La magica Piuma del Quetzal
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Book preview
La magica Piuma del Quetzal - Manuela Steinmann
La Magica
Piuma
del Quetzal
Indice
Ringraziamenti
Introduzione
Capitolo 1. Un insolito incontro
Capitolo 2. Venuta al mondo
Capitolo 3. Tutto ha un senso
Capitolo 4. Spazio sacro
Capitolo 5. Il talento
Capitolo 6. L’amore è libertà
Capitolo 7. La stagione degli amori
Capitolo 8. La conoscenza di Madre Terra
Capitolo 9. La normalità
Capitolo 10. Il risveglio
Capitolo 11. Lezioni di volo
Capitolo 12. Esprimere la propria essenza
Capitolo 13. La partenza
Capitolo 14. Il grande viaggio
Capitolo 15. Un popolo evoluto
Capitolo 16. Grazie per questo nuovo, splendido giorno!
Capitolo 17. Una nuova partenza
Capitolo 18. Rivelazioni
Capitolo 19. Nuovi incontri
Capitolo 20. Guarire le ferite
Capitolo 21. Il potere dell’innocenza
Capitolo 22. A cuore aperto
Capitolo 23. Una decisione difficile
Capitolo 24. Nulla è perduto
Capitolo 25. Il popolo degli elefanti
Capitolo 26. La danza della pioggia
Capitolo 27. Un compito importante
Capitolo 28. Piano di salvataggio
Capitolo 29. In viaggio verso il circo
Capitolo 30. Il collegamento delle anime
Capitolo 31. Due cuccioli speciali
Capitolo 32. In cammino verso la libertà
Capitolo 33. L’equilibrio ritrovato
Capitolo 34. Prepararsi ad una nuova partenza
Capitolo 35. L’antenna
Capitolo 36. Profonde insicurezze
Capitolo 37. Una giornata triste
Capitolo 38. Perdere la rotta
Capitolo 39. Rinascere alla vita
Capitolo 40. Il viaggio da sola
Capitolo 41. Quelle strane rocce
Capitolo 42. Un prezioso scrigno in fondo al cuore
Capitolo 43. Occorre la magia!
Capitolo 44. Invocazione per guarire la Terra
Capitolo 45. Ogni respiro è una partecipazione all’esistenza
Epilogo
Ringraziamenti
Vorrei dedicare questo racconto al mio caro zio Stefy, il quale, quando ero piccola, mi affascinava con la storia della Piuma del Quetzal. Era un viaggiatore, un idealista e un sognatore. La sua vita terrena è stata breve, ma ha sempre percorso, apparentemente senza meta, sentieri lontani da strade già segnate. Era un’anima libera. Uno spirito puro, desideroso d’amore. Un’intelligenza profonda e innocente. Grazie alle sue narrazioni fantastiche ho coltivato la mia essenza spontanea e, grazie alla Piuma del Quetzal, ho imparato la natura della magia… si dice che questa piuma sia magica e, attraverso la sua energia ed appropriate invocazioni, sia possibile realizzare qualsiasi desiderio. Ci credevo già allora ma, oggi, ne sono certa, tutto è possibile attraverso la purezza di cuore e all’amore. Ognuno di noi ha un suo percorso su questa terra, e più siamo vicini alla sua realizzazione, più ci sentiamo in armonia con tutto e tutti. Ogni vita, anche la più incomprensibile, segue un disegno perfetto. Mio zio ha lasciato questo mondo all’età di 33 anni, ma ha continuato a seguirmi e ad accompagnarmi, senza involucro, in una dimensione più leggera. La sua anima è sempre presente, la percepisco attraverso sensazioni fluttuanti e soprattutto attraverso le piume che mi fa trovare ovunque, a conferma della sua esistenza. L’incanto del suo racconto mi è rimasto dentro ed è per questo motivo che ho voluto scrivere La Magica Piuma del Quetzal
ispirato alla saggezza universale. Vorrei, con questa favola, portare un po’ di magia nelle vite di ogni lettore, che sia giovane o adulto. Ognuno si porta dentro un bambino che ha bisogno di essere ascoltato e coccolato. Questo nostro bambino interiore ci porge la sua mano e ci chiede di giocare con lui, di sognare con lui, di viaggiare con lui. Custodisce la nostra innocenza e la nostra purezza. Ci lava gli occhi e l’anima, quando le emozioni si fanno troppo intense, gioisce con noi dei nostri successi e ci abbraccia per farci sentire al sicuro, sempre.
