l'altra mano sulla spalla, inclinando il capo con aria sardonica. «Posso avere l'onore di abbracciare lo sposo?»

    Galadir rise e deviò lo sguardo, imbarazzato. «Certo che puoi.»

    «Bene» disse Donel dopo qualche secondo, scostandosi. «Sei pronto?»

    «Quasi.» Galadir scrutò in tralice i servi che mettevano in ordine la sua stanza. «Dammi solo… qualche minuto.»

    «Ti tremano le gambe, fratello?» lo canzonò Donel.

    «No, no» si affrettò a rispondere lui.

    Donel inarcò un sopracciglio. «D'accordo…» Si mise le mani sui fianchi, analizzando la situazione. «Hai bisogno di qualcosa?»

    «No, grazie. Ho tutto.»

    «Perfetto.» Donel batté le mani. «Tutti fuori, svelti!» ordinò ai servi. «Lasciamo lo sposo a meditare.»

    Galadir scosse la testa, lanciandogli un'occhiataccia. Donel eseguì una comica riverenza e uscì come se fosse stato inseguito da un branco di cavalli imbizzarriti.

    Dopo che l'ultimo servo se ne fu andato, Galadir osservò la stanza, trasformatasi in un candido nido d'amore per i futuri sposi. Respirò profondamente; era in preda a un'ansia crescente e stizzito al tempo stesso.

    Niente panico, niente panico.

    Si sfregò nervosamente le mani, camminando sul posto.

    Sono calmo, sono calmo.

    Gli venne la tentazione di uscire dalla finestra e affacciarsi al balcone, ma si trattenne: vedere i cittadini correre su e giù per le vie, gridando il suo nome e quello della sua futura sposa, avrebbe potuto farlo esplodere.

    Camminò a passi ampi e svelti verso il lungo specchio vicino alla vetrata, sistemato lì per il grande evento. Si guardò riflesso, lasciando cadere le braccia sui fianchi. Si sistemò la mantella sulle spalle e cacciò fuori l'aria.

    «Posso farcela. Io posso farcela.»

    D'un tratto il suo sguardo si spostò sul riflesso della donna appena apparsa sul bordo del letto e le riservò un'occhiata astiosa.

    «Mia Regina.»

    «Galadir.»

    Il Principe non si volse, continuò a guardarla attraverso lo specchio. Morwen, Dea degli Inferi e Regina della Terra Oscura, era nella sua camera; indossava un abito nero sopra il ginocchio che aderiva sul suo corpo come una seconda pelle, molto scollato e con uno spacco vertiginoso sulla gamba adornata dalla spirale nera. Galadir fece scorrere lo sguardo sulle sue gambe lunghe e lisce; quel tatuaggio gli metteva i brividi. Risalì con gli occhi sui seni alti e gonfi e cominciò a mancargli l'aria. La chioma corvina, corposa e lucente, le sfiorava le spalle, incorniciandole l'ovale sublime.

    «Che cosa vuoi?» le chiese brusco.

    «Sono qui per protestare. Non mi hai invitata al tuo matrimonio.» Morwen aveva un impercettibile sorrisino sulle labbra color sangue scuro.

    Galadir abbozzò una risata. «Non sono io l'organizzatore. Prenditela con la moglie di Donel.»

    Morwen rimase in silenzio, squadrandolo come fosse stato un oggetto da comprare.

    Galadir si costrinse a non guardarla. Alzò lo sguardo sul soffitto, sbuffando più volte. Sentiva il cuore calciare come un puledro selvaggio. Prese un bel respiro e si voltò.

    Gli occhi rosa vivo della Regina, inquietanti e al contempo ipnotici e accecanti, si persero in quelli color oro e platino di Galadir.

    Il cuore di Morwen sussultò. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'aveva visto? Un mese? Forse, eppure le sembrava di incrociare quello sguardo per la prima volta. Ricordò i giorni passati in compagnia del Principe, quando l'unico desiderio che aveva avuto era stato addentare la sua carne. E adesso, quell'impulso irrefrenabile era di nuovo in lei, più dirompente che mai.

