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Voglio posso e comando
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Voglio posso e comando

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'Questa che state per leggere è la storia della mia famiglia. O meglio. E’ una storia che non ha tempo, né spazio. E’ la storia della mia vita. E’ una delle possibili storie, delle possibili versioni della mia vita. E’, questa che leggerete, la storia che la mia fantasia, che la mia verità, hanno visto e vissuto, attraverso gli occhi di una parte della mia famiglia. Questa è quella versione, quindi, che io ho vissuto attraverso gli occhi di chi, più di tutti gli altri, mi ha portato, mi ha costretto ad arrivare fin qui, e a vivere così. Volente, o nolente. ...'
Quale miglior sintesi di questo inizio. E' una storia famigliare, certo, ma anche, e soprattutto, è un viaggio all'interno dei modi della memoria, di eredità mai desiderate, di speranze illegittime. Fa piangere,e fa ridere, questa storia. E il ricorso a fantasie, dettate da improbabili attitudini e trasformazioni corporee, la collocano fuori dalla realtà tangibile di ogni giorno, catapultandola in quella del sogno, e quindi, della psiche.
LanguageItaliano
Release dateApr 30, 2013
ISBN9788867558780
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    Voglio posso e comando - Laura Maria Pezzenati

    Indice

    Prologo

    Questa che state per leggere è la storia della mia famiglia. O meglio. E’ una storia che non ha tempo, né spazio. E’ la storia della mia vita. E’ una delle possibili storie, delle possibili versioni della mia vita. E’, questa che leggerete, la storia che la mia fantasia, che la mia verità, hanno visto e vissuto, attraverso gli occhi di una parte della mia famiglia. Questa è quella versione, quindi, che io ho vissuto attraverso gli occhi di chi, più di tutti gli altri, mi ha portato, mi ha costretto ad arrivare fin qui, e a vivere così. Volente, o nolente.

    Vi chiedo di essere indulgenti. E’ piuttosto faticoso, fuori da reali tempo e spazio, infatti, cercare di snodare, con fantasia e verità, le vicende di tante generazioni, di tanti arcani soggetti. E scusatemi se, soprattutto al principio, la lettura sarà ostica, e se vi sembrerà di essere caduti dentro a un vasetto di colla. Abbiate pazienza, e siate indulgenti. Alla fine, credo, ogni cosa si spiegherà. Credo, e spero.

    E vi chiedo, anche, di non odiarli troppo, tutti questi miei parenti. Sono le mie origini, e il mio presente. Sono la mia disgrazia, e la mia benedizione. Sono tutti i fantasmi che ho. E non dispiacetevi troppo, se la cista, se il voglio posso e comando che sempre maledirono, e che per sempre malediranno ogni più infinitesima particella dei nostri organismi familiari, non dispiacetevi, non arrabbiatevi troppo, se tutto questo avrà la meglio su qualcuno di noi. Su quasi tutti. Così è la vita che illude se stessa. E’ la cista che, sempre, e solo, vuole, può e comanda.

    Spero che riuscirete anche voi, come me, spero che anche voi, alla fine, e come me, arriverete, a tratti, a sorridere, a tentare di amare, spero che arriverete a perdonare, almeno un po’, tutto ciò che ciascuno, suo malgrado, farà a tutti gli altri.

    Purtroppo, non ci sono state né cattiveria, né vere intenzioni. E questa è la tragedia. E’ la commedia. Così è la vita che illude se stessa. E’ la cista maledetta. E’ quell’inutile voglio posso e comando.

    E fin da ora, io vi ringrazio per l’attenzione che vorrete darmi.

    La mia famiglia materna. Un albero genealogico

    I BisTrisNonni generarono

    la Nonna Etta: voglio posso e comando

    che sposò il Gianni Olivari.

    Da qui, nacque

    La BisNonna Antonietta

    che sposò il BisNonno Piero.

    I due, a loro volta, misero al mondo due figli.

    L’Anna

    che sposò il Lucio

    e il Nonno Carletto

    che sposò la Nonna Anita.

    Dai primi due, nacque

    la Emma,

    mentre da mio Nonno e da mia Nonna nacquero tre figli, dei quali, l’ultima, è mia Mamma,

    la Lori

    che sposò mio Papà, l’Emilio.

    Mio Nonno, il Carletto, e la maledetta maledizione.