Grazie zio Stefy. Grazie a tutta la mia famiglia che mi ha cresciuta, mi ha insegnato il rispetto per ogni forma di vita, mi ha trasmesso la forza per trasformare ogni situazione in esperienze ed opportunità, mi ha aiutata a diventare chi sono oggi.
Grazie a voi per aver scelto questo libro. Buon viaggio.
Introduzione
Piuma è nata nella mia immaginazione molto prima di iniziare a scriverne le sue avventure. È evoluta poco a poco, facendo esperienze, vivendo lezioni di vita e frequentando molti di quei corsi che insegnano a guardarsi dentro. Un anno prima che Piuma si affacciasse alla mia mente, una sensitiva, durante una settimana speciale vissuta in Inghilterra, dedicata alla medianità ed alla conoscenza delle facoltà sensoriali e percettive, mi disse che avrei scritto un libro. Sarebbe stato un racconto per ragazzi che avrei poi illustrato. Mi sembrava un progetto molto diverso rispetto alle mie competenze. Non pensavo che sarei mai riuscita a raccontare una storia, portandola avanti per numerose pagine… mi sembrava un’idea molto folle e pensavo che la sensitiva si fosse sbagliata, credendo che qualcuno mi avrebbe portato il suo racconto, un giorno, da illustrare. Invece era scritto così… Una fredda sera di primavera, portando il mio cane a fare la pipì, mi arrivò un messaggio, sottile, quasi impercettibile, un’immagine di un animale fantastico, una fusione tra terra e cielo. In mitologia ne esistono molti, ma quello era particolare e me ne arrivò anche la descrizione, una pantera ed un pennuto colorato… l’uccello del quetzal. Come un fulmine, sia nella sorpresa che nella velocità, mi arrivò tutta la storia, ovviamente non nei particolari, ma nel suo senso. Doveva raccontare di un’anima speciale che deve imparare a riconoscere e a vivere il suo talento personale, attraverso esperienze ed incontri. La storia di tutti noi. Tornai a casa, era buio, quasi notte, ed osservai la luna che si rifletteva lucida sullo specchio d’acqua appena fuori dalla finsetra. L’appartamento era ubicato in un vecchio edificio risalente al ‘600 ed era animato da vite passate, che delicatamente e serenamente condividevano gli spazi e le esistenze. Tutto mi sembrò, per un attimo, appeso ad un sottile filo che divide la realtà materica dall’invisibile e attraverso quell’energia fatata scrissi, accompagnata, le prime righe di La magica Piuma del Quetzal
.
Avevo letto tempo prima, che la mente non distingue la realtà dalla fantasia, che quando guardiamo appassionatamente qualsiasi film, per tutto il tempo della riproduzione, noi siamo nel film. Allo stesso modo l’energia segue il pensiero ed abbiamo un potenziale creativo enorme, se utilizzato nel bene. Questo pensiero mi ha accompagnata per molto tempo ed ho iniziato a fare sempre maggiore attenzione alle mie emozioni riferite a quello che vedevo, a quello che dicevo, ai discorsi comuni, alle conversazioni con gli amici. Mi sono resa conto di quanto poco colore ci fosse nelle nostre vite. Già i cartoni animati per i più piccoli sono diventati cupi, c’è sempre la lotta tra bene e male, vengono insegnati intrighi, complotti e strategie a pochi anni di vita, il tutto condito da non colori, tinte che variano tra nero e grigio e qualche tonalità spenta. Mi chiedevo, se questo era il primo cibo per l’anima delle piccole e nuove generazioni, come sarebbero cresciuti? Se l’energia segue il pensiero e la mente non distingue tra realtà e fantasia, quale esempio di vita stavamo dando?
