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I Piccoli Borghesi
I Piccoli Borghesi
I Piccoli Borghesi
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I Piccoli Borghesi

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Opera incompiuta di Balzac, narra le vicende di una piccola comunità borghese del sud della Francia la cui vita sociale è caratterizzata da fitti intrighi ed imbrogli orchestrati dall'avvocato Théodose de La Peyrad al fine di favorire se stesso. Libro in lingua originale francese con traduzione in italiano.
LanguageItaliano
PublisherKitabu
Release dateSep 18, 2012
ISBN9788867441136
I Piccoli Borghesi
Author

Honoré de Balzac

Honoré de Balzac (1799-1850) was a French novelist, short story writer, and playwright. Regarded as one of the key figures of French and European literature, Balzac’s realist approach to writing would influence Charles Dickens, Émile Zola, Henry James, Gustave Flaubert, and Karl Marx. With a precocious attitude and fierce intellect, Balzac struggled first in school and then in business before dedicating himself to the pursuit of writing as both an art and a profession. His distinctly industrious work routine—he spent hours each day writing furiously by hand and made extensive edits during the publication process—led to a prodigious output of dozens of novels, stories, plays, and novellas. La Comédie humaine, Balzac’s most famous work, is a sequence of 91 finished and 46 unfinished stories, novels, and essays with which he attempted to realistically and exhaustively portray every aspect of French society during the early-nineteenth century.

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    I Piccoli Borghesi - Honoré de Balzac

    I PICCOLI BORGHESI

    Honoré de Balzac, Les Petits Bourgeois

    Originally published in French

    ISBN 978-88-674-4113-6

    Collana: EVERGREEN

    © 2014 KITABU S.r.l.s.

    Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano

    Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.

    Ti auguriamo una buona lettura.

    Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio

    A COSTANZA-VITTORIA

    Signora, ecco una di quelle opere che piovono, non si sa come, in mente e piacciono a un autore prima che egli possa prevedere l'accoglienza che le tributerà il pubblico, sommo giudice del momento.

    Quasi certo della vostra indulgenza per il mio fervore vi dedico questo libro; spetta voi come un tempo spettava la decima alla Chiesa, in memoria di Dio che fa sbocciare e maturare ogni cosa nei campi come nell'intelletto.

    Qualche residuo di creta lasciato da Molière ai piedi della sua colossale statua di Tartufo è stato qui impiegato con mano più ambiziosa che esperta; ma, quale che sia la istanza che mi separa dal massimo dei comici, sarò lieto d'avere utilizzato queste briciole raccattate alla sua ribalta effigiando l'odierno ipocrita in azione.

    La ragione che più mi ha stimolato a questa ardua impresa fu di trovarla aliena da ogni tema religioso, che doveva essere evitato per riguardo a voi, così devota, e per quella che un grande scrittore ha definita L'INDIFFERENZA IN MATERIA DI RELIGIONE.

    Possa il duplice significato dei vostri nomi servire di buon auspicio al libro! E degnatevi scorgere in esso l'espressione della deferente gratitudine di colui che osa professarsi il vostro più devoto servitore.

    H. DE BALZAC.

    CAPITOLO I.

    LA PARIGI CHE SE NE VA

    Il cancelletto girevole Saint-Jean, la cui descrizione, all'inizio dello studio intitolato Una doppia famiglia nelle Scene della vita privata, fu a suo tempo giudicata tediosa, questa ingenua struttura della vecchia Parigi sopravvive ormai solo in tale menzione tipografica. L'erezione del Municipio, come oggi appare, ha spazzato via tutto un quartiere.

    Nel 1830 i passanti potevano ancora scorgere il cancelletto dipinto sull'insegna di un vinaio ma la casa venne successivamente abbattuta.

    Rammentare questa benemerenza non equivale ad annunciarne un'altra di non minore importanza? Ahimè, la vecchia Parigi sta sparendo con celerità spaventosa. Qua e là, in quest'opera, ne rimarrà traccia ora in una tipica abitazione medievale, come quella descritta all'inizio del Chat-qui-pelote, ora nella casa abitata dal giudice Popinot, in rue du Fouarre, simbolo d'una borghesia di vecchio stampo. Qua i ruderi della dimora di Fulbert; là l'intero bacino della Senna sotto Carlo Nono. Redivivo Old Mortality, perché lo storico della società francese non dovrebbe salvaguardare queste tipiche espressioni del passato come il vegliardo di Walter Scott preservava le tombe? Certo, da un decennio circa, le critiche dei letterati non sono state inutili: l'arte comincia a rivestire coi suoi fiori le ignobili facciate di quelle che a Parigi son chiamate case da speculazione e che un nostro poeta paragona a dei comò.

    Facciamo qui notare che la creazione della commissione municipale del ornamento (sic) che sovrintende, a Milano, all'architettura delle facciate prospicienti la strada e alla quale ogni proprietario è tenuto a sottoporre i suoi progetti, risale al dodicesimo secolo. Chi non ha perciò ammirato, in questa bella capitale, i risultati dell'attaccamento di borghesi e nobili alla propria città nel contemplare con piacere (sic) edifici pieni d'originalità e distinzione?... La speculazione laida e sfacciata che, d'anno in anno, abbassa l'altezza dei piani, ricava un appartamento dall'area ottenuta mediante la soppressione d'un salone, che elimina i giardini, influirà sui costumi parigini. Tra poco la gente sarà costretta a vivere più fuori che dentro. Dov'è ormai la sacralità della vita privata, la libertà di starsene in casa propria? Comincia allorquando si posseggono cinquantamila franchi di rendita. Pochi milionari, del resto, si permettono il lusso d'una palazzina protetta da un cortile verso la strada, sottratta alla curiosità dei passanti dal fogliame d'un giardino.

