Il porto di Liverpool
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Book preview
Il porto di Liverpool - Massimo Scalabrino
IL PORTO DI LIVERPOOL
Massimo Scalabrino
EDIZIONI SIMPLE
Via Weiden, 27
62100, Macerata
info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it
ISBN edizione digitale: 978-88-6259-692-3
ISBN edizione cartacea: 978-88-6259-583-4
Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand
Via Weiden, 27 - 62100 Macerata
Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.
Ogni riproduzione anche anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.
Copyright © Massimo Scalabrino
Prima edizione cartacea ottobre 2012
Prima edizione digitale ottobre 2012
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo riservati per tutti i paesi
Tu possiedi la nave della Tua condizione di uomo.
Traversa perciò il gran fiume del dolore.
Insensato, non è il momento di dormire !!
Questa nave non è facile da trovare un’altra volta.
Bodhicaryavatara
(La perfezione della forza, 14.)
Questo racconto lungo è dedicato
all’ equipaggio, alle amiche ed agli amici
che hanno atteso sul molo, in particolare
a Mario Cirio, un amico, di quelli veri!"
ed a Te, Ada, l’amore vero della mia vita!
Il porto di Liverpool
Da sempre ho pensato che prima o poi mi sarei messo a scrivere, direi fin da ragazzo. E fin da ragazzo tutti i miei racconti, i grandi romanzi iniziati e mai finiti cominciavano con l’immagine di una nave, un mercantile che partiva in una notte di nebbia dal porto di Liverpool. E qui, nel silenzio della notte, risuonava lugubre una sirena, che annunciava la partenza del più lurido bastimento di tutta la marina.
In una notte di grande nebbia, dal porto di Liverpool.
Non mi spiegavo perché una sirena notturna in mezzo alla nebbia dovesse necessariamente essere lugubre, mentre magari la stessa sirena che suona nell’attraversare l’equatore, annunciando all’equipaggio il traguardo raggiunto, debba essere allegra.
Forse sarebbe interessante un approfondito studio, di cui saranno piene le biblioteche, per capire come solo alcune variazioni di tonalità possano comunicare sensazioni così diverse.
In ogni caso tutti i miei racconti, o tentativi di racconti di grandi avventure iniziavano con una partenza dal porto di Liverpool e sempre in una notte di fittissima nebbia. Quale poi fosse ed a cosa corrispondesse questo bisogno di scrivere, mi è ancora difficile capirlo.
Certo non ero mosso dal desiderio di dover raccontare qualcosa a qualcuno, forse sentivo di dover parlare a me stesso, per dirmi o svelarmi non so quale arcano mistero e per farlo sentivo il bisogno di raccontare una partenza e questa doveva proprio avvenire con un mercantile in una notte di nebbia.
Da quelle partenze sono passati tanti anni ed in questi anni ci sono stati tanti viaggi, veri, immaginati, sperati, e partenze mai avvenute.
Tutte, naturalmente, durante una notte di nebbia.
All’inizio l’influenza di Salgari, di Kipling e di tanti altri fu fortissima. Le mie prime letture erano di grandi e avventurosi viaggi ed i giuochi alternavano storie dell’Uomo Mascherato, di Cino e Franco, mentre Tarzan rappresentava il massimo della libertà e della forza messe insieme. Le battaglie erano nel giardino di casa tra schieramenti multicolori di soldatini, senza vincitori né vinti, tra Toro Seduto contro un Ascaro o un ufficiale nazista col contorno di soldatini scozzesi con tanto di gonnellino e residuo di cornamusa.
Alternavo a letture più serie romanzi come I ragazzi della via Paal
. Certamente non ha niente a che fare con il porto di Liverpool ed è tra i tanti di allora, l’unico libro che conservo. Mi fu regalato, con una bellissima dedica dalla prima donna brutta che io abbia conosciuto, o che ricordi di avere identificato così, che però ai miei occhi sembrava bellissima.
Ho avuto di questa signora un sottile ricordo legato al suo profumo.
