Cinque storie misteriose
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In questi cinque racconti, scritti in anni successivi e già in precedenza pubblicati singolarmente e che ora ho raccolto in formato ebook, mi sono presa il piacere di riportare episodi di cui, in vari modi, ero venuta a conoscenza e che mi avevano incuriosita. Li ho scritti in prima persona in modo che il lettore abbia l'impressione di udire raccontare queste strane storie dalla viva voce di chi sostiene di averle vissute e si lasci meglio coinvolgere da quella sottile vena di inquietudine e di incertezza che io stessa ho provato mentre li rammentavo per scriverli. Sono adatti, e rivolti, anche ai ragazzi che amano il mistero e sono ancora capaci di osservare il mondo con occhi privi di condizionamenti. Se invece, adulti o meno, fate parte della categoria degli scettici irriducibili… leggete i racconti come fossero della favole e… buon divertimento!
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Cinque storie misteriose - Silvana Sanna
EBOOK
LA PROMESSA DEL GARIBALDINO
Vivo in un piccolo paese adagiato sul fondo di una valle, circondato da campi di grano e di mais. Appena poco più in alto i campi coltivati lasciano il posto a boschi di castagni e di querce un tempo molto estesi, ora ridotti sensibilmente nelle dimensioni ma che conservano intatti il fascino misterioso del silenzio profondo e l'atmosfera quasi magica.
Quando ero bambina il bosco più alto verso i colli era la meta privilegiata delle escursioni di tutti i ragazzi del paese che vi si recavano in gruppo per esplorarlo, raccogliere funghi e castagne in autunno, orchidee selvatiche e ciuffi di equisetum in primavera, giocare a nascondino e fare allegre merende sulle radure erbose nei caldi pomeriggi estivi. Allora eravamo un bel gruppo di una ventina di giovani, molto ben affiatati nel divertimento e nelle birbonerie, gli svaghi innocenti dei ragazzi semplici di campagna che non avevano niente confronto a quelli dei nostri giorni, ma godevano in compenso di molta più libertà di movimenti.
Ora il paese si è quasi spopolato, ridotto a una manciata di persone anziane e i bambini si possono contare sulle dita di una mano.
Uno di questi bambini è la mia nipotina. Mio figlio e sua moglie hanno scelto di restare a vivere nel paese e continuare ad occuparsi dei campi. Lavoro, grazie a Dio, molto meno faticoso di un tempo per via dei moderni macchinari agricoli e che tuttavia li impegna entrambi a tempo pieno. Così io passo molto tempo con Serena, la loro bambina e, poiché piace a tutte e due stare all'aria aperta, nella bella stagione ci concediamo lunghe passeggiate ed io la porto spesso nel bosco che è stato il teatro delle mie escursioni da bambina.
Saliamo per la carrozzabile fino a mezza costa, poi prendiamo per i viottoli che attraversano i campi e in mezz'ora arriviamo ai margini della foresta
, come ama chiamarla mia nipote. Ci inoltriamo nel folto degli alberi senza parlare, cercando di fare meno rumore possibile... se siamo fortunate ci capita di vedere uno scoiattolo e di udire il secco ticchettio di un picchio in cerca di cibo.
Fino a non molto tempo fa, camminando tra le frasche intricate del sottobosco e salendo sempre più in alto, arrivavamo sino alla casa di Adelaide.
La casa di Adelaide era allora raggiungibile più agilmente dall'alto perché era lambita dalla strada sterrata che costeggia il bosco, quella che percorrono i contadini coi grossi trattori cingolati. Ma noi preferivamo arrivarci dal basso attraversando la foresta
, proprio come facevo io da bambina coi miei compagni di avventure, per avere l'impressione di vivere in una favola e per entrare meglio in atmosfera con il fascino arcano che circondava la casa.
Un pomeriggio, arrivando sull'angusto spiazzo lastricato della corte, avemmo la sorpresa di trovarci due signori
di città, con tanto di giacca e cravatta, che si guardavano attorno. Poco lontano potevo intravedere un grosso fuoristrada con il quale avevano evidentemente raggiunto il posto dall'alto.
La presenza di quegli estranei non mi fece piacere. Parlavano a voce troppo alta accompagnando le parole con larghi gesti delle mani e io mi sentii immediatamente irritata: i bambini e anche gli adulti del paese che arrivavano lassù, allora come tanti anni prima, si comportavano in quel luogo con una specie di reverenza, con un certo timore forse. E di sicuro con rispetto.
- Salve - ci apostrofò uno degli uomini vedendoci arrivare - passavamo qui sopra e questa casa diroccata ci ha incuriositi. E' vostra?
- No davvero - gli risposi un po' sostenuta.
- Sa per caso chi è il proprietario?
- E' la casa di Adelaide - intervenne prontamente Serena.
- E abita in paese questa signora Adelaide?
Che cosa potevo rispondere? Che Adelaide era morta quasi centocinquant'anni prima?