    Livellando le fortune, il titolo del Codice che regola le successioni ha prodotto quei falansteri in pietre di piccole dimensioni che ospitano trenta famiglie e procurano centomila franchi di reddito. Tra cinquant'anni, perciò, Parigi conterà sulla punta delle dita case analoghe a quella in cui risiedeva, all'inizio di questa storia, la famiglia Thuillier; una casa davvero curiosa e che merita l'onore d'una descrizione accurata, non foss'altro che per paragonare la Borghesia passata alla presente.

    Ubicazione e aspetto della casa, cornice di questo quadro di costumi, han del resto un sapore di piccola borghesia, che può attrarre o distogliere l'attenzione, a seconda dei gusti individuali. La casa dei Thuillier, per cominciare, non apparteneva né al signore né alla signora bensì alla signorina Thuillier, sorella maggiore del signor Thuillier. Questa casa, comprata nei sei mesi susseguenti la rivoluzione del 1830 dalla signorina Maria-Gianna-Brigitte Thuillier, la primogenita, è situata a metà della rue Saint-Dominique-d'Enfer, di modo che l'ala abitata dai Thuillier, tra cortile e giardino, è esposta a mezzogiorno.

    La spinta progressiva con la quale la popolazione parigina va spostandosi sulle alture della riva destra della Senna, abbandonando la sinistra, da tempo nuoceva alla vendita delle proprietà del quartiere detto Latino quando circostanze, che emergeranno dal carattere e dalle consuetudini del signor Thuillier, indussero la sorella all'acquisto d'una casa: la ottenne al prezzo irrisorio di quarantaseimila franchi per il corpo principale; le parti secondarie vennero a costare seimila franchi; cinquantaduemila franchi in tutto.

    La distinta particolareggiata della proprietà, redatta in stile burocratico, e i risultati ottenuti dal signor Thuillier spiegheranno con quali mezzi tante fortune s'accrebbero nel luglio 1830, mentre tante altre colavano a picco.

    Sulla via la casa mostrava una facciata in pietre di piccole dimensioni intonacata in gesso, patinata dal tempo e rigata dall'uncino del muratore in modo da simulare pietre squadrate. Questo tipo di facciata è così comune a Parigi e talmente brutto che la città dovrebbe premiare i proprietari che costruiscono in pietra e scolpiscono facciate nuove. Questa fronte grigiastra, forata da sette finestre, era alta tre piani e sormontata da mansarde coperte di tegole. La porta carraia, grossa e massiccia, rivelava nella fattura e nello stile che la casa era stata eretta sotto l'Impero per utilizzare parzialmente il cortile d'una vasta e antica abitazione al tempo in cui il quartiere d'Enfer era abbastanza rinomato.

    Da un lato c'era l'alloggio del custode, dall'altro iniziava la rampa della scala di questa prima casa. Due corpi di fabbrica, addossati alle abitazioni attigue, avevano in passato servito da rimesse, scuderie, cucine e dipendenze per la casa di fondo; ma, a partire dal 1830, erano stati adibiti a magazzino.

    Il lato destro era affittato ad un grossista in carta noto come signor Métivier nipote; il sinistro ad un libraio di nome Barbet. Gli uffici dei due negozianti erano situati sopra i rispettivi magazzini e il libraio abitava al primo e il cartaio al secondo piano della casa che dava sulla strada. Métivier nipote, trafficante in carta più che negoziante; Barbet, più usuraio che libraio, adoperavano entrambi quei vasti depositi per riporvi, l'uno partite di carta comprate da fabbricanti in crisi, l'altro tirature di volumi ceduti in pegno dei suoi prestiti.

    Il pescecane della libreria e il luccio della cartiera vivevano d'amore e d'accordo e le loro operazioni, prive della vivacità che caratterizza la vendita al minuto, conducevano poche carrozze nel cortile, così tranquillo che il portinaio era costretto abitualmente a sradicare l'erba fra le pietre del selciato. I signori Barbet e Métivier, poco più che comparse in questa storia, facevano rare visite ai proprietari e poiché la loro puntualità nel pagare l'affitto li annoverava fra i buoni inquilini erano ritenute persone degnissime dagli ospiti dei Thuillier.

    Quanto al terzo piano che dava sulla strada, si componeva di due appartamenti: l'uno occupato dal signor Dutocq, cancelliere alla Conciliatura, ex impiegato in pensione, frequentatore assiduo del salone Thuillier; l'altro, dal protagonista della presente storia: ci si dovrà perciò accontentare, per ora, di precisare l'importo dell'affitto, settecento franchi, e la posizione che egli aveva gradualmente assunto in quell'ambiente tre anni prima del momento in cui il sipario s'alzerà su questo dramma domestico.