    Se fosse stato per lui, da grande, il Nonno non avrebbe mai fatto il medico. Lo divenne ugualmente. Ma non gli fu impresa facile. Furono impedimenti misteriosi, e apparentemente inesplicabili, infatti, quelli che moltiplicarono quasi all’infinito i traballanti pioli della sua fermamente indesiderata scaletta ippocratica. Furono tutti, infatti, e lo vedremo, ostacoli di ordine soprannaturale ed ereditario, quelli che resero ancor più funesta e funestata un’impresa che presentava, in sé, i tratti dell’impossibile.

    Tanto per cominciare, tanto perché si possa entrare un poco nel vivo fluire, e perché si possa partire a percorrerne un poco le correnti sotterranee, si sappia che la salute fisica del Nonno era, e sempre rimase, estremamente cagionevole. Questo è un dettaglio. E' qualcosa che non appartiene certo ai moventi sostanziali, né a quelle ragioni che fonderanno e costruiranno la sua sconfitta professionale. E però. Non solo, quindi, la salute fisica del Nonno era, e sempre rimase, estremamente cagionevole, ma si sappia anche che il suo corpo gracile subì, negli anni del suo matrimonio, più interventi chirurgici, applicazioni e ricoveri ospedalieri di quelli che egli in persona prescrisse mai a tutti i suoi pazienti, sommati assieme. Ci si renderà facilmente conto, allora, di quanto spiacevole possa essere stato per il Nonno, per un medico, prima scoprirsi, e poi vivere, come il più ammalato del più ammalato dei suoi malati. Di quella floridezza, chiamiamola anche e solo salute, che dai lisoformici pori della pelle di un medico dovrebbe trasudare copiosa, ecco, il Nonno non poteva certo vantarsi. Anzi. Bastava vederlo, e tutta la sua credibilità, anziché riporsi nelle sue taumaturgiche mani, si dissolveva, annegata nelle mille bollicine di un'aspirina effervescente, che fa meno male allo stomaco. Benché l’evoluzione dello sparuto apparato biologico del Nonno apparisse, quindi, più che evidente, e fin dai suoi primi e asmatici vagiti, suo padre, il BisNonno Piero, fu, però, irremovibile. Tu, Carletto, farai il medico specialistico, gli diceva, assistendo schifato al cambio del milionesimo e diarroico suo ciripà. Sei mio figlio, e dirigerai una clinica privata. Vittima di questa paterna, malefica predestinazione, il Nonno crebbe perseguitato da se stesso. Visse in compagnia di una forma del terrore che gravò, come un macigno, sopra ogni suo gesto, sopra ogni sua scelta. E fu proprio lei, fu questa maledizione antica, fu proprio lei che lo obbligò a combattere, mercenario e straniero, al soldo di due eserciti nemici. Fu proprio lei, la maledizione, colei che lo obbligò a combattere una logorante guerra di trincea. Fu lei, fu la maledizione, che lo obbligò a fare sempre il doppio gioco, a fare sempre la spia.

    Detto questo, è chiaro che il Nonno dovette frequentarli proprio tutti, i corsi, alla facoltà di medicina. Perché dovette imparare e conoscere proprio tutto, il Nonno, sapere tanto, e tutto. Anche se, poi, e a dir la verità, non gli servì quasi a nulla, al Nonno, tutto questo leggere e rileggere, studiare e ristudiare. Intanto, perché gli esami andavano sempre male. E poi, più grave, perché fu sempre obbligato, il Nonno, ad affidare le sorti incerte del suo organismo inquieto a medici specialistici diversi, per la maggior parte, va da sé, suoi ex compagni di studio. Dovette darsi in pasto, e farsi curare, proprio da tutti coloro che, partiti con lui, conquistarono agevolmente ed esattamente quelle medaglie che, per il Nonno, sarebbero rimaste soltanto un sogno. La specializzazione, la clinica privata. Era ancora lei, era la maledizione. Carletto, sono anni che faccio il chirurgo. Vuoi che non sappia come si asportano dei banalissimi calcoli renali? Tu mi offendi, Carletto mio. E certo che lo sapeva, il Carletto, il Nonno. Eppure, non si fidava di nessuno, lui. Era invidioso, infatti, il Nonno. E supponeva, anche, che le sue diagnosi e i suoi interventi sarebbero stati di una virgola e di una sutura più precisi e accurati di quelli di qualunque collega. Ed era proprio vero. Per guadagnarsi la sua umilissima qualifica di medico generico, per essere così come lo definiva il gotico antico del suo diploma di laurea, pesantemente incorniciato e affisso nel suo studio, aveva dovuto studiare e studiare, il Nonno, più di tutti i compagni. Nel suo continuato combattimento corpo a corpo con la maledizione, infatti, fu solo studiare, fu solo questo, che gli impedì di subire, inerme, troppi calci all'inguine.

