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E' come un sogno
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E' come un sogno

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Il romanzo ”E’ come un sogno” scritto da LEA CARMìNA, è un racconto ambientato nel 2010 e scritto tra il 2011 ed il 2012.
Tratta di una storia d’amore tra una giovane di venticinque anni (l’autrice) ed un uomo di undici anni più grande, accomunati da una forte passione per le due ruote.
Una storia che, in parte, è stata realmente vissuta
Lei, neolaureata e stagista presso un’importante azienda lombarda; lui perito chimico in Sicilia: la lontananza sarà un problema da affrontare, anche perché la protagonista è molto legata alla sua terra d’origine.
Dopo una breve, ma intensa storia d’amore, l’uomo resta coinvolto in un incidente stradale in moto, entrando in coma.
La protagonista decide di andare immediatamente in Sicilia, al fine di stare “vicino” al compagno, sperando che la sua presenza lo possa fare tornare in vita: in effetti così accade.
Il testo è scritto con termini semplici, alcuni del gergo giovanile, intercalati talvolta da espressioni tipicamente dialettali.
La narrazione è sempre ad opera dello stesso personaggio che è la protagonista, se pur ovviamente ne compaiano altri tra cui familiari ed amici.
L’ambiente è la Sicilia, in particolare la città di Caltanissetta (non citata) e la località balneare in provincia di Agrigento, ovvero San Leone.
I temi trattati, oltre quello dell’amore, sono la presa di coscienza della triste situazione economica che stiamo vivendo al giorno d’oggi e che riguarda soprattutto i giovani laureati; l’importanza di valori quali la presenza di una famiglia e l’amicizia sincera.
Il tono confidenziale che viene tenuto in tutto il racconto è per far sì che il lettore si senta quanto più vicino allo scrittore, quasi come a vivere in prima persona l’intera storia.
Il messaggio che vuol essere dato dalla narrazione è l’importanza dei valori che col tempo sono andati persi.
LanguageItaliano
PublisherLea Carmina
Release dateMar 11, 2014
ISBN9788868857400
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    E' come un sogno - Lea Carmina

    XXXI

    CAPITOLO I

    Se ne stava lì, appollaiata sul bordo di una fontana ed osservava la gente arrivare.

    Al mattino presto il cielo era cupo e denso di nuvole, che minacciavano un violento temporale, ma probabilmente per effetto del forte vento di scirocco, che alle 15:00 improvvisamente si era levato, soffiando per l’intera mattinata, lo stesso risultava terso ed irradiato da un sole cocente.

    Quante volte si era chiesta come sarebbe stato assistere alla commemorazione della scomparsa della sua persona? E in quei momenti, Chissà in quanti verranno! era la curiosità che si intrufolava tra i vari pensieri, soprattutto da quando alcuni anni prima era incappata in un alterco telefonico con la madre:

    - Io preferisco starmene nella calma della mia casa, piuttosto che sempre nei locali colmi di persone che, per divertirsi, devono per forza bere fino a stare male.

    - Sì, ma non puoi nemmeno stare sempre rintanata a casa, sola, come un orso!

    - Mamma, se io fossi un orso, non avrei tutte le amicizie che ho! - aveva controbattuto, vantando anche quelle che risalivano ai tempi delle scuole medie; come contro risposta, però, aveva ottenuto un silenzio dubbioso che da un lato la indusse a ritrovarsi in tutt’ altra conversazione, dall’altro le lasciò in cuor suo un vivo ricordo.

    Quindi, quel giorno, l’ormai arcana curiosità poteva essere finalmente soddisfatta, dando così la giusta conferma all’una o all’altra donna ed al contempo del reale sentimento di amicizia, che la protagonista di questa storia pensava la legasse a taluni e tal altri.

    Ora lì, con lo sguardo compiaciuto e sorridente, assisteva a quelle scene, gustando la tanto bramata risposta a quel quesito postosi per anni.

    Le persone cominciavano ad arrivare, con passi lenti e sguardi truci alcuni; altri con passi scanditi e sguardi fugaci, ma forzatamente sorridenti: coppie di giovani amici, single, amici dei genitori, amici dei fratelli e parenti, ex e non ex-colleghi di lavoro. Chi si affrettava ad entrare per prender posto, chi s’arrestava all’ingresso della chiesa, come titubante ed incredulo per quel che si apprestava ad assistere.