    Il cancelliere, cinquantenne scapolo, occupava il migliore dei due appartamenti al terzo piano; aveva una cuoca e pagava mille franchi d'affitto. Due anni dopo l'acquisto, la signorina Thuillier veniva quindi a percepire settemiladuecento franchi di reddito da una casa che il precedente proprietario aveva munita di persiane, restaurata all'interno, ornata di vetri, senza poter né venderla né affittarla; e i Thuillier, sistemati in grande come si vedrà, godevano di uno dei più bei giardini del quartiere, i cui alberi ombreggiavano la solitaria e stretta rue Neuve-Sainte-Catherine.

    Questa casa, situata fra cortile e giardino, si dice fosse stata il capriccio d'un borghese arricchito sotto Luigi Quattordicesimo, d'un presidente del Parlamento o l'abitazione d'un tranquillo studioso.

    Sprigionava, dalle sue belle pietre da taglio consunte dal tempo, una certa aria di grandiosità Luigiquattordiciana (ci si consenta il barbarismo); i falsi pilastri della facciata son disposti a corsi, i riquadri delle rosse tegole rammentano i fianchi delle scuderie di Versailles, le finestre a centina sono abbellite da maschere al colmo e sotto il davanzale. La porta infine, a piccoli riquadri in alto e piena in basso, da cui s'intravedeva il giardino, ha quello stile sobrio e privo d'enfasi impiegato di solito per l'abitazione del custode nei castelli reali.

    Questo padiglione a cinque finestre è composto di due piani oltre il terreno e spicca per un tetto a quattro spioventi culminato da una banderuola e traforato da bellissimi camini e da finestrini ovali. Era forse l'avanzo di qualche gran palazzo; ma nelle vecchie piante di Parigi nulla s'è rinvenuto che confermasse tale ipotesi; inoltre i documenti della signorina Thuillier indicano quale possessore, sotto Luigi Quattordicesimo, Petitot, il celebre pittore su smalto che aveva ricevuto la proprietà dal presidente Le Camus. Forse il presidente aveva abitato il padiglione nel periodo in cui stava facendo erigere il suo famoso palazzo in rue de Thorigny.

    Toga e Arte sono perciò passate in quel luogo di pari passo. Eppure quale perfetta sintesi tra bisogni e piaceri aveva presieduto alla suddivisione del padiglione all'interno! A destra, entrando in una sala quadrata che funge da anticamera, si diparte una scala in pietra sotto la quale c'è la porta della cantina; a sinistra s'aprono gli usci di un salone con due finestre prospicienti il giardino e di una sala da pranzo che dà sul cortile. Essa comunica lateralmente con una cucina attigua ai magazzini di Barbet. Dietro la scala, dalla parte del giardino, s'apre un magnifico e lungo studio con due finestre. Il primo e il secondo piano compongono due appartamenti completi e gli alloggi dei domestici sono indicati, sotto il tetto a quattro falde, dalle finestrelle ovali. Una splendida stufa orna l'ampio vestibolo quadrato al quale due porte a vetri, una in faccia all'altra, danno luce. Questa stanza, dal pavimento in lastre di marmo bianco e nero, spicca per un soffitto a travetti sporgenti, già dipinti e dorati ma ricoperti, probabilmente sotto l'Impero, da una mano di tinta bianca uniforme. Di fronte alla stufa c'è una fontana in marmo rosso con la conca pure in marmo. I tre usci dello studio, del salone e della sala da pranzo hanno sovraporte con cornici ovali e i dipinti avrebbero urgente bisogno di restauro. La parte lignea è pesante ma le decorazioni abbastanza belle. Il salone, completamente rivestito in legno, ricorda il gran secolo, sia per il camino in marmo di Languedoc, sia per il soffitto a fregi negli spigoli oltre che per la forma delle finestre, ancora a quadrelli in vetro. La sala da pranzo, cui si accede dal salone attraverso una porta a due battenti, ha il pavimento in lastre di pietra e il rivestimento in quercia, è priva di dipinti e l'atroce tappezzeria moderna in carta ha surrogato l'antica.

    Il soffitto, in castagno a cassettoni, non è stato alterato. Lo studio, ammodernato da Thuillier, acuisce le discrepanze. L'oro e il bianco delle modanature del salone sono talmente sciupati che non si scorge più che un tracciato rosso al posto dell'oro, e il bianco, ingiallito e striato, va squamandosi. Mai il detto latino Otium cum dignitate ha avuto commentario più eloquente, agli occhi d'un poeta, che in questa nobile dimora. I ferri battuti della ringhiera della scala sono degni del magistrato e dell'artista; ma per scoprirne oggi le tracce nei balconi lavorati del primo piano, nei resti di questo rudere imponente, occorrono appunto gli occhi d'un poeta.

    I Thuillier e i loro predecessori hanno deturpato più volte questo gioiello dell'alta borghesia con i gusti e le trovate della piccola borghesia. Cercate d'immaginarvi sedie in noce scura, di crine, una tavola in mogano coperta di tela cerata, credenze pure in mogano, un tappeto di seconda mano sotto il tavolo, lampade in latta marezzata, una tappezzeria in carta verde americana dal bordo rosso, esecrabili incisioni a fumo e tendine in calicò ornate di galloni rossi in questa sala da pranzo in cui sedettero a banchetto gli amici di Petitot...