    Di come poi si appropriò, e di come si approfittò, e utilizzò, il Nonno, tutta questa storia di maledette maledizioni, di gracilità fisiche e di interventi chirurgici, lo vedremo ampiamente poi. Di come riuscì a costruire l’intera sua esistenza, il Nonno, sulle basi molli e sdrucciolevoli di questo infermo inferno, lo vedremo ampiamente poi. Pian piano, la maledizione e le sue mille sfaccettature diventeranno, abiteranno l’intera sua vita. E sarà solo così, con la maledizione accanto, che il Carletto, il Nonno, poté sopravvivere a sé, alle sue pochezze, e alle sue mal celate brutture.

    La sorella del Nonno Carletto, l’Anna, disobbedisce sempre.

    Il Nonno nacque secondo di due fratelli. C’era lui, il maschio, e c’era un'unica, inutile e inutilizzabile femmina, l’Anna, la primogenita. Meglio sarebbe stato, si diceva sempre, che l’Anna non fosse mai venuta alla luce. Non si limitò a essere, infatti, e come diceva il Piero, il BisNonno, suo padre, non si limitò a essere, infatti, l’Anna, in quanto donna, un vero e proprio peso morto, zavorrato a una carlinga potenzialmente assai vitale. Non si limitò a essere questo. L’Anna fu, anche, e già che era zavorra, e già che era femmina, l’Anna fu anche, e soprattutto, in perpetuo e pericolosissimo oscillare. Con le sue decisioni improvvide e improvvise, con le sue inamovibili certezze e idealità, infatti, dal basso del suo metro e quaranta di statura, l’Anna riuscì a raggiungere, e più di una volta a far pericolosamente vacillare il timone del primo pilota, del BisNonno Piero, suo padre. Oltre al fatto di essere femmina, e quindi pericolosa in sé e per sé, però, a questo, a tutto questo stravagante svolazzare indisciplinato dell’Anna, c'è anche un’altra spiegazione. C’è una spiegazione molto precisa, alla quale nessuno, però, badò mai abbastanza. Il Piero, ahilui, e infatti, aveva commesso un errore colossale, un colossale scambio ereditario. Non aveva capito, né mai lo capì, il Piero, che avrebbe forse potuto essere lei, che avrebbe potuto essere l’Anna, e non il Nonno, la promessa di casa. Non si rese conto mai, il Piero, che era la destinazione del destino dell’Anna che avrebbe potuto giacere là, luminosa, bella e lontana, distante da uomini e cose, oltre mediocrità e bassezze. Avrebbe potuto essere lei, l’Anna, la reale ed effettiva erede della Nonna Etta: voglio posso e comando. Avrebbe potuto esserlo lei. Lei, e lei sola, e non certo il Carletto, non certo il mio povero Nonno. Eppure, nessuno lo comprese, né la legittimò mai. Nessuno le riconobbe mai, all’Anna, questa sua autoevidente posizione, spettantele per diritto di sesso, e natura. Tutti, e a partire da suo padre, dal Piero, dal BisNonno, tutti, infatti, si limitarono a considerarla pazza. Tutti si stupirono di lei, sempre, e la temettero. E infatti, a parte le naturali, immaginabili e disagevoli condizioni di vita che l’Anna fu, per ciò, costretta a subire, la gravità di una simile trasgressione, e poi di inversione di genealogia e senso si manifestò con ben più inquietanti e profonde modalità. La maledizione si impossessò di lei, e la travolse. La abitò e la conformò. Catturò anche l’Anna, la maledizione, così come fece, come farà con il Carletto. Ma questo lo vedremo poi.

