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30 Love - il meglio del TENNIS 2013-2014
30 Love - il meglio del TENNIS 2013-2014
30 Love - il meglio del TENNIS 2013-2014
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30 Love - il meglio del TENNIS 2013-2014

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30 storie da ricordare: analisi, celebrazioni, punti interrogativi, suggestioni. Avvenimenti che hanno cambiato la storia del tennis, come l’attentato subito da Monica Seles nel 1993, ad altri che l’hanno scritta durante questo 2014: se a Wimbledon Roger Federer deve inchinarsi a Novak Djokovic, al Roland Garros Maria Sharapova conquista il suo quinto slam. Dalla meteora Maureen Connolly, all’uomo che disse no ad Adolf Hitler, dal curioso caso di Kimiko Date-Krumm agli incompiuti Gael Monfils e Caroline Wozniacki. E mentre Andy Murray riparte da Amélie Mauresmo, Agnieszka Radwanska viene respinta dal “Club dei campioni slam”, Tommy Haas sfodera la sua ultima freccia, Eugenie Bouchard deve districarsi tra pressioni e aspettative e Li Na lascia il segno nel cuore degli appassionati. Il viaggio dell’argonauta Flavia Pennetta, il misticismo russo di Svetlana Kuznetsova, e tanto altro ancora, perché ci sono due vie per attraversare il tennis, la via della natura e la via della grazia. Spazio anche ai numeri: i risultati dei tornei ATP, WTA, della Coppa Davis e della Fed Cup; nonché i ranking di fine stagione.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 27, 2015
ISBN9788891174109
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    30 Love - il meglio del TENNIS 2013-2014 - TennisFocusOn

    Gradassi

    IL GIORNO CHE CAMBIÒ LA STORIA DEL TENNIS

    Sarebbe una bugia affermare che Gunter Parche ha lacerato solo la schiena di Monica Seles e non la storia del tennis. Ripercorriamo i fatti avvenuti il 30 aprile del 1993.

    Amburgo, 30 aprile 1993. Sul campo centrale del Circolo Rothenbaum, 7.000 spettatori stanno assistendo all’incontro dei quarti di finale del torneo Citizen Cup che vede opposte la n°1 del mondo, Monica Seles, e la bulgara Magdalena Maleeva. La serba conduce 6-4 4-3. Al cambio campo, approfittando della disattenzione del servizio di sicurezza, un uomo s’avvicina alla panchina di Monica Seles. Nessuno si accorge che impugna un coltello e, mentre la diciannovenne di Novi Sad si piega in avanti nell’atto di asciugarsi il sudore, le infligge un colpo sulla schiena. La Seles grida, si alza in piedi e, mentre si avvicina alla rete, porta una mano nel punto dove è stata colpita. Quando si accorge che sta sanguinando si accascia sul campo. Un addetto della WTA la raggiunge, con una mano cerca di tamponare la ferita, per poi essere affiancato da una collega che contiene l'emorragia con un asciugamano. Tempo pochi minuti un equipe di paramedici caricano la Seles in barella e la trasportano in ambulanza alla Clinica Universitaria Eppendorf.

    Le notizie che trapelano definiscono la ferita non grave ma la lama, penetrata all’altezza della spalla sinistra, ha procurato una lesione profonda circa 1 cm e mezzo. Una prima diagnosi solleva nei medici perplessità riguardo alla completa ripresa muscolare. Monica Seles è sotto shock e per calmarla le è stata somministrata una consistente dose di sedativi. Nel frattempo viene reso noto il nome dell’attentatore, tale Gunther Parche, di trentotto anni, un tornitore disoccupato originario della ex Germania Est. Uno squilibrato, tifoso di Steffi Graf, il quale pensa che mettendo fuori gioco la Seles la sua beniamina sarebbe tornata n°1 del mondo. Ed è ciò che accade.

    Monica rimane ricoverata ad Amburgo due giorni per poi essere trasportata con un aereo privato prima in Florida, a Sarasota dove risiede, poi a Vail, nel Colorado, presso una clinica specializzata in traumi muscolari. Il luminare che la segue, il professor Richard Steadman, si rifiuta di quantificare il tempo necessario alla tennista per recuperare e tornare in campo.

    La settimana seguente all’attentato le top 20 si riuniscono per decidere se estendere all’aggressione subita dalla Seles la regola che vale per le giocatrici incinta, alle quali è consentito congelare la classifica. Soltanto Gabriela Sabatini si schiera a favore della Seles che subisce la seconda pugnalata alle spalle, questa volta da parte delle colleghe. La notizia che getta Monica nello sconforto totale riguarda però l’adorato papà che, mentre è ricoverata a Vail, si sente male e gli viene diagnosticato un tumore alla prostata.