    Immaginatevi l'effetto che fanno, nel salone, i ritratti del signor, signora e signorina Thuillier eseguiti da Pierre Grassou, il pittore dei borghesi; tavoli da gioco vecchi di vent'anni, cantoniere del tempo dell'Impero, un tavolo da tè con sopra una grande lira, un mobile in mogano nodoso con guarnizioni in velluto dipinto e il fondo color cioccolato; una pendola sul camino raffigurante la Bellona imperiale, candelabri a colonnine scanalate, tende di damasco in lana e mussolina ricamata tenute semiaperte da liste in cuoio stampato...

    Sul pavimento in legno è steso un tappeto dozzinale. La bella anticamera oblunga ha sedili in velluto, e pareti a pannelli scolpiti sono coperte da armadi di varia data, provenienti dagli appartamenti occupati precedentemente dai Thuillier. Una tavola copre la fontana e sopra v'è collocata una lampada fumosa che data dal 1815. In ultimo la paura, questa divinità abietta, ha indotto a collocare dal lato del giardino come pure da quello del cortile doppie porte foderate in latta che di giorno vengono ripiegate contro il muro e di notte sbarrate.

    E' facile spiegare l'esecrabile profanazione usata a quel monumento della vita privata del diciottesimo secolo da quella del diciannovesimo. Forse agli inizi del Consolato un capomastro, acquirente del palazzetto, volle utilizzare il terreno prospiciente la strada e demolì verosimilmente il bel portone carraio fiancheggiato dai padiglioncini completanti quel grazioso soggiorno, per usare la terminologia antica, e l'intraprendenza del proprietario parigino imprime il suo marchio in fronte a questa eleganza, proprio come il giornale e i suoi torchi, la fabbrica e i suoi magazzini, il commercio e i suoi banchi sostituiscono l'aristocrazia, la vecchia borghesia, la finanza e la magistratura ovunque esse avevano sfoggiato i loro splendori. Quale interessante studio riuscirebbe quello dei titoli di proprietà a Parigi! Una casa di cura funziona, in rue des Batailles, sulla dimora del cavaliere Pierre Bayard du Terrail; il terzo stato ha costruito la strada sull'area di palazzo Necker. La vecchia Parigi se ne va, seguendo i re che se ne sono andati. Per un capolavoro architettonico salvato da una principessa polacca quanti palazzetti cadono, come l'abitazione di Petitot, nelle mani dei Thuillier! Ma ecco le ragioni che fecero della signorina Thuillier la proprietaria di questa casa. 

    CAPITOLO II.

    IL BEL THUILLIER

    Alla caduta del ministero Villèle, il signor Jérome-Luigi Thuillier, che da ventisei anni era alle Finanze, divenne sottocapo; ma cominciava appena a godere dell'autorità in subordine d'un posto che, in passato, era la sua massima aspirazione che gli avvenimenti del luglio 1830 lo costrinsero a dimettersi. Egli calcolò accortamente che la pensione sarebbe stata onorevolmente e celermente fissata da persone liete di trovare un posto in più, ed ebbe ragione in quanto essa fu determinata in millesettecento franchi.

    Quando il prudente sottocapo accennò a lasciare l'Amministrazione la sorella, compagna della sua esistenza assai più della moglie, tremò per l'avvenire dell'impiegato.

    - Che avverrà di Thuillier?... - fu la domanda che si rivolsero con reciproco tremore la signora e la signorina Thuillier, alloggiate allora in un appartamentino al terzo piano in rue d'Argenteuil.

    - Le pratiche per la pensione lo terranno occupato per un po', aveva detto la signorina Thuillier; - ma ho in mente un investimento dei miei risparmi che gli darà da fare... Sì, occuparsi di una proprietà sarà quasi come continuare ad amministrare.

    - Sorella, gli salverete la vita! - esclamò la signora Thuillier.

    - Ma io ho sempre pensato a questa crisi nella vita di Jérome! rispose l'anziana zitella con tono di protezione.

    La signorina Thuillier aveva udito troppo spesso il fratello dire: - Il tale è morto! Non è sopravvissuto due anni al collocamento a riposo -. Troppo spesso aveva inteso Colleville, amico intimo di Thuillier e impiegato al pari di lui, scherzare su questo periodo climaterico dei burocrati e affermare: - Ci arriveremo pure noi!... - per non considerare il pericolo che il fratello correva. Il trapasso dall'attività all'inazione è, in effetti, la fase critica dell'impiegato. I pensionati che non sanno o possono sostituire altre occupazioni a quelle che devono lasciare cambiano in modo strano: alcuni muoiono; molti si dedicano alla pesca, occupazione la cui vuotaggine è simile al lavoro d'ufficio; altri, più scaltri, divengono azionisti, perdono i propri risparmi e son felici d'ottenere un posto nell'impresa che, dopo un iniziale fallimento, ha successo in mani più abili che la guatavano al varco; l'impiegato si frega le proprie, completamente vuote, dicendosi: Però avevo subodorato la riuscita dell'affare... Ma quasi tutti combattono contro le loro vecchie abitudini.