    All’interno della chiesa un timido brusìo aleggiava, talvolta zittito dal rumore del comune traffico cittadino che proveniva da fuori: la grande porta di legno era spalancata per permettere all’aria caldissima di scambiarsi con quella in ingresso dalle finestre anch’esse aperte, ma invano, tanto che la maggior parte della gente che stava dentro, seduta, sperava di trovare un po’ di sollievo nello sventolare ventagli o fogliettini di carta.

    Lei, invece, appollaiata sul bordo della fontana, assaporava l’afa caratteristica di quella terra da cui per anni era stata lontana, dapprima per motivi di studio, in seguito per lavoro.

    Mentre osservava tutte quelle moto posteggiate lì, solo per lei, ecco che vide arrivare con indescrivibile stupore, il professore dell’università del nord per il quale aveva lavorato un anno, tramite una borsa di studio per attività di ricerca e con cui era rimasta in contatto, essendosi instaurato soprattutto negli ultimi tempi un rapporto del tipo padre-figlia: come sempre vestito in modo impeccabile, in giacca e cravatta, avanzava col suo caratteristico passo cadenzato e lo sguardo che sembrava far capolino nello sconforto; mentre lei lo seguiva con gli occhi, con le orecchie udì l’arrivo dell’auto color amaranto che si apprestava a posteggiare: papà nascondeva gli occhi profondamente feriti dietro un paio di lenti ambrato – scure, mentre quelli di mamma, totalmente assenti, erano coperti da un paio di occhiali scuri, che le davano un aspetto da diva, che tanto in vita le era piaciuto. Sui sedili posteriori si trovavano Cristian ed Emanuele, entrambi abbronzati e, per la prima volta, realmente vicini, uniti da quel profondo dolore.

    Per quale motivo un rapporto si può risanare solo in situazioni così tragiche?? si chiese, dondolando le gambe.

    Quanto avrebbe voluto arrestare il tempo a quell’istante, per poterli sentire ancora così vicini e soddisfare questo desiderio che per anni e anni era stato non solo suo, ma anche dei suoi genitori.

    Per primo scese Cristian, seguito da Emanuele, il quale subito si affrettò a mettere sotto braccio la madre per accompagnarla dentro la chiesa; in ultimo papà che prima di avviarsi si fermò come incapace di articolare le gambe, che lo avrebbero condotto dinnanzi a quella funzione (inutile dirlo) struggente; con un lento gesto, infilò la mano nella tasca dei pantaloni, da cui estrasse un fazzoletto di cotone con cui asciugò le lacrime che gli rigavano, spietate, il viso; lo ripose e con tutta la forza che si ritrovò addosso, cominciò ad eseguire i primi passi, altrettanto lenti.

    In quel momento le si strinse il cuore nel vederlo così sofferente: come avrebbe voluto corrergli dietro, abbracciarlo e dirgli che in realtà gli era lì, vicino. Ma ormai, queste cose, non poteva più farle. Così, non le rimaneva che seguirlo.

    Ad occhi bassi, prese posto accanto alla moglie: un fugace sguardo alla bara noce lucido (com’era stato espressamente richiesto dalla più piccola dei tre figli), segnato ai bordi da semplici, ma particolari decorazioni, che rispecchiavano la personalità di quell’essere lì dentro riposante.

    Il sacerdote Ignazio, anch’egli espressamente richiesto perché con lui e le sue orazioni era cresciuta, salì sull’altare: nello sguardo visibilmente buio, brillavano gli occhi scuri; dopo aver tirato un profondo respiro, come per darsi forza, diede inizio alla celebrazione.

    L’omelia, commovente e concisa, di tanto in tanto veniva disturbata da qualcuno che per quanto discreto tentava di essere, tirava su col naso: il sacerdote aveva ricordato quando da bambina frequentava il catechismo presso quella parrocchia che non aveva lasciato durante la crescita, partecipando quasi tutte le domeniche alla Santa Messa; aveva ovviamente sottolineato la sua bontà d’animo e l’impegno che aveva nel promulgare valori come l’umiltà e l’amore verso il prossimo:

