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Dal partenone di atene al putthanone di akràgas
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Dal partenone di atene al putthanone di akràgas

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La mitica dea Giumenta rivive i suoi fasti e i suoi festini. Nel tempio che per due millenni e mezzo si è creduto appartenere alla casta Giunone, si sono trovati i resti ancora caldi del Putthanone. Akràgas, l’ellenica Agrigento, si riscopre polis di pilus.
Dopo la travolgente uscita del 2012, ecco l’attesa rinnovata edizione dell’opera di Raimondo Moncada che ricostruisce comicamente, battuta dopo battuta, la storia della divinità battente che ebbe la capacità, battendo, di mettere a nudo l’intera Magnaccia Grecia. Giumenta il Putthanone fu molto amata per il suo carattere pugnace e soprattutto aperto. Nel suo tempio accolse chicchessia, battagliando senza esclusione di colpi. Riuscì a battere ogni record, divenendo al primo colpo la più cliccata dell’universo.
La nuova edizione del “Putthanone” contiene rivelazioni esilaranti. Descrive le profondità del tempio, dal punto “A” al punto “G”; localizza con esattezza il sito dove si praticò il celebre rito del “Bengo Bengo”, con tutte le sue raffinate varianti. Le divertenti illustrazioni sono di grande aiuto per i guardoni.
“Dal Partenone di Atene al Putthanone di Akràgas” è una storia che fa mancare il respiro. Va letta tutta d’un fiato e non più con le bombole d’ossigeno ma con i bomboloni. Se la prima edizione ha fatto ridere mezzo mondo, questa nuova pubblicazione completerà l’opera sganasciando l’esistenza nell’altra metà del pianeta.

Kekkina Pallonara (Professore emerito della Comica Accademia della Spelonca Ellenica)
LanguageItaliano
Release dateAug 7, 2012
ISBN9788867550227
Dal partenone di atene al putthanone di akràgas

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    Dal partenone di atene al putthanone di akràgas - Raimondo Moncada

    Martoglio

    EUREKA

    Orme di zoccola

    Un colpo. Un altro colpo. Un altro colpo ancora. Alla fine, l’ellenico imene si rompe.

    Minchia!

    Si dice eureka.

    E allora, non rompermi l’eureka e fammi vedere.

    L’eccitazione è tra le stelle e le stalle. Tre pseudo raccoglitori di verdura si ritrovano d’un balzo là, dove tanti titolati archeologi non sono riusciti neanche a cogitare. Hanno gli ormoni dei piedi nell’area sacra alla dea che tanto amò gli uomini, soprattutto quelli soli, perché in Sicilia i soli spaccano le pietre.

    I tre hanno nomi pomposamente accademici: Peppe Zarca, Lillo Cicoria e Pasquale Burrania. Sono verdurieri senza scrupoli, senza studi, senza lauree. Il loro vanto è un diploma di scuola media serale comprato col massimo dell’insufficienza dopo aver battuto il record di bocciature. L’attestato di affiliazione all’International Association Tombarology permette loro di accedere liberamente negli antichi luoghi di culto dove è vietato entrare e anche uscire, ma dove un tempo entrare e uscire fu la regola. 

    Peppe Zarca, Lillo Cicoria e Pasquale Burrania sono in ricognizione nella Valle dei Templi. Sono in giro ufficialmente alla ricerca di capperi e finocchietti selvatici (erba d’altri tempi!). Tra tappeti di olive di defecazione d’esseri cacanti, schiacciate da zampe d’agnello sacrificale, si imbattono in fresche orme stampate su nudo terreno.

    Zoccolo?

    No, zoccola.

    Che specie di zoccola?

    Generosa cavalla a dondolo da monta. 