Mi regalò una piccolissima scatola di cartone che conteneva un batuffolo di cotone imbevuto di questo antico e straordinario profumo. Era una donna elegante, molto alta, dai bellissimi occhi intelligenti, uno spirito di grande e coltivata sensibilità.
Certamente un animo del genere avrebbe anche potuto vivere in un corpo bellissimo. I ragazzi della via Paal
è ancora tra i miei libri, nella edizione Bompiani, con una copertina che rivista ora ha un aspetto vagamente fascistoide, e nella prima pagina una dedica …al mio caro amico, con tanti auguri. Mirella, Natale 1946...
Nella seconda pagina, come tangibile segno di proprietà ci avevo sparato una mia firma di incredibile grandezza. Ricordo benissimo come mi sentivo cresciuto nel leggere la storia di quei ragazzi.
Allora il porto di Liverpool era molto lontano e non sapevo cosa potesse significare vedere attraverso le parole, leggere, sentire e capire le sensazioni di questa nostra umanità così stupidamente e dolorosamente sofferente, nella sua perversa valutazione dell’esistere, tanto da non poterla dimenticare neppure nei rari momenti di gioia, nei rari momenti di allegria.
Dal mio punto di osservazione, al timone del mercantile, sono affascinato da un’ipotesi che è quella di tentare una analisi di questa sofferenza che lega nelle sue più viscerali contraddizioni la mia nave al porto di Liverpool, in questa lunga, lunghissima notte di nebbia.
Un primo elemento di riflessione nasce dalla sensazione che l’uomo, a differenza di qualsiasi altro essere apparentemente vivente su questo pianeta, ad un certo punto della sua storia, abbia staccato il proprio pensiero dal proprio corpo, identificandolo nell’invenzione dell’anima ed affascinato dal suono delle sue stesse parole, abbia dato a queste due entità, due funzioni completamente diverse, facendole vivere in un perenne e continuo contrasto, procurando così a se stesso, e poi, nelle più raffinate espressioni di mutevoli e mutanti valorizzazioni, a tutto il resto degli esseri viventi, un stato di assoluto dolore.
Questo patimento diffuso emerge dalla constatazione che, nonostante tutti gli sforzi fatti in senso contrario, quasi tutte le azioni umane sono portatrici di cumuli di sofferenza.
Lo stesso modo di concepire la nascita ed il morire sono improntate ad una inutile esasperazione del dolore. La vita da vivere come altro non fosse che una espiazione di altre vite, che tende nel suo esaurimento ad una profonda crisi dolorosa, che raggiunge il suo apice nella morte, in attesa di un giudizio che, secondo sceneggiature irreali, dovrebbe portare i più ad un grande travaglio, ad una prolungata sofferenza. Niente di tutto questo è riscontrabile nell’immensa natura che circonda l’uomo, se non in una aberrante logica di potere che tende, attraverso una sottile politica di terrore, a condizionare la vita umana. Il tutto a fini utilitaristici di sette dominanti, che, nel corso dei tempi, hanno cambiato faccia ed indirizzo di volta in volta, al solo scopo di consolidare il loro potere.
Le organizzazioni sociali plasmate a tali immagini si sono rivelate costrittive, mai liberatorie.
Quando hanno avuto ispirazioni liberatorie, sono state dapprima incamerate e poi trasformate, procurando assolute ecatombi umane.
Basterà pensare a tutte le rivoluzioni, a come sono nate, al fatto che pur appellandosi a libertà future, esprimendo liberazioni sociali, culturali e religiose, si sono poi risolte in uno scambio di esercizio di potere, tranne quando ragioni di distribuzione di risorse economiche tra pochi, hanno dimostrato che cosa migliore era concedere un minimo di benessere-tranquillità sociale al fine di garantire l’esistenza di un mercato attraverso una migliore capacità di produzione e scambio…con tanto di bandiere ed inni nazionali.
Solo alcune rivoluzioni hanno avuto al loro inizio uomini francamente nuovi, che sono riusciti, per l’immensa novità della loro opera ed intelligenza, ad aprire squarci di