    - Valori che ormai non esistono quasi più, ma perché signori miei?? Per quale motivo non esistono?? Siamo sopraffatti da impegni maggiori, quali l’apparire a tutti i costi, il mostrarci superiori agli altri, il pensare solo a noi stessi. Ma allora a che vale far parte di una società? Spesso, quando ci ritrovavamo a conversare su questi argomenti mi diceva: - Ma padre Ignazio, mi spieghi qual è la differenza tra un uomo e un animale?? Se vogliamo fare un confronto, a questo punto, è molto meglio il secondo: si riunisce in branchi e quindi sta insieme ai suoi simili, se vede un suo compagno in difficoltà l’aiuta, non uccide i propri figli, azioni queste che per l’uomo sono diventate il contrario e peraltro all’ordine del giorno!!! Ai telegiornali non si fa altro che sentire di omicidi, figli che uccidono i genitori o viceversa; nella quotidianità si è sempre presi da mille impegni tanto da non trovare il tempo per gli altri, né tanto meno per se stessi. E poi, s’interviene a sostegno di qualcuno solo ed esclusivamente per interesse. Ma dov’è quel gradino più alto nella scala evolutiva che si è attribuito all’essere umano?? Io proprio non capisco. Eppure basta così poco per vivere meglio… Lo vedo già al mattino, quando esco per recarmi al lavoro: la maggior parte delle persone mostra delle cere nere, e sottolineo di prima mattina!! Ma come si può? Alla loro vista io sorrido, perché non oso immaginare come arriveranno alla sera. Tuttavia, se incontro qualcuno che la pensa come me e, ricambia il sorriso, di certo, per noi la giornata comincia diversamente. Oppure, quando esco dal supermercato, vedendo qualche anziano in difficoltà nel portare la spesa, per lui uno sforzo notevole suppongo, mentre per me un’inezia, lei non immagina di quanta gioia mi si riempie il cuore nel vedere passare il suo viso da un’espressione di fatica a una di profonda gratitudine, quando propongo la mia mano d’aiuto. Io esco veramente appagata da queste situazioni; per me non c’è niente di più bello. Ora le chiedo: cosa costerebbe a ciascuno di noi, prestare attenzioni alle piccolezze che, nel complesso, rendono piacevole la vita?

    Ebbene, signori miei, quando mi poneva queste domande non potevo che risponderle con niente! perché, in effetti, non ci vuole proprio niente ad avere certe accortezze, ad essere più docili e gentili nei riguardi del prossimo, a godere delle piccole cose che alla vista di tutti possono sembrare banali, ma che in realtà non lo sono. Senz’ombra di dubbio, la qualità della vita migliorerebbe!!

    Prendiamo allora questa ragazza come esempio, non facciamo che i suoi tentativi per cambiare il mondo siano stati vani, perché come sosteneva fortemente, solo impegnandosi singolarmente si possono ottenere dei risultati positivi a beneficio dell’intera società.

    Continuò con qualche altra esortazione, cercando di spronare (com’era solito fare) non tanto le persone quanto gli animi delle stesse, dopodiché si sedette per concedersi e concedere ai suoi ascoltatori una pausa di riflessione.

    Terminata la messa, seguirono i consueti cerimoniali, ma appena fuori dalla chiesa un forte applauso si levò nell’aria ed improvvisamente le moto, che eran state taciturne per l’intera ora, cominciarono a sfogarsi, gridando con i loro rombi: sembrava quasi ci fosse una competizione tra loro e l’applauso, ma nessuno dei due dava alcun segno di arresto.

    Lei, compiaciuta, assisteva allo splendido spettacolo.

    CAPITOLO II

    Mi riporta alla realtà, svegliandomi dal sogno del mio funerale, la luce mattutina che filtra timidamente dal balcone-finestra.

    Caspita, è già ora di alzarsi? Ma che ora sarà? mi chiedo ancora del tutto rincretinita dalla serata appena trascorsa.

    - Sveegliaa, svegliaaa, dormigliona! Che ora hai fatto stanotte? O stamattina? - entra gridando sorridente mamma: lei e la sua consueta allegria! Si viene a sedere sul bordo del letto com’è solita fare e compiaciuta, attende risposta, rispettando il mio lento venire al mondo.

    - Boh! Mi pare le 5.30.

    - Braaaaaava! Facciamo le ore piccole eh?? Non ti ho sentita completamente!

    - Con Cristian abbiamo cercato di fare il più piano possibile, perciò non ci avete sentito rincasare.

    - E dove siete stati?

    - Al chiosco, alla terza spiaggia: c’era musica dal vivo; abbiamo ballato un po’, poi siamo andati a prendere i cornetti al lungo mare, dopodiché siam tornati perché avevamo sonno.

    - Tuo fratello ancora dorme! Ma vi siete dimenticati che oggi siamo a pranzo dai futuri consuoceri?

    - No, mà. Non ci siamo dimenticati. Ma che ora è?

    - E’ già mezzogiorno.

    - E a mare quindi non possiamo andare.