Alla luce di queste riflessioni volevo che il mio racconto descrivesse un mondo ancora un po’ magico, in cui i colori portassero ispirazione e gioia a chi lo leggesse. Se, per un attimo, la mente può sganciarsi dai problemi esistenziali e volare con Piuma al di sopra del nostro pianeta, respirando aria effervescente; così può reimparare a guardare la realtà con un tocco di meraviglia ed incanto. Se invece di ricordarci della pesantezza dei nostri corpi e delle nostre difficoltà, ci ricordassimo che cambiando prospettiva tutto cambia a sua volta, usciremmo da un labirinto di doveri, sensi di colpa e gravose responsabilità. Volevo scrivere un libro che prendesse per mano il lettore e lo portasse in un mondo magico, che è anche il nostro, e che lo accompagnasse per qualche ora in luoghi colorati, profumati e incantevoli. Ad alcuni potrà, forse, sembrare un racconto ingenuo ed infantile… ma a me piacerebbe raccontarlo ad ogni bambino che tutti noi siamo stati. Mi piacerebbe che, attraverso le varie peripezie dei personaggi vi leggeste le metafore della vita e che, ciascuno trovasse un po’ di sé e della sua esistenza in Piuma. Mi piacerebbe pensare ad un sorriso dietro le pagine aperte del libro, sarebbe una vittoria grandiosa per chi mi ha suggerito, per molte notti distribuite in quattro anni e più, questo racconto. Se ispirasse anche solo qualcuno a cercare il proprio talento personale, ad ascoltarlo ed a seguirlo, cambiando magari anche radicalmente una vita non più sua, colui sarà seguito e appoggiato dalle guide invisibili che sanno qual è il genio che abita in lui.
Capitolo 1
Un insolito incontro
La luna e le stelle sono le uniche testimoni di un amore nato alla fioca luce dell’argenteo riverbero della luna sull’acqua. Quetzal passava di lì quella notte, in volo sopra quel luogo incantato, nella lussureggiante foresta, cornice di un dolce lago cristallino. Nell’ombra della notte era disegnata una figura… nera e lucente. Era lì, assorta nei suoi pensieri, in contemplazione del paesaggio stregato. Quetzal rimase affascinato da quella sagoma che si muoveva sinuosamente nel buio. Ne fu attratto e planò, con fare elegante, sulla riva del lago a pochi metri da Nimyr. Era bellissima, aveva la notte nel manto e la luce negli occhi. Lei lo osservò incuriosita. Era come se, con le sue ali e la sua grazia, avesse portato il colore nella notte. Anche il lago lo salutò con un’onda leggera che arrivò a cingergli le zampe. La fresca brezza dell’acqua lo destò dallo stupore e lo spinse ad avvicinarsi, con un inchino, alla splendida pantera. Non ci fu bisogno di comunicare a parole, bastarono lunghi sguardi persi ognuno negli occhi dell’altro e tante pause smarrite nella vastità del panorama notturno. Fu così che per molte notti quello fu il loro luogo d’incontro. Per molte notti si scambiarono pensieri riguardo al mondo della terra e quello del cielo. Nimyr imparò a leggere le stelle, a respirare i venti e a riconoscere le stagioni del cielo, immaginò prospettive molto più ampie e paesi lontani. Quetzal imparò a sentire la terra sotto le zampe, ad osservare ogni dettaglio da vicino, si meravigliò nello scoprire quante cose potessero esserci in uno spazio così, a suo avviso, limitato. Imparò a conoscere le piante, la vegetazione, i profumi dei fiori che solo di notte si sprigionano. Quanto possono essere diversi due mondi così vicini, il cielo e la terra. Questo susseguirsi di incontri, però, attendeva ormai il giro di clessidra. Quetzal doveva proseguire il suo percorso. Era un viaggiatore, esplorare faceva parte della sua natura, non poteva fermarsi in un solo luogo, anche se accanto a sé aveva una compagna meravigliosa. Sapevano che i loro ritrovi non sarebbero potuti durare ed erano, forse, anche per questo motivo, così intriganti e magici. Ogni istante era vissuto nel profondo, ogni sensazione veniva impressa nella memoria più intima, ed il momento presente, attimo dopo attimo era l’unico pensiero. Non esisteva un passato e nemmeno un futuro. Erano lì, persi nei racconti, ognuno trasmettendo le immagini all’altro così vividamente come