    - Ve ne sono di quelli, - asseriva Colleville, - che sono divorati dallo spleen (pronunciava splenne) tipico degli impiegati, muoiono delle loro circolari rientrate; hanno non il verme ma il cartone solitario -. Il piccolo Poiret non poteva guardare una cartella bianca orlata d'azzurro senza che questa vista amata gli facesse cambiar colore; dal verde passava al giallo.

    La signorina Thuillier era considerata il genio della famiglia; non le mancava energia né risolutezza, come la sua storia personale dimostrerà. Questa superiorità, limitata del resto al proprio ambiente, le permetteva di giudicare obiettivamente il fratello, sebbene l'adorasse. Viste fallire le speranze riposte nel suo idolo aveva, nel suo affetto, troppo spirito materno per ingannarsi sul valore sociale del sottocapo. Thuillier e la sorella erano figli del custode principale del ministero delle Finanze. Jérome era sfuggito, grazie alla miopia, a tutte le precettazioni e coscrizioni possibili.

    Il padre ebbe l'ambizione di fare del figlio un impiegato. All'inizio del presente secolo c'erano troppi posti nell'esercito perché non ve ne fossero anche molti negli uffici, e la carenza d'impiegati d'ordine permise al grosso padre Thuillier di far varcare al figlio i primi gradini della gerarchia burocratica. Il custode morì nel 1814 lasciando Jérome alle soglie della promozione a sottocapo ma senza altri beni salvo tale speranza. Il grosso Thuillier e la moglie, morta nel 1810, s'erano messi a riposo nel 1806 con la sola pensione avendo prodigato tutte le sostanze per impartire a Jérome l'educazione del tempo e aiutarlo a sostentarsi insieme alla sorella. Sono noti gli effetti della Restaurazione sulla burocrazia. Dai quarantuno dipartimenti soppressi si riversò una massa d'impiegati meritevoli che chiedevano posti inferiori a quelli che occupavano. A questi diritti acquisiti vennero ad aggiungersi quelli delle famiglie proscritte, rovinate dalla Rivoluzione. Premuto tra questi opposti affluenti Jérome fu lieto di non esser destituito con qualche futile pretesto.

    Tremò fino al giorno in cui, promosso per caso sottocapo, fu certo d'un collocamento a riposo onorevole. Questo rapido riassunto spiega la scarsa importanza e le poche conoscenze del signor Thuillier. Aveva appreso il latino, la matematica, la storia e la geografia che s'imparano in convitto; ma s'era fermato alla seconda classe dato che il padre aveva voluto cogliere un'occasione favorevole per farlo entrare al ministero, vantando la mano superba del figlio. Se perciò il piccolo Thuillier registrò i primi titoli nel libro mastro del Debito Pubblico non apprese né retorica né filosofia. Ingranato nella macchina ministeriale coltivò poco le lettere, meno ancora le arti; acquisì una conoscenza puramente empirica delle sue funzioni; e quando, sotto l'Impero, ebbe occasione d'entrare nella cerchia degli impiegati superiori ne assimilò i modi esteriori che occultarono il figlio del custode ma non provò neppure a cimentarsi con la cultura.

    L'ignoranza gl'insegnò a tacere e il silenzio gli tornò utile; s'abituò, sotto il regime imperiale, all'obbedienza passiva che piace ai superiori e a tale qualità dovette, più avanti, la promozione a sottocapo. La sua routine divenne estesa esperienza, i suoi modi e il suo mutismo celarono l'assenza d'istruzione. Tale nullità fu un titolo quando occorse un uomo da nulla. S'ebbe timore di scontentare due partiti avversi alla Camera, ognuno dei quali sosteneva un suo uomo, e il ministero si cavò d'impaccio applicando la regola dell'anzianità.

    Ecco in qual modo Thuillier divenne sottocapo. La signorina Thuillier, sapendo che il fratello detestava la lettura e non poteva sostituire il trambusto dell'ufficio con altre faccende, aveva deciso saviamente di buttarlo nei fastidi della proprietà, nella manutenzione d'un giardino, nelle minuscole inezie della vita borghese e nelle beghe fra vicini.

    Il trasloco della famiglia Thuillier dalla rue d'Argenteuil alla rue Saint-Dominique-d'Enfer, le responsabilità connesse all'acquisto, la ricerca d'un portiere adatto, gli inquilini da far venire impegnarono Thuillier dal 1831 al 1832. Quando il fenomeno del trapianto fu compiuto, quando la sorella vide che Jérome resisteva a tale operazione, gli trovò altre incombenze cui accenneremo oltre, ma la causa delle quali va cercata nel temperamento di Thuillier e che non è inutile specificare.

    Benché figlio d'un custode del ministero Thuillier era quel che si dice un bell'uomo; di statura superiore alla media, snello, d'aspetto assai avvenente con gli occhiali ma orribile, come molti miopi, quando li toglieva, dato che l'abitudine a guardare attraverso le lenti aveva steso una specie di velo sulle pupille.

    Tra i diciotto e i trent'anni il giovane Thuillier ebbe successo con le donne, sempre in una cerchia che andava dalla piccola borghesia al capo divisione; ma è noto che sotto l'Impero la guerra lasciava la società piuttosto sguarnita, spingendo gli uomini energici sul campo di battaglia, ed è probabile, come ha affermato un medico eminente, che proprio a questo fatto sia dovuta la fiacchezza della generazione che domina la metà del diciannovesimo secolo.

