Le Vacanze Di Didier
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Le Vacanze Di Didier - Gaston Javier Algard
I
6 Agosto - domenica mattina
La Mercedes procedeva tranquillamente per una strada provinciale della Toscana. Agnès Didier, commissario dipartimentale della divisione criminale di Parigi, seduta accanto al guidatore, si rese subito conto che Giovanni era abituato a condurre passeggeri ad andatura turistica. Questo le faceva un immenso piacere. Le dava il tempo di riempirsi gli occhi di quella verde campagna e dei piccoli borghi che stavano attraversando. Si rilassò, godendosi quella vacanza estiva che, sino a pochi giorni prima, non avrebbe creduto possibile.
Ripensò al giorno della partenza, il martedì precedente. Le mille raccomandazioni fatte alla signora Marie per il suo Chico, il gatto filosofo, che non avrebbe potuto portare con se. Al desiderio inconscio, chiudendo la porta di casa, di lasciarvi dentro tutti i problemi di lavoro. Alla corsa in taxi verso la Gare de Lyon per salire sull’EuroCity. All’emozione di sedersi nel posto che aveva prenotato almeno tre mesi prima, senza molta convinzione. Al fremito provato al muoversi del treno che l’avrebbe condotta a Milano e, presa la coincidenza, sino a Firenze. Una scelta, quella del treno, per godersi minuto per minuto il suo viaggio verso l’Italia.
Solo ora, dopo cinque giorni che era lontana da Parigi, cominciava a rendersene conto. Quasi non si rammentava più del mestiere che aveva fatto sino a qualche giorno prima. Le tre giornate a Firenze, una delle città per lei più belle del mondo, l’avevano ampiamente compensata delle tante preoccupazioni avute durante quell’ultimo anno di lavoro. Tutto era lontano, quasi evanescente. Anche la sosta ad Orvieto, durata un giorno più del previsto, era stata una simpatica avventura. La funicolare, fuori dalla stazione, per arrivare in alto nel centro della città medioevale. La ricerca di un albergo a caso. Andare in giro a curiosare come gli altri turisti anonimi. La buona tavola.
Ora quell’auto la stava conducendo alla sua meta finale, una piccola cittadina della bassa Toscana. L’unico albergo all’ingresso del paese sarebbe stata la base delle sue scorribande giornaliere nella terra degli etruschi. Sovana, Manciano, Saturnia, Sorano, Poggio Buco e tanti altri luoghi pieni di fascino ai suoi occhi. Una sola cosa non riusciva ancora a capire. Nemmeno una chiamata di saluto al portatile da parte degli uomini della sua squadra. C’era rimasta un po’ male.
Una frenata improvvisa la distrasse dai suoi pensieri. Ad una curva era sbucato un ciclista. Ma Giovanni non aveva aperto bocca. Si era girato verso di lei per controllare che avesse la cintura allacciata.
«Non si preoccupi Giovanni, tutto a posto…»
«Queste sono strade dove una sorpresa bisogna sempre aspettarsela.»
Solo allora Didier lo osservò vramente. Giovanni non era proprio un autista autorizzato. Sulla sessantina, abbronzato, capelli cortissimi, accento napoletano, che seppe poi essere di Casoria, nella prima mezz’ora le aveva raccontato tutta la sua storia.
Rimasto vedovo si era risposato con una signora originaria del paese dove erano diretti. Aveva lavorato in TV a Roma, come tecnico, aveva due figli grandi sposati e si era trasferito lì dopo il secondo matrimonio. Sapeva tutto di tutti del paese dove ora viveva. Faceva quel mestiere per non stare con le mani in mano e per guadagnare qualche cosa. Ma gli disse che aveva anche una bella pensione ed un buon gruzzolo in banca, frutto della liquidazione ricevuta. In definitiva Didier aveva incontrato un simpatico personaggio, cordiale e pieno di esperienza, ma certamente da tenere a bada. Riuscì subito a capire che il passatempo preferito, suo e degli abitanti del suo prossimo rifugio, era il pettegolezzo. Giovanni tentò di sapere subito qualcosa anche di lei. Ma Didier approfittò, benché parlasse abbastanza bene anche l’italiano, della sua nazionalità francese per non capire qualche sua domanda o rispondere vagamente. Per tutti voleva essere solo un’impiegata dello stato francese in vacanza, innamorata della storia etrusca.