    Intanto, l’Anna, oltre che femmina, era di molto più vecchia di suo fratello. Ed era per questo che avrebbe dovuto essere lei, per questo, e per come aveva deciso il BisNonno Piero, che avrebbe dovuto essere lei, è ovvio, a dispensare quel di più di aiuto di donne, assieme alla BisNonna Antonietta, che poteva servire ai due maschi di casa. Semplicemente, doveva. Era, o non era, l’unica figlia, quella femmina? Viceversa, lei, l’Anna, non ci pensava proprio. Voglio posso e comando, si ripeteva adagio, cantilenandosi, e guardandosi nello specchio. E leggendosi quel futuro che intuiva aggrovigliato tra i riccioli crespi della sua chioma rada, si riteneva destinata a una vita avventurosa, e a una grande, grandiosa passione d'amore. In barba a tutti i maschi che, col loro solo esistere, le rammentavano continuamente quanto fosse bassa e brutta, quanto dovesse starsene, come sua madre, schiava, sorridente, e silente. Semplicemente, lei, l’Anna, quindi, disobbediva. Disobbediva a qualunque ordine di suo padre. Sempre. L’Anna disobbediva. E sempre, bruciava di rabbia, il Piero, il BisNonno. Bruciava di rabbia, e subiva un vago, diffuso e insopportabile senso di disagio e inquietudine. Quando l’Anna disobbediva, quando ignorava ogni suo imperativo, si sentiva pervadere, il Piero, allora, e in quei momenti, da una sensazione tale e quale a quella che si insinui in un inesperto giocatore di carte, quando non sappia di sedersi al tavolo con un baro, e perda. E questa sensazione era tale e quale, anche, a quella che lo assaliva quando osservava suo figlio Carletto, il secondogenito, intento e attento, solo, alla disperata assimilazione dei testi del programma di ciascuno dei suoi esami d'università. Ed era, questa, la sensazione della maledizione. Ma lui, il Piero, lui, non lo sapeva di certo. E la subiva.

    Di sua sorella, delle sue femminee deviazioni dalla rotta, contrarie e contrastanti gli onnipotenti ordini della gerarchia paterna, il Carletto, il Nonno, si accorgeva poco, o punto, o a seconda di quanto lo sbraitare del Piero disturbasse il suo sudare anatomia patologica. Aveva ben altro a cui pensare, lui. Segregato nella sua stanzetta, studiava e studiava. E quando si concedeva un po' d’intervallo dai libri, ecco che indossava il camice da chirurgo che portava durante le esercitazioni all’università, e che fu bianco immacolato. Non voglio non posso e non comanderò mai, si diceva tra i singhiozzi. Guardami qua, e con questo straccio addosso, si diceva, mentre ciancicava tra le mani la stoffa di quel camice che fu bianco, che fu bianco immacolato, ma che diventava, in quei momenti, frusto e insozzato, come il grembiule di un macellaio, devastato dal sangue dei vitelli sgozzati.

    La Marietta, la Nonna Etta: voglio posso e comando diventa grande.

    La Marietta, la Nonna Etta: voglio posso e comando visse in uno spazio e in un tempo misteriosi e lontani. Per quanti sforzi di memoria si sia sempre e indefessamente impegnato a fare, infatti, e dopo che la Marietta divenne grande, nessuno dei parenti riuscì mai a ricordare, e a ritenere la data della sua nascita. E così, anche, per il luogo in cui il suo primo, muto vagito si udì stridere. Dove nacque, e quando, e come, quella benedetta infante? Avvolta nelle più oscure tenebre dell'inintelleggibilità, della Marietta si tramanda una leggenda che, proprio in quanto unica informazione certa sulla sua persona, assurge a incontrovertibile riferimento, a criterio di verità assoluta. Universale e indiscutibile. Si narra questo. Che benché la Nonna Etta: voglio posso e comando, benché la Marietta contasse già diversi anni, nessuno, tra parenti, amici o semplici conoscenti, nessuno poteva vantarsi di aver udito almeno una volta, almeno per sbaglio, l'infantile sua vocetta. Un silenzio di ghiaccio sembrava incrostare di enormi stalattiti le sue minuscole corde vocali. Peduncoli vibranti che, però, c'erano, eccome se c'erano. Apparivano, anzi, e allo sguardo attento microscopio di tutti i medici che la visitarono, forti e chiare. Capaci, se soltanto ne avessero avuto voglia, di emettere stentoree sissillallabebe di bambina più che normale. E invece, no. Ostinatamente, tacevano. Quasi che obbedissero, anziché alla comune, semplice, banale e umana natura, a un imperativo interiore, e diverso, ben più potente. Tiranno. Maledetto. O forse, obbedivano proprio e solo alla natura, fosse essa umana, o no. E tant'è, che mai a nulla valsero, pare, i tentativi, i trabocchetti e gli inganni che chiunque si ingegnò a inventare, per farla parlare. Niente. Non è sorda, dicevano i consulti dei medici, e quindi, non può essere neppure muta. Sì, certo, è fisicamente molto piccola, assai fragile, così mingherlina che riusciremmo a infilarla comodamente in un taschino, e però, a parte questo, e insieme a qualcosa d’altro di ben più strutturale che poi vedremo, tutto va bene. Questa bambina, tutto sommato, sta bene. Insomma. Era abbastanza sana, la Marietta, in mens et in corpore, in ogni suo apparato fisico (a parte uno), e psichico. Non vi si rilevava nulla di particolarmente strambo, né di così storto. A parte, certo, la Marietta medesima, nella sua stessa struttura.