    Thuillier, costretto a farsi notare per mezzo di attrattive diverse da quelle spirituali, imparò a ballare il valzer e a danzare fino a essere preso a modello; era soprannominato il bel Thuillier, giocava a biliardo in modo esemplare; sapeva fare ritagli in carta; e l'amico Colleville l'addottrinò così bene da porlo in grado di cantare le romanze alla moda. Da queste piccole abilità derivò quell'apparenza di successo che inganna la gioventù e la esalta sul suo avvenire. La signorina Thuillier, dal 1806 al 1814, credeva nel fratello come la signorina d'Orléans in Luigi-Filippo; era fiera di Jérome, lo vedeva già direttore generale per via delle sue conquiste che, a quell'epoca, gli aprivano saloni dove certo non avrebbe mai posto piede senza le circostanze che facevano della società, sotto l'Impero, una macedonia.

    Ma i trionfi del bel Thuillier furono per lo più di corta durata; le donne non provavano gusto a trattenerlo più di quanto egli ci tenesse a conservarle; avrebbe potuto fornire lo spunto a una commedia intitolata il Don Giovanni suo malgrado. Questa professione di bello affaticò Thuillier tanto da invecchiarlo; il viso, solcato di rughe come quello d'una anziana civetta, mostrava una dozzina d'anni in più dell'atto di nascita. Dei suoi successi gli rimase il vezzo di specchiarsi, di stringersi la vita per farla risaltare e porsi in pose da ballerino, cose che protrassero più in là del godimento dei suoi piaceri il contratto che aveva stipulato con quel nomignolo: il bel Thuillier!

    La realtà del 1806 divenne celia nel 1826 . Egli mantenne qualche vestigia dell'abbigliamento dei belli dell'Impero, del resto confacenti con la dignità d'un ex sottocapo. Conserva la cravatta bianca a fitte pieghe nella quale affonda il mento e i cui due lembi minacciano i passanti a sinistra e a destra mostrando loro un nodo alquanto civettuolo, allacciato un tempo dalla mano delle belle.

    Pur seguendo le mode alla lontana le adatta al suo portamento, spinge il cappello indietro sulla nuca, porta scarpe e calze sottili d'estate; i suoi lunghi soprabiti rammentano i leviti dell'Impero; non ha ancora rinunciato alle pettorine inamidate e ai panciotti bianchi; si trastulla con la sua canna del 1810 e sta dritto come un fuso.

    Nessuno, vedendo Thuillier a spasso sui boulevards, lo crederebbe figlio d'un uomo che preparava i pasti agli impiegati del ministero delle Finanze e indossava la livrea di Luigi Sedicesimo: ha l'apparenza d'un diplomatico imperiale, d'un prefetto a riposo. Ora, non solo la signorina Thuillier sfruttò in tutta innocenza la favola del fratello spronandolo a una cura eccessiva della persona, fatto che in lei era conseguenza del suo culto, ma gli procurò tutte le gioie della casa trapiantando accanto a loro un nucleo familiare la cui esistenza era stata quasi identica alla propria.

    Si tratta del signor Colleville, l'amico intimo di Thuillier; ma, prima di descrivere Pilade, ci pare tanto più essenziale finirla con Oreste in quanto va chiarito perché Thuillier, il bel Thuillier, era privo di famiglia, visto che essa esiste solo grazie ai figli; e qui deve venire a galla uno di quei misteri profondi che rimangono sepolti negli arcani della vita privata e alcuni aspetti dei quali appaiono alla superficie allorché i dolori d'una situazione nascosta si fan troppo cocenti; si tratta della vita delle signora e signorina Thuillier poiché, fino a questo punto, non abbiamo considerato che la vita, per così dire pubblica, di Jérome Thuillier. 

    CAPITOLO III.

    STORIA DI UNA DOMINAZIONE

    Maria-Gianna-Brigitte Thuillier, di quattro anni più vecchia del fratello, gli fu del tutto sacrificata; era più facile procurare una posizione al primo che una dote alla seconda. L'infelicità, per certi temperamenti, è un faro che illumina le zone buie e basse della vita sociale. Superiore al fratello per energia e intelligenza Brigitte era uno di quei caratteri che, sotto il pungolo della persecuzione, si rinchiudono, si fanno duri e resistenti per non dire inflessibili.

    Gelosa della propria indipendenza volle sottrarsi alla vita casalinga e decidere da sola il proprio destino.

    All'età di quattordici anni si rifugiò in una mansarda, a due passi dalla Tesoreria che si trovava in rue Vivienne, non lungi dalla rue de la Vrillière dove s'era installata la banca. Si dedicò con coraggio, grazie ai protettori del padre, a una attività poco nota e remunerativa, consistente nel fabbricare sacchi per la Banca, per il Tesoro come pure per la grandi case finanziarie. Tre anni dopo aveva già due operaie. Investendo i suoi risparmi nel Debito Pubblico si trovò, nel 1814, in possesso di tremilaseicento franchi di reddito, guadagnati in quindici anni. Spendeva poco, pranzava per lo più dal padre finché fu in vita ed è noto d'altronde che le rendite, nelle estreme convulsioni dell'Impero, salirono a quaranta e più franchi; per cui tale successo, in apparenza clamoroso, si spiega da solo.