    Galadir non respirava più, inchiodato dall'assurda perfezione del suo corpo. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'aveva vista? Un mese? Forse, eppure gli sembrava di vederla per la prima volta. Poi ricordò quel giorno, quando lo aveva allontanato da lei con sdegno e disgusto, e aggrottò la fronte.

    «Vattene» le disse asciutto.

    «E perdermi il giorno più bello della tua vita? No.»

    «Tranquilla, non l'hai perso. Eri presente.»

    «Strano, non ricordo.»

    «Non sarò io a rinfrescarti la memoria.»

    «Oh, alludi forse alla nostra prima notte insieme?»

    «Vattene, Morwen.»

    «O magari a quando ti ho detto che ti amavo?»

    « Vattene» sibilò Galadir.

    In una frazione di secondo Morwen gli fu dinanzi; sentiva il calore del suo corpo schiantarsi su di lui con ferocia.

    Morwen era pericolosamente accigliata, gli occhi fissi nei suoi. Avvertiva il bisogno di stringergli una mano attorno al collo e sentire le vertebre frantumarsi.

    Galadir era intrappolato nel suo sguardo assassino, non riusciva a liberarsi. Il profumo intenso della donna lo investiva, non respirarlo era impossibile. Combatté contro il desiderio di sbatterla sul letto e farla sua. Ora. A pochi minuti dalla cerimonia nuziale.

    Morwen sbuffò piano dalle narici, spostando velocemente lo sguardo, e il cuore di Galadir tornò a battere. La Regina serrò le palpebre; il suo respiro era forte e accelerato. Galadir la guardò tutta, cercando di non cadere nel familiare baratro nero che lo catturava quando le stava vicino.

    «La ami?» gli domandò Morwen di slancio.

    Galadir trattenne una smorfia sofferente. La sua voce era troppo suadente; non la tollerava, anzi, quasi la odiava. «No.»

    Morwen lo trapassò con un'occhiata omicida.

    «È stata mia madre a sceglierla per me. E Lash ha acconsentito» continuò Galadir, sfuggendo al suo sguardo.

    Morwen sentì il fuoco nei palmi delle mani. La lava del suo Regno le inondò le vene. I polmoni si incendiarono come pergamene. Avvertì le fiamme degli Inferi pervaderle le iridi e distolse con rabbia gli occhi dal Principe, guardando ovunque senza realmente vedere.

    L'eco di passi frettolosi riecheggiò nelle loro orecchie.

    Morwen abbassò le palpebre, chinando la testa. Galadir guardò verso la porta con aria seccata e con ansia.

    «È Donel» gli riferì Morwen, alzando la testa senza incrociare il suo sguardo.

    «Sì, lo so.» Il suo respiro dolorante gli parve più insopportabile dello schiocco di una frusta sulla schiena di un prigioniero.

    Morwen serrò i pugni «Dovresti andare.»

    Galadir sbuffò, passandosi le mani nei capelli ritti come la cresta di un drago. Morwen lo scrutò per un attimo, osservando poi verso la finestra. Il Principe buttò fuori il fiato. La guardò per un istante, poi si mosse rapido verso la porta.

    Un battito di ciglia dopo Morwen sentì una mano dietro la nuca e Galadir l'attirò a sé. La baciò con passione, con prepotenza, con rabbia, premendole l'altra mano sulla schiena nuda per sentirla contro di sé.

    Le loro lingue si intrecciarono in una danza erotica dal sentore pericoloso, e lei rammentò in un secondo ciò che era accaduto l'ultima volta che si erano baciati in quel modo. Ordinò al suo corpo di staccarsi immediatamente da lui, ma non accadde. Morwen amava Galadir. Non poteva sottrarsi.

    I passi irrequieti del Principe Donel si fecero più vicini.