    E infatti. Nel segreto professionale delle sue cartelle cliniche, tra i caratteri cifrati del suo archivio segreto, l'allora medico di famiglia, colui che, chissà quando, e come, la fece venire al mondo, e sempre la visitò, qualcosa aveva appuntato. Nessuno, però, si dette mai la briga di rivelare, di approfondire. E comunque. Se fosse esistita la chiave d'accesso a quel codice, e se, soprattutto, fosse stato possibile girarvela nella toppa, ecco, diciamo che vi si sarebbe reperita, senza data né luogo, un'unica, inquietante, geroglifica trisillaba, Cassandra. E accompagnata, per di più, dal nome di due divinità, tra le maggiori dell’Olimpo, Ermes e Afrodite, entrambi, figli di Zeus, il legittimo e l’adottiva. Ebbene. La visionaria principessa della mitica città dei Troiani, non era muta, è vero, ma, ugualmente alla Marietta, non fu ascoltata mai, e sempre il giusto predisse. In quanto, poi, alle due elleniche divinità, che ci sono fin troppo note, e fin troppo connotate, per ora, ci basti sapere che accompagnavano Cassandra, dentro al segreto della cartella clinica della Marietta.

    Ma cerchiamo di andare un poco più avanti. Lascio a voi il gusto, o il cruccio di immaginare come, ma gli anni passavano. Passavano, e passavano, e un bel giorno, appunto, giunse quello in cui la Nonna Etta: voglio posso e comando, sola, e muta, e storta, e piccolissima, dovette attraversare quello, tra i suoi approssimativi compleanni, che, si suppone, l’avrebbe resa adulta. E il mattino che la risvegliò così, grande, per la verità, non sembrava presentare alcuna differenza evidente, rispetto a quelli che, da sempre, l'avevano avviata al giorno. Tranne, forse, per un unico, piccolissimo dettaglio. Il cielo era carico di pioggia, e pennuti mai visti prima volavano molto, molto basso. E allora? Che significa? Beh, per esempio, e secondo le rigide regole dell'interpretazione del volo degli uccelli, tanto per dirne una, significava. Altroché, se significava. Significava un mutamento radicale, significava il sovvertimento di qualunque credenza o certezza si fossero fermamente seminate e coltivate sin là. In ogni modo, ecco come le cose effettivamente si svolsero.

    Benché nel particolare frangente, proprio nessuno ne sentisse l'impulso spontaneo, la famiglia decise che si sarebbe indefessamente adoperata per organizzare alla Marietta una grande festa, la sua prima, e vera. In qualche modo, il suo debutto in società. Come poi la società avrebbe accolto l’ingresso di qualcuno che, ostinatamente, si rifiutava di farne parte, nessuno poteva, né, soprattutto, voleva saperlo. Fatto sta, che il signorile appartamento dei BisTrisNonni fu smacchiato, stirato e ripiegato come mai. Si assoldò della servitù supplementare, per lucidare sino alla consunzione le eredità di generazioni. La famiglia si illudeva che, forse, sarebbe bastata questa cascata d'oro e d’argento, a strappare un’esclamazione, purché fosse, alla Marietta. E poi, fu anche ingaggiata una corte di cuochi e sguatteri, nel tentativo di addolcire di leccornie l'arido palato della festeggiata. E persino, fu convocata un'intera sartoria, per occuparsi al meglio del suo ridottissimo, fuori taglia e silente presentino. Se fosse andata male con l’argenteria, magari, l'abbacinante bellezza e la straordinaria eleganza dell'abito avrebbero saputo strapparle, persino a lei, persino alla Marietta, un'interiezione, purché fosse. Chissà, magari, di felicità e ammirazione. Onde evitare l'inevitabile tedio, tralascerò di elencare gli altri, ulteriori, e infiniti preparativi. Aggiungerò soltanto questo. Che ciò che, in assoluto, e più d'ogni altra cosa, rischiò di mandare per davvero tutto a monte, fu reperire gli invitati per la festa. La Marietta, infatti, non poteva certo vantare un carnet di conoscenze ricco e variegato. Le uniche persone con

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