Quando arrivarono all’albergo, verso le dieci, Giovanni le lasciò il suo biglietto con il telefono. Didier lo ringraziò. Lo avrebbe sicuramente richiamato per farsi portare nei dintorni. Salita in camera fece una doccia, si cambiò e dopo mezz’ora era già immersa nei vicoli medioevali, tra tanti altri turisti.
6 Agosto - domenica pomeriggio
Tornò in albergo, stanca, ma felice. Aveva fatto tanti di quei giri, che non ricordava nemmeno più cosa avesse visto. Ma non le interessava. Le era servito per rendersi conto dei luoghi dove avrebbe passato i prossimi giorni. Dopo aver lasciato in camera piantine ed opuscoli turistici raccolti ad ogni occasione, macchina fotografica e zainetto, si era rinfrescata con una rapida doccia ed era scesa in sala da pranzo. Gustò, come una scolaretta, i piatti caratteristici che la proprietaria dell’albergo le aveva suggerito. Non tutti ovviamente, altri li riservò per i giorni successivi.
Non aveva voglia di tornare in camera, eccitata com’era. Rimase nella sala mentre le cameriere riordinavano ed apparecchiavano per la sera. Si era spostata ad un tavolo dal quale poteva vedere, attraverso una grande finestra, il panorama del paese fino alle lontane colline. Tutti riposavano ed era silenzio. Uno spettacolo magico. Fu distratta da voci alterate che provenivano dall’interno della cucina. Cercò di estraniarsi. Ma non poté fare a meno di alzarsi ed avvicinarsi alla porta. Le voci si erano trasformate in urla.
«Io l’ammazzo! L’ammazzo quel disgraziato! L’ammazzo stanotte, appena torna a casa! Sai che ti dico? Prendo questo coltello qui, bello grosso. Glielo pianto nella pancia a quell’infame!»
«Paola! Ma che dici? Ti vuoi rovinare…?»
«Lasciami…! Lasciami stare…!»
Si affacciò stupita, senza parlare. A metà del lungo locale, nello stretto corridoio formato dai fornelli da una parte ed i mobili della cucina dall’altra, due donne sembrava che lottassero. Una brandiva in mano un grosso coltello. L’altra le tratteneva il braccio, cercando di farglielo lasciare. La sua mano colava sangue. Quando si accorsero di lei, tacquero all’unisono.
«Ma lei è ferita!» disse Didier, entrando senza esitazione.
Solo allora Gemma, la cameriera che serviva ai tavoli, si accorse del sangue che scendeva dalla mano e le aveva arrossato il grembiule bianco. L’altra si era ritratta, spaventata.
«Per favore, non avvisi la signora! Per favore…» disse Gemma implorante.
«Non chiamo nessuno… Ma lei Paola, posi quel coltello. Subito!»
Fu così perentoria che quella aprì di colpo la mano. Il coltello cadde rimbalzando sul piano d’acciaio del lavabo. Il rumore rintronò nel silenzio totale. Didier si affacciò nella sala da pranzo. Nessuno nei paraggi. Gemma trascinò allora tutte e due nell’altra sala da pranzo, quella dalla parte opposta della cucina. Paola aveva portato di corsa la cassetta di medicazione dell’albergo. La porse a Didier, mentre copiose lacrime le rigavano il viso. Poi si era lasciata cadere su una sedia, continuando a singhiozzare. Didier medicò la ferita di Gemma.
«È solo un taglio superficiale, fortunatamente…»
Gemma non parlava. Guardava l’altra e scuoteva la testa.
«Ci scusi signora… Ma questa poveretta avrebbe bisogno di aiuto… Ed io non so come farla ragionare…»
«Parliamone…» rispose Didier con semplicità.
Paola e Gemma la lasciarono sola alcuni minuti per andarsi a cambiare. Quando tornarono, Didier le osservò con simpatia. Paola era una donna di statura al di sotto della media, sui quarantacinque, di aspetto giovanile e schietto, piacente. Il viso ora era più rilassato. Il poco trucco le faceva risaltare la carnagione ancora fresca sui capelli corti, biondicci. Gemma era più volitiva. Qualche anno di più, capelli neri lunghi. Occhio smaliziato, corpo più formoso. Parlata toscaneggiante, spesso un po’ sboccata, ma simpatica.