    Galadir spinse Morwen contro la parete, premendo avidamente il corpo contro il suo. Sentiva le mani ardenti della donna sul viso, fra i capelli, lungo il collo. Più il bruciore sulle labbra aumentava, più lui la desiderava. Era sua, era sempre stata sua. Solo la morte avrebbe potuto allontanarlo da lei.

    I denti affilati della Regina bramavano la carne tenera di Galadir. Sentiva le gengive pulsare dolorosamente, ma non poteva lasciarsi andare, non poteva. La bocca del Principe premeva così forte contro la sua che lei non riusciva a restare lucida. Lo voleva, lo voleva disperatamente. Lo toccava e non percepiva l'influenza di Lash su di lui. Era suo, era sempre stato suo.

    «Galadir! Vuoi muoverti?» urlò Donel; era proprio dietro la porta.

    Galadir si staccò con stizza dalle labbra di Morwen, premendo la fronte contro la sua. «Ti amo» sussurrò.

    Morwen non ebbe il tempo di rendersi conto di quello che le aveva detto, che Galadir si era già fiondato verso la porta e l'aveva spalancata.

    Donel balzò indietro per lo spavento.

    «Eccomi, sono pronto» disse Galadir, già con un piede oltre la soglia.

    «Era ora! Hai meditato un bel po', fratello…»

    Galadir aveva lo sguardo perso nel vuoto. Tutti i suoi pensieri erano ancora dentro la camera, con Morwen.

    «Ti senti bene?» si insospettì Donel, toccandogli il braccio.

    Galadir tornò presente alla realtà, sbattendo convulsamente le palpebre. «Benissimo. Andiamo, se non sbaglio c'è un matrimonio che mi aspetta.»

    «Esattamente.»

    Galadir si chiuse la porta alle spalle.

    Morwen poggiò la testa contro il muro. Serrò gli occhi.

    Ti amo anch'io.

    La primavera era finalmente arrivata nella Terra degli Uomini e nell'aria si avvertiva il profumo della rinascita. Dopo l'attacco di Deshre, la Dea della Morte che Maithon, precedente Re della Terra Oscura e Protetto della Dea della Pazzia, aveva reincarnato nel corpo di Morwen, la piazza di Thera era ancora in ricostruzione. I muri delle case crollate erano stati sostituiti da travi di legno e la scalinata che portava alla Porta Principale del Palazzo era ancora inagibile.

    Il matrimonio di Galadir e Fanie, unica figlia del Governatore della città di Velcan, era stato celebrato tra pochi intimi nel boschetto nei pressi della capitale. Il pranzo nuziale, invece, era stato allestito nella piazza; tutti i cittadini e i Governatori con le loro rispettive famiglie occupavano i numerosi tavoli imbanditi, abbelliti da candidi centritavola floreali e ricchi di abbondanti pietanze di tutti i generi.

    Galadir era ancora in piedi e conversava con i Governatori; accanto aveva la sua nuova sposa. Fanie era una graziosa giovane con i capelli biondi, lunghi e leggermente mossi, gli occhi castani e quasi verdi alla luce del sole e la carnagione naturalmente abbronzata. Non era alta, ma snella e slanciata nell'abito nuziale bianco con boccioli di rose rosse che bordeggiavano la scollatura.

    «Vi faccio i miei auguri, Principe Galadir» disse il Governatore di Juchi, inchinandosi.

    «Vi ringraziamo, Governatore Part.» Galadir strinse la mano di Fanie.

    Donel lo pungolò con il gomito, soffocando una risata, e Ashiwar lo ammonì con lo sguardo mentre scuoteva la testa. Galadir sorrise sornione, guardando davanti a sé, e Donel sospirò stirando un angolo della bocca.

    «Perché ridi?» chiese timida Fanie a Galadir.

    «Nulla, nulla. Qualunque cosa succederà oggi, non è colpa mia. Voglio che tu lo sappia» le sorrise.