    Con lo stesso clamore che aveva caratterizzato la sua devastante apparizione, Monica Seles esce di scena per oltre due anni. È evidente che il coltello di Parche è riuscito in ciò che non era stata in grado di fare Steffi Graf: non le ha solo strappato la schiena, è entrato molto più in profondità, le ha lacerato la mente.

    Quando ritorna in scena, durante il Canadian Open di Toronto del 1995, Monica Seles lo fa a modo suo: vincendo. Poi sarà la volta del U.S Open dove stritola tutte le avversarie fino alla finale che la vede opposta a Steffi Graf. Un match annunciato come la partita del secolo, in cui un tragico errore arbitrale nega alla Seles un ace durante il tie-break che le avrebbe permesso di aggiudicarsi il primo set. Destino vuole che dopo aver dominato la seconda manche per 6-0, nel set decisivo, Monica crolli, consegnando la vittoria alla Graf. La seconda carriera di Monica Seles si trasfigura in una vera e propria odissea: la morte del padre, tanti infortuni, problemi di peso, patemi di ogni tipo, alleviati da alcuni trionfi, uno su tutti l’Australian Open nel 1996. Perché la verità è che dal 30 aprile 1993 Monica Seles, la belva di Novi Sad, non sarà più la stessa. E insieme a lei cambierà anche la storia del tennis.

    She is the next aveva profetizzato Chris Evert nel 1989 dopo essere stata sconfitta da Monica Seles nella finale del torneo di Houston. Non si sbagliava. Analitica come sempre, forse aveva intuito che Steffi Graf era solo una parentesi; che il futuro, la prossima, sarebbe stata quell’adolescente serba che non ci stava mai a perdere, nemmeno quando tutto le era contro, persino la logica. Basta attendere Parigi dove in semifinale Monica trascina al terzo set Steffi Graf provocandole uno scossone che accompagnerà la tedesca fino alla finale persa contro Arantxa Sanchez. L’anno dopo, nella finale del Roland Garros, sarà proprio Monica Seles a fermare la Graf per vincere il primo di tre titoli consecutivi.

    Ripensando a quegli anni c’è da rimanere allibiti, zittiti, al cospetto dei numeri ottenuti da Monica Seles. Il mito dell’imbattibilità, che rende Monica cara agli dei del tennis è forgiato da nove tornei conquistati nel 1990, dieci nel 1991, ancora dieci nel 1992; tra cui otto titoli del Grande Slam e tre Master. Tra il gennaio 1991 ed il febbraio 1993 Monica Seles vanta uno score vittorie-sconfitte di 159–12 (92,9% di vittorie). Nel Grande Slam il suo bilancio è ancora più impressionante: 55-1.

    Mai attentato fu più riuscito. Solo la lama di Gunther Parche poteva mettere fuori gioco Monica Seles. Per quanto nessuno di noi possegga la famigerata sfera di cristallo è alquanto difficile che Steffi Graf avrebbe trovato le contromisure a quella furia dal fisico indistruttibile, creato nei minimi dettagli con l’allenamento personalizzato, il cuore capace di 45 battiti al minuto a riposo, una soglia anaerobica mai registrata prima, uno spirito di sacrificio spaventoso, una ferocia agonistica ineguagliabile. Molto più probabile che SteffiGraf sarebbe definitivamente crollata, per finire irrimediabilmente avvolta nel vortice di quell’incubo che, dopo averla spodestata, la stava lentamente divorando: Monica Seles. La grandezza di Steffi Graf è incontestabile. Sminuire 107 titoli WTA, 22 dei quali del Grande Slam è improponbile. Allo stesso tempo è però innegabile che una nube tossica si è espansa sopra a sedici anni di carriera della tedesca, come conseguenza del revisionismo storico che si è abbattuto sui suoi numeri.

    Seppur ammettendo che i numeri siano pressoché infallibili l’attentato di cui è stata vittima Monica Seles richiede lo sforzo di interpretare tali numeri. Sarebbe ipocrita affermare che un episodio esterno al rettangolo di gioco trasfiguratosi in Gunther Parche non abbia influito sul corso degli eventi.

    Le supposizioni custodiscono spesso un sapore fazioso; questo perché vengono tirate in ballo su ipotesi remote, non sono rapportate al momento in cui un evento succede. C’è una grande differenza nel supporre: se Monica Seles non fosse stata accoltellata la Graf avrebbe vinto molto meno all'ipotizzare se la Seles si fosse procurata un qualsiasi altro genere di infortunio la Graf avrebbe comunque vinto quello che ha vinto.