se stessero vedendo il film delle loro vite, dei loro sentimenti, delle loro esperienze. Era come se le lucciole, le fate e i folletti si mettessero a disposizione per rappresentare i personaggi e disegnare, nella notte, la trama delle loro rispettive vite. E così, sera dopo sera, ognuno conosceva tutto del compagno e l’amore aumentava e si colorava e risplendeva sempre più. Finché, l’ultima sera prima della partenza, non fu loro possibile resistere alla passione. Al chiarore lieve della luna, Nimyr e Quetzal si lasciarono condurre da una danza sensuale accompagnata dalle melodiche voci delle fate, dalle vibranti luci delle lucciole e dall’inebriante profumo dei fiori di mezzanotte. Era un vortice di colori, di sensazioni… da far girar la testa. Erano un tutt’uno, il manto nero morbido e setoso si perdeva nelle splendide piume variopinte. Il tempo non aveva più nessuna regola e per tutta la notte lasciò spazio solo all’amore. Con il nascere del sole e i primi raggi portati dal carro splendente, purtroppo anche il tempo riprese il suo moto e ricordò a Quetzal la sua partenza. Così, piano piano, per non disturbare il sonno di Nimyr, Quetzal lasciò una sua piuma, la più bella e colorata che avesse sul suo manto, e partì in volo. Le lacrime che perse appena partito, si unirono al lago, divenendo degli splendidi cristalli color turchese, adagiati sul suo fondo. Al bianco rumore delle gocce sull’acqua, Nimyr aprì gli occhi e, come risvegliata da uno splendido sogno, continuò a coccolarsi nel ricordo piacevole di quella notte. Poco dopo, nello stato di dolce dormiveglia, irruppe un baccano tremendo di zampilli d’acqua e urla di divertimento provenienti dal lago. Erano i suoi fratelli che, come ogni giorno di primavera, di prima mattina, adoravano giocare e rincorrersi facendo a gara a chi riusciva a bagnare di più l’altro. Nimyr era tornata alla realtà vera, alla vita del giorno, ai colori della vegetazione che con il sole diventavano quasi prepotenti. C’era stato il passaggio dalla magia della luna alla chiarezza del sole. Allora si alzò, buttando un’ultima occhiata al cielo e si diresse verso quel gruppo di giovani pantere che ora non avevano altro per la testa se non di divertirsi. Si accorse però della piuma che, alzandosi, era caduta accanto a lei, un ricordo di quelle fantastiche notti, lasciato da Quetzal. Era così splendente alla luce del sole! Voleva portarla con se, mettersela al collo, oppure dietro all’orecchio, oppure appesa alla coda, ma gli altri non avrebbero capito e magari gliela avrebbero portata via, ignari del significato profondo che avesse per lei. Allora la nascose in un luogo protetto che sarebbe stato il posto in cui appartarsi per ricordare e rivivere le magiche emozioni.
Capitolo 2
Venuta al mondo
I giorni trascorsero regolarmente e, dopo tre mesi, nacque una piccola pantera… colorata. Nimyr era una pantera strana, non le piaceva unirsi al branco e fare le cose che fanno tutti, ma era nera… invece la sua cucciola era colorata! E nessuno dei giovani felini del gruppo era stato con lei negli ultimi mesi. Fu così che dopo un momento di sconcerto generale, tutti la accolsero come un segno del destino. Una pantera colorata non si era mai vista. E non erano semplici colori, erano delle tinte che si mescolavano alla luce e ne riflettevano la luminosità, e cambiavano a seconda del movimento. Era una magia. Era la magia dell’arcobaleno che di solito sta in cielo ma che ora era sulla terra ed era una parte di loro. Fecero una battuta di caccia importante per portare a Nimyr la carne migliore per poter allattare la piccola nata. Si celebrò una festa grandiosa per il benvenuto al mondo di questa piccola creatura. Ma mancava ancora il nome, erano stati talmente occupati dalle faccende e dalla bellezza del suo manto da non aver pensato a come chiamarla! E, così, tutti fecero a gara per trovare il nome più originale da darle. Finché, poche ore prima della festa, sulla testa della piccola spuntò una piuma colorata, esattamente come quella lasciata da Quetzal prima della sua partenza… e per Nimyr fu chiaro il nome: Piuma.