    - Se andate, dovete essere a casa non più tardi delle 13.00.

    - Uff!! Ma come si può pensare a pranzare, quando si è al mare?

    - Si dà il caso che si pranza anche quando si è al mare, scusa eh? A mare ci si va a mezzogiorno?

    - Beh! Noi siamo giovani e abbiamo altri orari no? – rido.

    - Certo, se la notte fate le ore piccole…- mi schernisce, sorridendo.

    - Va beh, tanto non è un problema: oggi avevo proprio bisogno di dormire, anche perché ci aspetta un lungo pomeriggio.

    - Perché? Che avete in programma?

    - Alle 17 ci vediamo con gli altri in spiaggia per una partita a beach volley, stiamo lì al mare e poi dobbiamo andare a fare un po’ di spesa per stasera. Ops, te l’avevamo detto? Non ceniamo a casa. Siamo da Giorgio per una grigliata e poi ovviamente scendiamo in spiaggia. Oggi è San Lorenzo!

    - Sì, sì. Sempre fuori voi due: ve le devo fare vedere io qualche volte le stelle.

    Mi carezza affettuosamente i capelli e si leva in piedi.

    - Vado a comprare un dolce con papà da portare a pranzo; tu nel mentre sveglia tuo fratello e cercate di esser pronti per quell’ora, no che ci mettete sempre tri uri per prepararvi.

    - Tri uri? Lei semmai! Io sono sempre pronto, anzi.. Io sono nato pronto!!

    Mamma si volta e vede il suo bell’ometto dai capelli scuri scarmigliati, gli occhi gonfi effetto post-sonno, in piedi sulla porta, in boxer.

    - Sì, infatti, vieni a pranzo così, vero? - lo provoco.

    - Che sei cretina! - prontamente risponde.

    - Solo così ti sai difendere. Come sempre: offendendo - lui sorride furbescamente.

    - Va bene, io vi lascio alle vostre discussioni.

    Mentre mamma si appresta a superarlo, lui fa il dispettoso e le intralcia il passaggio.

    - Cri, mi fai passare cortesemente?

    - E passa, mammì! Chi sta facendo niente?

    Lei tenta, invano. Cerca di spostarlo con la forza, ma figuriamoci: "Lei, forza? Poi per spostare chi? Lui? Il finto magro palestrato? Ah! Ah! L’ho visto questo film" penso tra me e me.

    Allora lui la prende e comincia a farle fare qualche passo di danza; tutti e tre ci mettiamo a ridere.

    - Cri, la pianti che se no tuo padre mi lascia qui?

    - Dove dovete andare? - le chiede mentre continua a farla ballare.

    - Ti ricordo che oggi siamo invitati a pranzo.

    - Come invitati a pranzo?

    Gli faccio cenno di fingere di essersi ricordato improvvisamente e allora, prima ancora che lei possa controbattere, rimedia:

    - Già, vero, a pranzo...

    - Allora giò, che facciamo? Andiamo?

    Compare papi sulla porta che, facendo capolino, mi saluta:

    - Buongiorno!

    - A te papi.

    - N’addivirtimu assira avé?

    - E certo! Finché lo possiamo fare, no? E poi, dopo tutti i sacrifici che facciamo, almeno delle buone ferie non se li meritano i tuoi figli?

    - Nca certo! - imitando la risposta palermitana. - Dai giò, andiamo che poi c’è casino.

    - Se tuo figlio mi lascia andare, forse riesco a venir con te.

    - Dai Cri!

    - Va bene, faccio ballare mia sorella allora.

    - Sì tua sorella. Tua sorella ancora si deve svegliare. Ma poi... Non ti è bastato ieri sera?? O la tipa non ti ha fatto divertire così tanto come fa tua sorella?

    - Alle stronzate siamo?

    - E allora come mai sta voglia di ballare?

    Nello stesso tempo si è venuto a distendere sul letto, accanto a me:

    - Gna scherzo, no?

    In quel momento, in corridoio, sento i passi lenti e brevi di nonna.

    - Generale, buongiorno!

    Lei si affaccia sulla soglia e sorridendo, esclama:

    - Eh buongiorno, buongiorno!! Ci siamo svegliati finalmente? Facistivu tardu assira?

    - Le 5:30 – rispondiamo in coro.

    - Eh bravi bravi!

    - E tu nonna, a che ora sei tornata? - la provoca Cristian.

    - Io? All’ottu!

    - Alle 8:00? - abbiamo chiesto ridendo entrambi.

