Racconti - Considerazioni e gocce di saggezza
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Racconti - Considerazioni e gocce di saggezza - Vincenzo Lumenti
SAGGEZZA
IL SOGNO
D’inverno mi piace passeggiare da solo lungo la spiaggia, sentire l’odore della salsedine che aggredisce le mie narici e il rumore delle onde che, schiumando da lontano, vengono a morire sulla riva; vedere il vento smuovere la sabbia che, animata nelle sue infinite particelle, a tratti corre veloce per poi riposarsi un momento e quindi riprendere il cammino con impennate improvvise scoprendo, nella sua corsa disordinata, un’infinità di oggetti abbandonati.
In una di queste passeggiate noto, fra le altre cose, una scarpina; mi fermo e la raccolgo. Le sue dimensioni mi fanno pensare che, probabilmente, era appartenuta a una bambina di quattro o cinque anni.
Nello stesso istante le nubi si aprono e un improvviso raggio di sole mi colpisce. Al suo tiepido calore mi sdraio sulla sabbia… mi addormento e..sogno.
Nel sogno mi appare una bimba, forse quella della scarpina. Il suo viso è dolcissimo ma i suoi occhi sono seri e profondi, anche il suo sguardo è infinitamente triste. Provo una gran pena e, istintivamente alzo le braccia per accarezzarla ma lei si ritrae e scuote la testina come per dirmi: no, non farlo oppure la visione svanirà.
Mi ricompongo e mentre lei continua a fissarmi con quel suo sguardo malinconico, le chiedo :
<Perché sei così triste ?
>
E così dicendo mi tende la manina. Senza profferire parola, mi alzo e la seguo. Stranamente non sento il calore della sua mano né provo alcun timore o stanchezza mentre attraversiamo strade polverose, foreste cupe e ombrose, montagne aride o innevate. Ad un tratto il sentiero diventa più stretto e tortuoso, saliamo e arriviamo quasi alla cima del monte, quand’ecco che lei si ferma; nel medesimo istante sento provenire da lontano un coro di bambini accompagnato da una musica dolcissima.
<"Ecco, siamo arrivati - esclama la piccola - fai ancora qualche passo e superi la cima> e, indicandomi la strada che avrei dovuto percorrere mi sorride per la prima volta e poi si dissolve nel nulla.
Un freddo gelido mi assale e resto fermo e incapace di muovermi, quasi paralizzato, ma una forza improvvisa, a un tratto, mi spinge a fare un ultimo sforzo. Vado un po’ più avanti, mi tiro su con le mani e guardo oltre la cima.
Lo spettacolo che si presenta ai miei occhi è straordinariamente bello ma agghiacciante: nella valle sottostante, chiusa tra due boschi di conifere, osservo una miriade di loculi illuminati da tante piccole luci mentre da una chiesetta vicina continua a salire il dolce coro dei bambini. Memore delle parole della mia guida mi accingo a scendere a valle dove avrei trovato ciò che lei mi aveva promesso: quella pace interiore che fino ad allora avevo inutilmente cercato.
A questo punto mi sveglio, guardo la scarpina che stringo ancora tra le mani, ricordo tutto e mi chiedo : è stato solo un sogno o la premonizione di qualcosa che presto mi accadrà ?
ESISTONO DAVVERO GLI ANGELI ?
Quando lo vidi per la prima volta mi fece un certo effetto: io sono alto appena un metro e sessantacinque mentre l’uomo che mi camminava davanti superava i due metri. Il suo modo di vestire era,a dir poco, bizzarro: portava un berretto con una lunga visiera, un maglione incolore a righe orizzontali- tipo dolce vita- mentre un’altra maglia, con le maniche annodate attorno ai fianchi, gli copriva il fondo schiena. I pantaloni lisi, sgualciti e più corti del normale, mettevano in evidenza due caviglie rosse e screpolate mentre, dall’estremità della scarpa destra, fuoriusciva un paia di dita gonfi e arrossati.
Era, evidentemente, un barbone ma doveva essere nuovo del posto giacchè era la prima volta che lo vedevo eppure io in quel quartiere ci abitavo da oltre un decennio.
Con andatura lenta e dinoccolata spingeva una carrozzina da paraplegici sul cui sedile erano appoggiate delle coperte, una cartella con fogli da disegno, un cavalletto, uno zaino rigonfio e diversi giornali. Lo seguiva un cane bastardo di razza volpina.