    Alla morte dell'ex custode Brigitte e Jérome, rispettivamente di ventisette e ventitré anni unirono insieme i loro destini. Fratello e sorella avevano l'uno per l'altra un affetto morboso. Se Jérome, al tempo dei suoi successi, si trovava in difficoltà la sorella, vestita di lana ruvida e con le dita escoriate dal filo per cucire, gli offriva sempre qualche luigi in prestito. Agli occhi di Brigitte il fratello era l'uomo più bello e più attraente dell'impero francese.

    Governare la casa del fratello, venire iniziata ai suoi segreti di Lindoro e Don Giovanni, esserne la serva e il cagnolino fu il suo sogno; s'immolò con trasporto quasi amoroso a un idolo il cui egoismo era dilatato e santificato da lei; cedette per quindicimila franchi la clientela alla sua prima lavorante e venne ad abitare in rue d'Argenteuil col fratello divenendo la madre, la protettrice, la domestica di quel ragazzo prediletto dalle dame. Brigitte, con riserbo naturale in una ragazza che doveva tutto alla discrezione e al lavoro, non parlò delle sue sostanze al fratello; ebbe certo timore della prodigalità d'un uomo a mezzi e contribuì perciò con soli seicento franchi alle spese familiari, somma che aggiunta ai milleottocento franchi di Jérome consentiva di sbarcare il lunario.

    Fin dai primi giorni di questa unione Thuillier ascoltò la sorella come un oracolo, la consultò nei minimi affari, non le celò alcun segreto e le fece assaporare i frutti del potere che doveva essere il peccato veniale del suo carattere. In tal modo la sorella avrebbe sacrificato tutto al fratello; aveva riposto tutto in quel cuore, non viveva che per lui. L'ascendente di Brigitte su Jérome crebbe considerevolmente col matrimonio che essa lo indusse a contrarre verso il 1814.

    Considerando la drastica riduzione di personale attuata dai nuovi venuti della Restaurazione negli uffici, e soprattutto il ritorno dell'antica società che respingeva la Borghesia, Brigitte comprese, meglio di quanto le spiegasse il fratello, la crisi sociale nella quale stavano per naufragare le loro comuni aspirazioni. Non più speranze di successo, ormai, per il bel Thuillier fra le nobildonne succedute ai plebei dell'Impero!

    Thuillier non era uomo da avere idee politiche e comprese, al pari della sorella, la necessità d'approfittare di quanto restava della sua gioventù per sistemarsi. In una situazione simile una ragazza, possessiva come Brigitte, voleva e doveva accasare il fratello sia per lui sia per se stessa, perché da sola non poteva renderlo felice e la signora Thuillier non era che un accessorio indispensabile per avere uno o due bambini. Se Brigitte non ebbe avvedutezza pari al suo volere ebbe almeno coscienza del suo predominio, dato che era priva d'istruzione e si limitava a tirar dritto per la sua strada, con l'ostinazione d'un temperamento abituato a riuscire. Aveva talento per l'andamento domestico, senso del risparmio, capacità di stare al mondo e amore per il lavoro. Comprese perciò che non sarebbe mai riuscita a trovar moglie a Jérome in un ambiente superiore al proprio, dove le famiglie si sarebbero informate del loro tenor di vita e avrebbero potuto preoccuparsi nel trovare una padrona installata in casa. Cercò pertanto, nel ceto inferiore, persone da abbacinare e tra esse trovò un partito adatto.

    L'impiegato più anziano della banca, di nome Lemprun, aveva una sola figlia chiamata Celeste. La signorina Celeste Lemprun avrebbe ereditato le sostanze della madre, figlia unica d'un agricoltore, consistenti in qualche iugero di terra nei dintorni di Parigi, che il vecchio persisteva a coltivare; e in più i beni del brav'uomo Lemprun, che aveva lasciato le case Thélusson e Keller per entrare in banca all'atto della sua fondazione. Lemprun, allora capo servizio, godeva la stima e la considerazione del governatore e dei revisori dei conti.

    In tal modo il consiglio d'amministrazione della banca, udendo parlare delle nozze di Celeste con un esimio impiegato delle Finanze, promise una gratifica di seimila franchi. Quest'ultima, unita a dodicimila franchi donati da papà Lemprun e ad altri dodicimila concessi dal signor Galard, orticultore d'Auteuil, portava la dote a trentamila franchi. Il vecchio Galard, signore e signora Lemprun erano felici di questo matrimonio; il capo servizio conosceva la signorina Thuillier come una delle più stimabili e virtuose ragazze di Parigi. Brigitte fece del resto balenare i suoi titoli del Debito Pubblico confidando a Lemprun che non si sarebbe mai sposata e né il capo servizio né la moglie, persone dell'età dell'oro, si sarebbero permessi di giudicare Brigitte; furono colpiti soprattutto dal fulgore della posizione del bel Thuillier e il matrimonio ebbe luogo, secondo un vieto modo di dire, con soddisfazione di tutti.