    - Sì - risponde unendosi alle nostre risa.

    - E ti pare! La nonna va ai festini, in minigonna – commenta il fratellino.

    - Sì in minigonna... Fistini... All’unnici era a letto!

    - Sì sì... Ma se io ho controllato e non c’eri? - continua a provocarla, scherzosamente.

    Lei, ferma lì, ci osserva.

    - Alzatevi che ci dobbiamo preparare.

    - Sì, nonna, ora. Ora ci alziamo.

    - Forza - ci esorta con il suo tono che da sorridente sembra sfumare sull’autoritario.

    - Dai Cri, vai prima tu a docciarti.

    - No, fammi riposare altri 5 minuti. Vai tu che ci stai di più. Non ti lavi da anni e devi perdere più tempo.

    - Che sei simpatico! Io vado, ma poi mi racconti dove sei finito a metà serata.

    - Ma che vuoi? Tu mi devi dire che hai fatto con Alex.

    - Cavoli miei.

    - Cavoli tuoi? Ti faccio vedere io se sono cavoli tuoi. Dai, sbrigati, se no vero facciamo tardi e chi li sente poi i tuoi.

    - Uff! Va bene. Un due, tre. Su!

    - No, dai, non mi lasciare, miiiiiiiii - mi prende il braccio e mi trattiene.

    - Dai Cri, porca la miseria. Lasciami.

    - Miii, con me non ci vuoi stare mai - scherza trattenendomi e continua: - Questo perché sono io, altrimenti se al mio posto ci fosse stato Alex...

    - Che sei stupido! Dai Cri, mooooollaa!!!

    Corro a farmi la doccia, perché in effetti, sebbene nel farla sia piuttosto rapida (anche se sotto il getto d’acqua ci starei ore ed ore, ma non si può sprecare l’acqua per uno stupido capriccio!), poi perdo molto tempo nello scegliere i vestiti: Fortuna che consistiamo in una località di mare e dopo pranzo, andiamo in spiaggia! rifletto.

    - Hey ancora lì sei? - sento da fuori.

    - Ma se sono entrata ora, Cri?

    - Dagli sbrigati.

    Mi dà il cambio, dopo poco.

    - Guarda che ti era squillato il telefono. Ho risposto, ma appena han sentito la voce di un uomo han chiuso.

    - Che uomo! - esclamo per schernirlo e continuo: - Dici sul serio?

    - No - risponde sempre con quel solito sorriso.

    - Che sei stupido. Ma a cosa pensava tua madre quando ti fece??

    - Alla perfezione!

    - Ah! Ah! Ah! Bella battuta.

    - E poi sono io che offendo vero? Dai, fammi entrare.

    Rientrando in camera vedo sul display del telefonino: 1 chiamata persa. Guardo e compare un numero che non conosco. E chi sarà? mi chiedo; sto per far ripartire la chiamata, ma rimetto giù: Se ci tiene a parlare con me, richiama.

    Dopo un po’ sento il sonoro della moto di papà: "Oh capperi! Sono già qui. Devo fare in fretta!"

    Tiro dall’armadio il mio costume preferito, il due pezzi rosso che l’anno scorso mi regalò Emanuele e ci accoppio il pareo nero. E i sandali? Hm, questi no, questi altri... No, ma dove sono finiti?

    Ah eccoli!

    - Allora? Siete pronti? - mamma chiede ad alta voce.

    - Io quasi, Cristian come sempre no.

    - Gioiàa: io metto le lenti a contatto e sono pronto, quindi come vedi, ti sbagli – lo sento rispondere a voce alta dal bagno.

    Presa la borsa di paglia, apro la porta della stanza ed esco alla ricerca di nonna: Nonno non poteva costruire una casa più piccola! esclamo tra me e me: Nooonnaaa... Generaaaaleee! Dove sei? Noi siamo pronti! la vedo uscire a passi lenti dalla sua camera:

    - Come sto? - mi chiede, mostrandomi la sua veste rossa, a maniche corte.

    - Si vede che sono tua nipote: guarda il colore del costume che ho addosso!

    Sorride, compiaciuta. Com’è dolce, a volte mi fa troppa tenerezza! A volte ho detto, perché quelle che invece s’impunta nelle sue idee, non è che si faccia volere tanto bene... Eppure, in quelle occasioni, non riesco a volerle male: come potrei? Uno è mia nonna, per cui se non ci fosse stata lei non ci sarei stata nemmeno io; due, siamo esseri umani e un minimo di affetto nei confronti di chi ha fatto tanto per noi è inevitabile; tre, suscita in me solo grande stima, perché all’età di 84 anni, non sono tantissimi quelli che ci arrivano con cotanta lucidità mentale, mantenendo per di più i tratti caratteristici della personalità; la domanda, dunque, sorge spontanea: come non volerle bene?