    Osservando meglio, si accorgono che sono orme di ormoni impazziti. Durante il febbricitante conciliabolo, un branco di accaldate turiste passa ivi in sembianza seminuda. Umide e ansimanti, le ignudate forestiere squadrano i rozzi verdurieri con fare pudico e intenti peccaminosi. Hanno la lingua di fuori, il capezzolato sballottante, il fiorellino dell’infernale selva oscura in bella mostra. Schiacciano a piacere un occhio a intermittenza e svoltano per luoghi più appartati. Spariscono, lambendo i duri monconi di colonne doriche mangiate dalle cariatidi del tempo, ma ancora ben erette. I verdurieri osservano ogni minuto movimento delle cavalle straniere. Il loro animo equino presto si imbizzarrisce.

    Seguiamo le zoccole?

    Lascia stare. Abbiamo altre zoccole a cui pensare.

    I tre uomini d’erba giganteggiano sul promontorio a sud-est della Valle dei Tempi, tra i ruderi dell’edificio indicato dai segnali turistici come l’abitazione di Giunone. Orma dopo orma, i verdurieri giungono fin sotto la malconcia abitazione, dove le fondamenta a faccia vista, di giallo tufo arenario, si incastrano con la testa della collina che artiglia la pianura con zampe di grigia argilla.

    Sarà una costruzione abusiva?

    Sicuramente un luogo senza licenza e licenzioso dove si praticava il piacere per le arti e soprattutto per la musica.

    Si suonava, perciò!

    Si fermano davanti a un pietrone sospetto. Il masso sembra staccato dalla cinta muraria messa a protezione del luogo tanto amato dagli antichi greci. In un lato si apre una timida fessurina, nascosta agli occhi da un biondo cespuglione. Fuori è tutto erba. C’è una piantagione di erba, erba di quella buona (ogni volta che scoppia un incendio ci sono pompieri che litigano sempre per decidere a chi tocca intervenire per aspirare il fumo).

    In un cartello si legge un’iscrizione che augura lunga vita alla padrona di casa: Campa cavalla che l’erba cresce.

    Dal cespuglione fuoriesce, stordente, odore di afrodisiaca orchidea. Le turiste accaldate, passate poco prima, sono andate in estasi. Si sono sfilati il tanga di nylon trasparente e si sono tuffate ignude nella vicina aspra foresta vergine (così, almeno, è descritta nelle guide ufficiali).

    Dobbiamo andare fino in fondo.

    Fino in fondo e, come gli aerei supersonici, sfondare il muro del suono.

    Lillo Cicoria e Pasquale Burrania, ebbri d’orchidea, si spogliano seduta stante e in un istante vanno per raggiungere le turiste in tenuta naturale. Ma, nello stesso istante, interviene Peppe Zarca, immunizzato al sensuale richiamo da un naso impallinato da uno strano raffreddore che gli intenerisce il cuore.

    Voglia di coccole?

    No, pieno di caccole.

    Peppe Zarca afferra per l’alopecico crine la testa ipnotizzata dei compagni e con un colpo di magia fa loro oltrepassare la minuscola feritoia, che solo dio Zeus sa come ci sono penetrati. I corpi dei ricercatori, di sferica obesità, si ritrovano così scaraventati in una sudicia spelonca, denominata in greco ortodosso Gina. È così sporcacciona che ostacola il cammino dei penetrati. Zarca chiede a Burrania, dai trascorsi in nettezza urbana, di provvedere.

    Lava Gina, che proseguiamo.

    L’odore di orchidea, ad ogni passo avanzante sempre più intenso, li conduce in un luogo di ebbrezza ubriacante. È un luogo divino, troppo divino. Ai verdurieri comincia a girare la testa.

    Se passa la polizia e ci fa gonfiare il palloncino, siamo rovinati.

    Meglio farci gonfiare di botte.

    Una diafana parete sbarra loro la strada. Oltre non possono penetrare. Al di là si intravede qualcosa di mai visto coperto da una gigante scritta: VIETATO. Gli occhi lacrimanti grondano di piacere. Dalle lingue scende saliva. Al di qua non si può stare. Resistere è disumano. Ma come fare? Se si va oltre si commette un illecito. Peppe Zarca prende il tablet e pone il quesito a un forum on-line. 

    - Torno

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