    Il governatore della banca e il segretario funsero da testimoni della sposa mentre il signor de La Billardière, capo divisione, e il signor Rabourdin, capo ufficio, lo furono di Thuillier. Sei giorni dopo le nozze il vecchio Lemprun fu vittima d'un furto audace di cui i giornali dell'epoca si occuparono ma che fu presto scordato nei rivolgimenti del 1815 . Poiché i ladri erano riusciti a fuggire Lemprun volle saldare la differenza e sebbene la banca avesse iscritto l'ammanco in conto perdite il povero vecchio morì di crepacuore per quell'oltraggio; giudicava quel colpo di mano come un attentato alla sua probità settuagenaria.

    La signora Lemprun cedette l'intera eredità alla figlia, la signora Thuillier, e andò a vivere col padre a Auteuil, dove il vecchio morì a seguito di un incidente nel 1817. Timorosa di dover condurre o affittare gli orti e i campi paterni la signora Lemprun pregò Brigitte, della quale ammirava capacità e onestà, di liquidare i beni del buon Galard e di sistemare le cose in modo che la figlia, venendo in possesso del tutto, le assicurasse millecinquecento franchi di rendita oltre la casa di Auteuil. I campi dell'anziano agricoltore, venduti a lotti, fruttarono trentamila franchi. L'eredità di Lemprun ne aveva procurati altrettanti e le due sostanze, assommate alla dote, ammontavano nel 1818 a novantamila franchi.

    La dote era stata investita in azioni bancarie nel momento in cui valevano novecento franchi. Brigitte acquistò cinquemila franchi di rendita per sessantamila, essendo il cinque per cento a sessanta, e fece registrare un titolo da quindicimila franchi a nome della vedova Lemprun quale usufruttuaria. Così, all'inizio del 1818, la pensione di seicento franchi pagata da Brigitte, i milleottocento franchi del posto di Thuillier, i tremilacinquecento franchi di rendita di Celeste e il ricavo di trentaquattro azioni bancarie procuravano alla famiglia Thuillier un reddito di undicimila franchi amministrati senza interferenze da Brigitte. Ci si è dovuti occupare anzitutto della parte finanziaria non solo per prevenire obiezioni ma anche per sbarazzarne il dramma.

    Per cominciare, Brigitte diede cinquecento franchi al mese al fratello e pilotò la barca in modo che cinquemila bastassero all'andamento domestico, e passava cinquanta franchi al mese alla cognata provandole che lei stessa si contentava di quaranta. Per affermare la sua supremazia con la potenza del denaro Brigitte cumulava l'eccedenza dei redditi; prestava, si diceva negli uffici, ad usura con la mediazione del fratello, che passava per scontista. Se dal 1815 al 1830 Brigitte è riuscita a capitalizzare sessantamila franchi si potrebbe spiegare l'esistenza di tale somma con speculazioni sul reddito, che presenta una fluttuazione del quaranta per cento, senza ricorrere ad accuse più o meno fondate la cui veridicità nulla aggiunge all'interesse del racconto.

    Fin dai primi giorni Brigitte piegò l'infelice signora Thuillier sotto i colpi di sperone che le inflisse e l'uso del morso che le fece provare con durezza. Ma il lusso della tirannia era inutile, la vittima si rassegnò immediatamente. Celeste, giudicata esattamente da Brigitte, priva d'istruzione e intelligenza, abituata a una vita sedentaria, a un'atmosfera pacifica, aveva un carattere estremamente mite; era pia nel significato più ampio del termine; avrebbe espiato con dure penitenze il torto involontario d'esser causa di dolori al prossimo. Ignorava tutto della vita, assuefatta a essere servita dalla madre, che badava alla casa, e costretta a far poco moto per via d'una costituzione linfatica che si stancava alle minime faccende: era una vera figlia del popolo parigino, dove i ragazzi di rado sono belli dato che sono frutto della miseria, del lavoro eccessivo, di appartamenti senz'aria, senza spazio e senza comodità alcuna.

    Al momento delle nozze era apparsa come una piccoletta d'un biondo così slavato da dar la nausea, grassa, lenta e molto impacciata. La fronte, troppo larga e prominente, era simile a quella d'un idrocefalo, e, sotto questa cupola di colore cereo, il viso, piccolo in proporzione e aguzzo come il muso d'un topo, indusse qualche invitato a pensare che un giorno o l'altro sarebbe finita pazza. Gli occhi azzurro chiaro e le labbra dal sorriso quasi fisso non eran fatti per smentire l'impressione. In quel giorno solenne essa mostrò il contegno, l'aspetto e i modi d'un condannato a morte che si auspichi tutto abbia presto termine.

    - Sembra una palla!... - disse Colleville a Thuillier.

    Brigitte era il coltello adatto a penetrare in quella natura indifesa; ne era del tutto l'opposto. Si faceva notare per una bellezza regolare, castigata, sciupata dai lavori che, fin da bambina, l'avevano tenuta china su compiti faticosi e ingrati, dalle privazioni occulte che s'era imposte per ammassare il suo peculio. La sua carnagione, chiazzata di macchie brunastre fin dall'infanzia, aveva il colore dell'acciaio. Gli occhi marroni erano cerchiati di nero o meglio eran pesti; il labbro superiore era coperto di peluria bruna che formava come un alone; le labbra erano piccole e la fronte imperiosa era messa in risalto da una capigliatura già nera e striata ora di bianco. Si teneva su come una bella bionda e tutto in lei rivelava la

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