    Fanie si sporse per guardare Donel che le mostrò una smorfia scaltra. Fece una risatina. «Ah, ho capito» sussurrò.

    «Figlia mia!» esclamò commosso il Governatore Treth, abbracciando la sposa e facendola sembrare ancor più minuta e fragile con la sua mole.

    «Padre!»

    Il Governatore puntò un dito contro Galadir con un'espressione minacciosa sul volto scuro. «Trattatela bene, Principe.»

    Galadir mascherò una smorfia caustica e irritata. «Certamente, Governatore.»

    Fanie sorrise e si strinse al suo braccio.

    D'improvviso la gioia dei festeggiamenti venne stroncata e sulla piazza calò un agghiacciante silenzio. Nuvoloni apparsi dal nulla nascosero il sole e l'oscurità scese sulla Terra degli Uomini come un drappo sinistro.

    Tutti i presenti si irrigidirono e incominciarono a tremare, mentre Ashiwar aggrottò la fronte e rivolse lo sguardo adirato verso Galadir.

    Fanie si morse le labbra, osservando con aria confusa la folla muta e immobile. «Cosa sta succedendo?» domandò sottovoce al marito.

    Lui storse le labbra con indignazione, espirando pesantemente. Infine un sorrisetto tradì la sua eccitazione.

    «Vostra Maestà» esordirono all'unisono i cittadini, inchinandosi e poggiando la fronte a terra.

    L'inquietante e provocante suono dei tacchi di Morwen riecheggiò e lei avanzò verso la famiglia reale, scrutando con soddisfazione la soggezione della gente.

    Fu Ashiwar a salutarla per primo, inchinandosi. I Governatori lo imitarono subito, così come Mewar, i suoi figli e le loro mogli.

    Ashiwar congiunse le mani in grembo. «Non ci aspettavamo una vostra visita, Maestà. Se l'avessimo saputo, avremmo…»

    «Taci» lo interruppe Morwen, solenne. «Sono qui per rendere i miei omaggi agli sposi.» I suoi occhi infernali si posarono su Fanie.

    La ragazza avvertì le forze venir meno e fu travolta da forti sensazioni discordanti.

    Galadir percepì la paura della moglie e si accigliò, guardando Morwen con aria minacciosa. «Dunque? I vostri doni, mia Regina?»

    Morwen deviò gli occhi su di lui. Rimasero a fissarsi per un minuto intero con un'intensità incredibile, poi la Regina tornò su Fanie e la squadrò con superiorità. Tese il braccio tatuato, ruotò il polso e sul palmo della mano si materializzò una coroncina di diamanti.

    «Per voi, giovane sposa.» Le porse il suo regalo. «Possa illuminare la vostra già lucente bellezza.»

    Fanie rimirò i diamanti, impressionata. «Oh, Maestà! È meravigliosa! Vi ringrazio di cuore! Anche se non credo di essere degna…»

    «Questo è sicuro» fu il crudele commento di Morwen.

    La folla si irrigidì ancor più, trattenendo il respiro.

    Galadir fece una smorfia esasperata, osservando in tralice la paura viva che emanava dalle persone. «E il mio dono?» chiese per rompere quel gelo che si era creato. «Non ne avete uno anche per me, mia Regina?»

    Morwen lo scrutò con un impercettibile sorriso sghembo. «Mi concedete un ballo, Principe Galadir?» domandò con voce vellutata.

    «Stiamo per andare a tavola, vostra Maestà» si intromise Mewar con tono acido.

    Morwen la trapassò con lo sguardo, inclinando il capo verso di lei in maniera raccapricciante. Una morsa invisibile si strinse attorno alla gola della Regina di Thera, che sentì il cuore arrestarsi e l'ossigeno mancare, mentre si portava una mano al petto e tentava di resistere al potere della Dea.

    «No, non c'è problema» assicurò Fanie con dolcezza.