    Le schiocco un bacio sulla guancia e con un sorriso, fissandola negli occhi, le sussurro:

    - Com’è che dici quando ti pongo la stessa domanda? .. Perfetta! Si’ perfetta!

    La prendo sottobraccio e la accompagno fuori.

    Appena Cristian la vede, esclama: - Wow! Mi hai portato la donna della mia vita?

    Lei sorride nuovamente, mostrando senza alcuna timidezza la sua inseparabile dentiera.

    - Dai, lasciala. Ora è mia questa donna! - viene a togliermi il posto, prendendola lui sottobraccio.

    - Allora, voi venite in auto con la nonna, mentre io e papà scendiamo in moto. Fa troppo caldo. Così poi, quando dovete scendere in spiaggia, prendete voi le due ruote; noi torneremo in serata, una volta che non siete a cena con noi.

    - Signorsì – risponde Cristian a mamma, mettendosi sull’attenti; poi si rivolge a nonna: - Ma com’è la storia? Non sei tu il generale? Non sei tu che impartisci gli ordini?

    Il pranzo trascorre allegramente: le pietanze son state tutte preparate rigorosamente da Ginevra, mentre Emanuele ha aiutato i suoi nell’apparecchiare la tavola, il che è quanto dire, se penso che non sia solito fare molto in casa. In realtà, da quando stanno insieme, devo ammettere che è cambiato un po’: lei dice che nella loro dimora si dividono i compiti. Ah! Il potere dell’amore! Se penso a quando ero piccola e a casa faceva tutto mamma e solo io, talvolta, la aiutavo nelle faccende domestiche... Cristian e Manu invece, neanche un dito muovevano!

    Ora però con Ginevra le cose sono diverse... Li osservo: stanno proprio bene insieme! Mano nella mano, ascoltano i dialoghi intavolati dai rispettivi genitori, mentre Cristian spiega a Piero le funzionalità del nuovo telefonino, che sua sorella Ginevra gli ha regalato in occasione del compleanno.

    Faccio una panoramica con lo sguardo e mi sento pienamente soddisfatta di appartenere a questa bella famiglia, unita.

    - Caffè? - mi chiede Silvana, distogliendomi dai miei ragionamenti.

    - Sì, grazie!

    - Allora? Che si dice al nord? Non ho fatto ancora in tempo a chiedertelo.

    - Tutto bene, grazie. Ormai, comincio a fare l’abitudine a quello stile di vita sempre frenetico.

    - Ricordo quando Ginevra era su... Non vedeva l’ora di terminare gli studi, per venire a lavorare qui.

    - Ci credo! – le rispondo accompagnandomi con un sospiro: - Però, sai meglio di me com’è la situazione. Se si ha già un’attività avviata e se si sono fatti degli studi inerenti quest’attività, è semplice tornare nella propria terra. Questo è il caso di tua figlia, la quale senz’ombra di dubbio ha fatto la scelta migliore, perché nel pessimo periodo che stiamo attraversando, quanti avvocati ci sono a spasso? Lei, invece, ha avuto la fortuna di trovare sul piatto il pasto preparato da tuo marito e così è potuta venire giù. Ma per me non è così facile. Ovvio che io vorrei. O meglio: inizialmente ero presa dal fascino della novità, dallo stile di vita più preciso e dalla mentalità che devo ammettere essere diversa. Poi, col trascorrere degli anni, avendo mantenuto vivi i legami con la famiglia e gli amici, mi sono resa conto che... Mi mancano!

    - Eh già! Purtroppo la situazione attuale è quella che è. E che ci vuoi fare? Tieni duro. Non si può sapere mai nella vita – cerca di consolarmi.

    -Sì, lo so. Io, infatti, non perdo la speranza. Per me è vero il detto: Finché c’è vita c’è speranza. Anche perché se la togliamo, cosa resta? Non possiamo rincorrere più nemmeno un sogno, né tanto meno fare progetti.

    - Hai proprio ragione – sussurra versandomi il caffè su una tazzina troppo carina, tutta colorata.

    - Grazie – rispondo.

    Si son fatte le 16:30. Emanuele e Ginevra ci comunicano che devono

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