- No, guardi, la chiamano così per via di... di una storia che ci raccontano, ma in realtà non è di nessuno.
- Di nessuno? Qualcuno l'avrà pur costruita ai suoi tempi.
- Questo non glielo so dire. I boschi qui intorno sono quasi tutti demaniali.
- Quindi se uno avesse intenzione di comprarla...
- Non so che cosa risponderle. Ma poi comprarla per farne cosa? E un rudere, quattro muri che stanno in piedi per scommessa.
- Ma da quassù si gode un panorama stupendo e una volta ristrutturata e ampliata, come seconda casa sarebbe un sogno. Mi rivolgerò in Comune. Grazie e buongiorno – tagliò corto l'uomo avviandosi verso l'auto seguito dal compagno.
- Ma davvero, nonna, quei signori vogliono comprare la casa? Ma se ci abita qualcuno non ci si può più venire, magari comprano anche il bosco e ci mettono una recinzione. E poi, se c'è gente, come farà Martino a portare i fiori alla sua Adelaide? - la mia nipotina sembrava veramente dispiaciuta.
- Ma no, chi vuoi che la compri - la rassicurai - e poi non sarà nemmeno possibile visto che tutti i boschi qui attorno sono dello Stato e quindi non sono in vendita...
Ma sapevo di aver dato ai due uomini, e ora a Serena, delle informazioni inesatte: una parte del bosco e il terreno su cui sorgeva la casa di Adelaide non erano demaniali, in paese lo sapevano tutti. Però i proprietari, lontani eredi degli antichi padroni, vivevano in una grande città ben lontana dal paese e non se ne interessavano. E forse, chissà, avrebbero anche venduto volentieri quei terreni che non rendevano nulla a dei forestieri, perché di sicuro nessuno del paese si sarebbe mai sognato di acquistarli, come invece avevano fatto tanto tempo prima coi campi coltivabili.
Ero indignata: ristrutturare per venirci a vivere, sia pure nei mesi estivi, la casa di Adelaide? La cosa era impensabile, anzi a me sembrava quasi una profanazione. Perché se la casa di Adelaide era un posto speciale per tutta la gente del paese, per me lo era in modo particolare: proprio lì, tanti anni prima, avevo vissuto una delle esperienze più incredibili che possano capitare a una persona. Nel gruppo dei miei compagni ero stata una specie di privilegiata perché solo a me era capitato: e, quando l'avevo raccontato, ufficialmente nessuno mi aveva creduto, ma io sapevo bene che ciascuno di loro in cuor suo sapeva che dicevo la verità. La mia mamma invece non aveva avuto dubbi sul fatto che io non raccontassi bugie.
- E' capitato anche a me - mi aveva confidato - e non potrò mai dimenticarlo finché vivo. Fu quando il papà partì per la guerra. Eravamo sposati da poco, ci amavamo moltissimo e io temevo che non sarebbe più tornato da me... Ma non tradirmi, io non l'ho mai raccontato ad anima viva.
Quando ero bambina nessuno dei miei compagni si sarebbe mai azzardato a raggiungere la casa di Adelaide da solo. Ci andavamo tutti insieme forti del numero e, anche se non lo avremmo mai ammesso, con un certo timore, nonostante ostentassimo sicurezza e spavalderia.
Nel pomeriggio giocavamo nel bosco, gli strepiti e i richiami echeggiavano tra gli alberi come ovattati dalla fitta vegetazione, ma poi, quando si avvicinava il tramonto, ci avviavamo per tacito accordo verso la casa abbassando man mano il tono della voce fino a tacere del tutto una volta arrivati alla meta.
Ci inoltravamo nel cortile che col passar del tempo era sempre meno spazioso, conquistato progressivamente dalla vegetazione del bosco sempre più ardita e sfacciata e che giungeva oramai a insidiare le grosse lastre di pietra del patio davanti all'ingresso.
Stavamo ben attenti a non spingerci troppo oltre, come ci raccomandavano le mamme: sul retro il terreno che forse un tempo era adibito a orto era stato inghiottito anni e anni addietro da una grossa frana che aveva aperto una voragine sul fianco della collina e che scendeva per un centinaio di metri a strapiombo verso la valle. Ormai il terreno pareva essersi consolidato ed era da escludere un ulteriore pericolo di smottamento, tuttavia le madri si preoccupavano che qualcuno di noi ragazzi potesse finire nella scarpata e farsi del male. Certo la tentazione di avvicinarsi all'orlo del precipizio era forte, da quel punto si poteva godere di un panorama mozzafiato sulla valle sottostante, sulla colorata geometria vagamente surreale dei campi coltivati e sulla fuga delle colline ricoperte di boschi che senza soluzione di continuità andavano a perdersi lontano fino all'orizzonte.
Già allora la casa era quasi completamente diroccata: quattro muri di sassi e mattoni