Piuma era una panterina dolce, una sognatrice. Insieme agli altri cuccioli amava giocare, correre e andare alla scoperta della giungla. S’inventavano giochi, rincorrendosi e rotolando nella terra, imparavano le arti della caccia e del mimetismo giocando a nascondino e saltando fuori al momento opportuno, come in un vero agguato. Poi, però, mentre gli altri continuavano in giochi di ruolo sempre più forti, Piuma si lasciava attrarre dal volo delle farfalle, dal loro volteggiare in aria, di fiore in fiore. La incuriosiva questo loro particolare senso del tempo e della distanza, penetrava in lei l’assoluto e ne dedicava la sua totale attenzione. Le seguiva nelle distese aperte, dove gli alberi non coprivano il cielo e le nuvole segnavano disegni in continuo mutamento sullo sfondo azzurro. Si lasciava rapire da questo continuo movimento, dal venticello che le accarezzava il morbido pelo e le portava nuovi odori da registrare. Essendo tutta colorata, Piuma stava bene tra i fiori, era lì il luogo in cui il suo mimetismo poteva esprimersi al meglio. Così, anche quando il tempo trascorso era molto e le altre pantere iniziavano a cercarla, spesso non la trovavano perché era assorta e immersa in questo suo mondo variopinto. Solo quando le voci e i ruggiti si facevano vicini, Piuma si svegliava da questo suo sogno lucido e tornava verso di loro. Le giornate continuavano tranquille e anche un po’ solitarie. Piuma stava volentieri in compagnia dei suoi fratelli felini, ma allo stesso tempo si sentiva anche molto diversa. Era come se loro non si accorgessero di nulla intorno. Erano talmente presi dai loro giochi sempre più violenti e ripetitivi da non accorgersi dei fiori, delle farfalle e degli altri piccoli animali della giungla. Non si fermavano mai a guardarsi intorno, semplicemente si rincorrevano a vicenda fino allo sfinimento, dopodiché crollavano a terra per un sonno profondo prima di ricominciare da capo con le battaglie. Con il tempo, Piuma stava sempre più in compagnia dei piccoli abitanti della vegetazione e le sembrava di riuscire a sentirne le voci, poteva percepire cosa volessero comunicarle, anche se era impossibile alle pantere capire le farfalle oppure le coccinelle, oppure, addirittura, le fate della foresta… eppure si capivano, eccome! Ed erano tanti i dialoghi che ne nascevano. Le farfalle le raccontavano del gusto dei fiori, di come potessero avere delle fragranze diverse nonostante un’apparente forma uguale, del loro volo e di come fosse un rituale di corteggiamento che facessero ai fiori per chiederne il consenso di appoggiarvisi. Nulla è come sembra, anche il gesto più insignificante e banale ha un senso ben preciso e sta tutto nella ritualità e nella grazia della natura, perché per loro la vita dura un giorno. La curiosità di Piuma iniziava ad aumentare. Perché non si divertiva a giocare con gli altri cuccioli? Perché aveva un colore diverso dagli altri? E, soprattutto, perché da qualche giorno iniziavano a spuntarle delle cose
sulle spalle? Gli altri non le avevano. E perché era così attratta dal cielo?
Capitolo 3
Tutto ha un senso
Piuma poteva camminare, correre, nascondersi e imparare a cacciare, per cibarsi e portare nutrimento al branco, sarebbe stato questo il suo compito da adulta. Avrebbe trovato subito anche un bell’esemplare di pantera maschio con cui accoppiarsi e creare una famiglia, perché era talmente bella che tutti avrebbero fatto a gara per stare con lei, quando ne fosse arrivato il momento. Ma a Piuma non interessava. Non le importava proprio. Sentiva che c’era qualcos’altro oltre la vita e la sopravvivenza. Percepiva che avrebbe potuto sapere molto di più di quanto chiunque della sua specie sapesse. Se era così diversa un senso doveva esserci, la sua amica farfalla lo aveva detto tutto ha un senso, anche il gesto più banale
e il suo colore, tutto era, fuorché banale. Chiaramente tutti questi suoi pensieri la allontanavano sempre più, e per maggior tempo, dalla sua famiglia felina. L’unica pantera con la quale poteva ogni tanto parlare era la madre, ma non era nemmeno sicura che lei la capisse completamente. Nonostante tutto, anche Nimyr era nera. Nessuno del branco aveva mai saputo chi fosse il padre di Piuma e con il tempo non se l’erano nemmeno più chiesto. Così nessuno si spiegava la grande differenza che si stava creando tra loro. Piuma non voleva che le altre pantere capissero quello che le stava succedendo e teneva dentro di sé tutte le domande difficili e strane. Non le poneva nemmeno alla madre che, quindi, non poteva sapere cosa provasse, veramente, la figlia.