    Morwen liberò Mewar, osservando la sposa sorriderle benevola.

    «Sarei felice di vedervi danzare con mio marito, vostra Maestà.»

    Morwen lanciò un'occhiata complice a Galadir, poi girò i tacchi e osservò cupa i musicisti raggruppati all'imbocco di una via.

    «Prendete posto, per favore» disse Donel, rivolto a chi non si era ancora accomodato.

    Galadir accompagnò Fanie alla sua sedia, congedandosi con un casto bacio sulle labbra.

    Morwen si fermò dinanzi ai musicisti con fare sprezzante. «Andate a godervi lo spettacolo» ingiunse loro, tenebrosa.

    Obbedirono all'istante, terrorizzati, abbandonando i loro strumenti come fossero stati oggetti di poco valore. Morwen tese il pugno, poi lo schiuse: una donna corvina, avvolta in una tunica nera con un ampio scollo sulla schiena e i cui occhi di ghiaccio risaltavano sulla pelle esangue, apparve dal nulla, accompagnata da un uomo mingherlino e sinistro con uno strano strumento al seguito. Era un mobile d'ebano, al cui interno si trovavano corde metalliche fissate a un telaio; lo strumento aveva dei tasti, ognuno legato a un martelletto che le percuoteva.

    «Mia Dea» si inchinò la donna.

    «Canta per me, Shishi» fu il sensuale ordine.

    «Ai vostri ordini, mia Dea.»

    Morwen si volse verso Galadir, fermo al centro della piazza, e gli andò incontro, ancheggiando sinuosamente.

    A lui venne da scuotere la testa, ma non lo fece: adorava quando lei sfoderava tutta la sua indole seducente e inebriava chiunque le stesse intorno. «Cosa balliamo, mia Regina?»

    Morwen alzò impercettibilmente un angolo delle labbra. «Quello che senti dentro, Galadir» rispose in un sussurro che solo lui riuscì a udire.

    Le sorrise, abbagliandola con tutta la sua bellezza.

    Morwen si accigliò impercettibilmente e sfuggì immediatamente al fascino di Galadir che le stava piombando addosso. Inclinò il capo verso la coppia da lei invocata e ordinò loro di iniziare con un semplice sguardo. L'uomo, seduto su un panchetto di legno, cominciò a premere i tasti di marmo bianco dello strumento; le note che suonò furono veloci, cupe e ribelli.

    Galadir si avvicinò a Morwen e le prese la mano nella sua, cingendola con l'altro braccio mentre lei gli posava l'altra mano sulla spalla. Le punte dei loro nasi quasi si sfioravano, i seni lambivano peccaminosamente il petto marmoreo di lui.

    Shishi incominciò a cantare; la sua voce era acuta e malinconica. La canzone parlava di un'entrata dove mostri chiamavano a gran voce, di vento che sussurrava e della pioggia che raccontava una storia.

    Morwen e Galadir cominciarono a ballare, i loro passi erano veloci come il ritmo della musica. Lui le fece fare una giravolta, riattirandola subito a sé, quasi avesse temuto di perderla.

    Morwen era persa nei suoi occhi. Era come se non li vedesse d'oro e platino, ma ancora color nocciola mescolato con il miele. Lo amava così tanto che non vedeva la differenza, non notava il bagliore che ora le sue iridi emanavano.

    La musica scese su note più basse, incanalando emozioni per l'esplosione del ritornello.

    Morwen abbozzò un sorriso, si allontanò da Galadir con una piroetta e si soffiò sul palmo.

    Shishi raccontò di un prato di fiori e di un cielo color porpora ricoperto di nuvole, e tutto ciò divenne realtà: le case scomparvero, i tavoli si dissolsero, le persone si smaterializzarono, l'intera Thera sparì.

    Rimasero solo il Principe e la Regina.

    Galadir si guardò attorno con nervosismo. «Morwen, sciogli l'incantesimo che hai fatto.»