Per natura non sono curioso eppure fui preso dalla strana curiosità di guardarlo in faccia, quindi accelerai,lo sorpassai e mi fermai davanti a una vetrina.
Riflessa nel vetro vidi la sua figura che si stava avvicinando, ero indeciso se girarmi o meno, ma fu lui stesso a togliermi dall’imbarazzo battendomi delicatamente la mano sulle spalle. Appena mi girai mi fece un perfetto saluto militare e, garbatamente,mi chiese qualcosa.
Lo guardai in viso : aveva lineamenti duri e la sua faccia era segnata da rughe profonde ma non era così vecchio come poteva sembrare a prima vista. Gli porsi una banconota che lui prese abbozzando un mezzo sorriso e farfugliando parole di ringraziamento, riprese la sua strada.
Passò qualche giorno, l’avevo quasi dimenticato, quando una sera fredda e umida di Ottobre, rientrando a casa,vidi nell’androne del portone la carrozzina con le sue cose e il cane mentre lui se ne stava all’interno addossato alla porta dell’ascensore. Ci guardammo un attimo in silenzio poi lui sussurrò quasi per scusarsi : Ho freddo
.
Senza rispondere salii in casa,presi un cappotto che non indossavo più ( era un po’ piccolo ma gli sarebbe servito almeno per coprirsi ), versai del brandy in un bicchiere e glieli portai giù.
Sorrise imbarazzato, accettò il brandy ma non il cappotto. Disse che ne aveva già uno di suo, bello e caldo ma che poteva indossarlo solo a Dicembre, quindi raccolse le sue cose e andò via.
Quella notte, a letto, ripensando all’accaduto tentai invano di dare un senso concreto alle sue parole sibilline. Aveva rifiutato il mio cappotto sostenendo che ne aveva già uno, bello e caldo, ma che avrebbe potuto indossarlo solo a Dicembre. Cosa aveva voluto dire ? Certo, quell’uomo mi incuriosiva e, prima di addormentarmi, decisi che un giorno o l’altro, lo avrei costretto a raccontarmi qualcosa della sua vita.
Lo rividi ancora durante il mese di Novembre, sempre con gli stessi stracci addosso mentre spingeva la sua carrozzina chiedendo l’elemosina oppure seduto all’angolo di una strada mentre dipingeva, davvero con bravura, uno squarcio del paesaggio ma lui fece sempre finta di non accorgersi di me, quasi volesse evitarmi. Io rispettavo quel suo atteggiamento e rimandavo a migliore occasione l’opportunità di parlargli.
Arrivò Dicembre: Mi guardavo attentamente in giro per cercare di sorprenderlo chiuso nel suo bel cappotto caldo ma, del barbone, era sparita ogni traccia. Allora pensai che,forse, era ricoverato o addirittura morto. Chiesi sue notizie anche al parroco della mia parrocchia dove si distribuivano pasti caldi per gli indigenti ma, evidentemente, l’uomo non frequentava la mensa e il parroco, pur confermando di averlo visto qualche volta, non seppe dirmi altro.
Mancava qualche giorno alla fine del mese quando ricevetti dal parroco una telefonata: desiderava vedermi per avere il mio parere in merito all’organizzazione della festa di fine anno che si sarebbe tenuta in parrocchia a favore dei bambini più poveri e, possibilmente, la mia collaborazione nella distribuzione dei doni.
Accettai di buon grado, assieme mettemmo a punto le fasi della festicciola e la sera del 31 Dicembre fui puntuale all’appuntamento.
L’ampia chiesa era particolarmente illuminata e addobbata per l’occasione. L’organo spandeva soavi note, i bambini erano tanti e sui loro volti allegri e sorridenti si leggeva l’ansia e la gioia di ricevere i regali.
Finita la cerimonia della distribuzione dei doni il parroco mi pregò di recarmi in canonica: anche per me c’ era un regalo. In effetti rimasi sorpreso e di stucco quando vidi in piedi, davanti al camino acceso, il mio
barbone, questa volta rasato, ben vestito, pulito e col suo bel cappotto
caldo.
Mi fece garbatamente cenno di accomodarmi e si sedette di fronte a me.
Ero emozionatissimo e capivo che