    Sono entrambe supposizioni, ma la seconda ipotesi non è supportata da un fatto. È un fatto che sia esistito Gunther Parche così come è un fatto che Monica fosse la più forte da almeno due stagioni. Un fatto incontestabile. Se il presente è il solo stato attendibile, e ci immergiamo in quel presente, esso dice che il futuro era serbo, non tedesco.

    Sarebbe bello pensare che il coltello di Gunther Parche abbia semplicemente lacerato la schiena di Monica Seles senza intaccare minimamente la storia del tennis. Sarebbe un gran sollievo.

    Ma sarebbe una bugia.

    Insinuarlo significherebbe permettere a Gunther Parche, il grande protagonista dei crudeli anni ’90, di vincere una seconda volta. Chiunque di voi è libero di permetterglielo, io mi rifiuto di farlo.

    Samantha Casella Drei - 30 aprile 2014

    LA VIA DELLA NATURA, LA VIA DELLA GRAZIA

    Vagando per il Foro Italico in una mattinata di maggio, usando come guida Terrence Malick.

    Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quali delle due seguire. Il sipario di The tree of life si apre con queste parole che, quasi fossero estrapolate da un passo biblico, danno vita a un’opera molto più vicina ad una tragedia greca, a un elegia, che a un film.

    Essere a Roma, in un giorno di maggio. Può accadere di estraniarsi, di uscire dal corso del tempo, di essere catturati, rapiti. È possibile lasciare un pezzo del proprio cuore in un campo. Può succedere, se su quel campo hanno camminato Serena Williams, Roger Federer, Martina Hingis e Svetlana Kuznetsova.

    Ci sono due vie per affrontare il tennis: la via della Natura e la via della Grazia.

    Serena Williams ha scelto la via della Natura. Il coro di Funeral Canticle accompagna queste parole, simili a note scritte sul marmo: La natura vuole compiacere sé stessa, le piace dominare, le piace fare a modo suo. Serena Williams è la guerra stipata nel cuore della Natura. Imponente, orgogliosa, indomabile. In Serena Williams la Natura è il peso del corpo che diventa un tutt’uno con il braccio, con il cuore, con la testa; per generare, per sprigionare una potenza talmente pulita che è sinonimo di talento ma che, non appagata, finisce col cibarsi del talento stesso, con il divorare la Grazia. La pallina non parte dalle racchetta di Serena Williams, fugge, esplode al pari di un lampo che lacera una nube. Serena è un terremoto di emozioni trattenute pronte a sbranare la quiete, Serena è un vento carico di sabbia, è un maelstrom nero, una vertigine che sovrasta l’abisso. È un’ombra che tutto oscura ma da cui si dirama un alito che ti prende per mano, per mostrarti la strada, per aiutarti ad attraversare il buio.

    David Foster Wallace ha scritto che veder giocare a tennis Roger Federer sia quanto di più vicino a un’esperienza religiosa. La dose poetica uscita dalla penna dello scrittore americano, suicidatosi nel settembre del 2008 cinque giorni dopo il quinto successo di Federer allo U.S Open, enfatizza la sproporzione tra l’armonia e la cruda meccanica nei colpi generati, creati dal semidio elvetico. Perché se pure il termine meccanica appaia quasi un insulto, un oltraggio nei confronti di Federer, la liricità dei suoi colpi è intrisa di vigore, di impeto. E questo perché Roger Federer ha in sé due anime, custodisce nel suo profondo un lato divino che si chiama Grazia ed uno diabolico che risponde al nome di Natura; ed esse sono intersecate, complici tra loro. Osservare Roger Federer mentre impatta, mentre accompagna una pallina, è espressione di splendore, di completezza universale. Un bisbiglio scuote l’opera di Malick: Chi sei tu per vivere in tutte queste forme?. In Federer Grazia e Natura si sono fuse, dentro di lui interagiscono, si alternano, si irradiano nel braccio dell’artista svizzero, generando un baleno di felicità nello spettatore, trasformando l’uomo Federer in un astro destinato a brillare per l’eternità.