Intanto Nimyr diventava sempre più triste. Continuava a pensare alle notti trascorse con Quetzal che, con i mesi, divennero sempre più lontane ed il ricordo iniziava a perdere forza e intensità. Di Quetzal rimaneva solo la piuma e… Piuma. Era tanto orgogliosa della sua cucciola. La pensava così forte e indipendente da non avere bisogno di nessuno. Stava crescendo dividendosi tra i giochi con i compagni e le passeggiate in solitaria per entrare nell’anima della giungla, per viverla e sentirla in sintonia. Una buona pantera deve conoscere il luogo in cui vive, deve farne parte, deve prevedere qualsiasi mossa, sia della preda che del nemico. E lei sembrava proprio avercela fatta. Pareva essersi integrata nella natura muovendocisi con grande dimestichezza. Aveva imparato l’arte del mimetismo e aveva la pazienza necessaria per aspettare in un luogo per ore ed ore, nell’attesa della preda. Però non attendeva la preda, non le importava cacciare. Lei restava immobile nell’erba alta e fitta per parlare con le sue amiche farfalle, che erano ogni giorno nuove e diverse e ogni giorno avevano un messaggio da portarle. Non era sua intenzione mimetizzarsi nell’erba e tra i fiori, era l’unico luogo in cui trovava una pace profonda!
Nimyr non voleva svelare alla figlia la sua storia con il suo papà per non far nascere in lei una sofferenza apparentemente inesistente e, Piuma, non osava porre tutte le sue domande alla madre per paura che non potesse capirla… per molto tempo questo malinteso tenne lontane dalla verità mamma e figlia. Finché una notte, durante la solita visita di Nimyr al luogo di custodia della piuma lasciata da Quetzal, venne seguita da Piuma, ormai curiosa di sapere dove andasse la mamma ogni notte senza dire nulla a nessuno. La seguì per alcune notti, stando in silenzio ad osservare la mamma che sussurrava parole con lo sguardo rivolto al cielo e tenendo tra le zampe una piuma… esattamente come quella che lei aveva sulla testa. Pensò che prima di lei, ne avesse avuta una anche la mamma e, una volta persa, l’avesse conservata in questo luogo per recitare le sue preghiere. Così si spiegava il perché ne avesse una anche lei, a differenza di tutte le altre pantere. Si sentì piano piano più tranquilla, come se un senso di appartenenza si facesse strada dal profondo. Però non si spiegava il colore… e non conosceva quelle cose
che ormai crescevano sulle sue spalle e che stavano prendendo tutte le sembianze di ali. Lei cercava di nasconderle. Le teneva, strette strette, lungo il suo corpo e i colori iridescenti del suo manto la aiutavano a nasconderle. Ma un giorno o l’altro qualcuno se ne sarebbe accorto, e allora? Cosa sarebbe accaduto?