«Deve sapere, signora…» iniziò subito Gemma, «che Paola convive con un uomo più anziano di lei, separato dalla moglie che sta in Sicilia. Un ex maresciallo dei carabinieri. Un brutto coso, come lo chiamo io. Ma lei gli vuole bene. Gli ha messo a disposizione casa sua, lo cura, perché lui ha il diabete ed è malato anche di cuore. Ma lo mantiene pure, perché quel coso manda tutti i soldi della pensione alla moglie, giù in Sicilia…»
Paola ebbe come un atto di ribellione, ma poi rimase in silenzio lasciandola continuare. In cuor suo sperava che qualcuno l’aiutasse. Anche questa sconosciuta signora.
«Questo brutto coso, tanto siamo tra donne adulte, dice che non gli tira più con lei. Ma lei lo sopporta lo stesso. Il bello è che da un anno questo coso va a letto con una troja, scusi la parola ma non saprei come altro definirla, che vive qui in paese. Una di quelle donne che si farebbero un uomo "basta che respiri", come diciamo da noi. Vedova e con due figli grandi in casa, che gli reggono il gioco. Quasi ogni pomeriggio o sera se ne esce e va da lei. Fa i suoi porci comodi, perché con quella gli tira, poi se ne ritorna a casa da lei. E lei lo continua a sopportare. Mi dica se può continuare così… Un giorno o l’altro succederà una tragedia. Ha visto oggi? Questa poveretta non ce la fa più…»
Con la voce più dolce possibile Didier si rivolse a Paola.
«Gli ha parlato? Ha cercato di farlo ragionare…?»
Paola rispose con il pianto in gola.
«Nega tutto… Dice che sono solo mie fantasie… Che sono una pazza!»
«Pazza un cazzo…!» intervenne Gemma con la solita schiettezza, «ma se lo sa tutto il paese! Anche Giovanni che abita sopra! Lo vede arrivare quatto quatto, entra nel cancelletto come se fosse un ladro! Che ci va a fare, conversazione…? Ma se quella è quasi una capra…!»
Didier cercò di non ridere. Gemma era troppo sincera nei suoi interventi. Se fosse stata un testimone nelle sue inchieste, si sarebbe divertita da matti. Ma qui, invece, si trattava di aiutare una donna che soffriva. Una donna indubbiamente debole. E sapeva per esperienza che è proprio da una donna simile che spesso nascono tragedie.
«Giovanni chi…?» chiese Didier a Gemma.
«Quello che l’ha portata qui da Orvieto… L’autista di piazza.»
Tutti sanno tutto di tutti, memorizzò nuovamente Didier.
«Certo Paola, la situazione è difficile, lo capisco… Ma si renderà conto che non risolverebbe nulla con la violenza… In fondo lui è solo un’ospite… Potrebbe mandarlo via di casa. In fondo la casa è sua…»
«Non è facile…»
«Digli che ti ha minacciata…! Sangue di giuda! Scusi signora. Ma questa mi fa andare in bestia…!»
«È vero…?»
Paola assentì con il viso, senza parlare.
«Potrebbe denunciarlo…»
«Non credo proprio…» fece Gemma, «lei non sa che tipo è… Vincenzo Colabitta è siciliano ed ex carabiniere…»
«Cosa vuol dire…?»
«Che tra cani e conterranei, non si mordono… E lei purtroppo è una donna sola…»
Didier rimase pensosa. Le altre due aspettavano che parlasse, come un oracolo.
«Ragazze, per il momento non vedo una soluzione… Ma aspettiamo un po’… Potrebbe arrivare. E lei Paola, abbia ancora un po’ di pazienza… Ne ha avuta tanta sino ad oggi. E non si faccia più venire brutte idee per la testa, per favore… Ne riparliamo. Io rimarrò qui altri nove giorni. Ci sarà modo di tornare sul discorso… Ve lo prometto. Se potrò fare qualcosa, ne sarò ben felice…»
6 Agosto - domenica sera
Didier chiamò Giovanni. Nel suo giro mattutino per il paese aveva letto un manifesto: Fiera a Sorano. Partirono verso le sei. Durante il tragitto altre