    A parte un costante velo di tristezza sugli occhi, Martina Hingis non è cambiata molto. In lei tutto è Grazia. Il senso di smarrimento, la commozione che può suscitare un dipinto di Michelangelo è possibile distinguerla negli attimi in cui Martina Hingis incontra di rovescio. È come se gli dei del tennis, sentendosi in dovere verso l’umanità, avessero fatto scendere sulla terra Martina e il suo rovescio. Martina Hingis dà riposo allo spirito, comprensione, coraggio; perché lei è purezza, luce, pace. Qualcosa al limite dell’indefinibile, che fa male al cuore tanto è intriso di bellezza. La osservo allenare Anastasia Pavlyuchenkova ed è come se la mia devozione verso Martina, un sentimento che dovrebbe essere universale, venisse pugnalato una, dieci, cento volte. In molti, più di quanti si possa supporre, non la riconoscono. Altri sanno chi è, eppure ritengono sia stata avversaria della Graf agli inizi degli anni ‘90. Altri ancora sostengono che invece no, la Graf non l’ha mai incontrata, è stata rivale solo delle sorelle Williams, di Justine Henin e di Kim Clijsters. Finché una schiera di bambini, cacciatori indiscriminati di autografi, si avvicinano e uno di loro si fa portavoce per chiedere: ma chi sono queste due?. Rispondo. La delusione nei loro occhi è evidente. Sono indecisi se attendere che quelle due escano dal campo oppure allontanarsi, senza bottino, con le loro palline zeppe di scarabocchi mescolati tra loro. Martina Hingis ha scritto pagine di storia del tennis; dico. Lo sguardo di supplica è evidente: chi è tra le due? La indico e così si passano la voce, a quanto pare vale la pena aspettare. La grazia accetta di essere disprezzata, dimenticata, sgradita. Accetta insulti e oltraggi. Si ferma Martina Hingis, firma autografi agli ignari bambini che un giorno, spero, apprenderanno, capiranno chi era quella donna minuta che accetta di firmare il proprio nome su quelle inutili palline scarabocchiate. Anche io attendo. Le allungo la prima pagina di un articolo che avevo scritto tempo fa. Il titolo è: Martina Hingis, l’eletta. Lei, la Grazia, ha un attimo di esitazione. Alza un attimo lo sguardo dal foglio e il suo volto è attraversato da un sorriso lieve, impercettibile. O forse lo vedo solo io. Ma come d’incanto dentro di me si dirama la certezza di aver compreso una voce, un ricordo, un verso che recita: Chi ama la via della Grazia non ha ragione di temere.

    Finché, una nenia trasportata dal vento canta un idioma arcano, eppure comprensibile, ancestrale. In un campo si sta allenando Svetlana Kuznetsova. Forse esiste qualcosa di più feroce della Natura, di più soave della Grazia, di più perverso della comunione tra le due Forze. Un genio sospeso tra luce e oscurità, questo è Svetlana Kuznetsova. La bellezza del suo tennis è qualcosa che precede la Natura, che si sovrappone alla Grazia; pur restandone separata, distante. Nella russa Grazia e Natura sono due energie che proseguono fianco a fianco, all’infinito, senza mai vedersi, senza mai sfiorarsi. Eppure l’una consapevole dell’esistenza dell’altra. L’una disperatamente innamorata dell’altra. Una bellezza carica di dolcezza e ostilità. Il diritto simile a una sbracciata virile, il rovescio accompagnato con le braccia tese, per poi compiere un impercettibile movimento di aggiustamento con il braccio sinistro, una sorta di fremito velato, la raffinatezza del movimento di servizio, il piede destro che si avvicina al sinistro mantenendo un’inclinazione caratteristica, la racchetta che rimane sospesa dietro alla schiena per quella frazione di secondo che sembra infinita, la rapidità dei piedi, quel modo di rientrare al centro del campo leggero eppure allo stesso tempo compatto. Svetlana Kuznetsova, il Caravaggio del tennis. Talmente determinante nelle sue vittorie quanto nelle sue sconfitte da abolire il contorno delle sue gesta, così come faceva il grande Merisi, circondando le sue figure di oscurità.

    C’è qualcosa di morboso, di doloroso, di indicibilmente bello in tutto questo. È uno scavarsi dentro. La via della Natura. La via della Grazia. Serena Williams, Roger Federer, Martina Hingis, Svetlana Kuznetsova. Quattro storie personali che un giorno sarebbero diventate di tutti. Quattro persone, quattro essenze, quattro moti eterni che sono compagni della mia vita. Forse della vita di molti. Terrence Malick ricongiunge tutte le voci universali in una sola promessa: Natura, Grazia, io vi sarò fedele, qualsiasi cosa accada. Poi il silenzio.

    Samantha Casella Drei - 11 maggio 2013

    LITTLE MO: L’IMBATTIBILE SCONFITTA DAL DESTINO

    Maureen Connolly è la prima tennista a realizzare il Grande Slam. La sua vita, perfetta solo all’apparenza, è stata scandita da un destino spesso crudele.

    Dallas, 21 giugno 1969. È il solstizio d’estate, il giorno in cui il sole raggiunge il suo punto di declinazione massima, quando a soli trentaquattro anni si spegne una stella che, come una cometa sfolgorante, ha attraversato il circuito tennistico per alcune stagioni, diventando nel 1953 la prima donna, seppur poco più che un’adolescente, a realizzare il Grande Slam: Maureen Catherine Connolly Brinker.

    Un destino spietato ha scandito la vita di Maureen Connolly, nata a San Diego il 17 settembre del 1934, il cui

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