Capitolo 4
Spazio sacro
Tutti questi pensieri occupavano la mente di Piuma e le fecero perdere il senso del tempo e del luogo, trascinandola in un turbine di emozioni difficili da gestire. Così, muovendosi poco delicatamente, calpestò un ramo che era lì a terra e, nella notte, quel rumore riecheggiò come un tuono. Un brivido di paura e di stupore prese Nimyr che subito si alzò in piedi, all’erta, per vedere chi fosse così vicino al suo luogo segreto. Con gioia e sorpresa si accorse che era la piccola Piuma la quale, con altrettanta meraviglia, avvertì di essere stata scoperta dalla madre, che finalmente l’accolse nel suo spazio sacro. Quella notte si coccolarono e si aprirono a discorsi, da tanto tempo attesi e soffocati. Le ore sembrarono non passare, ancora una volta il tempo si fece da parte per favorire l’amore, quello così intenso che si può provare soltanto attraverso un legame profondo. Nimyr raccontò a Piuma di suo padre, della magia che aveva saputo portare nella sua vita, sebbene si fossero frequentati alla luce della luna per poche indimenticabili sere. Gli raccontò quello che lei stessa aveva imparato del firmamento, dei viaggi, dell’emozione di vedere il mondo dall’alto, l’ebbrezza del librarsi in volo e lasciarsi guidare dai venti. Lei poteva solo riportare quello che le aveva, a sua volta, raccontato Quetzal. Purtroppo, però, non avrebbe mai potuto volare, ma le piaceva chiudere gli occhi ed immaginarsi le sensazioni. Aveva tanto sognato di poter seguire il suo amato alato, ma il suo posto era a contatto con la madre terra e lei aveva quattro zampe forti e veloci al posto di un paio di ali leggere e flessibili. E poi era nata lei, la sua adorata cucciola, che le aveva riportato i colori e la gioia di vivere. Attraverso Piuma, ogni giorno poteva sentire vicino l’amore, quello universale, poiché doveva essere estremamente grande per poter raggiungere Quetzal, ovunque egli fosse. Trascorsero le ore a parlare dei viaggi e della meraviglia del volo. Solo allora Piuma, tra le zampe della madre, prese il coraggio e condivise con lei il suo grande segreto. Anche lei aveva un paio d’ali, non ancora completamente sviluppate e, sicuramente, non ancora pronte, ma si stavano formando e rafforzando e… tra poco sarebbero state abbastanza robuste da permettergli di tuffarsi nel cielo. La sorpresa di Nimyr fu immensa. Non poteva credere a ciò che stava vedendo. La sua piccola Piuma non solo era splendida, colorata e saggia, ma aveva anche il dono del volo. Adesso sì che Piuma capiva il senso di quelle cose
, erano ali ed erano il dono più grande che le avesse lasciato il padre, il re degli uccelli colorati. Fu una notte ricca di emozioni; risero, piansero, si persero in mille carezze e si sentirono intensamente unite. All’alba si addormentarono, finalmente, acciambellate l’una nell’altra con un silenzioso patto di segretezza, nulla di quanto raccontato quella notte sarebbe mai stato condiviso con nessun loro fratello felino, solo la luna poteva esserne testimone. Fu così che ebbe inizio la ricerca di Piuma, che non si era mai sentita veramente una pantera e, tantomeno, un uccello. Chi era in realtà? Non sentiva di appartenere ormai più alla famiglia dei felini, non si sentiva una di loro, non condivideva i loro giochi sciocchi e ripetitivi, voleva saperne di più. Però non aveva mai vissuto con un uccello e possedere le ali non serviva a nulla se non era in grado di utilizzarle. Nessun uccello, mai, si sarebbe avvicinato a lei, che era un predatore tanto temuto. Piuma era quindi sempre più confusa e incerta, sarebbe stato tutto più semplice se non si fosse mai posta tante domande, ma le ali non poteva rinnegarle, quelle c’erano ed erano lì a ricordarle la sua unicità. La sua natura la chiamava e di notte urlava la sua eccezionalità. Quindi, spinta da quel tormento profondo, la notte successiva, e le seguenti ancora, decise di andare dalla madre, nel suo spazio sacro, per continuare a condividere con lei tutte le perplessità e le paure, ma anche la grande meraviglia nei confronti della vita.
Capitolo 5
Il talento
Mamma, perché mi sento tanto diversa?
Chiese Piuma con voce sconsolata, Amore mio
rispose con grande dolcezza Nimyr "cosa vuol dire essere diversi? Ognuno ha un suo talento ed ognuno ha una sua unicità. Con questa consapevolezza è normale essere diversi. Volersi uniformare a regole ed insegnamenti dettati da altri non è naturale. Non esiste la normalità e non esiste la stranezza. Se ognuno di noi riuscisse a seguire il proprio progetto di vita, il fuoco che abbiamo dentro