    «No» rispose lei, guardandolo intensamente.

    Continuarono a ballare senza mai staccarsi. Galadir la sostenne mentre lei girava come una trottola oscura, poi la trasse a sé, stritolandole la mano. Morwen lo annientò con un sorriso e posò le mani sui suoi fianchi per staccarsi da terra, leggera come una piuma. Galadir girò sul posto, le dita intrecciate dietro la sua schiena per non farla volare via.

    Shishi cantò di bugie e di incubi nascosti nei sogni, di un mondo immaginario in cui si fugge dalla realtà.

    Galadir afferrò Morwen per la gola, costringendola a indietreggiare, a sottomettersi. Lei non oppose resistenza ma rise, intrappolandolo nei suoi occhi.

    «Annulla l'incantesimo» le ingiunse.

    Morwen gli attanagliò una mano al polso. «Vai di fretta?»

    Galadir fece un sorrisetto, allentando la presa. «No», e la prese per i fianchi, lanciandola in aria come fosse stata una bambola di pezza.

    Morwen piroettò in volo con un'eleganza ineguagliabile e, quando fu sul punto di piombare a terra, Galadir la prese al volo tra le braccia, tenendola stretta mentre volteggiavano.

    La canzone parlò di urla strazianti e di notti silenziose, della morte tanto desiderata in una luce divina.

    Galadir la rimise a terra, tenendola dolcemente per mano. Il cuore della Regina batteva fortissimo quando il Principe si inginocchiò e le baciò il dorso della mano rovente, disarmandola con un fascino indescrivibile.

    Le ultime, tristi note risuonarono nelle loro menti mentre l'incantesimo si scioglieva e gli applausi dei cittadini esplodevano nella piazza di Thera.

    Galadir si tirò su, lo sguardo fisso in quello di lei, e le loro mani scivolarono via l'una dall'altra, inesorabilmente lontane. Fece un passo indietro e le rese omaggio con un inchino.

    «Oh, vostra Maestà, ci avete incantati! La vostra bravura nel danzare non ha eguali» esclamò Fanie. Affiancò il marito e aggiunse con un accenno di malizia: «Non credevo sapessi ballare così bene!».

    Il Protetto alzò gli occhi al cielo con un falso sorriso modesto.

    Fanie ridacchiò, stringendosi al suo braccio. «Non essere timido, amore! Non è una brutta cosa saper danzare.»

    Il sussulto del cuore di Morwen fu così potente che persino Galadir lo percepì. Il Principe e la Regina si fissarono intensamente, escludendosi dal resto del mondo.

    «Vi prego, Maestà, concedeteci l'onore di rimanere a pranzo con noi» la invitò Fanie.

    Morwen la fulminò con lo sguardo, facendola tremare come una foglia, poi voltò loro le spalle e chiuse gli occhi, anelando disperatamente a scappare via da lì. «Il mio dono per te, Galadir» annunciò solenne, tendendo la mano davanti a sé.

    Avvolta in una foschia, apparve una meravigliosa ragazza vestita di bianco, con una serica chioma blu notte e brillanti occhi azzurri.

    Donel si rizzò dalla sedia, imitato dal padre, e Galadir sbiancò. «Kamria!» boccheggiarono all'unisono.

    La Principessa trasalì e un sorriso splendente si dipinse sul suo volto. «Padre! Donel! Galadir!» Fece per correre verso di loro, ma il suo sguardo fu subitaneamente calamitato da quello di Morwen. «Maestra» la salutò con un cenno del capo.

    «Hai tempo fino a stasera. Poi lo Stregone verrà a riprenderti» le disse lei, solenne.

    «Vi ringrazio, Maestra.»

    Morwen si spostò di lato, dando così il via libera alla Principessa, che inspirò profondamente per poi gettarsi tra le braccia di Galadir.

    «Oh, Galadir, Donel…» singhiozzò.

    I fratelli l'abbracciarono forte, continuando a sussurrarle la loro gioia nell'averla di nuovo a casa.

    Morwen non si voltò verso di loro, ma si incamminò verso la radura, azzerando le voci che la circondavano.

    Galadir sollevò la testa, guardando oltre la sorella. Morwen se ne stava andando. E lui la stava lasciando andare.

    Non questa volta.

    «Galadir» lo chiamò Fanie, dandogli un colpetto sulla spalla. «Non mi presenti a tua sorella?»

    Galadir la guardò smarrito, poi si schiarì la voce. «Sì… certo.» Inspirò, distrutto dentro. «Kamria, lei è Fanie, mia moglie.»

    Parte Prima

    L'addestramento

    1

    L'allieva

    Primo mese

    Vivar, Terra Oscura

    Un tuono svegliò Kamria di soprassalto.

    La luce dei fulmini e dei lampi illuminò la stanza grande e piena di mobili. Le pareti erano drappeggiate di seta bianca e un gigantesco tappeto bianco rivestiva il pavimento. Dalla piccola finestra si intravedevano decine di soldati che andavano avanti e indietro sul cammino di ronda delle mura.

    Kamria si alzò in fretta dal letto e aprì uno dei tre armadi di legno chiaro, si sfilò la camicia da notte e si vestì con gesti ansiosi. Si avvicinò a uno dei due grandi ed eleganti comò con specchi larghi, da cui estrasse una morbida spazzola e un nastro bianco; si pettinò in fretta e si legò i capelli.

    Infine uscì di corsa dalla camera.

    Non sono in ritardo…

    Il Mastio era collegato alla nicchia esterna della Grande Sala da un lungo androne ed era composto da tre piani. Al primo vi erano le stanze dello Stregone, al secondo le sue e all'ultimo quelle della Regina.

    Scalza per ordine della sua Maestra, Kamria scese i gradini e per poco non scivolò. Giunta al pianterreno, si diresse verso l'uscita del Mastio, quando uno degli usci dell'androne si aprì di colpo. Kamria si arrestò bruscamente e cadde di sedere.

    «Oh, cielo!» esclamò a bassa voce una serva anziana. «Perdonatemi, vostra Altezza, perdonatemi!»

    Kamria si massaggiò la natica dolorante. «Non è nulla, non preoccupatevi. È stata colpa mia.»

    «Vi chiedo umilmente perdono, Altezza.» La donna le tese una mano, guardandola terrorizzata. «Lasciate che vi aiuti a rialzarvi.»

    «Grazie.»

    «Oh, vi scongiuro, Altezza… non ditelo alla Regina! Mi farebbe torturare per la mia sbadataggine» bisbigliò la serva quasi inginocchiandosi.

    «No, non vi preoccupate. Non dirò nulla alla…» Kamria si interruppe, pietrificata.

    «Vostra Altezza?» la chiamò la donna, cercando il suo sguardo perso nel vuoto.

    «Ditemi che non è giorno!» trasalì Kamria.

    «È giorno da due ore, vostra Altezza» le rispose la donna, indietreggiando.

    «Oh, no…»

    Kamria entrò come un tornado nella Sala del Combattimento; le mancava il fiato per la corsa.

    La Sala si trovava nell'Ala Ovest del Castello. Era spoglia, fatta eccezione per i piatti di bronzo traboccanti di olio infuocato che stavano sulla cima dei quattro pilastri imponenti; il soffitto era altissimo, le pareti erano lucide come acqua nera e il pavimento era di marmo nero. Se non fosse stato per le tende nere, le due enormi vetrate avrebbero mostrato gli inquietanti e stoici pini della Foresta di Enthir.

    «Eccomi, Maestra» si annunciò Kamria. Chiuse lentamente la porta, deglutendo. Non ricevendo risposta, chiamò: «Maestra?».

    Avanzò a piccoli passi incerti verso il centro della Sala, le mani che sudavano.

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1